ll cieco, la nebbia e il galeone di cenere

La nebbia si dirada e appare il Ponte di Verrazzano. Dopo 3.000 miglia, diciotto giorni, eravamo arrivati a Manhattan

 

Un mio amico ha da poco conosciuto una ragazza che l’ha preso allo stomaco, l’ha colpito. Lei però a tratti c’è, a tratti è evasiva, tra presenza e assenza. Lui non sa che fare. L’altro giorno le ha risposto male. Lei si è irrigidita. “Io voglio conoscerla, capirla, per constatare, vedere se questa storia deve andare avanti! Ma come faccio se lei c’è e non c’è?!”. “Ma tu la stai già conoscendo. Datti (e dalle) tempo. Ma nel frattempo vivi”.

Cerco di spiegare al mio amico che non è lei il problema, che tutto dipende da lui. Può fare due cose: prendere quello che c’è e godersi le sensazioni che ne nascono, osservandola, facendo cose belle che a lui, comunque, piace fare. Poi deciderà se le va a genio; oppure aspettarsi cose, pretenderle, volerle tanto da starci male se non arrivano. Nel primo caso è sereno, dentro, come persona. Nel secondo ha qualcosa che urge, che lo costringe a reagire. La differenza tra il bisogno e il desiderio.

Oltre tutto, questo comunica a lei due sensazioni diametralmente opposte: nel primo caso percepirà la sua serenità, sicurezza, non proverà onnipotenza né possibilità di influire troppo sul suo tempo, sui suoi stati d’animo e sulla sua vita; nel secondo, totale controllo, potere vero, tanto da avere lei le redini del rapporto e avere voglia di giocare col topo. Il che, nel primo caso, significa che si interesserà a lui, curiosa…, lo cercherà (se gli interessa); nel secondo perderà interesse e fuggirà.

Lei, dunque, non c’entra. Tendiamo sempre a dire “è perché lei ha fatto… ha detto…”. Ma non è quella ragazza il punto. “Niente di quello che viene da fuori ci può intossicare” scriveva Matteo, l’evangelista. Io sono ateo, ma quella frase è molto vera.

Ho ripensato a questo ieri, mentre facevo i bagagli. Mi imbarco per molti mesi, troppi. La primavera sta esplodendo, il Fienile dell’Anima è un paradiso. Vorrei restare qui, godermi la quiete, avere programmi più avanti, non adesso. Ma non ci sono riuscito. Il mio entusiasmo, la passione per il mare, il nuovo progetto di Mediterranea, mi hanno travolto. Il mio stato emotivo in perenne condizione entusiastica mi ha giocato un brutto tiro. Non sono stato in equilibrio. E ora ne pago il prezzo. Sarà bellissimo navigare, portare avanti il progetto, ma il prezzo è alto, forse troppo. E il problema è tutto dentro di me. Inutile prendersela con qualcuno. E’ deciso, a settembre mi organizzo bene, cambio vita.

Ieri sera guardavo in TV la gente che inveiva in Piazza Montecitorio. Mi sembrava una scena surreale. Tra quelle immagini, il mio amico innamorato e il mio disagio per la partenza mi è tornato in mente un passaggio di “Dove sono gli uomini?”, il mio ultimo libro, dove cerco di affrontare questo aspetto, che riguarda soprattutto gli uomini, maschi ed eterosessuali, tra 30 e 50 anni, di questa generazione.

Vivere di sé (che come diceva Epicuro “ha come premio la libertà”), consapevolmente, non è semplice. Ma è lì la rotta. E’ lì la soluzione. Il punto è dentro, mai fuori. Quando urliamo qualcosa non a noi stessi siamo come un cieco che scruta nella nebbia un galeone di cenere (Stojan Decu). Noi siamo i comandanti della nostra anima (N. Mandela), noi abbiamo la mano sulla barra del timone. Dimenticarlo fa brutti scherzi. In amore, nella politica… Nella vita.

