Perché ci siamo trovati…

Sabato. Amici a casa. Festa. Sul tardi arriva lui. E’ un amico recente, conosciuto a bordo dell’Elmo’s Fire, attraversando l’Atlantico. E’ un invitato, come gli altri. No, diverso…

Lui si chiama Davide Scabin. Non uno qualunque… Porta con sé di tutto, da un intero frigo col ghiaccio a ogni altra cosa necessaria per aprire un locale: il Jost Van Dike, il suo locale immaginario. Ne ha uno vero, il Combal.O, al Castello di Rivoli, luogo di meraviglie gastronomiche. Ma ne ha anche uno immaginario. C’è chi ha un cane, un coniglio della fantasia… Lui ha un covo di pirati dove si beve e si fa festa di rientro da chissà quali navigazioni. Un locale che apre e chiude come un fantasma, quando “ha senso”.

In men che non si dica Davide tira fuori tutti i suoi utensili, bottiglie, bicchieri… e crea. Occhi posseduti, movimenti rapidi, precisi. Creatività e profumi. Un numero incalcolabile di cocktail diversi, perfetti, che mandano in visibilio tutti. La serata, che pure era già bella, allegra, piena di gioia, esplode. Uno potrebbe dire: “accidenti Simone, chissà cosa gli deve Davide, per ricevere una cosa del genere…”. Niente. Ma me lo sono chiesto anche io, e poi l’ho chiesto a lui. La sua risposta, semplice, non ammetteva repliche: “A bordo ci siamo trovati, no?!” Sì.

E allora penso alla generosità, ai gesti, a chi sa fare bene una cosa e decide di farla, a chi può (ovviamente) ma non si limita alla potenza, la fa diventare atto. Per nessun motivo. Solo perché è così. Penso al valore dell’eccellenza, del genio, che diventano azione. Davide è un uomo che immagina, e poi agisce. Ignoro il prezzo che paghi per questo. Ogni azione ha un costo. Ma conosco l’effetto che fa, quello che produce.

Davide Scabin è un genio. Numero 28 nel ranking mondiale dei migliori chef (ma che io ho visto annichilire con un risotto magistrale il numero 4…), uomo d’esperienza, che si occupa di ingegneria creativa del gusto, mescolata all’arte. Ma soprattutto è un uomo. Un uomo generoso, che nonostante la vita, il disincanto, tutto quello che sappiamo bene sulla nostra pelle… è in grado di partire da Torino, venire a Spezia e riaprire per una sera il suo Jost Van Dike. Così, perché gli sembra che sia il caso. Perché “ci siamo trovati”.

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73 pensieri su “Perché ci siamo trovati…

  1. Valentino, guarda che sono simpatica. Certo, lo sanno in pochi, ma peggio per loro! Se si lasciano spaventare dagli aculei io non so che farci. E poi sono incoerente e non ho nessuna intenzione di porre rimedio a questa cosa: sono in balia dei miei stati d’animo, anzi del lunatismo, come dice il Perotti. Con tutto quel che ne consegue e che dice lui: la trovo una cosa molto naturale, visto che si verifica in natura per quanto riguarda le condizioni meteorologiche, climatiche, del vento, del mare, ecc. Però sembra sia poco apprezzata perché è altamente imprevedibile: e, si sa, quel che è imprevedibile non è codificabile, non è etichettabile e non è manco rassicurante: è instabile! Giorni fa ascoltavo questo brano e pensavo che mi assomiglia moltissimo: è mio! Ciao, Valentino!

    http://www.youtube.com/watch?v=VyF4TUwr7oc

  2. Prima mi vuoi prendere a SCHIAFFI DALL’ ALBA AL TRAMONTO,poi immagini il tuo piccolo felino che ti fa le fusa.
    Cerca di chiarirti le idee.
    Mi raccomando non trattare così chi ti sta a fianco nella vita!
    Cambiamo argomento:
    gli edulcoranti, prodotti artificiali non danno segnale di sazietà al cervello, a differenza dello zucchero naturale. Tradotto: continui a mangiare porcherie dolciastre fino a quando sei gonfio come un pallone, con conseguenze alla linea e non solo.
    INGEGNERIA ALIMENTARE (DIABOLICA IO AGGIUNGO…)
    Leggi bene.
    Ricorda che sono fatto di carne ed ossa,sono sensibile e reagisco facilmente.
    Non stuzzicarmi con i”grattini” o le fusa…
    LASCIAMO PERDERE,
    non svegliare il can che dorme!

    CALIMERA
    VALE

  3. SUPER SILVANA,
    sei micidiale, mi sei quasi simpatica.
    Quasi lo tolgo, dai, non lo meriti.
    Non vorrei mai averti a fianco nella vita,
    Sarebbero ‘azzi amari, nel quotidiano!

    grazie della complicità
    e non solo.
    VALE

  4. Valentino, io infierirei su di te? Ma che dici?! Se ti prenderei a schiaffi dalla mattina alla sera! E se ti ritrovi solo e abbandonato ben ti sta, te la sei voluta: chi troppo vuole, nulla stringe! Hai voluto la bicicletta? Pedala!

    Alla tua domanda non posso rispondere, non uso né zucchero né edulcoranti perché non mi piace il dolce: ma, se non ricordo male, alcuni di questi ultimi sono lassativi. Ciao, Valentino, ti gratto sotto il collo: mi faresti le fusa? Ho nostalgia del mio gatto rosso e tu me lo ricordi.

  5. Silvan fai la brava

    Silvan, ti prego abbi pietà di un povero uomo! non fai altro che infierire su di me, come capo espiatorio di tutti i maschietti che non vorrei rappresentare.
    Te ne approfitti del fatto che sono solo, triste ed abbandonato a me stesso!
    Non ci si comporta così!
    Le merendine non resta che mangiarmele disperato.
    (per fortuna non ingurgito simili schifezze cariche di edulcoranti).
    A proposito vediamo chi conosce la differenza e la reazione psico fisica degli edulcoranti a differenza degli zuccheri?
    Domanda da mille dollari!!!

    KALISPERA

    VALE

  6. Davide Scabin, un vero signore. E’ bello incontrare persone così e sapere che ne esistono ancora: generose, senza secondi fini, che fanno le cose così, solo per il gusto di vedere le persone con un sorriso. E’ quella la loro soddisfazione. Persone di cuore. Ciao Simone!

  7. Lo sapevo, io. Ma com’è che danno la colpa di tutto agli ormoni, da un po’? Adesso anche se hai voglia di merendine e schifezze, dipende da quelli. E se ammazzi qualcuno è perché sei depresso per carenza di ormoni. E se reagisci c’entrano gli ormoni. E se ti innamori è colpa degli ormoni. Non è che stanno diventando un capro espiatorio, ‘sti ormoni? Boh. Valentino, dillo alla fidanzata che non c’entri niente e che è tutta colpa degli ormoni! Magari ci crede.

    http://www.repubblica.it/scienze/2011/07/04/news/ossitocina_ormone_coraggio-18394924/?ref=HRLV-1

  8. Uff, Perotti prenditela con il Devoto-Oli, mica l’ho scritte io le definizioni. Ad ogni modo, il rimorso ha a che fare con il senso di colpa per avert fatto del male a qualcun altro, più che a se stessi. E non ci posso fare niente: ribadisco la mia versione del rimpianto. Ma apprendo che non sei d’accordo. Pazienza, Perotti, pazienza!

