4 giorni con mio nipote, che occupa l’università

Mio nipote ha 23 anni, e fa politica. Ho trascorso con lui quattro o cinque giorni, tra un’occupazione e l’altra dell’Università di Roma. Abbiamo parlato molto, di Grecia, delle violenze, di consumismo e politica. Insieme abbiamo guardato Annozero e commentato i giornali.
Mi sono reso conto che a mio nipote sfugge la differenza tra rabbia e indignazione.

Chi subisce direttamente un’ingiustizia si sente defraudato, patisce la violenza, misura sulla propria pelle l’entità di un danno e vorrebbe reagire subito, prendersela con qualcuno. Però mio nipote non prova ancora sulla pelle questi problemi, sta ancora studiando. Non è ancora in difficoltà economiche, perché per pagarsi l’università gli basta fare il cameriere o il muratore per un paio di mesi. Per il resto dorme in casa dei genitori, non paga mutui, non è sposato, non ha figli. La rabbia la provano i disoccupati; la rabbia dovrebbero provarla gli anziani senza pensione; la rabbia è dei precari, dei genitori che non arrivano a fine mese, che non sanno come pagare l’affitto. Neppure per loro giustificherei la violenza, ma mio nipote non può neppure invocare la rabbia che la genera. Non lui, non la gran parte degli studenti, che prima e dopo ogni manifestazione hanno una famiglia, una stanza dove dormire. Loro, com’è giusto, devono essere preoccupati, devono partecipare, studiare e agire politicamente. Cosa che fanno, e di cui sono molto orgoglioso.

Ho cercato di spiegare a mio nipote che la sua rabbia è un sentimento che viene da dentro, dunque non ha a che fare con questioni oggettive o problemi politici. E’ lo sfogo di un problema psicologico personale, molto diffuso. Anche io provo rabbia, a volte. La sfogo sempre su qualcosa, la prima che mi capita a tiro. In questo Paese c’è gente che la sfoga sugli immigrati, causa di ogni male, sui gay, sugli handicappati, sulle donne, sugli avversari, sui collaboratori, sui bambini. Alcuni poliziotti sfogano la loro rabbia sugli studenti. Alcuni studenti la sfogano sulle vetrine, sulle auto, sui poliziotti. Non cambia molto, a ben vedere.
Vivere dentro questo sistema, così com’è, fa venire molta rabbia. A molti. Anche a mio nipote. La differenza tra me e lui è che io ho capito che è un problema mio. Come me, come tutti a questo mondo, anche lui dovrà disinnescare dentro di sé la propria guerra. La rabbia non è un linguaggio politico, ma un problema di cui venire a capo individualmente, senza mentirsi sulla sua origine, senza sbagliare desitnatario sulla sua direzione.
Deve capirlo, questo, se vuole almeno tentare di diventare un uomo.

Ho anche provato a spiegargli che di Tienanmen, più dei morti rimasti anonimi, più di ogni altra cosa, ricordiamo un giovane gracile, magro, inerme, dritto davanti a un carro armato, disarmato, pacifico, ma fermo. Ho provato a suggerirgli che migliaia di studenti sdraiati tutti i giorni davanti al Parlamento, per settimane, per mesi, costringendo la polizia a spostarli senza opporre alcuna resistenza, diventando una notizia quotidiana, hanno un potere enorme, simbolico e politico, che la violenza invece azzera, circoscrive, dissolve.
L’ho invitato a constatare che i più violenti tra loro non sono i migliori combattenti. Sono solo i più fragili, i più esasperati. Chissà da cosa, ognuno le sue cause.

Ho cercato soprattutto di spiegargli che un  mondo migliore è una cosa che ha a che fare con l’intelligenza e il progetto, la costanza e la caparbietà. Ognuno di fronte a sé stesso, alla propria vita, diventando forte e saldo, così forte e così saldo da non fare confusione tra rabbia e indignazione, tra la via breve della violenza e la via lunga dell’azione.

Ho avvisato mio nipote che questa posizione è impopolare, che quelli che pensano, che non cedono al ricatto della piazza e restano integri e duri nell’azione di lotta, da sempre, vengono accusati di pavidità, di vigliaccheria, rischiano di perdere ruolo, perché nel caos ha più ruolo chi urla sopra il rumore. Più ruolo ma meno impatto. Per questo la via che lo attende è difficile. Non c’è cosa più dura di fare una battaglia mantenendo alta la guardia delle distinzioni, senza massificare, senza prendere la via laterale che rende di più in termini d’immagine tra simili. Ho cercato di spiegargli che se un uomo prova rabbia deve porsene il problema. Così come devono farsi molte domande quelli che in questa epoca non provano indignazione e non partecipano. Anche loro sono preda di una nevrosi: ignorano il mondo in cui vivranno.
Il Sistema preferisce avversari che non scendono in piazza oppure che spaccano tutto. Sono i più facili da battere, non hanno mai dato fastidio a nessuno.