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55 pensieri su “ll cieco, la nebbia e il galeone di cenere

  1. @ marica. non ho ben capito a quale bisogno fai riferimento, ma forse non serve. sono assolutamente d’accordo sul fatto che negare i propri bisogni genera disastri. e secondo me, proprio perché sai che i tuoi bisogni devono convivere con quelli degli altri (parli giustamente di rispetto e di libertà) ecco a me sembra che il tuo logos funziona e funziona proprio nella direzione che anche simone suggeriva, una direzione di ricerca di armonia e di attenzione…di dialogo tra le nostre molteplici anime…

    comunque beata te che sei sempre riuscita a tornare a casa. io no.
    seguire le emozioni (seguirle come una cieca e una sorda…) mi ha fatto capire che non partivo da una casa, ma partivo da un non luogo e quando è così le cose non funzionano proprio bene.

  2. e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca… io questo l’ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro… le sue piccole biglie infrangibili… e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo… sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino… ci si vede dentro tanta di quella roba… è una cosa che ti mette l’allegria addosso… non smettere mai… e se un giorno scoppieranno anche quelle sarà vita, a modo suo… meravigliosa vita.

  3. Il mare insegna la vita. Grazie al mare ho conosciuto la filosofia. Simone, è bello come insegni il mare e la vita, spero un giorno di diventare anch’io un marinaio…
    In bocca al lupo per il viaggio.

    Salvatore

  4. @Antonella io non sono prof, faccio il prof (ma in classe) 😉 Cmq…mi infastidiscono le ricette universali…tutto qui..altro che libertà di pensiero…quella non ce la leva nessuno …

  5. il controllo conduce al “determinismo”, cioè già sai quale sarà la strada (infatti tieni il volante..) mentre vivere le proprie emozioni significa aprire, accettare l’indeterminismo (qualche volta negativo ma quando è positivo è tutt’altra cosa)

    la vita biologica è indeterminismo, “non equilibrio”…. le altre forme di pseudo controllo sono di natura culturale

  6. @fabio
    “qualcuno” voleva solo dire che che magari entrambe le visioni appartenevano all’amore, solo in fasi diverse…ma se al prof. sembra “fuori tema”…e dai Fabio! esiste ancora la libertà di parola e magari anche di dire cavolate qualche volta…?

  7. Ciao Paola, leggendo il tuo commento (24.04) mi sono riconosciuta in te e, ironia della sorte, anch’io porto il nome Paola! Che dici, sarà un destino delle persone che hanno questo nome?
    Continuiamo nella nostra vita con il cuore aperto alla luce che sorprendentemente ci risveglia ogni mattino. Un abbraccio!
    p.s. ma scrivete tutti così tanto!! incredibile!
    Sarà che io amo i pensieri brevi. Comunque, grazie a tutti.

  8. quello che scrivete è fantastico!complimenti a tutti.
    vorrei suggerirvi di spostare gli esempi su relazioni umane,ok la tromba….la bici..la macchina..ecc..ec..
    credo che calzi molto e rimetta tutti più d’accordo l’esempio del rapporto tantrico,che una coppia condivide.
    non serve chiedere una cosa qualsiasi all’altro solo per capire se ci stà ascoltando,ci si guarda e il corpo già parla,e con l’aiuto di una mente ben preparata e sempre pronta a nuovi stimoli si vive ogni giorno un’evoluzione.
    ovviamente oggi in questa vita sacrificata sull’altare del dio denaro,andare alla ricerca del nostro essere e condividere questa ricerca è tutt’altra cosa….
    giusi: bella quella del cervo,una risata prima della mazzata finale.
    saluti a tutti
    morris

  9. Ciao Carlotta, sì, mi è capitato, ma ho sempre ritrovato la strada di casa. E ne è sempre valsa la pena.

    Quello che volevo dire è che io quel bisogno ce l’ho. L’ho accettato perché so che negarlo non mi aiuterebbe affatto. Così come si capiscono e si accettano i propri limiti. Cambiarne la natura non mi serve. Dire che non ci dev’essere neppure. Controllarlo men che meno.