    Cara Lilly, ti ringrazio per avermi fatto oggetto della tua nuova passione per il vaticinio, che immagino sia quello a cui vorrai dedicarti dopo il tuo downshufting; sarò molto lieta di farti fare pratica sulla mia pelle, informandoti sulla veridicità delle tue previsioni. In questo caso non ci hai preso, la tua domanda non l’ho ritenuta noiosa. Ritenta, sarai più fortunata. Magari coi tarocchi di 1light otterresti un migliore risultato: il mio segno zodiacale è Toro, cuspide Gemelli con ascendente Ariete, per la cronaca. Significa che, se te lo meriti e a mio insindacabile giudizio, ho tutta l’intenzione di prenderti a cornate anche se mi blandisci chiedendomi scusa in anticipo, non si è capito di cosa.

    Lieta di esserti stata utile. Ciao!

  9. domanda al perotti (ma anche a chi va):
    una volta immaginato e impostato il proprio ds, per un certo periodo di tempo (mesi/anni?) si è costretti a continuare il proprio lavoro (non quello che si vorrebbe fare ma quello che si fa per la pagnotta).
    Simone, e tutti gli altri, come hai vissuto questo periodo? Sei stato attanagliato dalla frustrazione di dover continuare nel percorso lavorativo, nonostante il tuo talento ti portasse altrove? come hai risolto, quali strategie hai adottato?
    chiedo scusa in anticipo a Silver-Silvan che di sicuro troverà la mia domanda noiosa e abbraccio 1light perché sono anch’io un po’ in stallo con i miei figli e leggere il tuo post mi ha mosso a simpatia (per la serie non siamo soli…).
    Grazie.

    • per nulla noiosa la tua domanda.

      io non odiavo il mio lavoro. lo facevo con impegno, era un bel lavoro. l’equilibrio per godere di ogni giornata lo avevo già in qualche modo elaborato. non volevo fuggire. anzi, sapevo che avrei perso una serie di cose e mi domandavo (non avendo ancora provato la vita di là del muro) se ne sarebbe valsa la pena. Ricordati che non c’era alcun dibattito sul tema, all’epoca, dovevo smazzarmi tutto da solo, senza confronto alcuno,s enza libri, senza articoli di giornale. Pareva davvero di essere un pazzo, l’unico pazzo a voler mollare stipendio, carriera e tutto.

      Naturalmente, nell’ultimo periodo, diciamo gli ultimi due anni, forse meno, si pativa di essere già altrove col cuore ma al di qua con la testa e col corpo. A me questo stimolava ancora di più la voglia di fare. L’ultima estate prima del salto l’ho passata, invece che in vacanza, a ristrutturare la casa. Tra l’altro sapevo che dovevo aspettare ancora due anni, secondo il mio progetto, e invece dopo sette mesi ho mollato.

      In generale direi: focalizzazione sul progetto, tutto devoluto a quello; calma e gesso, nessun passo impulsivo; preparazione, dunque azione su tutto quel che serviva. Io sono sempre stato dell’idea che se stai lavorando a un sogno concreto hai troppo a cui pensare per dolerti di qualcosa o annoiarti o sperare chissacché. I giorni in cui sembrava di non farcela c’erano, ma avevo sempre molto da sognare, sperare, fare, operare. Difficile star male quando lavori a un sogno.

      Ciao!

  10. O Perotti, che ne so io di come si organizzano gli incontri?! Mica scrivo, io!

    Rimorso: consapevolezza tormentosa del male commesso.

    Rimpianto: pensiero nostalgico o doloroso, o suggerito da un senso di rammarico e di insoddisfazione, rivolto a persone o vicende irrimediabilmente passate e perdute.

    Lo dicevo io, che c’entravano gli altri!

    • trovo la prima voce piuttosto malfatta. Il rimorso, definito così, non si attaglierebbe dunque a decisioni individuali. Ad esempio il rimorso di non aver detto una certa cosa, in un dato momento, quando era opportuno dirla. Mah!
      Per quanto riguarda il rimpianto è esattamente come ti dicevo: vicende o persone passate e perdute. Dunque cose non colte. Il rimpianto è per ciò che non si è colto, fatto, e il rimorso è per ciò che si è detto, fatto.
      Saluti.

  11. Cara 1light, se qualcosa ti fa star bene, fai bene a farla. Per la cronaca, non ammazzo manco i ragni, i millepiedi e le scolopendre e non credo, quindi, che ammazzerei Buddha: ma non ci andrei manco a tavola insieme perché uno così grasso mangia sicuramente male; magari un the freddo (senza zuchhero). L’ordine fine a se stesso mi mette a disagio: quelli troppo ordinati li trovo inquietanti, che lo facciano per se stessi o per gli altri e, nel secondo caso, è pure peggio; di solito, amano l’apparenza. E mangiare da selvaggi, ogni tanto, è divertentissimo: prova.

  12. @ Stefania, è singolare ma l’ipotesi che la gente stia davanti ad un computer per noia è talmente scontata da dimostrarsi di una banalità deprimente. O, forse, mi sembra scontata perché non è la ragione per cui ci sto io. Alla noia è facile porre rimedio con un passatempo qualsiasi e, nel mio caso, ne ho sempre avuti moltissimi, essendo curiosa di natura. Io so bene perché sto davanti ad un computer, è per irrequietezza e a questa non si rimedia con un passatempo. Per quel che riguarda il cervello che ha bisogno di stimoli, intendo dire che le esperienze obsolete tendono a diventare rituali, prevedibili, in quanto alla lunga non riservano più sorprese e novità su te stesso e sugli altri e ti viene la curiosità di esplorare altrove. Ciò non significa che sia per la necessità di avere stimoli esterni, ma 365 giorni di sole l’anno sarebbero una noia mortale anche per un patito del sole: forse è più corretto parlare di necessità di alternare le esperienze, gli alti e bassi evitano l’appiattimento. A lungo andare qualsiasi situazione sembra satura: chi è da solo, vorrebbe svegliarsi con qualcuno, chi si sveglia con qualcuno vorrebbe svegliarsi da solo. C’è una bellissima scena de “La mia Africa” in cui i due protagonisti scoprono i vantaggi del modo di vivere dell’altro, dopo averne deprecato gli svantaggi: lui, errabondo e senza punti fermi, comincia ad avere voglia di averne; e lei, che ne ha sempre avuti, comincia ad acoorgersi che può farne a meno. Alla fine, non è tanto il variare le esperienze che fornisce una risposta, ma chiedersi il perché si abbia questa esigenza alla luce di ciò che si è appreso in un contesto estraneo a quell’esperienza, ovvero in base ad informazioni aggiuntive: e, come al solito, la risposta ce la si dà da soli; eccezion fatta per quelli che preferiscono farsele dare dagli altri. Mi sa che non mi sono spiegata in modo efficace: nel caso, riprenderò successivamente.

