Buon vento a tutti

Due giorni fa, a Saint Malò, al tramonto, con la bassa marea

Dove finire l’anno. Dove iniziarlo. Importante. Anche se lo è meno di: dove stare per tutto il tempo, per tutto l’anno. L’abitudine di tutti noi (paradossale!) è di “voler stare…” ma di non starci. Perché Mario, Luca, Marina, Francesca… vorrebbero vivere al mare, o in collina, o sulla vetta di un monte… e non lo fanno? Perché vorrebbero vivere tutte le loro giornate con Andreina, Patrizia, Mirko e Gianpaolo… e invece vivono accanto a sconosciuti che neppure stimano? Perché vorrebbero passare il tempo occupandosi di fiori, legname, orti, filatelia, sport o chissà cos’altro, e invece spendono 335 giorni all’anno, per tutta la vita, vendendo prodotti finanziari, o merci scadenti in un supermercato o chissà cos’altro di così diverso dai loro interessi? L’unica risposta che non è credibile è: “perché devono, perché è l’unica cosa che hanno trovato”. E’ l’unica cosa che hanno cercato.

Delle due l’una, dunque: o non vogliono davvero quel che dicono, oppure non cercano davvero quel che vogliono.

Lo so, detta così è forte. Prendetela come una provocazione. Ma ragioniamoci, per favore. Ogni giorno buttato altrove, è come se non fosse mai stato. Almeno, da quell’altrove, ragioniamoci su.

Un mio breve video su questo argomento:

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102 pensieri su “Buon vento a tutti

  1. “o non vogliono davvero quel che dicono, oppure non cercano davvero quel che vogliono”: questa frase continua a ronzarmi nelle orecchie!Appartengo anche io alla schiera di quelli che per 365 giorni l’anno stanno dentro una vita in cui non si riconoscono, in un fare che fortunatamente non esaurisce il loro essere, ma che non sanno trasformare quell’essere in vita piena, e quello che mi veniva da pensare leggendo la tua provocazione è che non siamo abituati a volere davvero. Siamo figli di un’epoca segnata dal dominio della volontà (o almeno così ci hanno fatto credere) eppure non sappiamo più cosa vogliamo, non sappiamo dircelo, non sappiamo capirlo.E’ difficile dirsi con onestà ciò che si desidera perchè farlo implica prendersi delle responsabilità con se stessi e dover imputare anzitutto a se stessi la mancata realizzazione di quei desideri. Molto più facile sentirsi schiacciati da necessità eteroimposte da usare come giustificazioni per la nostra vigliaccheria.Io sono mesi che mi interrogo su quello che voglio, considerata l’inquitudine che mi provoca la vita che faccio, e la conclusione cui sono giunta è che voglio una vita che abbia il sapore delle cose buone,delle cose semplici, una vita umile (nel senso etimologico del termine) perchè impastata con la terra,una vita che mi consenta di vedere i colori di ciò che mi circonda, di sentirne gli odori, in cui il tempo non è mai perso o sprecato ma investito, una vita che trasformi le mie mani, che le segni con i calli, con le cicatrici, con i tagli se serve, una vita non conservata, non ripiegata su di sè. Per farlo con alcuni amici stiamo lavorando al progetto per “un’altra vita”. E’ ancora tutto un po’ vago, è ancora tutto da definire, ma sento di aver iniziato a camminare verso il mio “di più”.Ci (a me e ai miei amici) piacerebbe incontrarti Simone…chissà che non si riesca! Per ora mi fermo qui anche se si tratta di temi su cui ci sarebbe da parlare, da condividere tanto,ma forse, prima ancora, da vivere.Ciao e buon vento!

  2. Forse l’errore sta nel dare corpo ad un concetto astratto. ” Sistema” non è nulla di concreto e palpabile, non ha corpo e non si esprime. “Sistema” è l’insieme delle azioni e delle decisioni che compiono le persone per muoversi nella realtà in modo univoco. “Uscire dal sistema” difatto significa non pensare e non agire come la massa ma ragionare di testa propria e quindi dire no a ciò che non ci sta bene. Perchè il “sistema” lo creano le persone in base a come decidono di muoversi nella realtà. Per esempio: Oggi è il “sistema capitalismo” che non va più bene, quindi la popolazione cambia modo di agire e pensare e mette in atto il “sistema downshifting”. Domani, sarà questo ad essere sconveniente per chissàquali motivi e si penserà a qualcos’altro. Di fatto, non c’è un modo di vivere ideale e costante per tutti perchè il sistema è fatto di persone e le persone cambiano. Quindi, per me, la cosa fondamentale è capire come è composto il sistema di pensiero globale e poi scegliere cosa è meglio fare. Che sia fuggire allle Samoa o solo fare un orto sul balcone, non c’è un meglio o un peggio. C’è il cercare di attuare lo stile di vita che vogliamo veramente.

  3. Diventare monaci attivi della propria convinzione: è una sintesi efficace Simone! Mi colpisce soprattutto la parola monaco; mi chiedo perché usi proprio questa parola e cosa ci sia dentro (la sensazione è che ci sia moltissimo…). Quando penso al Sistema, penso a un Discorso, a un Linguaggio che si è sganciato dalla vita e impone la sua logica; una logica che si serve degli uomini e delle donne rendendoli schiavi di bisogni artificiali. In questo senso credo che coltivare la coscienza critica e la consapevolezza significhi immettere nel Sistema un virus potente! Significa riappropriarsi di un Potere, un Potere reale, tangibile, che può fare la differenza nella vita individuale, ma non solo. E’ illusorio secondo me ragionare in termini di “stare dentro o stare fuori”. Credo ci sia una fortissima interdipendenza tra noi e il sistema (detto così suona male), ma è proprio questa relazione che da un valore enorme alle scelte che facciamo e a quelle che non facciamo. Quando qualcuno decide e si adopera per una “postura” esistenziale diversa non cambia solo se stesso o la propria vita, perché non è separato dal resto. Nessuno è separato. E’ chiaro che i cambiamenti, quelli che superano i confini delle esistenze individuali, si misurano su tempi lunghissimi. Intanto ci siamo noi e mi sembra che siamo una parte di quelli che provano…ad atterrare planando a motore spento per ricominciare a vivere sulla terra…(immagine bellissima)!!!

  4. @ivo ha ragione.

    però se mi permetti qui dei presenti nessuno è uscito dal sistema…hanno solo fatto chiarezza in se, hanno compreso i propri limiti e si sono spostati in un angolo più a propria misura di quello stesso sistema…ed è bello. c’è chi deve farlo anche con gesti fisici, c’è chi sa farlo dentro di se e basta, prendendo consapevolezza dei propri gesti…ma è un discorso lungo e complesso…ma dicevo, qui nessuno è uscito dal sistema …quindi mi sembra un tema enorme così trattato dinanzi a quello che poi è… se fosse davvero ..una uscita dal sistema allora sarebbe diverso, secondo me.

    • Non condivido Federica. Io sono uscito dal sistema eccome. Fosse per lui dovrei fare molte cose che non faccio. Ne faccio molte altre che il sistema non mi consentirebbe di fare. I soldi che mi ha fregato, come ricorda bene luca, sono assai di più dei servizi di cui usufruisco. Ma TANTI di più. Dunque sono in credito, non certo in debito. Ma ora faccio altre cose. Non lo sostengo più con la mia spalla. Il resto sono belle speculazioni intellettuali, utili a tutti noi per ragionare. Poi i comportamenti concreti, quelli in cui prendi tutta la responsabilità di dire addio a stipendio e pensione per vivere diversamente, sono un’altra cosa. Consentimi, un poco più importante ed efficace che parlarne.

      Tu che fai Federica? Raccontaci di te. Dicci anche come ti chiami, per esteso, che aiuta tutti noi a leggere con più fiducia.