Ho mostrato a mio nipote che molti “adulti” strizzano l’occhio ai giovani. Si mostrano comprensivi sulla violenza, o non sufficientemente fermi nel condannarla. Quasi tutti hanno tra quaranta e cinquant’anni. Nel 1980 loro, come me, avevano quindici anni. Mi pare che sfoghino oggi, attraverso i figli, la frustrazione di non assersi mai ribellati: figli del consumismo, troppo giovani per il movimento studentesco degli anni ’70, troppo vecchi perfino per la Pantera. Omologati e fuori tempo allora, cattivi genitori e consiglieri immaturi oggi.
Mi fanno paura. Anche questo ho detto a mio nipote, 23 anni, stavolta parlando di me.

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20 pensieri su “4 giorni con mio nipote, che occupa l’università

  1. la penso esattamente come te. possiamo accorgerci ogni giorno di quanto la violenza sia utile al sistema, tanto che, quando manca, viene provocata o peggio.
    e sei anche un bravo zio, come dubitarne! anch’io spero di riuscire a stimolare nei miei nipoti il ragionamento, la capacità di bastarsi come singoli proprio per non uniformarsi. e soprattutto rimarco l’importanza di prendersi le proprie responsabilità. sempre.
    speriamo bene…

    • io dico la mia davide. se tu non sei d’accordo puoi dire la tua. Se lo fai ti prometto che non faccio dell’ironia. Gli ironici senza contenuti li trovo stucchevoli. ciao!

  2. Sei un grande Exodus.
    Io non mi preoccupo, è da mò che dico che voglio lavorare nel biologico, mi sa che mi toccherà per forza.
    Come si dice in questi giorni…già buon anno nuovo a tutti.

  3. # Renato:

    Roma che era il centro del mondo conosciuto arrivò dopo secoli ad avere una popolazione di circa 20.000 persone. Poi si riprese nell’era dei Papi e per merito della fioritura artistica. Cosa ti fa pensare che l’Italia non sia destinato allo stesso inevitabile impoverimento? Per quale motivo non dovrebbe conoscere decadenza quando anche l’Impero è crollato.

    La stessa Cina è stata invasa, martoriata, affamata, devastata. Adesso sta tornando al suo splendore. Semplicemente. Perchè mai l’Italia non dovrebbe seguire lo stesso declino se i “barbari” alle porte hanno carte migliori? Ogni cosa ha il suo tempo e a volte, semplicemente, arriva la fine di un’epoca. Magari poi ne nasce un’altra, spero migliore.

  4. @Vittorio,Exodus.
    Secondo me avete entrambi ottimi argomenti, il problema però sono loro. Bisogna trovare una soluzione.
    E noi sempre qui a citare gli altri paesi (sempre con sta Germania, a cui voglio tanto bene).
    Il problema è che se non li fanno studiare cosa si fa in Italia fra 20 / 50 anni, si torna tutti nei campi? Come pensano di arginare la concorrenza dei paesi emergenti? Ma neanche gli agricoltori sono più ignoranti. Per mandare avanti una azienda agricola ci vuol gente con due maroni così oggi, figuriamoci domani.
    E’ vero sono anche strumentalizzati, ok. Ma cavolo se 10 anni fa potevano studiare in 100 domani potranno farlo in 50, quelli che finiscono sono 10, poi vanno all’estero e ti saluto. Il medioevo torna in Italia, i ruderi li abbiamo, siamo a posto.
    Devono trovare forza contrattuale, sono i più facili da tagliare perchè al momento sono “improduttivi”?
    Saranno però anche un target di qualche mercato (musica, divertimento, ecc.), si organizzino per boicottare, non consumare più, anche loro sono un pezzo di PIL.
    Farnetico.

  5. # Renato, Vittorio:

    scusate se lo dico così, ma ci sono passato, cosa volete che ne sappia un giovane di meno di venti anni di tutte le cose di cui abbiamo scritto? Un giovane queste cose non è tenuto a saperle, è tenuto a sperare, progettare il futuro, a sognare, a ribellarsi, ma senza troppa cognizione di causa, ma ribellarsi cmq in quanto se non lo fa adesso non lo farà mai in tutta la sua vita, per nessuna ragione valida o meno che sia.