  13. ho scritto molte volte lunghe missive che non ho mai inviato, forse un giorno. Intanto: grazie. Grazie, perchè quando spero di leggere qualcosa di formidabile che vada dritto nel profondo … c’è! Perle preziose che lasciano il segno, non deludono mai. E gli ultimi due aggiornamenti sono bellissimi. Grazie e non smettere, per piacere!

  14. @ Perotti, vorresti dire che ti organizzano l’agenda a tua insaputa?! O lo fai in trance? Che gente strana…

    P.S. Mmmm, da che pulpito: dopo vado a controllare sul mio amato Devoto-Oli.

    Letto il post linkato: per curiosità ho guardato anche quello sulla maleducazione al telefonino, aggeggio che ho odiato come l’ho visto; sabato il marito mi ha detto che, in palestra, si è sorbettato mezz’ora di conversazione di una pazza sulla cyclette che ha pensato bene di informare tutti delle sue vicissitudini sentimentali e delle sue magagne lavorative. Follia pura. Un bel downshifting dal cellulare? A casa mia mi urlavano sempre “Telefonate brevi!” Non sarebbe male urlarlo a perfetti estranei molesti: magari gli riattivi le registrazioni genitoriali nel cervello e li fai sentire in colpa. Che idea…

    • Silver, beh, certo… cosa pensi che mi organizzo le presentazioni da solo? così torno a lavorare!! Un editore, con un libro di successo, guadagna che so… un milioncino di euro. Credo che sia giusto che mi organizzino le presentazioni no?

  15. Ma certo Silver, sono d’accordo con te sul fatto che mi prendo in giro.
    I tarocchi sono solo un gioco che serve ad alleggerire un pò la giornata, un modo per divertirsi. Certo che trovo nelle frasi di Osho quello che mi serve e non considero il resto, e penso che sia un messaggio solo per me, direttamente dall’Universo.
    Clicco su una carta e leggo, mi basta così: trovare un pensiero diversissimo da tutti quei pensieri che mi coinvolgono nella giornata.
    E’ infantile ma mi piace!
    Avevo un gran timore, anni fa, di essere derisa, mi veniva una rabbia tremenda (paura e rabbia sono come pane e salame); anche ora faccio un pò di fatica ad accettare l’ironia su di me, e intanto mi alleno a prendermi con più leggerezza da sola.
    … anche per quanto riguarda il tuo modo di mangiare, allora, mi ricordi Musashi!
    E mi è simpatico sai, certo se glielo dicessi mi taglierebbe la testa lasciando un filino di pelle per non farla cadere, come sapeva fare solo lui!

  16. ….anche a Venezia, bravo Simone!
    Come mai in un albergo? Ai giardini di castello c’è una serra magnifica inaugurata da poco,la conosci? Sarebbe stato più coerente….

  17. Silvana, io non so se il problema principale sia per qualcuno la noia e quindi la necessità di passare da una cosa all’altra. In tal caso, son d’accordo con te, anzi, direi di più: quando uno si annoia vuol dire che non si è ancora trovato davvero, che non si riconosce più nella maschera del momento e quindi deve passare a qualcos’altro. Le esperienze sono solo una scusa in questo caso. Perché cercar di incuriosire il cervello? E soprattutto perché farlo cercando nuove esperienze? Che razza di identità ne verrebbe fuori da un percorso di bulimia esistenziale di questo tipo? No, quando parlo di un’identità polifonica non intendo un’identità instabile, che trova un contenuto (e quindi una qualità) accumulando cose (e quindi aumentando la quantità), al contrario! (ricordo il Tuo commento a qualche post fa allo “scartar tutte le caramelle” e lo condividi in pieno!) Molteplicità NON fa rima con arbitrarietà. Credo che l’identità non si costruisca con quello che viene da fuori, si scopra piuttosto tracciando la geografia di quello che sta dentro (scoprire, riconoscere, prima di costruire! C’è tanta roba dentro… fin che si vuole… ma ho bisogno del confronto con l’altro spesso per vederla). Nella misura in cui poi allargo la mia identità, e quindi ne conosco gli angoli meno in evidenza, scelgo anche le esperienze (quelle che posso scegliere, che son solo una parte) in maniera altrettanto polifonica, aperta alla sfida, ma, al tempo stesso, cosciente, fedele al tutto. La coerenza di fondo di una persona di cui parlavo si manifesta proprio qui.
    Lo so che suona un po’ come “è nato prima l’uovo o la gallina?”, ma su questo punto temo si dividano le nostre prospettive. Io parto dal dato di fatto della molteplicità della mia identità – che non scelgo, né costruisco, né cerco nelle esperienze, ma si dà (almeno per me) – e da qui mi apro al mondo – che mi chiama – come fosse una grande palestra, in cui svelare, testare e mettere alla prova tutte le mie sfaccettature, per imparare chi sono e chi posso essere, e usare queste mie tante vite. È sicuramente meno rassicurante del mantener ferma solo una faccia, ma io così riesco a crescere e ad ascoltare e vedere davvero – senza pregiudizi – quello che mi sta attorno. Ciò non toglie che io sappia molto bene dove sto e chi sono, quindi, disponendo di una discreta conoscenza di quello che ho dentro, io possa anche rispondere poi con maggiore coscienza e responsabilità.
    Da questo punto di vita la domanda non è allora “chi ha vissuto meglio?” perché non c’è un parametro esteriore che me lo possa dire. Il mio quesito è “come faccio a vivere a pieno, come faccio a vivere tutto quello che sono?”. Se restiamo alla metafora della musica, io ho già la mia bella tastiera di pianoforte davanti. Non ho bisogno di aggiungerne un’altra, né di provar a suonar il violino per fare “una nuova esperienza” e poi dire “T’ho fregato perché suono due strumenti invece che uno!” (e qui hai ragione: finirei per suonar male entrambi, con poca qualità). Il mio problema è piuttosto imparare ad usar tutti i tasti della mia tastiera, anche quelli più acuti o più gravi che raramente sfioro. Certo, posso pigiarne a vita anche uno solo, o pochi, scelte personali; ma perché non esplorarli tutti a seconda delle occasioni? Magari ci tiro fuori un suono decente e magari, se qualcuno mi parla con un arpeggio di chitarra, io, invece di rispondergli solamente con un “do”, posso provar a combinare altri tasti. Mi piace incontrare le persone, vivere le situazioni vedendone l’intera scala tonale perché mi sembra più quantitativamente e qualitativamente (vorrei non separar le due cose) vero, anche se è più difficile e mi impone di concilire il parziale nascondimento mio e del prossimo; per correttezza (verso gli altri e soprattutto verso me stessa) cerco di fare altrettanto. Tutto qui. Ma è solo il mio percorso, nulla di più.