  5. Leggo con molto interesse gli interventi di Federica. Mi piacciono molto perché sono intelligenti, profondi, critici.
    E anche perché mi sembra che riflettano sentimenti e pensieri molto frequenti in chi sta attuando o vorrebbe attuare un cambiamento di direzione.
    C’è una necessità di purezza, di semplicità, di chiarezza man mano che si delinea davanti a noi la possibilità di scenari diversi. E più si vede chiaro più abbiamo la necessità urgente di fare, risolvere, chiarire, mettere in pratica soluzioni urgenti.
    C’è il senso di responsabilità che sentiamo nei confronti degli altri, nei confronti di un sistema che comunque ci “protegge” da una parte e ci distrugge dall’altra. Ma ne siamo parte e provare a metterlo in discussione ci mette davanti a un inevitabile senso di colpa.
    Molti di noi provano questa sensazione e in questo senso capisco profondamente ciò che dice Federica.

    Personalmente ho conosciuto famiglie che hanno fatto un grandissimo salto. E sono andate ancora più lontano di Samoa. Idealmente, certo. Magari abitano in Sabina, in Ciociaria o nella campagna bresciana. Hanno smesso di sostenere il sistema di cui parliamo. In tutto. Ma continuano a pagare le tasse con il loro lavoro. Come facciamo tutti.

    Non potrebbe significare questo cambiare “il sistema da dentro”?

    P.S. A me però non sembra affatto datato parlare di cose come il riuso, il riciclo, l’autoproduzione, il comprare solo ciò che è necessario. Per me è stata una grande scoperta (magari per molti sarà anche la scoperta dell’acqua calda) parlarne, iniziare a fare, iniziare a cambiare qualcosa e a liberarsi di ciò che non serve. Sto ancora imparando e scoprendo. Ogni giorno noto qualcosa di diverso, acquisisco una consapevolezza in più, imparo. E mi sembra una grande rivoluzione. Almeno per me.

  6. @Luca
    le tante cose di cui si parla qui sono cose che molti, me compresa, fanno già senza troppo baccano e senza dire che si è usciti radicalmente dal sistema… dato che sono ancora QUA! quindi senza andare alle samoa qualcosa si può fare, ma è qualcosa. ma ti chiedo, tutti quelli che non hanno versato contributi utili a “pretendere” e avere il diritto di usare la strada e i servizi ospedalieri che fanno? dillo ad uno che ha fatto il muratore in nero fino ad ora o ad una commessa in nero ma che vuole cambiare posto nella società senza andare alle samoa… e poi dimmi come pensi …”occuparsi dell’insegnamento ai figli in modo autonomo” fino a che livello di istruzione? ma dai!! molte molte chiacchiere sono queste… poi se uno vuole farle e fottersene di ciò di cui si ha diritto di usufruire ..è libero…ma non inventiamoci scuse.

    ovviamente è una mia idea, ognuno ha i suoi Valori!

  7. @Luca
    le tante cose di cui si parla qui sono cose che molti, me compresa, fanno già senza troppo baccano. quindi senza andare alle samoa qualcosa si può fare, ma è qualcosa. ma ti chiedo, tutti quelli che non hanno versato contributi utili a “pretendere” e avere il diritto di usare la strada e i servizi ospedalieri che fanno? dillo ad uno che ha fatto il muratore in nero fino ad ora o ad una commessa in nero ma che vuole cambiare posto nella società senza andare alle samoa… e poi dimmi come pensi …”occuparsi dell’insegnamento ai figli in modo autonomo” fino a che livello di istruzione? ma dai!! molte molte chiacchiere sono queste… poi se uno vuole farle e fottersene di ciò di cui si ha diritto di usufruire ..è libero…ma non inventiamoci scuse.

    ovviamente è una mia idea, ognuno ha i suoi Valori!

  8. federica,
    tutto sta nell’intendersi sul significato ultimo dell’espressione “uscita dal sistema”.

    nel contesto del downshifting, infatti, mi pare che questa espressione si utilizzi comunemente non in senso letterale (che è poi quello che, legittimamente, descrivi tu), bensì in senso lato, intendendola implicitamente come “uscita dagli aspetti distorti del sistema”.

    questo modello di civiltà non è tutto da buttare. contiene in sé una serie di elementi oscuri – certo – di cui alcuni di noi sono consapevoli. ma contiene anche elementi di assoluto valore, che sono patrimonio di tutti e, in quanto tali, ci appartengono per diritto. pensiamo solo alle conquiste della medicina, o ai progressi fatti nel campo dell’istruzione o dei diritti civili. rinunciare a tutto ciò oltre che a quegli altri elementi oscuri è un gesto sì legittimo, e magari anche eroico… ma non necessario – io credo – ai fini dei discorsi che qui si stanno facendo.

    condannare (e dunque rifiutare) gli elementi in cui non ci si riconosce, in questa società, pretendendo tuttavia di poter usufruire dei suoi elementi virtuosi che pure sono a disposizione, non è affatto un atteggiamento opportunista o ambiguo.
    è piuttosto, innanzitutto, il semplice esercizio di un diritto che deriva ad ognuno di noi dal fatto di essere cittadini di una nazione al cui mantenimento continuiamo a contribuire con imposte, volontariato e quant’altro. e può essere anche un gesto di rinnovamento, se al rifiuto segue una proposta alternativa fattibile, che possa sostituire, del tutto o in parte, lo stato attuale delle cose, ove questo risulti compromesso.

  9. Come cantava il buon Jon Bon Jovi: “…I ain’t gonna live forever, I just wanna live while I’m alive…”. Buon 2013!

  10. Credo proprio che quando uno “ha capito” non ci sia più niente da fare. Scatta qualcosa dentro di definitivo. Se pur tentasse, per qualche strano motivo, di riprendere con tutte le forze l’accelerazione verso la carriera, il denaro, il successo, forze che già gli consentirono di raggiungere velocità considerevoli, non riuscirebbe a mantenersi in volo. Se uno “ha capito”, il downshifting diventa inevitabile. Uno che “ha capito” deve guardare bene sotto di sè e decidere su quale lembo di terra atterrare planando a motore spento. E ricominciare a vivere sulla terra.
    Per certi versi, “capire” può essere anche pericoloso….. 🙂

  11. @ Sara
    Prima di risponderti, ti devo innanzitutto delle scuse: se sono stato frainteso sul tema della Paura, inducendoti a confondere la paura per lo “status” (di contesto, esogeno) con la paura per l’ingovernabile (intendo la salute, endogeno), la colpa è solo mia.
    Su certe cose non si scherza e la mia definizione di Paura si riferiva esclusivamente alla prima formulazione: la Paura di non farcela di fronte a difficoltà di contesto, difficoltà cioè che possono essere affrontate e superate con la “sola” forza della determinazione, dell’ingegno, del sacrificio (da qui, la citazione di Evola).
    Proprio per questo, introducevo il parallelismo con lo stato di necessità, che della Paura può essere sia la causa (“stante il contesto, temo di non farcela”), che l’effetto (“ho tanta di quella paura, che finisco per cedere, scivolando nel bisogno”).

    Lo stato di necessità è ciò a cui, chi vuole davvero cambiare, deve in qualche modo ambire. A questo proposito, anche attingendo ad altri commenti di questo bellissimo post (uno dei più “profondi” e intellettualmente stimolanti, a mio avviso), credo che l’ambizione al cambiamento possa provenire da fonti anche molto eterogenee. Chi lo fa per “fede”, chi per “convenienza”, chi per “esasperazione”, chi per motivazioni che nemmeno riuscirei a immaginare…

    La cosa stupenda, direi quasi “divina” di tutto queste diverse motivazioni è che conducono tutte, inevitabilmente, a uno stesso epilogo: la ri-definizione dell’ego. Sia quello cogitans, che quello construens. Ripensarsi e ristrutturarsi sono attività che, se condotte con consapevolezza, scatenano una quantità di energia (individuale e collettiva) che solo chi l’ha provata può apprezzare pienamente.