    Ma nel merito delle questioni tecniche, della vita e delle sue difficoltà, cosa volete che ne sappia? Io sto iniziando a capire le cose a 40 anni, a tirare le somme della mia istruzione adesso, guardando, confrontando i risultati, ma come si fa a farlo prima?

    Eppure ho lottato, occupato scuole ed Università, parlato nelle assemblee, e tutto l’armamentario. Adesso sorrido. Non che non ne sia valsa la pena, anzi, ma cosa volete che capissi a quell’età? Come fa uno che non è mai entrato in un’azienda a capire se la qualità della sua istruzione sia o meno valida? Lo può solo immaginare, ma dato che non è mai come ci si aspetta, magari ti ritrovi ad essere più aiutato nel corso della vita dalla balorda scuola superiore che hai frequentato a diciassette anni che dalla blasonata università che ti ha solo fatto perdere tempo.

    I giovani vanno alla cieca, e non può essere altrimenti. Perchè non hanno esperienza di vita “dopo” la scuola. Cosa ne sanno se è valida o meno? Sarà il tempo e la vita a dirglielo.

    Ciò detto alcune cose possono capirle da soli:

    Un’Università è a 180 km da dove vivi (è successo a me)? Va male, si può lottare per aprire sedi distaccate senza timore di sbagliare, altro che tagli.

    Ci sono più di 35 studenti per docente? Va male, più docenti. Mancano aule? Va male, più aule. L’istruzione costa? Va male, non deve scoraggiare. ci si laurea con due-tre anni di ritardo rispetto ai paesi vicini? Va male, non ci sono solo somari in Italia.

    Su queste cose i giovani possono andare sul sicuro per il resto, io mi ricordo le lotte con “la Pantera” degli anni ’90 e mi chiedo ancora: “Chissà come sarebbe andata se non facevamo tutto quel casino, forse una laurea significherebbe ancora qualcosa, chissà”.

    Stiamo qui invece a parlare di ricerca. Ma non ci sono neanche posti a sedere, altro che ricerca! E le case dello studente? Cosa conta di più, l’etica del rettore o il dover interrompere gli studi perchè la tua famiglia non può mantenerti lontano da casa?

    Per il clientelismo poi è tutta una bufala, si sa che c’è e ci sarà sempre, nel pubblico e nel privato, ma questo non impediva alle persone di studiare, formarsi per poi condurre una vita dignitosa. Non esiste posto al mondo in cui non ci sia clientelismo. L’Italia si è arricchita come nazione mentre era soffocata dal clientelismo. Ma non c’entra con la possibilità di studiare. C’entra con la possibilità di diventare docenti, ma è un problema di chi è già laureato, non di chi deve ancora terminare il percorso di studi!

    E smettiamola col dire i giovani di qua e di la’, se loro si troveranno nella m… la colpa è dei vecchi, troppo vigliacchi per scendere in prima linea.

    volete sapere la verità? E’ questa: la spesa per l’istruzione in conto finanziamento (per il futuro) è la prima che viene tagliata perchè gli studenti non ne sanno niente e anche sapendolo non possono opporsi. E se si oppongono fa niente, le manifestazioni non causano disagi (i ferrovieri bloccano l’Italia, i benzinai idem, gli studenti no) e anzi fanno aumentare le vendite dei giornali, e gli Editori ingrassano, a destra e sinistra. E dibattiti, e blog e controblog. E pubblicità. E aumenta il PIL. Noi parliamo e loro perdono il futuro. Ma non per la riforma, perdono il futuro in quanto i soldi della loro istruzione vanno stornati a pensioni, bonus famiglia, benzinai, terremotati, tangenti, missioni all’estero, tutto insomma, in quanto, ripeto: SONO LA COSA PIU’ FACILE DA TAGLIARE. Non è neanche percepito come taglio. Se ne parla solo quando le caste, di destra e sinistra vengono toccate. altrimenti mosca. State tranquilli che se i soldi ai docenti, ricercatori, enti, istituti, venissero cmq dati se ne fregherebbero degli studenti, delle case dello studente, degli assegni per gli studenti, della decentralizzazione delle sedi per permettere a tutti di studiare, li ammasserebbero come buoi in un teatro e giù a fare lezione, gli stessi difensori dell’istruzione che li aizzano per farli ribellare.

    Io ci sono stato all’Università. E alla fine mi sono laureato senza seguire i corsi (lavoravo). E posso dire di non aver perso niente. Volevo un Università che mi formasse in pochi anni per permettermi di competere, non un mastodonte pieno di soldi che guadagnava dalla mia permanenza in quella sede. Altro che posto letto!

    I giovani devono avere la possibilità di studiare, non approfittiamo della loro ingenuità per cercare di fargli cambiare il mondo secondo le nostre egoistiche visioni, così li gettiamo allo sbaraglio, come prima di loro molti sono stati gettati, me incluso.