    C’è e va bene. Mi basta conoscerlo e capirlo. Mi basta sapere che deve fare i conti con il bisogno di me stessa e con quello degli altri, Mi basta sapere che deve andare a braccetto con il rispetto di me stessa e degli altri.

    Ci sono i rischi, certo ma anche infiniti vantaggi in questo. In più ho l’impressione di essere, in questo modo, sincera con me stessa e di aver imparato a conoscermi meglio, di sentirmi più libera.

    Non è sempre detto che si debba condividere e manifestare. Spesso è qualcosa da risolvere con noi stessi e all’interno di noi stessi.
    Però c’è. Esiste.
    Naturalmente parlo per me.

    Che l’affettività umana sia materia complessa e che ci si debba lavorare su sono d’accordo con te. Ma poi forse ognuno lo fa a modo suo.

  10. simone,
    in siciliano c’è un detto “nun ti ittari cu tuttu u sceccu” – non ti lanciare con tutto l’asino – ecco certo un minimo di controllo di sè per non trovarsi con le ossa fracassate dopo due ore mi pare sano. Però, distinguendo la fase iniziale altamente emotiva e irrazionale dalla fase dell’amore maturo (ma qui non stiamo parlando di questo, per rispondere alla precisazione di qualcuno), nella fase iniziale pur evitando l’autolesionismo io credo che abortire totalmente l’impulso di urlare ciò che si sta provando non sia bello. E anche io la fase adolescenziale di “mi ittai cu tuttu u sceccu” l’ho superata a furia di graffi, schiaffi ricevuti dalla vita ma non per questo dico che il pathos(posso tradurlo anche emozione) è nullo senza controllo. Torno a dire che il consiglio dato al tuo amico è sano, avrei detto la stessa cosa se so che lui è una persona “ca si ietta cu tuttu u sceccu” però non direi che questa sia la ricetta universale per godere della propria emotività, perchè come ben dice marica in bici ci salgo lo stesso anche se posso farmi male. Una volta, avevo 15 anni, in crociera mi trovavo spesso a fare da salpaancora umano e sai che tirarsi su 40 metri di catena a mano..con anche solo 20 nodi di vento è pesante per un ragazzino e mi trovavo con le mani gonfie e piene di taglietti e allora non è che mi sono messo a piangere e ho detto…basta papà tiratela tu l’ancora e non rompere le palle…ho detto ‘papà ma senti se trovassi dei guanti da giardiniere quelli spessi forse eviterei di farmi male’ e così girando nei negozietti di non ricordo quale isola trovammo dei guanti adatti e io mi sono divertito lo stesso a tirar su l’ancora..che mi piaceva tanto. Non so se tutti colgono l’analogia che io ci trovo in questo piccolo aneddoto ma penso che è una questione di dosi… non c’è la ricetta universale per risolvere l’antichissimo problema del dualismo logos-pathos.

  11. ciao marica. vivere vuol dire morire, sicuramente. e anche se per qualche motivo qualcuno decidesse di non salire sulla bicicletta, magari – facendo qualche passo a piedi – le ginocchia se le sbuccerebbe lo stesso, cadendo. perché vivere è “inevitabile” e come hai scritto tu nessuno può proteggersi dal dolore in tutte le forme in cui questo può presentarsi (la perdita, il limite, ……)

    ma io credo che nessuno qui pensi che le emozioni debbano essere controllate e scandagliate per un meccanismo difensivo preventivo.

    l’affettività umana può essere – e spesso è – un gran casino. nel senso che è materia complessa, magmatica. nessuno di noi è esentato secondo me dal tentativo di lavorarci un po’ su, di interrogare i moti dell’anima.

    non ti è mai capitato di ritrovarti lontana da te stessa inseguendo l’onda accelerata delle tue emozioni?
    paradossale no?

    a me è capitato. diverse volte.

    le emozioni spingono per definizione al di fuori di noi stessi. ma ha ragione simone quando dice che bisogna essere “forti” per incamminarsi in quello spazio, bisogna avere degli strumenti per vivere l’incertezza che precede un nuovo equilibrio.

    usare quegli strumenti poi non vuol dire essere controllati, non vuol dire vivere di meno, sentire di meno.
    forse vuol dire aggiungere alla capacità di sentire anche la capacità di scegliere.