    Perché Simone ha cambiato? Perché lo hai fatto tu? Perché lo sto facendo io? (Combattendo con dosi della “mia” Paura, che non sto qui ad illustrarti… ma sappi che demolire 20 anni della propria vita, immolarli a un progetto, spendersi, fermarsi, discutere, litigare, rinunciare… sarà anche inebriante, ma è molto frustrante, inutile negarlo!). E trovarsi ogni tanto a scorrere con lo sguardo armadi e scaffali di casa propria, cominciando a censire ciò di cui ti puoi liberare già domani e ciò che, almeno per un poco ancora, puoi tenere… non è sempre rigenerante. E – ne sono certo – lo sanno molte delle persone che animano questo posto bellissimo.

    La conversione della Voglia in Bisogno, diceva quel mio amico. Io ho molto apprezzato la sua ammissione, in quanto descrive perfettamente il primo ostacolo che frena molti: la paura di non farcela, appunto. Qui i condizionamenti sono moltissimi: la famiglia, i figli, le relazioni… Quindi, che si fa? Bè, la Voglia ci sarebbe (condizionale) anche, ma… aspetto il Bisogno. Intanto, mi limito a “pre-contemplare” lo stato di necessità che domani potrei dover affrontare!
    Domani? E se fosse già oggi? Un commento, sotto, dice che noi governiamo sì e no il presente. Cos’è il presente? Mentre scrivevo la parola “presente”, un attimo fa? E’ già passato! E se, nel frattempo, mi fosse venuto un ictus? Noi, temo, non governiamo un bel niente! Tranne una cosa: il ricordo che lasceremo quando non ci saremo più.
    Qualche settimana fa, ho inveito – d’istinto, mi si perdoni – contro un lettore che si scagliava contro Simone perché “scrive libri e ci guadagna sopra” (il solito insopportabile mantra capace solo di rivelare pochezza intellettuale e paura esistenziale): gli ho chiesto, più o meno “Per che cosa ci si ricorderà di te, quando sarai morto?”.

    Solo questo governiamo, Sara: il ricordo di noi quando non ci saremo più.

    Un caro saluto e ancora scusa per il malinteso
    Andrea

  12. @Federica

    Chi fa la scelta radicale di uscire non vive alle spalle di nessuno. con i contributi pensionistici che Simone ha versato e che non riavrà indietro, come ha già spiegato molte volte, ha diritto a tutti i servizi che vuole. Lo stesso per me. Abbiamo già pagato. Solo che abbiamo smesso di farlo per evitare di essere presi per il culo ancora a lungo. Nella decrescita poi si prevede di occuparsi dell’insegnamento ai figli in modo autonomo (previsto dalla legge) di fare mutua assistenza senza ricorrere ai servizi pubblici, idem per gli asili etc. Non mi pare che questo sia un’idea vecchia. Tanto meno lo è farle davvero queste cose. Mi sembra tanto paura la tua, di ammettere che si può già farle ora. Samoa è lontana Federica. Tanto lontana che resta laggiù e nessuno ci va. Ma nel frattempo parlarne troppo non è onesto. Sono e restano chiacchiere. Scrivici quando sei lì, non ora. Non è credibile.

  13. ma forse la tua vita PRE era davvero un incubo di schiavitù e non eri libero di fare ciò che volevi davvero fare…e l’unica era saltare fuori… ma questo, legittimo, non è un cambio di vita che ti fa uscire dal sistema ma un modo per vivere meglio, buono, sacro santo e utile a te. sei stato bravo dato che partivi da una posizione agiata andando verso uno status non comodo .. degno di stima certo! ma a me pare una cosa ben diversa di una uscita di scena dal sistema…è solo un ottimo cambio di posizione nello stesso. a me piacerebbe avere la forza di uscirne in toto…alle samoa (per dire)… e questo l’hanno fatto in tanti…di cui ormai non si sa più nulla se non voci riferite e subriferite… comunque per tagliarla qui, io parlo di uscita di scena dal sistema e non di cambio di vita nello stesso. e pur concedendo le difficoltà di realizzare il cambio di posizione, direi che è meno difficile che una uscita totale dal sistema, allora si che tolgo davvero la spalla al sistema che non approvo.

  14. la logica del riuso, del non consumismo compulsivo, del comprare solo quando serve, bello bellissimo ma a me non mi pare una novità, fa parte della mia vita…magari a tanta gente, magari per tanti questo è un salto, un cambio di vita. io quando penso a salti penso a salti profondi completi che mi taglino fuori dal sistema in maniera tale da non usufruirne, mi sentirei una parassita ad usufruire di un sistema cui io non partecipo per tenerlo in piedi (nel modo migliore) quindi o Samoa o non parlo di salti comodi, “vado a vivere in campagna e mi coltivo le arance e poi li vicino c’è la scuola elementare dove mandare mio figlio” o prendo mio figlio e lo porto alle samoa e vivo li…sic et simpliciter o altrimenti non lo prendo per il culo dicendogli che cambiamo vita, meno stress e tutto più vivibile e la mamma non fa la impiegata ma fa le ceste in vimini…e poi ti porta all’asilo del paesello tal dei tali…asilo pagato con tasse di un sistema che io non approvo…mi sembra di prendermi in giro…e poi camminiamo sulle strade asfaltate e usiamo la adsl che un sistema (che odio e non approvo) mi permette di avere…mi pare una presa in giro….o samoa o un buon compromesso etico e di onestà personale!

  15. p.s. x Carlotta:
    non ho neanche mai scritto che i pensieri siano “cattivi” rispetto al cuore e ai sentimenti. Ho scritto che, spesso, la ‘mente mente’ e, altrettanto spesso, i pensieri siano menzogneri.
    Trovo che cuore e sentimenti racchiudano maggiore Verità, utile ad accrescere la nostra capacità di sentire la vita, gli altri, noi stessi, in maniera più Autentica.

  16. Per metterla in filosofia, il passato non si può cambiare, il futuro non si può determinare, quello di cui abbiamo controllo,e nemmeno troppo,è il presente.
    La fregatura dell’uomo è quella di voler gestire qualsiasi cosa, per questo ci si organizza e si tende a considerare tutte le variabili,le ipotesi,le probabilità per prevenire,prevedere e indirizzare le cose.Purtroppo non è così, chi di noi scommetterebbe sul fatto che domani svegliandiosi è sicuro di vedere l’alba?
    Da questo punto di vista la nostra consapevolezza è tale e quale a quella degli animali,dai quali per alcuni aspetti della nostra vita dovremmo prendere esempio.
    Ad majora

  17. @ Carlotta, ma io non ho mai scritto che i “paradisi” di pace e armonia siano stati da conseguire una volta per tutte come premio finale. Non lo penso affatto. Concordo con te che siano stati di benessere da coltivare quotidianamente. E quindi però viverli.
    Spesso si continua rincorrerli e si gira in tondo come dervisci impazziti, senza rendersi conto di quanti attimi di paradiso siano a nostra portata di mano, ogni giorno.

    Circa la questione del ‘togliere ciò che non funziona’ è evidente tu non abbia letto miei post precedenti: lo ribadisco da un bel po’ di tempo.
    Ciao!

  18. Ciao a tutti e il solito grazie a Simone. Sei un eroe moderno. Oggi per sfidare il conformismo ci vuole un cuore grande così. Io lo sto facendo e mi sento un pò come il protagonista di Matrix quando viene staccato dal sistema. A tutti dico sveglia…staccarsi non vuol dire vivere in mezzo al deserto da soli..vuole dire essere e stare e lavorare in modo “umano” in linea con quello che siamo. Con dignità.