    Saluti e baci.

  6. @Renato
    Sono con te: il solo fatto che i giovani siano tutti in piazza ad urlare slogan contro lo psiconano mi basterebbe per confermare la tua opinione che hanno “vista acuta ed un buon sesto senso”. Ma questo solo perché ci piace considerare brillanti i giovani se manifestano da sinistra contro la destra. Siamo tutti schierati, che ci piaccia o no, e siamo condizionati dai media di stampo berlusconiano o, in misura uguale ed opposta, dagli anti-media di stampo santoriano.
    Purtroppo, e mi dispiace doverlo sottolineare, la realtà è ben altra.
    Il fatto che rettori e studenti siano contemporaneamente entrambi contro la riforma dovrebbe far riflettere.
    E’ in atto l’ennesima, gigantesca, manipolazione su una riforma scolastica (ne fu vittima anche un certo Luigi Berlinguer alla fine degli anni ’90, e pochi anni dopo anche l’odiata ministra Moratti).
    E’ una manipolazione di cui i ragazzi sono ancora una volta strumenti inconsapevoli, il che renderà anche stavolta piuttosto improbabile il riuscire a scavalcare le barriere della mentalità retriva dominante nei nostri atenei.
    Senza andare a scomodare il modello Stanford/Silicon Valley, basta andare in Germania per capire quanto sia ormai anacronistico ed autoreferenziale il nostro modello scolastico.
    Tu sai che Intel in Germania ha piazzato ben cinque laboratori di ricerca in collaborazione con varie istituzioni ed università, senza che questo costi un euro alla Merkel? Ed in Italia? Zero. Però se pensi che la Germania sia un caso a parte, fai un giro per l’Europa e ne trovi uno in Francia con l’Université de Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines, uno a Flanders con un network di 5 università belghe, uno a Maynooth con la National University of Ireland, uno addirittura in Polonia con la Gdanks University of Technology, uno a Barcellona con l’Universitats Politecnica de Catalunya… e così via.
    E stai tranquillo che in questo caso non è un problema di fondi statali alla ricerca o di tagli di spesa in Italia, è un problema di credibilità del sistema universitario ed il nostro è una incrostazione secolare di parentopoli e baronie. E’ semplicemente considerato inaffidabile, corrotto ed inefficiente, in altre parole pizza e mandolino, come tante cose italiane compreso il premier.
    Fatta questa premessa, di evidenza solare, arriva la Gelmini con una riforma peraltro bislacca in una certa misura e contenente una serie di incongruenze da rivedere e correggere.
    Ma invece che cogliere la palla al balzo ed aprire un grande, aperto, coraggioso dibattito che fa il buon Bersani? Monta sul campanile con il sigaro in bocca, insieme a Fini e Di Pietro. Bravo Pierluigi, complimenti. Un voto in meno, il mio. Non fosse altro per il sigaro diseducativo fumato in faccia ai giovani.
    Vedi Renato, io vorrei chiedere a questi giovani brillanti che manifestano se sanno che questa riforma introduce un codice etico sui concorsi per cui sono finalmente inibite le parentele sino al quarto grado.
    Vorrei anche chiedergli se sanno che d’ora in poi i rettori potranno rimanere in carica un solo mandato, per un massimo di sei anni.
    Ti diranno balbettando che è in gioco il diritto allo studio perché verranno tagliate del 90% le borse di studio (il che è peraltro probabile e preoccupante), ma ignorando il fatto che i tagli li farà (eventualmente) la legge finanziaria, non certo la riforma Gelmini.
    Ma per concludere, ecco la cartina tornasole.
    Ieri, il quotidiano Il Tirreno, notoriamente schierato a sinistra, che leggo ogni giorno da anni, gruppo Repubblica / Espresso per intendersi, a pagina 6 attacca in tutti i modi la riforma. Poi nella stessa pagina fa uno specchietto riepilogativo: “Le misure al via”. Cito testualmente, sbigottito:
    1. Lotta a parentopoli
    Stop alle assunzioni facili
    2. Assegni di ricerca
    Potranno essere banditi senza alcun intervento normativo. Sufficiente un decreto del ministro per alzarne il tetto.
    3. Posti da ricercatore
    Attraverso un regolamento di ateneo potranno essere banditi direttamente dalle università.
    4. Concorsi
    Dovrebbero partire in tempi brevi. I decreti attuativi sul reclutamento sono già pronti.
    Credo che non ci sia altro da aggiungere, se non che da una parte e dall’altra, manipolando i giovani, abbiamo fatto di tutto per perdere un’altra grande occasione per il nostro paese. La riforma, se non mediocre, è sicuramente perfettibile, e verrà quindi giustamente e prontamente abrogata dal prossimo governo di centro-sinistra, il che vuol dire entro un paio d’anni o forse prima. E poi ricominceremo da capo a girare in tondo.