  18. Perotti, ma vieni ad Ancona in settembre? E non me lo potevi dire prima, invece di farmi fare 200 km. andata e ritorno fino a Rimini?! Ma dimmi tu, questi scrittori con la testa per aria, ti fanno girare a destra e a manca per niente …

  19. @ Perotti, si può rimpiangere anche quello che si è fatto, senza necessariamente provare rimorso. Il primo lo provi quando le ossa rotte ce l’hai tu, il secondo lo provi quando le ossa rotte ce l’ha qualcun altro.

    @ 1light, non voglio irridere e cose che per te hanno importanza: ma prova a cliccare 30 volte su Pesca una carta e scoprirai che in ognuna c’è qualcosa che ti riguarda e definisce la situazione che stai vivendo. Sono estremamente generiche quelle definizioni e la loro credibilità dipende solo da quanta gliene vuoi attribuire tu: la conseguenza ovvia sarà che noterai quelle che ti riguardano e ignorerai quelle che non ti riguardano, sucuramente più numerose. Non so di che segno tu sia, ma vatti a guardare il profilo di uno che non è il tuo e scoprirai che ti si adatta perfettamente. Ognuno vorrebbe poter prevedere e capire senza incertezze chi è e cosa vuole e qualsiasi mezzo diventa lecito, nei momenti di confusione in cui si è in preda all’emotività e la razionalità è allo sbando. Ma cliccare su Pesca una carta per saperlo mi sembra decisamente prendersi in giro da soli. Io non apparecchio mai, quando sono da sola: mangio scomposta e come una selvaggia, senza neanche le posate.

    @ Stefania Io credo che il problema principale delle persone sia che, alla lunga, qualsiasi esperienza annoia quando esurisce la sua funzione di incuriosire il cervello: il cervello ha bisogno di stimoli continui ed è indubbio che avere un’identità ben definita porta a limitare il campo d’azione; non fossilizzarsi su un solo modo di essere consente di provare più sensazioni, probabilmente. Ma vivere è forse provare più sensazioni ed esperienze possibili? Alla fine, chi ha vissuto più vite è vissuto meglio di uno che ne ha vissuta una sola? Io dico di no: c’entra l’intensità delle esperienze vissute, ovvero la qualità; guarda caso, la prediligo da sempre alla quantità.

    Buona giornata.

    • Silver finisce sempre col dizionario in mano con te.
      Rimpianto: sentimento di dispiacere che prende qualcuno per qualcosa che non si è fatto in un passato più o meno recente. Il rimorso è di aver fatto, il rimpianto è di non aver fatto.

  20. SUPER SIMON,
    ma quale grazie?
    Alla NS prossima opportunità di incontro, “ti costo” un buon caffè gustato
    con calma, all’insegna del bon vivre!

    Partiamo ragazzi, una nuova giornata tutta da vivere ci attende!!!
    CIAO CIAO
    VALE

  21. A me piace prestare attenzione quando sparecchio la tavola. Mi piace vedere il tavolo apparecchiato ed usato e cominciare a mettere ordine: il tutto meno qualcosa, poi meno qualcosa ancora, tolgo, tolgo finché resta poco, resta solo la tovaglia, poi niente.
    Mi piace fotografare mentalmente il processo del togliere, togliere, finché resta il tavolo libero. Mi pare una magia.
    Ora ho sul mio tavolo tante cose (anche Osho) e sto pranzando: non considero tutto ottimo e continuo ad assaggiare volentieri ciò che non conosco.
    Quando sarò sazia mi appresterò a sparecchiare, con calma, stringendo fra le mani e riponendo con cura tutto ciò che ha contribuito al mio pasto.
    Silver, mi ricordi Miyamoto Musashi, che ripeteva la massima zen “se incontri un Buddha per strada, uccidilo”.
    Invece io preferirei condividere con un buddha un bel tavolo imbandito, asseggerei i suoi cibi preferiti per poterlo comprendere meglio che posso, alla fine sparecchierei con gioia e magia… e ci dormirei su.

  22. Ricordo che anche qualche post fa si era discusso sull’identità. Bello vedere che rispunta il tema (altro che soldi…troppo comodo riversar tutti i problemi su ciò che sta fuori, per dribblare le montagne che stanno dentro) e bello leggervi. Ricordi, Silvana, si era usato l’immagine della sinfonia, del concerto (Simone parla di direttore d’orchestra, mi par un po’ in questo senso) per dire che siamo tante cose diverse, tante note distinte, eppure nessuna di esse arbitraria o a caso (altrimenti non si dà musica, ma confusione, non si dà un’identità polifonica, ma la follia). Diversità non significa per forza arbitrarietà o casualità. C’è una coerenza anche (direi soprattutto) nel molteplice, anche nel poter esser altro. Non mi riesce di pensare a nessuna identità che non passi per questa (auto)scoperta, per questa costante messa in discussione, per questo vagabondare nel riconoscerci-costruirsi non autoreferenziale, proiettato sempre nel futuro (non nel passato biografico), e quindi aperto (all’altro, sia dentro che fuori). Il resto è di solito solo fuga e nascondimento. Mi pare che appunto solo su questi presupposti si diano incotri come quello con Scabin descritto nel post: Uomini che sono a fuoco, che sono presenti a loro stessi e alle loro varie sfaccettature si incontrano senza bisogno di tanti perchè o per come. L’alchimia di questi scambi gratuiti (gratuiti, questo è il punto centrale! quanto coraggio e quanta forza ci vuole per incontrare gli altri gratuitamente??!), la grazia di questi momenti di condivisione passa per la potenza di una coerenza di fondo che non ha nulla da barattare o da chiedere, che non si nasconde (come spesso si fa usando i ruoli, gli status, le maschere); di una coerenza che sta in piedi da sola, ma rimane al tempo stesso aperta e curiosa. Magari mi sbaglio, ma credo che quel “ci siamo trovati” si collochi anche su questo piano.

  23. ma dobbiamo per forza definirci? infilarci in una scatola con un etichetta sopra? perchè scomporre e classificare ogni nostra sfaccettatura? perche? ci dà forse più sicurezza?

    • al contrario gilda. io parlo proprio di s-definirci, cioé di smettere di essere solo una cosa con nome e cognome per poter essere più simili a quel che possiamo. Il che non vuol dire non avere un volto, naturalmente. Qualche decennio fa Einstein e Picasso riformularono le cognizioni consolidate di spazio e di tempo. Lo fecero avvicinandosi di un passo a questo.

  24. to:
    CAPITAN PEROTTI

    OSPEDALE NIGUARDA MILANO
    NUOVO BLOCCO SUD
    (più simile ad un hub aereoportuale, che ad un nosocomio)
    dipartimento di cardiologia
    piano terra negozi e bar
    Entro in libreria,passeggiando, addocchio un degente con in mano “AVANTI TUTTA”.
    Sorrido, e lo invito a leggerlo.
    Esorto, poi, con” ricette di miglioramento della qualità di vita e non solo”.
    Un terzo signore incuriosito ascolta.
    Successivamente, i due si dirigono verso le casse per l’ acquisto.