  19. Caro Simone, ci tengo a dire, perché sia chiaro, che sono quasi completamente d’accordo con te. Ma ci sono due cose che non condivido. La prima è che esista un Sistema, qualcosa come una forza del male che ci opprime: io vedo solo tante piccole individualità infelici, persone incapaci di sentirsi unite al resto del mondo, incapaci di comprendere che la natura nostra e delle cose che ci circondano è la stessa. La seconda è il tuo giudizio su chi si “lagna”. Credo che ognuno manifesti come può quel germoglio di libertà che, consapevole o no, chiede luce. Ti prego di non giudicare le persone, a volte il dolore che ci portiamo dentro è così profondo che, quel bambino che è stato tante volte ferito, non ha altro modo per affermare il suo desiderio di vita. Grazie per quello che fai e per quello che scrivi.

    • pierpaolo, io non giudico (nel senso di etichettare condannando) nessuno. prendo atto, osservo, chiamo le cose col nome che ho. Ognuno sa se sono nomi adatti per quel che vie lui. Quanto al “sistema” l’ho spiegato spesso: non credo a nessun ordito, nessuna trama governata da qualche vecchio oscuro. Chiamo sistema l’andazzo delle cose, il mondo per come è configurato, di cui però certamente molti soggetti (banche, multinazionali, politici, speculatori) si avvalgono per continuare a fare i loro interessi a danno degli individui. dunque, più che fare qualcosa per, non fanno niente perché non. ad esempio istruzione, ricerca, formazione. Se spingessero su questi tasti aiuterebbero cultura e consapevolezza, dunque libertà. e la libertà non ha mai fatto arricchire nessuno. se non chi è libero. dunque non conviene a nessuno. se non a noi. ciao!

  20. simone ma tu nel sistema ci vivi, ne usufrusici e quindi lo alimenti… non stai alle Samoa… quello che dici può essere un modo di toglierci la spalla ok, ma allora una ne deve uscire totalmente, non in parte, altrimenti non togli nessuna spalla. la barca con cui giri è fatta in un cantiere che è stato pagato da qualcosa o qualcuno che ha finanziato..e tu anche se solo parzialmente ne usufruisci quindi ne sei correo in una misura molto simile a quelle da te dette. salto? ok ma in toto…non a comodo!

    • federicas, non è così. la storia “o tutto o niente” è una antica canzone, ideale per far vincere il niente. eccome se si può fare, e molto! Non vivere dove ti dicono, ma dove decidi; non lavorare dove e come ti imporrebbe il sistema, ma come e dove decidi; non comprare quanto e cosa ti spingerebbe a comprare il sistema, ma come e quanto decidi tu; non subire il condizionamento di comportamenti, tempi, modi, linguaggi, forme, relazioni, ma scegliere pagando tutti i prezzi del caso; non ipotecare il tempo meraviglioso dell’oggi per una pensione che non ti daranno domani; decidere che nella tua vita il tempo con una madre anziana conta più del tempo che ti si imporrebbe di spendere altrove; alimentarti in modo diverso; perdere tempo quando tutti ti spingerebbero a riempirlo; leggere e studiare, crescendo, invece che ripetere gesti coatti e decadenti; vivere nella sobrietà quando il sistema gode e campa se viviamo nel consumismo; decidere di “embragare” aziende, prodotti, servizi che non si ritengono adeguati o dannosi o che costerebbe troppa schiavitù assecondare; andare controcorrente sui flussi e sui trasporti; decidere di muoversi con una mobilità differente per tempi modi e costi; autoprodurre quando tutto ti spinge a comprare cose fatte da altri; riusare quando il sistema ti dice di buttare.
      Non è così credimi. Tra nulla e tutto c’è “tanto”, che vuole dire smettere di fare i puristi delle intenzioni e diventare monaci attivi della propria convinzione. Brutta o bella che sia, giusta o sbagliata che sembri, ha un grande vantaggio: è azione, responsabile, autentica. Potrebbe non cambiare il mondo, ma cambia la tua vita, la rende adeguata a quello che pensi, smette di farne un’alienazione. E testimoniarla serve. Guarda quanta gente ne parla, ci ragiona, prova. A cosa porta l’idea utopistica della purezza del tutto? Io non posso ambire al tutto, ma pretendo (da me) il tanto. Anzi, il “più che posso”. ciao!

  21. Sara, pensare all’Armonia come ad un ideale regolativo non significa necessariamente essersi costruiti un comodo alibi per rimanere dove si è sempre stati, nella zona di comfort come la chiami tu. Sono d’accordo con Donatella: la questione è togliere, avere il coraggio di togliere quello che non funziona senza avere davanti la sicurezza di un alternativa. Mi dispiacerebbe aver dato l’impressione di essere una che si costruisce alibi per rimanere identica a se stessa…proprio non sono io. Tuttavia – sarà temperamento – non “credo” nei paradisi, non credo che siamo al mondo per raggiungere uno stato di Pace o di Armonia assoluta da conseguire una volta e per tutte, come una specie di premio finale. Per me l’armonia, la pace, l’unità non sono assoluti (per questo non li scrivo con la maiuscola), sono condizioni preziosissime da coltivare ma rappresentano anche conquiste da conquistare ogni giorno, sfide che ci impegnano quotidianamente nelle scelte di tutti i giorni. Ritrovo nella mia esperienza quello che racconta Donatella a proposito del fatto che quando fai spazio…poi quello che arriva è spesso diverso da quello che avevamo immaginato o sperato. E questo è meraviglioso! Quando la vita mette in scacco il nostro pensiero vuol dire che stiamo vivendo fino in fondo secondo me, ma questo non vuol dire che il pensiero sia “cattivo” rispetto al cuore o ai sentimenti. Questo vuol dire che il pensiero evolve e con lui anche la nostra capacità di sentire…la vita, gli altri, noi stessi.

  22. Micaela, purtroppo per alcuni famiglia, scuola, amici ed ambienti frequentati non hanno aiutato l’evoluzione anzi hanno contribuito all’involuzione e se qualche occasione l’hanno avuta non erano nello stato giusto per poterla riconoscere…bene a quei soggetti non e’ rimasto che toccare il fondo! Ciò che trovo aberrante e’ essere consapevoli di non vivere la propria vita e rimanere immobili continuando a raccontarsi inutili storielle accompagnate da lamenti sterili. Come dici tu vivere il qui e ora e’ fondamentale ma lo e’ altrettanto guardare al passato per riconoscere le radici di quello che siamo o per trovare il senso di quello che siamo stati e non vogliamo più essere e guardare al futuro con una sana progettualità.

  23. Per cambiare vita e fare veramente quello che ci piace e magari vivere dove ci piace, serve tanto tempo e tanta costanza.

    Come da ormai molto tempo documento sul mio blog, io sto cercando di realizzare il mio sogno di smettere di lavorare e vivere un certo numero di mesi all’anno al mare, ma guadagno circa 1500 euro al mese, e sto risparmiando circa 10.000 euro l’anno, pure avendo famiglia. Impiegherò molto tempo a realizzare questo sogno, sarà un cambiamento lento, che oggi mi richiede molta serietà, disciplina e costanza, qualità che sono difficili da mettere insieme e onorare costantemente per 5 o 10 anni.

    Cambiare vita è un progetto, uno di quelli ambiziosi, nei quali devi mettere tutte le tue energie (per anni), per questo motivo le persone non riescono a cambiare vita, perchè siamo tutti già così impegnati a vivere, lavorare e mandare avanti la famiglia, che le forze per realizzare un progetto di queste dimensioni scarseggiano.

    Senza contare che spesso non si sa nemmeno bene quello che si vuole, e si finisce per accontentarsi di quello che si ha, lasciando che la casualità degli eventi governi la nostra vita, invece di diventare padroni del nostro destino.