  7. Sono contenta. E’ una gran fortuna per lui essersi potuto confrontare con uno “dall’altra parte” che ha saputo riconoscere il nostro “marcio” ma anche il loro. Il senso critico, il dialogo, l’intelligenza e la voglia di confrontarsi possono ancora ottenere grandi risultati.
    Vai nelle scuole Simone, parla ai giovani (te lo dico io dall’alto dei miei 38 anni).
    Quello che puoi fare tu con le tue parole e con la tua esperienza di vita è molto di più di quello che possono fare libri di storia e insegnanti stanchi.
    Buon Natale!

    • Sono stato invitato in qualche scuola Veronica, ed è stata una bella esperienza. I ragazzi sono sorprendentemente acuti, colgono i segnali forti. ne ricevono pochi (e sbagliati) in questa epoca. Ma ne hanno grande bisogno. Come noi, per altro. ciao!

    • Guarda Veronica, incredibilmente mi ha ascoltato con grande attenzione, mi ha dato ragione su molte cose, ha iniziato a mettere in discussione alcuni assiomi che dava per scontati. Non so esattamente cosa pensi ora, cosa farà, però so che ha poi parlato dei nostri dialoghi in modo molto positivo, molto critico (nel senso migliore del termine). Questo mi ha stupito, mi ha fatto piacere. Penso che questi ragazzi abbiano un enorme bisogno di noi, di confronto. Ma confronto vero, con gente che abbia in qualche modo fatto il proprio percorso individuale, che sia dunque un essere che sta sulle sue due zampe posteriori con qualche sforzo di dignità. Penso che ci giudichino molto male, e a buon titolo. Basta poco, tutto sommato, per dimostrare loro che non siamo delle mezze seghe, che possiamo dire la nostra, ma solo se in pratica, nella realtà, siamo in grado di dimostrare che non viviamo allo sbando, che non facciamo cose insensate. Del resto, guardandoci da fuori, dobbiamo ammettere che se le nostre vite sono fuori dal nostro controlo, è corretto che non ci seguano, che non ci ascoltino. Una cosa, per essere credibile, deve avere qualcuno che la testimonia, che ci ha già creduto lui. Senza essere davvero persuasi, come potremmo essere persuasivi? Io, ai suoi occhi, almeno in parte, sono uno che ha pensato e fatto, che sta tentando, dunque sono forse un poco credibile quando parlo di scelte. Mi ha fatto piacere constatare questo.

  8. Vittorio, so bene che ci sono giovani poco “brillanti” ma sono anche convinto che sono molti di più quelli con la vista acuta e un buon sesto senso.
    Li ho sentiti parlare, ragionare, esprimere le loro preoccupazioni, mi sono sorpreso della lucidità e consistenza dei loro discorsi, sollevato dal fatto che i 16 anni di cui parli tu in fondo non hanno appiattito proprio tutti.
    Quando andavo alle superiori qualche insegnante che cercava di trasmetterci idee di un certo tipo l’ho incontrato. Ti assicuro però che sono stato in grado di capire quante cazzate cercava di farci bere. E non avevo alle spalle una cultura politica di nessun tipo. Sono solo un pratico, uno che analizza il risultato delle scelte fatte da se e dagli altri.
    Non sono d’accordo nel mettere tutti sullo stesso piano, l’albero lo si riconosce dai frutti. Il cespuglio che ha governato questo paese per 16 anni ha prodotto solo bacche di dubbio gusto.
    Ragionare per interposto cervello? La prova del nove è osservarsi e chiedersi: cosa è cambiato in meglio nella mia vita di uomo e cittadino? Non so quante possano essere le risposte di carattere positivo. Ciao

  9. @Renato
    “Forse gli studenti sono i soli ancora sani di mente, i soli che non intervengono solo quando un problema li tocca direttamente. Sono più altruisti?”