    SCENA DA FILM

    VALE

    • Silver, tutti le diciamo… Qualcuna delle sue cose però non è male. Tendi a fare sempre di tutt’erba un fascio. Secondo me non è utile. Come se per un tuo o mio commento leggero qualcuno sostenesse che dici o che dico scempiaggini. Sarebbe superficiale. Non serve.

  25. Non lo so, sono perplessa: sono convinta che siamo noi ad attribuire un senso alle cose. Ci circondiamo di cose e persone che ci piacciono, scegliendole: poi, magari, un bel giorno smettono di avere un senso per noi. Tralasciando l’ipotesi di essersi lasciati influenzare da altri nelle scelte, discorso già affrontato, cosa ci porta a non trovare più un senso nelle cose e nelle persone scelte? Il fatto che siamo cambiati e non ce ne siamo accorti? Il fatto che quelle persone e quelle cose aino diventate un automatismo, un’abitudine? Il fatto che si siano esauriti i vantaggi di quelle scelte e quindi ne vediamo solo gli svantaggi? Boh. Ci penso. Di sicuro, all’improvviso salta all’occhio qualcosa che prima non era così evidente.

    Oggi riflettevo sul fatto che il rimpianto ha a che fare con l’ignoranza: lì per lì scegli convinto di scegliere la cosa migliore, finché l’esperienza non ti porta a vedere gli svantaggi di ciò che hai scelto a suo tempo; svantaggi che, prima di fare l’esperienza, ignoravi e non potevi sapere, ovviamente. Quindi, il rimpianto è assurdo per sua stessa natura: e se proprio si deve rimpiangere qualcosa è di non aver potuto conoscere prima gli sviluppi successivi di una scelta al momento di farla (?!). Vado subito a vedere i tarocchi di Osho! E a consultare una cartomante! Devo sapere subito se il primo che passa è l’uomo per me!

    • Ma Silver, il rimpianto non si applica alle cose fatte che poi si rivelano sbagliate. Il rimpianto è di NON aver fatto quelle scelte. Quello cui ti riferisci tu è il rimorso di averle, appunto, fatte. Con tutte le conseguenze del caso.

  26. @ 1light, abbi pazienza, i tarocchi di Osho proprio no: se vuoi, mi vado a guardare l’oroscopo, ma i tarocchi no! E se la reazione con tuo figlio non fosse altro che una registrazione di quello che hai visto dentro casa e che ti limiti, inconsapevolmente, a replicare? Apprendere non è forse far diventare automatico qualcosa a furia di ripeterlo? Pensa a quando hai imparato a guidare: all’inizio eri concentrato su ogni singolo movimento; oggi puoi fare 200 km. pensando a tutt’altro e senza neanche accorgerti che stai guidando. Tutti i comportamenti immediati che non sono ragionati e sono automatici sono stati appresi: semplicemente, non riesci a rintracciare un’occasione precisa a cui ricollegarli. Però a suo tempo si sono rivelati ottimali per ottenere ciò che si voleva e il tuo cervello li ha giudicati efficaci: e se ne ricorda. Feci un volo spaventoso a 17 anni frenando con la Vespa sul breccino e mi grattugiai la spalla: ancora adesso che guido con la macchina, sul breccino non tocco il pedale del freno! Mi viene “istintivo”. La lezione, a suo tempo, è servita.

    “E perché, con quale leggerezza irresponsabile, dovresti lasciare solo alle circostanze, agli incontri occasionali, il potere di suscitare, di convocare alla vita ognuna di queste persone, senza controllo, senza sapere come o perché, senza poter trarre il maggior vantaggio da tutto ciò, lasciando invece che ti feriscano, eventualmente, o comunque che avvengano senza che una simile epifania sia comprensibile, senza capirne l’alchimia, dunque senza poter riprodurre il fenomeno volendolo, quando ha senso, quando sei pronta?”

    Bene, Perotti, adesso esco e ho deciso che voglio innamorarmi del primo che passa. Vediamo se funziona. Volere è potere, no? Certo, bisogna vedere se lui ricambia, altrimenti mi ficco in dei bei casini. Hai dei consigli da darmi, nel caso?

    Scherzi a parte, essere o non essere: oggi facendo la spesa nel negozio di prelibatezze dove vado di solito entro e dico cosa voglio, affermando: “Oggi sono decisa!”. Sergio, alzando il sopracciglio, ridacchia e mi fa: “E quando mai? Non c’è verso di darti altro, se ti sei messa in testa il contrario”. Siccome è vero, e lui ci proba sempre, scoppio a ridere. Vado a casa e mio marito sbotta: “Sei la solita indecisa” perché non ho ancora scelto gli accessori dal catalogo che mi ha portato perché ho deciso (!) che non c’è nessuna fretta e voglio sceglierli con calma. Morale: sono decisa o indecisa? Risposta: sono decisa a seconda dell’importanza che attribuisco all’oggetto della decisione, ovvero in base ad un criterio molto personale. In entrambi i casi è scomodo per il mio prossimo, che si tratti del marito o del negoziante.

    Saluti.

  27. Ho provato a vedere se il link funzionava, condivido (anche con te Silver) la mia carta: questo giochino mi sgama sempre!
    La guida
    Cerchi una guida all’esterno, perché non sai che la tua Guida interiore è nascosta dentro di te. Devi trovare la tua Guida interiore, ed è questo che io definisco “il testimone”. Questo è ciò che chiamo “il dharma”, “il tuo buddha intrinseco”. Risveglia quel buddha, e la tua vita verrà inondata d’estasi, di benedizioni. La tua vita diventerà radiosa, colma di bene, divina più di quanto tu possa immaginare. La luce opera in modo molto simile. La tua stanza è buia – porta una luce. Basterà una piccola candela per far scomparire tutta quell’oscurità. E, una volta che hai una candela, saprai dov’è la porta. Non dovrai pensarci – solo i ciechi pensano a dove sia la porta. Le persone che hanno gli occhi e sono provviste di una luce, non ci pensano. Ci hai mai pensato? Semplicemente, ti alzi ed esci. Non pensi mai a dove sia la porta; non la cerchi a tentoni, né pesti la testa contro il muro. La vedi, senza che in te si muova il benché minimo pensiero, ed esci, semplicemente.
    La figura angelica di questa carta, con ali d’arcobaleno, rappresenta la Guida che ognuno di noi porta dentro di sé. Come la seconda figura che appare sullo sfondo, anche noi a volte possiamo essere un po’ riluttanti ad aver fiducia in questa Guida allorché ci si presenta davanti, perché siamo abituati a cogliere i segnali provenienti dall’esterno, e non dall’interno. La verità del tuo essere più profondo sta cercando di mostrarti dove andare; quando questa carta compare significa che puoi fidarti della guida interiore che ti viene data. Essa ci parla bisbigliando, e a volte possiamo esitare, non sapendo se abbiamo compreso correttamente. Ma le indicazioni sono chiare: seguendo la guida interiore ti sentirai più completo, più integro, avrai la sensazione di muoverti verso l’esterno partendo dal centro stesso del tuo essere. Se lo segui, questo fascio di luce ti porterà esattamente là dove hai bisogno di andare.
    Osho God is Dead: Now Zen is the Only Living Truth Chapter 7