    Quello che serve però è iniziare. Mettere su carta un progetto, con obiettivi concreti e definire brevi scadenze. Per esempio l’anno scorso avevo l’obiettivo di riuscire a vivere con 500 euro al mese, e ce l’ho fatta. Quest’anno voglio vivere con 400 e crearmi una rendita parallela di almeno 300 euro al mese, che andrà lentamente a sostituire il mio lavoro.

  24. Io e mia moglie abbiamo in progetto di spostarci da dove siamo per andare altrove (sul mare). Il progetto include come condizione necessaria lo scollocamento e il downshift.
    Per realizzare questo sogno dovremo trasferirci in un luogo dove le case costano di piu`, lasciare dei lavori sicuri e remunerativi e “adattarci” a uno stile di vita piu` sobrio: una pazzia!
    Ma non ci siamo sentiti mai cosi` vivi ed energici come da quando stiamo progettando di realizzare questo sogno.

  25. @ Andrea, interessante quanto scrivi ma non sono d’accordo col tuo definire la Paura semplice ‘stato di necessità’: non trovo che il concetto sia analogo; tantomeno sono d’accordo con “l’attesa che la Voglia di osare diventi Bisogno”.

    Io credo che necessità e bisogno possano essere positive spinte a svegliarsi, ottimi stimoli ad agire, ‘molle fondamentali’ per darsi una mossa; invece la Paura, la vera Paura intendo, blocca, arresta, impedisce il minimo passo, attanaglia alla gola e ostacola il respiro…
    La definizione di ‘mostro’ la trovo, ahimé, più appropriata.
    Lasciatelo dire da una che quel mostro l’ha avuto dentro per moooooolto tempo! e, anche se affrontato, e in gran parte vinto, ogni tanto ricompare, sia pure in forma ridotta.
    Ho imparato ad accoglierlo, a non fronteggiarlo con rabbia e paura, a far’gli’ domande del tipo “perché sei qui? cosa vuoi dirmi? quale messaggio mi stai inviando”? E resto in paziente attesa delle ‘sue’ risposte: MI Ascolto…

  26. Concordo con Simone il sistema da dentro NON SI CAMBIA ci vorrebbero forse 100 vite, scollocarci dal sistema in tanti invece gli darebbe un bello scossone. Il tipo di sacrificio di cui parla Federica non credo serva a nessuno, da 2 anni sto studiando il mio scollocamento e ora che ho una figlia dentro di me e’ cresciuta l’urgenza di cambiare vita, nulla potrà essere più educativo per lei che vivere con dei genitori che saranno liberi di seguire le loro passioni attuando scelte che gli permetteranno di non dipendere pesantemente dal denaro. L’unico sacrificio utile per noi e le generazioni future e’ quello finalizzato al nostro benessere e crescita interiore.

  27. “questa “collettività”, come tu la chiami, segue regole diverse”

    e tu da dentro hai tentato di cambiarle…. di smontarle? di far capire che può esserci un modo nuovo per il sistema? hai modificato la tua professionalità di manager(rischiando di tuo) per far capire che c’è un modo migliore di approcciarsi a tutto? hai pensato che ne vale la pena tentare di rendere un pochino migliore il mondo per i tuoi figli?

    guarda che anche questo approccio costa fatica… costa la pelle! ma questo secondo me è un approccio che pone la possibilità di una apertura alla fine…non la fine di un se stesso migliore e stop…ma alla fine di un effetto della propria azione su quello che lasciamo a chi verrà..e questo da un miglioramento del sè.

    simone è una prospettiva diversa dalla tua… ma concedimi di dire che questa prospettiva si pone un obiettivo non solo riferito al noi stessi.. ma a quello che lasciamo per le generazioni future.

    • credo di no federica. E’ la via del “cambiare le cose dall’interno” che ha tanti anni, tante esperienze, tanti tentativi alle spalle. Ma è fallita. Il mondo è così anche per quei tentativi, che troppo spesso, non sempre, ma troppo spesso, erano alibi. dall’interno questo sistema non si cambia. io in vent’anni l’ho provato e visto. chi ha lavorato con me e sta leggendo (Quelli di Edelman per esempio, ma non solo) potrebbe raccontarlo.
      stare dentro non serve che a chi ci sta, onestamente. non sta dentro per gli altri, ma per se stesso, quasi sempre. io non ci credo a chi sta dentro per sacrificarsi. esempi ci sono, ma diciamo che non siamo noi, onestamente.
      penso invece, come ho spesso detto, che occorra togliere la spalla da sotto al sistema, per avere due obiettivi: o farlo crollare; o almeno non essere corresponsabili di quello che avviene, del disastro che vediamo. Chiunque sostenga massicciamente il sistema lo è, altrimenti. correo.

  28. “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui.”

    E’ un aforisma spietato, assai affine all’epilogo del post di Simone (che condivido in pieno).

    E noi? Quali rischi corriamo? Ce lo siamo mai chiesti?

    La pretesa di vivere “dentro” a questo sistema per provare a cambiarlo dal suo interno è una colossale foglia di fico, a mio parere. Non è sufficiente (oltre che essere presuntuoso).

    La Paura (che anch’io scrivo in capital letter, per rispetto a questo nobilissimo sentimento) è una molla fondamentale.
    Io preferisco chiamarlo “stato di necessità”, ma il concetto è analogo.
    Ricordo volentieri un amico che, parlando di questi temi poco tempo fa, mi scrisse “Resto in attesa che la Voglia di osare diventi un Bisogno”: ecco, credo che abbia centrato al 100% il problema.
    Finché resterà soltanto una voglia, credo che quel rischio saranno disposti a correrlo davvero in pochi…

    Ciao e ancora buon anno a tutti
    Andrea

  29. a tutti quelli che si chiedono come liberarsi dalla “paura”, faccio notare come questa sia sostanzialmente il frutto del vizio che naturalmente abbiamo di far concentrare la nostra mente sul passato (per trarne una forma di identità che ci rassicuri) o sul futuro (nei confronti dei quali nutriamo un’ansia per tutto quello che potrebbe accadere e che normalmente ci aspettiamo sia negativo e non positivo)… se solo riuscissimo a concentrarci sul QUI e ORA, sul momento presente la paura svanirebbe e il peso di tutto quello che dobbiamo essere futuribilmente per tener fede a quello che siamo stati anche… il mio augurio per il 2013 a tutti è di riuscire a fare il piccolo salto quantico di vivere il momento, capendo che è sempre l’unico che possiamo davvero vivere e senza aspettare che siano eventi traumatici a portarci obbligatoriamente a riflettere su quanto è breve una vita e soprattutto sul fatto che non ce ne daranno un’altra…

  30. Carlotta, se ‘pensi’ che pace, unità e armonia siano mete irrangiungibili certamente mai le raggiungerai; è necessario modificare il pensiero: la mente… mente; è il cuore che deve guidarci nel percorso, sono le emozioni, non i ‘pensieri’; ritenere pace unità e armonia semplici ‘ideali regolativi’ è solo un comodo alibi per non uscire dalla proprio zona di comfort che, anche se non ci piace, ci rassicura.
    E’ per questo, Simone, he non è così bizzarro non avere paura di restare
    in quell’altrove innaturale di cui scrivi e avere invece paura di partire per le nostre autentiche mete.
    Ci vuole CORaggio, ci vuole CUORE… Invece, spesso, predomina la Paura, quel ‘mostro’ di cui hai scritto Marica; mostro che va affrontato, e vinto, perché
    nel faticoso viaggio verso la Completezza sarebbe un bagaglio troppo pesante da portare: rallenterebbe o, peggio, bloccherebbe il nostro cammino…