    Ho un figlio di 15 anni, liceo scientifico, che protesta ed occupa la scuola con i più grandi ed è arrivato a sostenere che “non è giusto essere violenti ma la colpa è della Gelmini perché è lei che ha iniziato”. Come se la capitale a ferro e fuoco fosse in fondo un problema di chi ha iniziato per primo tra bulli di quartiere.
    Il fatto critico è che mio figlio non ha la benchè minima idea del merito della riforma. Zero. Avevo i suoi amici in casa l’altro giorno e mi sono consolato: loro sono invece sottozero. I più grandicelli, quelli per intendersi più vicini alla maggiore età, ne sanno meno di lui, o meglio pensano di sapere ma non riescono ad articolare uno straccio di ragionamento che sia uno sui contenuti.
    L’unica cosa che riescono faticosamente a dire è che “qui è questione di diritto allo studio”, ma subito dopo si mettono a pensare a come prolungare in qualche modo l’occupazione per far saltare il compito di matematica.
    Non è questione di altruismo o di sanità mentale.
    Il punto cruciale è che in questa società taroccata, manipolata, gestita, massificata, demolita da 16 anni di berlusconismo, ormai si ragiona per interposto cervello, si protesta per conto terzi, ci si agita per rispettare un copione, si sbraita e si urla con il pilota automatico. Ma nessuno poi alla fine capisce perchè lo fa, nello stesso modo in cui non ci si rende conto perché si acquista d’impulso un dentifricio piuttosto che un altro.
    E la cosa preoccupante è che non ci si accorge che Di Pietro è il rovescio della stessa medaglia di Berlusconi, che Feltri e Travaglio sono del tutto sovrapponibili come giornalisti “resistenti” (ed anche nell’insostenibile antipatia), che Santoro e Vespa sono di fatto come due gemelli monozigoti.
    Neppure il savianista Simone, che mi pare oltremodo impaziente di sventolare il tricolore, pare accorgersi fino in fondo del fatto che il dopo Berlusconi, una volta esaurite le anti-motivazioni politiche, sarà un totale vuoto pneumatico che ci farà rimpiangere perfino le bandane, le barzellette e il bunga bunga… ma nel caso di Simone forse si tratta di rigurgiti di un’antica militanza per la quale non riesce ancora ad essere “libero da”.
    Vero è che Simone con questo suo post, ammainato per il momento il tricolore in attesa di tempi migliori, nella distinzione tra rabbia ed indignazione e nell’affermazione che ciascuno deve “disinnescare dentro di se la propria guerra, offre un contributo veramente raro.

    “Non c’è cosa più dura di fare una battaglia mantenendo alta la guardia delle distinzioni, senza massificare, senza prendere la via laterale che rende di più in termini d’immagine tra simili”.
    Questa è quanto dirò stasera a mio figlio.

  10. Caro Simone,
    da studente 25enne ormai prossimo alla Laurea Specialistica condivido molto di quello che hai detto a tuo nipote, soprattutto l’idea che con proteste non violente ben organizzate (mi piace molto quella dell’assedio pacifico proposta nei commenti) si possa avere piu’ evidenza mediatica (anche internazionale) e di natura piu’ sana che con gesti di violenza che, anche per coloro che non sono nettamente schierati contro, indubbiamente presenta una natura deplorevole e di conseguenza puo’ essere strumentalizzata contro il movimento e le iniziative giuste a favore di una causa che, checche’ ne dicano coloro che appoggiano questa maggioranza, e’ condivisa dalla maggior parte degli studenti, dei ricercatori, dei dottorandi e dei docenti.

    Ad ogni modo, cio’ su cui non sono d’accordo e’ il discorso iniziale sul fatto che suo nipote non fa’ differenza tra rabbia e indignazione, e che non possa invocare la rabbia (che comunque non giustifica, ma almeno spiega e distribuisce la responsabilita’ anche a chi ha condotto alla violenza negando il dialogo costruttivo e pacifico negli ultimi 2 anni) che ha generato la violenza esplosa il 14. Lei dice che suo nipote “non prova ancora sulla pelle questi problemi, e’ uno studente” e in quanto tale ha una famiglia d’origine che lo accoglie e lo supporta e gli fornisce un posto dove vivere e dormire, non ha un mutuo, non e’ ancora un precario, etc.