  12. Cercavo, tra i molti pensieri,
    un esempio calzante,
    un’immagine adatta a disegnare un percorso,
    un tracciato, una strada maestra su cui convogliare
    tutte queste emozioni.
    Ambizioso. E l’immagine,
    sarebbe un letto di fiume, dai mille affluenti.

    Però ritorna, insistente,
    l’immagine di una campagna pubblicitaria,
    si, una cosa moderna, dei nostri tempi,
    quella della prevenzione contro l’HIV.
    Un’immagine scomoda.
    Chissà quante volte ne abbiamo distolto lo sguardo infastiditi.
    Però, pensandoci:
    quanto è importante che quel sottile alone rosa,
    diventi uno scudo impenetrabile?
    Quanto è importante che ci sia, lo scudo, impenetrabile, seppur sottile,
    seppur trasparente, tra noi e l’altro?
    Chiediamoci se è necessario. Chiediamoci: quanto conta?
    e ancora, la sua presenza, ci impedirebbe forse di lasciarci andare?
    ci impedirebbe forse di amare?
    E se decidessimo di amare, il nostro amore, così, sarebbe meno potente?
    Sarebbe meno vero?
    O invece, così, il nostro amore sarebbe più vero?
    Amare con più consapevolezza
    non sarebbe un amore più elevato? Più evoluto?
    Cioè, mi chiedo, senza ragione come possiamo amare, amare davvero?
    Nessuna strategia.
    Nell’ alta fedeltà (cioè Hi Fi) se non si schermano adeguatamente
    i componenti si ottiene un suono irrimediabilmente sporco.
    Senza ragione, amiamo o partecipiamo piuttosto ai combattimenti della stagione degli amori?
    E’ solo un’immagine, per intenderci,
    ma cosa vogliamo fare?
    vogliamo vivere un’eterna stagione degli amori?
    Non è passato quel tempo?
    Io non vorrei essere scelta perché ho un buon odore.
    Non sono un cervo!
    Di buoni odori è pieno il mondo!
    Vorrei essere scelta dopo una selezione, dopo un ragionamento.
    Non scegliamo forse il cibo di cui nutrirci?
    O ci ingozziamo di tutto, purché commestibile?
    Purché il cibo sazi le nostre voglie?
    Mangiamo Signori … o GUSTIAMO?
    Ma no, certo che non dobbiamo farci l’assicurazione sull’amore,
    e certo che tutti facciamo pazzie per amore…
    Ma se vogliamo cimentarci nel bungge jumping non ci leghiamo forse ad una corda elastica?
    Non è la corda che ci permette di godere del lancio?
    Potremmo mai farlo senza?
    Certo, potremmo, ma non avremmo neanche ferite da leccare, dopo:
    sai che soddisfazione bearci per essere stati così stupidamente impavidi!
    Ma quale Illuminismo,! Piuttosto, neanche il Medioevo è ancora superato…
    …era Antica, era Volgare, Medioevo, età Moderna, età Contemporanea…
    ma COME ci siamo arrivati?
    Ma si, ma che l’uomo si ESTINGUA pure!
    forse abbiamo davvero bisogno di questo per migliorarsi, per elevarci.
    Chissà forse, una nuova umanità raggiungerà l’illuminazione.
    Noi certo, non ci siamo neanche avvicinati.