  31. Leggervi è come mettere insieme le tessere di un puzzle.
    La Paura di Marica, l’Armonia e l’Unione di Sara, Simone che inchioda tutti con l’Anomalia e il Sospetto, dopo Roberto con i suoi Dove, Come, Cosa , Quando …. tutto incredibilmente vero. Mi chiedevo… intanto che sei lì e non sai ancora cosa vuoi e chi sei veramente, a prescindere immobilizzata dalla paura , peró hai capito cosa NON VUOI più , mi chiedevo … Si puó iniziare da ció che c’è da togliere, prima ancora di avere un’alternativa che ti motiva, ti aiuta ad affrontare il nuovo stato … Si può o è poco intelligente ? E magari scoprire dopo Cosa Quando Dove Come…. Forse , addirittura, scoprire che avevi giá risposto a quelle domande e che serviva solo togliere ció che non andava , che strideva con la tua anima. Chissà questo potrebbe essere un mio disperato tentativo per smettere di farmi domande alle quali non so rispondere, diciamo una scorciatoia , in fondo quando qualcosa in casa non mi piace più , tanto da recarmi disturbo, la tolgo, a volte anche prima di avere l’alternativa e dopo questa arriva e talvolta diversa da come l’avevi immaginata. Tutto consisteva nell’avere il coraggio di togliere il vecchio per essere vuota e accogliere il nuovo. Potrebbe funzionare anche per le cose molto più importanti di un lampadario ? No?!?!

    • Donatella, Si DEVE iniziare da quello! Se non si parte da quello, non si parte da quasi nulla. DENTRO e SENZA sono due parole essenziali.

  32. Magari a volte si ha bisogno di dire “ciò che non si farebbe mai”…
    Perché? Beh non lo so… forse perché il pensiero fa compagnia, ci consente di confrontarci con delle possibilità eventuali.
    Ci piace l’idea del “come sarebbe se…”. O forse perché sognare è bello e nobile di per sé e non ha bisogno dell’avallo della sua capacità di realizzazione per avere un senso.

    Io non trovo niente di poi così drammatico o inquietante nella “rassegnata ostinazione” di cui si parlava in alcuni interventi. Io trovo che sia una questione di tempi, di opportunità, di casi, di energie. Ognuno di noi ha il suo viaggio.

    E quando vedo persone completamente addormentate nel sonno rem più profondo penso alle opportunità che ho avuto io (nel mio caso senza alcun merito) per risvegliarmi.

    Ma ero anche io così.

    La cosa bella è che i “risvegli” sono una “malattia” contagiosa. Puoi contrarla e tenerla in incubazione per anni senza sospettare che tutto il tuo organismo stia in realtà subendo una mutazione. Alla consapevolezza si arriva dopo ma il nostro corpo inizia molto prima. (Su questo sono molto d’accordo con quello che diceva Carlotta).

    Anche dopo ci sono i mostri. Solo che finalmente li vediamo per quello che sono e impariamo pian piano a chiamarli col loro nome.

    Chi ancora non è consapevole, chi ha tanta paura, chi scappa, chi sta male ma non sa come uscire dal suo dolore e dalla sua sensazione di alienazione, chi non ha capito cosa vuole, chi sta annegando e non se ne rende ancora conto, chi ha una rabbia che lo sta ancora divorando, chi dorme tranquillo, chi diventa aggressivo e disfattista con chi ha fatto una scelta che avrebbe voluto fare lui, chi non trova il coraggio. Chi vuole attenzione, aiuto, consolazione.

    Tutti hanno la mia simpatia, la mia comprensione, il mio affetto. Sono stata anche io così. In molti di questi casi.

  33. Ciao Simone,
    Hai detto una frase forte ma purtroppo hai perfettamente ragione, non e’ una provocazione e’ la realtà e molti dovrebbero iniziare a farsi le domande che si e’ posto Roberto.
    Voglio aggiungere pero’ che tante persone non se li “possono” porre certi quesiti…per spiegarmi faccio il mio esempio: sono nata in una famiglia con un padre autoritario malato per il lavoro, il risparmio ed asettico affettivamente e una madre remissiva che ha cancellato dalla sua vita le emozioni per smettere di sentire il male che mio padre le fa (parole sue). Il mio sogno fin da piccola era fare la veterinaria, provo un amore istintivo per gli animali, ma ho studiato ragioneria perché “dovevo” a quei tempi ti dava un lavoro. A 20 anni dissi a mia madre ora lavoro andiamocene e lei? Non posso vedi tuo padre e’ una persona vuota come vivrebbe da solo sarebbe perso, mi fa pena devo occuparmi di lui…Allora non capii che anche lei era “bacata” e continuai a mia volta a fare scelte lontane da me stessa, era semplicemente quello
    che “dovevo” fare, ero troppo impegnata a sopravvivere e a fare ciò che potesse ottenere l”approvazione di mio padre, naturalmente ottenevo sempre denigrazioni. A furia di distaccarmi da me stessa sono arrivata a stare male ed avere attacchi di panico, al che mi sono detta qui devo “agire” in qualche modo e smetterla di pensare e basta che forse questo o quello non fanno per me. Mi iscrissi ad un corso di naturopatia volevo diventare Naturopata e aiutare le persone che stavano male a vivere secondo la propria natura unica fonte reale di benessere (qualcosa avevo intuito) Non sono diventata Naturopata non mollai il lavoro e quindi studiando solo la sera mentalmente stanca non riuscii ad acquisire le nozioni per farne una professione. Il percorso del cambiamento e’ lungo e io ero solo all’inizio! comunque quel corso fu per me la miglior scuola di vita, ho iniziato ad ascoltarmi per conoscermi e poter finalmente trarre felicita dalle mie scelte. Succo di tutto 33 anni non vissuti e altri 7 spesi nella trasformazione. Oggi ne ho 40 so chi sono e ne sono fiera e felice. Ciò che non ho ancora cambiato lo accetto perché funzionale al cambiamento. Conosco molte persone che non “possono” scegliere perché non ne hanno
    i mezzi interiori alcune non sanno neanche che stanno a fare nel mondo e peggio ancora non sanno neanche che dovrebbero chiederselo ma non le biasimo perché non so che vissuto hanno alle spalle e in più vivono
    in una società nella quale i discorsi sulla vera felicita sono solo di nicchia…non nego pero di conoscerne altrettante che per comodità o non voglia di stravolgere un finto equilibrio raggiunto non “vogliono” porsi tali domande. Cito una collega che tempo fa mi disse “so che faccio una vita di merda ma sai che sbattimento cambiare tutto?” e continua a comprare medicinali per eritemi…tristezza infinita!!!!! La nostra vita e’ solo questa mi chiedo che senso ha essere consapevoli di non viverla. Personalmente lo trovo pazzesco!
    Un saluto a tutti!

  34. Buongiorno, a proposito di ciò che scrive Sara, vorrei dire che secondo me la non coincidenza e il conflitto non sono l’effetto della mancanza di un fulcro, di un centro dal quale sia possibile trovare l’orientamento e direzionare le energie. A me sembra invece che la non coincidenza sia la causa, una sorta di mancanza che spinge ad essere, cioè a divenire pienamente umani. La completezza, l’armonia, l’unione di cui parla sara sono le mete da raggiungere e – non vorrei dire una cosa troppo deprimente – secondo me sono anche mete irraggiungibili; un filosofo parlava di ideali regolativi, ecco secondo me si tratta di ideali regolativi, ideali che orientano lo sguardo indicandoci la direzione verso cui…navigare. Dopodiché la questione è navigare. La cosa drammatica e inquietante – e sono d’accordo con simone – è la rassegnazione ostinata con cui molte persone continuano a condurre la propria vita nonostante l’enorme prezzo che pagano. E secondo me spesso è proprio il corpo che si incarica di parlare delle nostre anime intrappolate e soffocate, ma rimane inascoltato e…sedato. “perché non ci fa paura stare altrove, fuori posto, ogni giorno, per tutta la vita…?” Io ho conosciuto persone e sono stata una persona che ha vissuto nella paura di essere dove non le piaceva stare; e ho guardato con orrore all’automatismo con cui continuavo a stare dove mi faceva male stare. Credo che in gioco non ci sia – non possa esserci – solamente la volontà di cambiare. C’è un lavoro spietato da fare alle volte per liberare la nostra volontà, la nostra capacità di non volere ciò che non ci somiglia e di voler cercare una vita più giusta, più adatta a noi.