    Io sono un 25enne, nato e vissuto per 19 anni in Sardegna, studente di ingegneria fuori sede al Politecnico di Torino (che dal punto di vista economico non e’ di sicuro tra le piu’ sofferenti universita’, ne’ tra le peggio amministrate). Anche io avevo alle spalle una famiglia, gia’ con mutuo, che con singolo stipendio da dipendente statale non aveva modo di supportare economicamente i miei studi, e ho potuto iniziare l’universita’ soltanto grazie alla borsa di studio dell’Edisu Piemonte e poi lavorando part-time durante la specialistica, una volta perso, per reddito del nucleo familiare d’origine e non per demerito, tale borsa di studio alla specialistica. Un posto dove dormire e il vitto non erano inclusi nella famiglia di origine, anzi per piu’ di meta’ della mia carriera universitaria la famiglia d’origine suo malgrado ha costituito piu’ un peso che un aiuto in quanto ha influito pesantemente col suo reddito e col possesso dell’abitazione d’origine sui requisiti per le borse di studio e sullo stabilire l’ammontare delle tasse universitarie.
    Lavorare part-time durante l’universita’ significa quasi necessariamente andare fuori corso e purtroppo fare “la stagione” da cameriere per pagare almeno le tasse universitarie in genere non e’ una opzione possibile quando si hanno appelli sino a fine luglio e poi di nuovo da fine agosto.
    Fuori sede come me ne ho conosciuti tanti e, soprattutto nelle grandi universita’ come quella che ho frequentato, hanno una altissima incidenza sul totale degli iscritti. Ma ancora non basta perche’ nelle stesse condizioni ho incontrato tanti altri studenti che spesso non vengono chiamati “fuori sede”, ma al massimo “pendolari”, per via della (relativamente) limitata distanza tra la propria residenza d’origine e l’universita’ frequentata, distanza che per quanto considerata limitata, di fatto rendeva impossibile e antieconomico conciliare la frequenza, lo studio e tutte le altre attivita’ che sono comunque necessarie alla formazione dell’individuo al di fuori dell’universita’ (leggi sport, interazione sociale e non necessariamente feste e gozzovigli).
    In primo luogo io penso che tutte queste categorie di studenti (che non saranno la maggioranza, ma hanno comunque un’altissima incidenza) da questa riforma subiscono gia’ oggi sulla pelle un danno enorme, perche’ tagliare del 90% i fondi per le borse di studio significa che alla maggior parte di questi studenti si nega il diritto allo studio. Io per primo, se non avessi potuto usufruire delle borse di studio (che sono tra le prime cose che sono strettamente correlate al merito, anche se la ministra sembra dimenticarsene quando dice che questa riforma promuove il merito), non avrei potuto accedere, nonostante il desiderio e le capacita’, a un grado di istruzione superiore.
    Ma anche ignorando i problemi aggiuntivi degli studenti “fuori sede” o pseudo-“pendolari”, continuo a non condividere che suo nipote non subisce sulla pelle il danno di questa riforma: anche lui, come tutti gli studenti dallo scorso anno accademico, subisce ritardi, appelli e corsi saltati, sessioni di laurea cancellate, didattica ridotta, un ridotto numero di ore di insegnamento, laboratori e consulenze, perche’ i ricercatori, su cui almeno dal 2004 (da quando ho esperienza diretta) le universita’ hanno fatto affidamento per la didattica, protestano (con giusta rabbia e indignazione) contro una riforma che di fatto blocca la ricerca e non offre valide alternative per chi nella vita vuole fare ricerca e didattica nell’universita’.

    Chi, se non gli studenti, subisce sulla pelle il fatto che ancor prima di affacciarsi sul mondo del lavoro, vedono promosso, attorno al loro presente e futuro, un sistema basato sul lavoro precario e sacche di disoccupazione sfruttate per l’abbattimento dei diritti dei lavoratori?
    Forse non subiscono sulla pelle anche gli studenti come suo nipote il fatto che fanno sacrifici e sforzi per costruirsi il futuro, mentre politici bipartisan, incapaci quando non collusi o in malafede, continuino a far si’ che la pressione fiscale sui loro (futuri ed eventuali) impieghi continui a crescere a fronte di servizi scarsi, scadenti e sempre piu’ limitati, o che gli amministratori locali (e non) ipotechino senza possibilita’ d’appello il futuro loro e delle loro future famiglie, con mutui, prestiti e cattivi investimenti da pagarsi tra 10 anni o piu’ per coprire gli ammanchi causati dalla cattiva gestione o da interessi criminali, o che per la situazione attuale e il suo progessivo deterioramento sia impossibile pensare a far famiglia con qualche certezza economica prima di essere quarantenni, o ancora che di fatto chi oggi inizia, continua o finisce l’universita’ di fatto e’ gia’ condannato per il resto del suo futuro lavorativo a pagare contributi a malapena sufficenti a coprire le pensioni delle generazioni precedenti?