  28. Oggi mi sono arrabbiata così tanto con mio figlio che ho dovuto mollare un pò di pugni al cuscino, con tanto di urla bestiali.
    Chi sono io? Quella che ama il proprio figlio? Quella che urla? Quella che ora scrive di questo fatto? Quella che si rammarica di non essere riuscita a dominarsi? Quella che accetta i propri difetti e pensa a migliorarsi?
    Per trenta secondi ho perso il controllo, non guidavo più io. Eppure l’io testimone ha deciso: vai a dare un pugno al cuscino, ha detto.
    Il distacco è importante, è vitale, perché senza, una passionale come me si va a schiantare contro il primo oggetto di attrazione, buono o cattivo che sia.
    Qualsiasi energia può essere buona e proficua se è controllata, altrimenti diventa distruzione, come quella che chiamiamo “amore”.
    E quindi so che per la mia crescita personale non bastano regole di cui se voglio me ne fotto, non bastano bibbie di cui se voglio ne faccio coriandoli. A me serve una cosa superiore, una lucidità estrema che ho solo intravisto, ma che ho come tutti, e che voglio far crescere ogni giorno di più.
    Simone, visto che hai nominato Osho, ecco un giochino per tutti:
    http://www.osho.com/Main.cfm?Area=Magazine&Sub1Menu=Tarot&Sub2Menu=OshoZenTarot&Language=italian

    • 1light. Il Buddha, che spesso cito, diceva “il tuo nemico prendilo a maestro”. Intendeva dire che chi ci ostacola, ci mette ai ferri corti, ci fa provare dolore o fastidio etc, ci sta dando un’indicazione preziosa: “se quel tale è in grado di farti male, ti sta indicando il punto debole della tua cinta difensiva”. In quel punto, dove quel tale ha messo il dito, sei debole. Subito, presto, la domanda: perché sono debole lì? Perché mio figlio è l’unico che è in grado di farmi incazzare? La risposta c’è, senza dubbio. Ecco che il nemico ci fa da maestro… Per onestà, dovremmo portargli una bottiglia di vino per ringraziarlo. nessuno, tranne lui, aveva la mappa segreta dei punti deboli delle mie mura.

  29. Simone,
    questa cosa che dici è il punto focale delle mie riflessioni. Certo, da un lato sto “lavorando” al discorso soldi ma parallelamente stò tentando di affrontare appunto la mia molteplicità sia dal lato positivo che da quello negativo. Mi capita però di arrivare ad una sorta di punto morto: ok voglio cambiare,ok non scappo da una situazione ma semplicemente ho intenzione di fare di tutto per vivere meglio dove meglio è ciò a cui tendo in maniera più naturale, ok sono disposta a rinunce e sacrifici, ok ho dei sogni e dei progetti per i quali mi muovo quotidianamente, ok mi conosco abbastanza per quanto riguarda i limiti e le potenzialità…ok però… arrivo ad un momento della riflessione dove secondo me le teorie si fermano e ci sarebbe spazio solo per l’azione. Io non sò davvero quale parte di me prenderà il sopravvento dopo il giorno X.Non so dire con certezza quali saranno i miei processi mentali, umorali, istintivi…posso immaginarlo certo, ma sovente mi è capitato di prendere una cantonata, di sopravalutarmi o il contrario !E ti assicuro che mi guardo dentro da semrpe , non mi faccio sconti e ho vissuto tante esperienze di vario genere che mi hanno permesso di mettermi alla prova. Insomma, la mia domanda è : quando un processo interiore come quello di cui parli smette di essere un sano esame di coscienza e diventa invece una pippa mentale? Mi sono spiegata almeno un po’?!

    • Patrizia. Una cosa pensata per sempre ma non fatta è una pippa mentale. Una cosa pensata a lungo e fatta è un progetto. E un progetto, quando lo si fa, non fallisce mai. Può cogliere in parte o in gran parte o del tutto l’obiettivo, certo. Ma se ci hai pensato e ti sei messa in viaggio, stai vivendo la tua vita come meglio puoi, dunque L’Obiettivo (vivere al meglio diventando il più simili possibile all’idea che abbiamo di noi. Dunque tentare) è raggiunto. Non confondere un progetto (che è uno strumento) Il progetto di vivere (che è l’obiettivo). Il progetto pertiene alla Tattica (cioé come fare. Cosache può, anzi, deve cambiare lungo la via) mentre l’obiettivo pertiene alla Strategia (cioé cosa fare. Che può cambiare, ma meno).

  30. E’ possibile che le cose stiano come dici tu, ma è solo un modo come un altro di vedere le cose: per carità, spiegherebbe come mai tanta gente si sorprende dei risultati che ottiene quando prova a fare qualcosa, significa che si sottostima e, manco a farci apposta, sono spesso donne. E’ anche vero che mi infastidisce l’idea che siano solo le cose che faccio o provo a darmi un’identità: mi piace di più l’idea che sia quello che ho scelto di essere che mi porta a fare una cosa piuttosto che un’altra, come se fosse un’ovvia conseguenza, anche se può limitare la gamma di cose possibili. Boh, non vedo l’identità solo come un precludersi le strade e mi indispone vedermi come una gamma di facce in contrasto tra loro. Mi chiedo da dove nascano approcci così differenti alla questione e ipotizzo ragioni forse campate per aria, ma te le dico lo stesso. Da quanto ho visto, mi par di capire che tu sia vissuto in una famiglia piuttosto tradizionale e hai compiuto gli studi presso i Salesiani: non credo di saltare frettolosamente alle conclusioni se immagino che il modello di riferimento dell’uomo che dovevi diventare sia stato … opprimente? Nascerà lì il voler continuamente sottolineare il concetto dell’essere liberi che sottolinei così spesso, il germe della ribellione al sistema che ti ingabbia? Non lo so, è un’ipotesi. Io ho avuto due esempi diametralmente opposti in famiglia e un eccesso di scelte e di libertà a disposizione: quindi avevo fame di strutture ben definite e solide e, infatti, è quello che ho cercato e trovato. Credo che l’approccio alla questione nasca in famigia, insomma. Comunque, l’argomento è interessante e merita di essere approfondito: ci penserò su. Ciao, Perotti.