  35. Sì, lo trovo esattamente “sospetto” rimanere in quell’altrove alienato…a meno che non lo sia poi tanto…Il cambiamento comporta sicuramente resistenze, paure, pigrizie, inerzie, ma sono solo alibi di chi non vuole realmente attuarlo. Se ti brucia dentro, se la motivazione è vera e forte, non resisti un attimo di più in quell’altrove alienato, è come se ti avessero costretto all’esilio e tu smaniassi per tornare a casa, nel tuo luogo…non si può resistere tanto…Chi non lo fa è perchè semplicemente non sente realmente (o ancora) una forte necessità, ne parla soltanto,ma non agisce e, tu mi insegni, prima si fanno i fatti e poi se ne parla…La motivazione, poi, nasce dall’interno, è un percorso individuale che non può essere preteso o indotto…non si cambia vita per qualcuno/a…Quando chiedi perchè Mario, Luca ecc. pur volendo stare sempre con Andreina, Patrizia ecc. non lo fanno, io ti rispondo che fanno bene a non farlo! Prima cosa varrebbe anche il discorso inverso : perchè allora non lo fanno Andreina e Patrizia, perchè non cambiano loro o ci sono vite più importanti di altre…? Ma questo è un inciso…la cosa importante è che scelte del genere si realizzano nel momento in cui la persona le matura individualmente, profondamente e a prescindere da chiunque…farlo per un altro è violentare se stessi e soprattutto esporsi al rischio di un triste fallimento…Ma questo è solo il mio pensiero…buon anno a tutti!

  36. “non vogliono davvero quel che dicono”
    Quando si vuole veramente qualcosa prima o poi arriva;non bisogna avere fretta ma capire soprattutto perchè lo si vuole.
    Certo che se ci si dice che non capiterà mai e si è negativi, si allontanerà sempre più quel che vogliamo.
    Buona Befana a tutti!

  37. “i still haven’t found what i’m looking for” Tanti anni fa il titolo di questa nota canzone (non il testo in particolare) mi sembrò interessante perchè sintetizzava e focalizzava bene una domanda impellente che sentivo dentro me, o meglio, una serie di domande: So cosa voglio veramente? So COSA cercare, DOVE , QUANDO e COME? In particolare sto ancora cercando? Ho mai cercato veramente? E ancora, ho trovato qualcosa e quanto posso o devo ancora cercare? Si potrebbe continuare. Tutto ciò richiede fatica ma penso sia necessario per seguire la propria via ed evitare di mettere le “proprie ruote” su di un “binario qualsiasi” che ci circonda e farsi portare a spasso verso una meta che non abbiamo deciso noi e molto probabilmente non ci porterà verso ciò che stiamo cercando. Ciao a tutti e ….buona ricerca.

  38. Ciao Simone, non riesco a vedere il video, viene richiesto l’accesso a facebook e io non sono iscritta. C’e un’altra via?
    Grazie, Marina

    • ahimé no Marina. Su questo blog non si carica perché è troppo pesante. Proverò a metterlo su youtube appena riesco. ciao!

  39. Ho letto questo tuo post ieri sera, o meglio stanotte all’1 quando sono tornata dal lavoro al “nuovo” ristorante (una storia lunga ma stiamo provando a non perdere il nostro sogno) e nonostante avessi la sveglia alle 5,30 per venire a sostituire qui in ufficio una collega malata.
    Questo ufficio è il mio “non posto”, non è dove voglio stare. Il ristorante è il “mio posto”. Ma quest’ultimo al momento non remunera, nel senso che il locale non è nostro (non abbiamo soldi per averne uno nostro né siamo in grado di ottnere finanziamenti in banca per avviare un’attività) ma ci lavoriamo gratis per non pagare l’affitto di gestione. L’incasso è del padrone della struttura. Questo è l’accordo di questi primi due mesi, finché non si capisce il potenziale del ristorante e si possano cambiare i termini dell’accordo.
    A quel punto, mollerò questo “non posto” dove sono ora per tornare nella mia vita.
    Però sono serena comunque. Anche in questa situazione ambivalente. E’ il prezzo che in questo momento accetto di pagare per portare a compimento un’altra “opera”.
    Quando mesi fa abbiamo dovuto chiudere l’altro ristorante, mi sono messa a studiare le possibilità di guadagnarmi da vivere come artigiana, avendo solo 4 mesi di autonomia “finanziaria” a disposizione.
    Purtroppo nonostante i complimenti di parenti e amici per i miei lavori di bricolage, non sono riuscita a vendere niente.
    Così ho rinunciato a proseguire, se non per puro hobby, e quei piccoli lavori tanto ammirati ma invenduti sono finiti sotto l’albero di Natale degli amici.
    Ammetto che in questo settore ho un grande handicap: non voglio assolutamente ricorrere a prestiti o finanziamenti per avviare un’attività. Voglio poterlo fare con le mie sole forze e voglio che si mantenga senza aiuti esterni.
    Diversamente non mi sentirei libera, ma mi sentirei di lavorare sempre per un padrone occulto.
    Buona domenica a tutti (e scusate se sono fuori tema)

  40. Hai ragione.
    Forte provocazione. O si aspetta che qualcuno lo faccia al ns posto .. Ma nessuno puo farlo se non tu stessa.O aspetti che qualcosa cambi ma non sai bene cosa, fino a che capisci che le cose possono cambiare solo se fai tu qualcosa… E anche li, quando lo capisci nell anima un po piangi un po temi perche’ e’ più facile sognare che provare a fare ma non potendo che vivere nella realta’…. Progetti… Poi anche li tra il progetto e la realizzazione….. Speri nel Buon vento! Grazie! Buon anno!

  41. “Vi auguro la libertà dalla Paura”… E’ il modo più bello di augurare un buon anno…
    O almeno l’augurio più bello che mai sia stato fatto a me.
    Grazie, Donatella

  42. …non vale ! Così non ci lasci via di scampo ! Non abbiamo più giustificazioni , ma solo una possibiità .. forse …
    Leggere così tante volte quello che hai scritto fino a risvegliare ogni nostra cellula a questa consapevolezza : )

  43. Salve a tutti. Mi chiamo Marco ed è la prima volta che intervengo su questo blog.
    Ho letto alcuni libri di Simone e so quanto questo tema glia stia a cuore.
    Anche io lo sento parecchio e lo sento da diversi anni. Ricordo che una volta De Andrè si chiese cosa fa vivere gli uomini in una città complessivamente brutta come Milano (amici milanesi non odiatemi) e trovai questo interrogativo semplice e penetrante, allo stesso modo di come lo ha proposto Simone.
    I motivi per cui viviamo come non desideriamo sono molti: Tra i tanti io metterei la pigrizia e la comodità; cambiare vita o dare seguito ai propri propositi richiede volontà, forza d’animo e coraggio. Senza considerare che una città qualsiasi, anche la mia, offre sicuramente dei vantaggi. Sarà capitato a tutti, cercando casa, sentirsi dire: “è vicina a tutti i servizi”.
    Per non gettare la croce sugli altri, vi riporto un episodio capitatomi ieri: mi sono recato all’Ikea con mia moglie perchè cercavo dei semplici porta CD da cinque euro. Ovviamente è andata a finire come sappiamo tutti: non ho comperato solo quello che mi serviva ma anche altri oggetti. Non solo, ma dopo poco tale era la calca e il caldo che ho pregato mia moglie di terminare le compere ed uscire.
    Non voglio sembrarvi troppo apocalittico ma all’uscita ho detto a Grazia: “Non ci tornerò mai più, questo luogo è la morte dello spirito”.
    Non voglio darvi un’immagine troppo cupa della mia persona, ma realmente io penso che molti luoghi dove noi viviamo siano la morte dello spirito. Pigrizia e comodità ci fanno finire, tuttavia, in questa specie di inferno.
    Non voglio fare citazioni troppo snobbistiche, ricordo solo che Freud nel Disagio della civiltà scriveva che l’uomo ha scambiato la felicità con la comodità, ed è proprio così.
    Vi abbraccio tutti ed un saluto particolare a Simone.