    Dalle elementari alle scuole superiori ci e’ stato insegnato a rispettare e ad apprezzare la nostra Costituzione, una delle piu’ avanzate al mondo, una di quelle con piu’ diritti e garanzie, un testo non fatto di morte macchie di inschiostro su carta, ma di vive parole volte sia a garantire passato e presente che a sollecitare innovazione e miglioramento per il futuro: noi studenti, per forza di cose, siamo portati ad essere piu’ interessati al futuro che i rappresentanti eletti principalmente dai nostri nonni, genitori e zii (per ragioni di sviluppo democratico e di attaccamento alle poltrone siamo tra i paesi con i rappresentanti piu’ anziani, dove gli studenti universitari, sebbene anagraficamente votanti hanno pochissima rappresentazione politica, se non addirittura nulla) dovrebbero essere chiamati a tutelare, garantire e migliorare; vedere che invece quella Costituzione che rappresenta un importante patto generazionale viene non soltanto disattesa per quanto riguarda il futuro, ma anche tradita per quanto riguarda passato e presente di tutte quelle altre realta’ che il 14 erano insieme agli studenti in piazza a protestare: c’erano ricercatori, c’erano docenti, c’erano precari, disoccupati e cassintegrati, c’erano terremotati aquilani, c’erano campani che da 16 anni subiscono l’emergenza rifiuti e il malgoverno, c’erano le loro famiglie.

  11. Come mai persone che non hanno ancora le responsabilità che hai citato si preoccupano a tal punto da diventare anche violenti pur di difendere il loro diritto ad avere una possibilità di vita dignitosa domani?
    Come mai invece chi ha già quelle responsabilità è spesso passivo, almeno fino a quando è lui a perdere il lavoro, fino a quando prova sulla sua pelle il disastro.

    Forse gli studenti sono i soli ancora sani di mente, i soli che non intervengono solo quando un problema li tocca direttamente. Sono più altruisti? Forse, certamente vogliono evitare che un domani tocchi a loro quello che capita oggi ai loro padri che vedono indifesi. La passività dei padri ha portato questo paese nella palude in cui si trova.
    Secondo me i violenti sono veramente pochi e non credo che la causa sia una rabbia repressa, quella penso sia appannaggio di noi “uomini adulti”, già malati di sistema e delle sue regole. Loro, credo, ne siano ancora parzialmente esenti. Quando scatta la violenza è perchè in alcuni di loro seplicemente emerge il lato animale, che è in ognuno di noi e che non ci abbandona mai, chiunque provocato pesantemente e in gruppo ha una qualche reazione “fisica”, a volte anche forte, quindi violenta. E qui sono loro che durante le manifestazioni devono trovare il modo di contenere queste possibili reazioni. Per non passare dalla parte del torto.
    Trovo giustissima la forma di protesta che proponi, sdraiati pacificamente davanti al Parlamento, sistematicamente, non violenta.
    Meriterebbe un approfondimento l’analisi “disinnescare dentro di sé la propria guerra. La rabbia non è un linguaggio politico, ma un problema di cui venire a capo individualmente”, per la quale ci vorrebbe uno psicoterapeuta veramente bravo.
    Ciao a tutti.

  12. Simone, la penso come te. Saviano sa quello che fa e ritengo sia perfettamente in controllo della situazione.
    Ha scelto lui di alzare il livello della sua sfida, e per il momento tiene botta perfettamente, malgrado tutto quel che gli vomitano addosso da tutte le parti. Mi auguro che ce la faccia, lo spero per lui e per tutti noi.

  13. “Più ruolo, ma meno impatto”.

    Ecco, questo mi pare un punto di snodo importante. Siamo tutti alla ricerca di ruoli, nella società, nelle aziende, in politica, in famiglia…
    Ma quanto più pratichiamo la via del “ruolo”, dell’ottenimento della “visibilità”, quanto meno impatto abbiamo sulle dinamiche che ci circondano. Può sembrare un paradosso, ma a mio avviso è così.
    L’impatto di Saviano nella società civile è stato altissimo, finchè la sua visibilità è stata below the line. La gente leggeva “Gomorra”, il passaparola lo ha diffuso ovunque.
    Ora che Saviano è enormemente visibile rischia di compromettere la sua capacità di impatto. Ad esempio offrendo necessariamente la possibilità a Maroni di andare in Tv a parlare senza contraddittorio. E ai tromboni della casta di sparare a zero su di lui.
    Saviano (IMHO) è un titano, e credo abbia accettato questa sfida consapevolmente, ma per lui di certo tutto si fa più difficile.
    Che ne pensate?
    Un caro augurio a tutti i frequentatori del blog.

    • Sì, il punto è il ruolo, dovunque. Per Saviano sono meno d’accordo, tuttavia. Lui continua a saper fare quel che fa, lo fa con impatto, senza farsi tirare dentro un partito, rimanendo terzo rispetto a molte cose. E non è facile, te lo assicuro. Comunque è giusto quel che sottolinei, e anche io scrivevo. Quando un uomo si pone responsabilmente il problema di risolvere i suoi bisogni di ruolo da solo, individualmente, poi può affrontare qualcunque battaglia. Dopo.

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