    Gli uccelli migratori fanno un volo di passo per raggiungere il luogo di svernamento,
    e un volo di ripasso per tornare lì da dove dono partiti.
    Seguono sempre la stessa rotta, ma dirottano, se c’è un imprevisto.
    Non vanno volutamente a distruggersi. Ragionano.
    Ecco,… forse abbiamo bisogno di un volo di ripasso,
    Per capire. Per imparare. Finalmente.
    Ed ecco perché bisogna ripartire.
    “…un’altra volta?!”
    Si, un’altra volta.
    Sempre.

  13. Ciao Simone e ciao a tutti. Leggendo queste mail sono rimasta colpita dal tema della dipendenza da altri. Vorrei spiegarmi. Io parlo di amicizia. Che, da sempre, ho elemosinato. Mi sono sempre sentita molto sola, ho sempre cercato di “piacere agli altri”. Fino a che mi sono resa conto di essere ridicola. Per compiacere gli altri dimenticavo di essere me stessa. E sto cominciando ad “uscire da questa spirale”. Per il momento mi sento ancora più sola, ma ho deciso, per la prima volta nella mia vita, di cominciare a vivere la mia vita indipendente da tutti. Di cominciare a vivere, molto semplicemente. Non è per niente facile e, per il momento, sono molto sola. Vedremo. Intanto leggere di persone che la pensano come me mi scalda il cuore. Spero di non essere stata inopportuna.

  14. Essere naturali e non negare i nostri bisogni non significa farsi sfondare dalla vita, Simone. Né considero la sofferenza inevitabile. Significa semplicemente accettare come siamo. Non siamo fatti di solo controllo ma anche di altro. E se devo sottoporre a vaglio tutte le mie emozioni perché c’è sempre il rischio di farsi male, beh allora non voglio farlo.

    Non ho alcuna adorazione del dolore inutile, vano e che porta a sprechi di energie dannosi o fatali.

    Dico solo che vivere comporta il rischio di morire e tra scegliere di non salire sulla bicicletta e il rischio di sbucciarmi le ginocchia scelgo le ginocchia sbucciate.
    Nelle strategie nei sentimenti non ci credo. Non ci ho mai creduto e non ne sarei neppure capace.

    Sul vivere la propria vita, certo, sono d’accordo. Senza smanie, ricerche, richieste ossessive o aspettative non realistiche. Ma perché è giusto essere e sentirsi liberi. E’ la condizione necessaria per me per amare e essere amati. Non si può amare che in modo libero per me.

    Ma da questo a negare che ho anche bisogno oltre che desiderio della persona che amo, ce ne passa.

    Piuttosto la difficoltà è quella di affrontare il dolore, di qualsiasi natura. E di volerlo eliminare, sopprimere, negare in ogni modo. Anche in modo preventivo. Il punto è che, invece, le sconfitte si possono superare, i limiti si possono accettare, il dolore può passare, una donna o un uomo che ci piace può non sentire la stessa cosa che sentiamo noi.

    Si impara, ci si conosce a fondo, si cresce.

  15. uno scambio bellissimo che innesca mille pensieri, emozioni…

    ho trovato eccezionale la storia del marinaio coraggioso e del marinaio vero. sono d’accordo che con la burrasca non si esce.
    chi ha conosciuto la furia degli elementi può capire perché – e a quale prezzo – si arriva a scegliere di restare seduti al bar del porto quando all’orizzonte si profila una tempesta. Questa scelta non esprime necessariamente un bisogno mortifero di protezione o di controllo; non è un atto contro la vita o contrario all’emozione e all’amore. Anzi.

    Simone, ho riconosciuto moltissimo nelle tue parole della mia esperienza. La dicotomia razionalità e irrazionalità, pathos e logos ha condizionato fortemente la mia vita.