    Marco

    • Ciao Marco, benvenuto. Interessante aneddoto e pensiero quello che scrivi.

      Comodità e pigrizia sono due valori riferiti al corpo. Implicano entrambi il concetto di fatica soprattutto fisica: la posta è vicina, il lattaio anche, se scendo trovo un bar, non voglio fare lo sforzo di guardarmi intorno, cercare, trovare. L’anima, lo spirito, la psiche, tuttavia, valgono più del corpo, almeno nella classifica degli agenti sul benessere. Tant’è che una persona perfettamente sana fisicamente può essere triste e una persona malata può essere più felice di lei. L’opposto è ovvio e non lo cito neppure.

      Nell’aneddoto all’Ikea però tu hai introdotto un elemento utile: la calca e l’affollamento e il calore ti hanno fatto desiderare di uscire. Ma non hai detto “questo posto non è confortevole” hai parlato di spirito. Ecco il punto: noi ci occupiamo poco dello spirito, nel nostro mondo mentale, quello che è in campo in questo momento, mentre scriviamo e leggiamo qui. Tanto da non valutare adeguatamente quanto ciò che chiamiamo “comodo” sia in realtà una tomba.

      Quando parlo anche provocatoriamente di priorità interiore su ogni scelta rispetto al momento della decisione economica, geografica, logistica etc mi riferisco proprio a questo. Noi QUASI MAI FACCIAMO IL VERO BILANCIO dell’attività. Se fossimo un’azienda, è come se guardassimo solo i ricavi, e non i costi. Il vero bilancio a fine giornata lo evitiamo accuratamente. Non ci mettiamo dentro tutto. Ecco perché alla fine viene fuori che “è più comodo” così.

      Proviamo a mettere in bilancio tutto. Questo pensiero l’ho molto approfondito nel libro che sta per uscire. E’ una cosa che distingue molto le donne dagli uomini (ad esempio).
      ciao!

  44. Buon anno Simone , come al solito provochi e … lo fai bene , perchè ció di cui parli lo vivi o lo hai vissuto …
    Non riesco a vedere il video , mi sarebbe piaciuto.
    Provo quella Paura citata da Marica, in quanto unico ostacolo che impedisce il raggiungimento di quella Pace Armonia e Unione con noi stessi di cui Sara ha parlato.
    Auguro a ogni essere ,che come me lo desidera, la Libertà dalla Paura . A chi ancora non avverte questa necessitá , auguro di essere presto consapevole che l’unico modo per VIVERE è percorrere la strada verso la libertà dalle proprie paure.
    Grazie Sara e Marica

    Un bacio di buon anno Simone

    • Grazie Dona, e a tutti. La paura fa parte integrante di quello che facciamo quando ci mettiamo in marcia. Però viene una domanda: perché non ci fa paura stare altrove, fuori posto, ogni giorno, per tutta la vita… e ci fa paura invece cambiare per spostarci da quell’altrove innaturale verso il luogo dove dovremmo stare, smettendo così di essere distanti, decentrati, alienati? Non trovi che sia bizzarro, strano… sospetto?!

      Va da sé che per “luogo” io non intendo qui un luogo geografico, ma una condizione, dunque uno stato interiore di armonia tra ciò che siamo e ciò che, naturalmente, dobbiamo fare. La paura dovremmo averla ogni giorno mentre siamo fuori posto, non quando ci muoviamo per andare nel posto adatto a noi. Anche questa è un’anomalia ben strana da comprendere. Siamo anomali. Soprattutto chi difende l’anomalia. Ma anche chi almeno la percepisce ma non riesce a muoversi. Quando moriremo, tra poco dunque, cosa penseremo di questa paura che immobilizza?

  45. Quello che ci trattiene è spesso la Paura. Lo scrivo grande perché è una specie di mostro di cui abbiamo bisogno e che spesso alimentiamo e teniamo in vita.
    La Paura ci trattiene ma ci protegge, ci lusinga e ci suggerisce.
    E’ che dimentichiamo spesso che ci sono cose più importanti di lei.

  46. A te, Simone, che sai bene dove andare…, auguro che il vento ti sia sempre favorevole, anche in questo nuovo anno.

    Purtroppo non riesco a vedere il video (non va a buon fine l’aggiornamento Flash player), ma replico a quanto hai scritto tu, e anche Carlotta, con la mia modesta considerazione che Mario Luca ecc. non abbiano ancora intrapreso quell’unico viaggio, in buona parte in irta salita, che valga la pena di intraprendere, la cui meta è la propria Completezza, la propria Unione, la propria Armonia. Solo allora avranno chiaro cosa vogliono e dove cercare.
    Anche la non coincidenza tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra il mondo che abitiamo e quello che vorremmo abitare, di cui scrive Carlotta, trovo sia lo stesso effetto di mancanza di un fulcro, sia una sorta di schizofrenia, di un continuo costante conflitto perverso che deruba le energie necessarie per rimuovere gli ostacoli inevitabilmente presenti nel percorso in salita.
    Niente separerebbe noi stessi da noi stessi se con noi stessi avessimo fatto Pace e avessimo trovato Unità e Armonia.
    Sapremmo molto bene dove siamo diretti, cosa vogliamo, dove cercare, e soprattutto trovare!, ciò che vogliamo.

  47. ciao simone, non mi ero mai accorta di quanto fosse bella e suggestiva la parola provocazione…Le tue parole hanno provocato una certa inquietudine e dunque provo a dire. Ho una certa simpatia per l’Altrove. Mi sembra ci sia o ci possa essere una stretta parentela tra l’altrove e la possibilità stessa di desiderare. Forse il motore di tutto è proprio la non coincidenza tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra il mondo che abitiamo e quello che vorremmo abitare. Saremmo spinti ad intraprendere un qualunque viaggio se non bruciasse dentro l’urgenza di colmare quella distanza che separa noi stessi da noi stessi, da ciò che possiamo essere? Si tratta poi di una distanza colmabile? Per me l’Altrove è terra di confine, terra aspra e dolcissima. I giorni buttati sono quelli senza occhi e senza orecchie, e di giorni così ce ne possono essere molti anche nell’approdo… Nel tuo video, incantevole luce! Buon inizio di anno.

  48. perchè Mario, Luca, Francesca e Mirko sanno di fare parte di una collettività inserità in una società che non funziona ma sono costretti a usufruire di questa società (ospedali, scuole, poste, internet, strade, porti e aeroporti) e si sentono il dovere di contribuire a dei servizi di cui usufruiscono (scadenti, ma questi hanno) con il loro contributo lavorativo affinchè la società di cui sono parte e di cui usufruiscono (!) possa anche e magari cambiare con il loro esempio di persone corrette, professionali e integerrime. Nel frattempo sognano, realizzano piccoli scampoli di sogno, si dedicano alle loro passioni ma con la coscienza pulita di aver svolto il loro dovere per contribuire bene ad una realtà di cui volenti o nolenti fanno parte e usufruiscono.

    • non condivido quello che dici federica. questa “collettività”, come tu la chiami, segue regole diverse, che vengono sostenute spesso in modo ignaro. Ciao!

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