    • Silver tu dici: “non vedo l’identità solo come un precludersi le strade”. Infatti è esattamente l’opposto quel che intendevo. Alla ricerca dell’identità si va cogliendo occasioni e percorrendo strade, a mio giudizio.
      Circa l’educazione potresti avere ragione. Ma non è molto importante. Che si sia troppo strutturati o troppo poco, sempre molteplici si è. Il che vuol dire che vivere somiglia più al mestiere del regista, del domatore, del direttore d’orchestra (ecco!) che a quello del navigatore solitario. Chi sei tu quella che tratta nervosamente la madre, che accudisce il figlio, che sfida un compagno in amore, che è razionale in ufficio, che si sfoga dove è al riparo dall’anonimato, che è saggia con un’amica, che desidera ma non tenta, che tenta senza progettare? Dunque cosa saresti, sempre proseguendo l’esempio immaginario, una persona ferma, equilibrata, paurosa, sognatrice, razionale, saggia? Tutte queste cose? Nessuna? E perché, con quale leggerezza irresponsabile, dovresti lasciare solo alle circostanze, agli incontri occasionali, il potere di suscitare, di convocare alla vita ognuna di queste persone, senza controllo, senza sapere come o perché, senza poter trarre il maggior vantaggio da tutto ciò, lasciando invece che ti feriscano, eventualmente, o comunque che avvengano senza che una simile epifania sia comprensibile, senza capirne l’alchimia, dunque senza poter riprodurre il fenomeno volendolo, quando ha senso, quando sei pronta? Belle domande, molte destinate a generare risposte incerte. Le più incerte saranno, come sempre, le risposte alle domande che non ci facciamo. Ecco, delle tante persone dentro di me, una almeno, certamente, non sono: quello che non se le fa (le domande).

  31. Credo che, alla fine, si risolva tutto ad una banale questione di vantaggi e svantaggi. Molti hanno rimpianti per quello che non hanno fatto a suo tempo: in realtà, a suo tempo, hanno scelto semplicemente la cosa che sembrava più vantaggiosa, scartandone altre. Io rimpiango di non essere andata in palestra, per dire? E perché sto qui, invece di andare in palestra? Perché allenare il cervello mi interessa da sempre molto più che allenare il fisico. Quindi, parliamoci chiaro: parlare di rimpianti, significa raccontarsi le cavolate e cercare inutilmente capri espiatori, laddove abbiamo fatto una scelta che, ora, non ci piace più o ha esaurito i suoi vantaggi.

  32. Mah, torniamo a parlare di identità, dunque. Ok. Io ho una versione per tutti e una versione per pochi: quella per tutti, è ininfluente che venga fraintesa, quella per pochi è deprecabile, che venga fraintesa. Per questo, la devono vedere in pochi. La mia molteplicità ha a che fare con gli stati d’animo: oggi vedo rosa, domani blu, dopodomani nero. E’ sicuramente vero che l’identità è qualcosa di costruito e artificioso ma non si può interagire con le persone mandando continuamente segnali discordanti di se stessi, costituirebbe (concordo) un incredibile dispendio di energia che può essere impiegata meglio e per altri scopi. Quindi avere un’identità è indispensabile e sarebbe meglio se non fosse contraddittoria con la nostra parte più profonda: per molti non è così e questa cosa viene cissuta con notevole disagio. Leggendo il Perotti, ho avuto una visione, quella del neonato che nasce incapace di controllare l’evacuazione e viene “educato” a controllarla: una cosa che ci differenzia dagli animali che il problema non se lo fanno. L’identità ha un po’ la stessa funzione di controllo: consente di tenere a freno l’esternazione di emozioni e reazioni indesiderate agli occhi propri o degli altri nel momento in cui si manifestano. Come tutte le forme di controllo, è repressiva e, a quel punto, bisogna vedere cosa reprimi: per questo, l’identità è bene scegliersela in base a valutazioni molto personali e che i assomigliano e non inculcate dall’esterno, cioè da altri.

    Interessante intervento, Perotti.

    • Silver il “controllo” non serve a frenare e reprimere. Serve a utilizzare. Più ce n’è più la macchina la guidi tu e ci vai dove vuoi. Saltando anche su altre macchine. L’idea che il controllo sia una questione razionale che rende freddi e compressi è uno dei più grandi fraintendimenti educativi che esistano. Il controllo è emotivo, sentimentale, psicologico, razionale… e serve come il pane per perlustrare tutto il mondo dentro, sapere dove stanno tutti gli strumenti che abbiamo, poterli prendere al volo, senza neppure pensarci, quando servono. E’ l’insieme delle nostre facoltà che ci serve, sapere che le abbiamo, ma saperlo non solo razionalmente. Conoscere le emozioni, sapere cosa vogliono dire, dove ci portano, quando servono.
      E’ il viaggio dentro di cui ho spesso parlato, senza il quale non c’è alcun cambiamento, perché chi cambia non sa chi è se non in minima parte, non conosce le sue potenzialità, non sa quali sono i suoi limiti, ma sul serio, non mediati dalle paure, i limiti oggettivi se mai ce ne sono. Il controllo, che chiamerei conoscenza e capacità di utilizzo, serve per stimolare, per muoversi, serve per vivere. “Se mi direte perché la palude appare insuperabile, allora vi dirò perché penso di poterla attraversare, se ci provo”. “Penso” di “Potere” “se ci provo”. Eccolo il controllo: saper pensare di, cioé ipotizzare di poter fare; avere cognizione del potere, dunque sapere di averne ed essere ottimisti sulla sua quantità e qualità; avere il coraggio di provare, dunque gettare il cuore oltre la barricata dell’inazione. Per fare queste cose serve di sapere cosa abbiamo dentro, come si usa, a cosa serve. Ignorare la propria molteplicità, negarla perfino, oppure esserne spaventati, preferire la ricerca dell’identità, cioé della cosa che facciamo in modo sempre identico, che scambiamo per noi stessi, che invece è solo una parte di noi, quella prevalente, magari che ci hanno insegnato, che dunque neppure ci identifica… ecco, questa è la schiavitù. Che non ha molto a che fare con gli stati d’animo. Anzi, negli stati d’animo mutevoli, nel lunatismo, c’è sempre la manifestazione di questi vuoti sconosciuti, che prendono il sopravvento quando vogliono. Gli stati d’animo mutevoli troppo frequentemente sono una manifestazione che non siamo noi a guidare il mezzo, ma che lui guida noi.

    • uno dei momenti più alti, più difficili, più importanti della via della consapevolezza è proprio l’accettazione, prima, poi la comprensione e infine il controllo della molteplicità. Non c’è un’ipotesi che siamo molteplici. E’ un fatto. Basta ricordare che con Mariuccia siamo aggressivi e con Pinuccio siamo dolci e arrendevoli. Come mai? Noi siamo noi! Invece no. Ciò che sta fuori di noi innesca alcune parti, o altre, estrinsecando pezzi della nostra molteplicità, che pure siamo, anche senza saperlo.

      Siamo quelli che andremmo e quelli che resterebbero. Siamo quelli che nel ’43 farebbero i kapò, anche solo per paura di ribellarsi, e poi quelli che nel 2011 sono pacifisti. Siamo mare e montagna, sole e nuvole. E tutto questo compone la nostra vita in modo identico a ciò che non siamo. Come diceva Ortega Y Gasset “Un uomo si compone di ciò che ha e di ciò che gli manca”. Dunque siamo molteplici per ciò che abbiamo, che siamo, e per ciò che non abbiamo, che non siamo (ancora, o mai).
      Per “gestire” questa molteplicità però serve un mare d’energia. Come diceva Osho, gli uomini che non vivono la loro vita non sono diversi, stanno solo dormendo. Chi sta male, chi fa fatica a stare dietro a una sola delle sue vite, ha un problema di energia, di come produrla, di come rigenerarla, di come moltiplicarla. Risolto quello si può fare il resto, cioé scoprirsi, accettarsi e poi viversi come ciò che si è, dunque molteplici. Il problema è, ad esempio, uno tra i tanti, quello delle prevalenze. Non si può essere ammiragli regolari della flotta e pirati nello stesso istante. Ci sono prevalenze che hanno a che fare con i luoghi e con il tempo. Dove essere chi, come esserlo, con che mix.

      Legando questo al piacere, alla gioia, alla vita, alla progettualità, alle relazioni, si ottiene un puzzle infinito, che si subisce, oppure ci si nuota in mezzo appena in grado di non annegare, oppure ci si surfa sopra, ci si naviga, riuscendo a non patirne la marea. Oppure si fa questo e quello insieme, a volte, quando si può. Cosa frequente.

      Ecco un altro dei tanti punti che conta infinitamente di più dei soldi, quando si aprla di cambiamento. Quando si parla di cambiare vita è di queste cose che stiamo parlando. Assai più difficili da maneggiare dei denari. Ma di questo, che invece è alla radice dei nostri stati, del nostro cogliere o perdere le opportunità, del nostro sentirci in armonia o meno col mondo, non si parla mai.

  33. “Silver, io, come tutti, non sono uno ma molti.”

    Si era capito. E pure da un bel pezzo. Per questo la gabbia ti stava così stretta, caro Perotti: era incredibilmente sovraffollata!

    P.S. A me la trama di Stojan Decu non sarebbe venuta in mente neanche tra un miliardo di anni. Ciao, Perotti, buona giornata. A te e a tutta la compagnia.

  34. Corriere della sera di oggi.
    A pag 25 titola così:
    “GLI ITALIANI SONO I CAMPIONI DI FACEBOOK”
    Il ns paese ha un record di accessi e permanenza sul sito, secondi solo agli Australiani.
    Siamo un popolo meraviglioso!!!
    Raggiungiamo le vette delle classifiche più tragicomiche in assoluto.
    Se pensiamo che simili dati stilati, compilano la pagella media di un popolo,non arriveremo molto lontano.
    Ovviamente, politici, economisti, e multinazionali conoscono molto bene certi numeri.
    Sanno quindi come spremerci al meglio.
    Ancor oggi,ho la riconferma di ciò che sapevo, purtroppo.
    Mi informo e studio quotidianamente.
    A volte sarebbe meglio lasciar perdere: si rischia di compromettere l’ umore della giornata.
    Pazienza, ci metto un pò di sano egoismo, che, non guasta mai.
    MA CHI SE NE FREGA!!!

    Invochiamo il SANTO del giorno:
    S.ANTONIO MARIA ZACCARIA
    Intercedi per noi, sarà meglio, molto meglio…

    VALE

  35. “Un numero incalcolabile di cocktail diversi, perfetti, che mandano in visibilio tutti. La serata, che pure era già bella, allegra, piena di gioia, esplode.”

    Un numero … incalcolabile?! E la serata esplode. E magari c’era anche il bon Barolo. O Perotti, e ti esplodono le bombe in barca, e ti esplodono le serate. E dire che sembri così tranquillo, all’apparenza. Chi l’avrebbe mai detto…

  36. Sì è proprio magia, ma anche magia dell’incontro….
    Io mi ritengo fortunata perchè mi è capitato di incontrare e conoscere persone diverse tra loro e diverse da me. Magari per caso, una sera cominci a parlare con chi ti stia a fianco al ristorante, al caffè (inteso come bar)e cominci a conversare come vecchi amici…è bellissimo. Scambi di opininioni, ti racconti e magari sei da due città diverse, due nazionalità diverse.
    Tutto ciò mi arrichisce, mi fa sentire viva! Bello ripensarci! Grazie

  37. Bellissima cosa trovare gente così! di chiunque si tratti, dal grande chef al semplice disoccupato, che si prodiga per te, senza un’apparente ragione, solo perchè…ci si è trovati, c’è feeling.
    Pensa come sono messo, le rarissime volte in cui è capitato a me (che qualcuno facesse qualcosa di gradito ed inaspettato) mi sono chiesto: cacchio cosa vorrà questo? quale subdolo progetto gli frullerà in testa? Lo so, è l’epoca della sfiducia…

  38. non direi “corruzione da cronaca” quanto “esigenza di condivisione” per trasmettere messaggi in cui la “umana bontà fondamentale” di cui siamo capaci non è andata perduta
    un abbraccio

  39. Quando eravate nella barca 7mosse vedevo questo sanissimo pazzo e mi chiedevo chi fosse. Sono andata a vedere il suo curriculum, così per curiosità, poi ho visto le foto del suo ristorante ed infine le recensioni dei suoi clienti: alcune persone hanno scritto che lo volevano salutare un attimo dopo aver apprezzato i suoi piatti e, con immenso stupore, venivano invitati proprio in cucina, per poi stare a chiacchierare con Scabin del più e del meno, allegramente tra un sigaro ed un bicchiere, fino all’alba…
    Anche a me è capitato di conoscere dei ristoratori con un cuore così e ricorderò per sempre quelle serate, una in particolare dal mio ristoratore preferito: era appena arrivato un nuovo cuoco con cui alle tre di notte mi ostinavo a cantare Bella ciao. Dopo neppure una settimana, in un incidente stradale, morì.
    Così è la vita… quindi perché non festeggiarla quando “ci si trova”?

  40. Bel post, ma con una nota stonata: la classifica dei cuochi?! A chi e a che serve, una classifica dei cuochi? E in base a quali parametri viene stilata? Per carità, odio le classifiche e non sono il massimo dell’obiettività, ma non posso fare a meno di chiedermelo. Quindi, vado ad approfondire.

    Perotti, perdonami se vado sul dettaglio meno significativo: sul resto ragiono con calma.

  41. Viva gli incontri che sono puro scambio e partecipazione, i cui vantaggi sono unicamente di crescita ed arricchimento personale (e non economici o di opportunità .. come business insegna)

  42. CAPITAN PEROTTI,
    ottima descrizione di quel tuo/vs viaggio- incontro di vita.
    Una esperienza unica nel suo genere.
    Incontrare personaggi di calibro pesante,è un’opportunità che non capita tutti i giorni.
    Arricchisce e offre spunti ed idee anche da prendere in considerazione ed imitare.
    Esperienza, capacità, dialettica,storie di vita, un mix di valori aggiunti che creano la differenza e portano al successo.
    Individuale e “trasferito ad altri”.

    Molto gradevole leggerti!
    Se lo ritieni opportuno, continua a trasferirci queste esperienze, molto affascinanti.

    CORDIALITA
    VALE

    • grazie valentino. resto sempre a bocca aperta quando scopro che sotto un “personaggio” c’è ancora un cuore. Sarò ormai corrotto dalla cronaca ma…

    • esatto gilda. e poi, soprattutto, quella frase “perché ci siamo trovati”. Dunque l’idea, il princio, secondo il quale le cose avverrebbero per alchimia. Davide è un Cagliostro contemporaneo, un alchimista moderno… Un uomo d’altri tempi, dunque…

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