    L’emozione in sé non è giusta né sbagliata. E’ il segno tangibile della nostra natura sensibile. L’emozione letteralmente è un muoversi fuori, muoversi verso qualcosa o qualcuno.
    Ogni volta che l’emozione è fiorita improvvisamente dentro di me, ho salutato questo evento come qualcosa di davvero prezioso. Mi sento toccata da un miracolo quando succede. Ma ho anche imparato che nonostante sia naturale il desiderio di andare verso l’oggetto che ha suscitato la mia emozione, tuttavia non è così scontato che io poi debba decidere di farlo. Perché andare verso – veramente – implica molto altro (se con l’emozione poi ci vuoi costruire qualcosa).

    [… mille altre cose ma ora non riesco…]
    ciao.

  16. Ho come l’impressione che facciate riferimento a fasi diverse di una relazione: l’innamoramento che è spesso furioso, ormonale e incontrollato (ma a detta della scienza non dura più di tre anni…) e l’amore adulto, maturo che è quello che viene dopo(se la storia resiste…) attraverso la passione certamente, ma anche la costruzione razionale, la condivisione di interessi ed obiettivi di vita, l’esserci per l’altro, il progettare assieme ecc. ecc. Credo che le emozioni non si spengono quando affievolisce il “pathos” iniziale, ma acquistano profondità, stabilità, intensità. Questo, nella mia esperienza, è l’amore che dura, quello che dà equilibrio alla vita e non la trascina a fondo. Le follie d’amore le abbiamo fatte tutti, ma una storia vera, duratura non è quella che ti incide le carni, ma quella che ti dà felicità…chi l’ha detto che bisogna soffrire per forza se no non è amore? Un concetto un pò masochista…

  17. Certo, un individuo che ama solo, che si abbandona alle emozioni senza evolvere, senza imparare a fondere un aspetto con l’altro, non è un individuo e fa anche un po’ pena. Se per abbandonarmi alle emozioni ho bisogno letteralmente di lasciarmi andare come un fesso, allora non ho imparato niente, rifarò gli stessi errori, vivrò le emozioni allo stesso modo in cui le ho vissute la prima volta.
    Un pupazzo, un ingenuo, un fesso in balia delle emozioni…
    Se invece fondo alle emozioni l’esperienza, la razionalità, le aspirazioni, se sono memore di ciò che ho imparato in passato, il vissuto si arricchisce, si modifica, si accresce.
    Altro che frenarsi dalle emozioni. Per riprendere un po’ il paragone che fa Simone sulla guida: vi pare che un pilota di Formula 1 non si emozioni alla guida? Crediamo che sia un freddo calcolatore?
    Anche Schumacher, considerato da tutti come un computer tedesco freddo e fortissimo, sarò strano ma l’ho sempre visto come un uomo sensibile, sognatore, con un ego molto forte e una capacità immensa di gestire le proprie emozioni. Vivendole e ottenendo da esse il massimo.

  18. @fabio
    Il jazz (ma l’arte in generale) senza esibizione (che significa condivisione) non e` nulla.
    Ma in ogni caso te lo immagini Buddy Bolden la prima volta che ha preso una tromba in mano? Faceva gia` jazz?
    Pare che stiamo andando un po’ fuori tema ma in ogni caso la metafora per me e` ancora valida, serve equilibrio: le giuste dosi di emotivita` e consapevolezza.

  19. ma il pathos …cosa è? quello fatto con la pasta d’olive? simone ma tu in vita tua, hai per caso mai fatto pazzie per amore? hai mai sacrificato qualcosa di te per amore, perchè lo ritenevi inevitabile, forte, ovvio, necessario, non doloroso ma anzi piacevole? sentendoti poi in estasi perchè hai Dato a chi ami (anche se non necessariamente ricambiato)? sai….è bello, è umano.

    • Fabio, il pathos (paschein) è la sofferenza. Controlla l’animo umano insieme al suo antipode, l’eterno rivale: il logos, la razionalità. Irrazionale e razionale, i due ingredienti.

      Io non sto sostenendo, contrariamente ad alcuni, che il pathos non sia elemento fondante, necessario, meraviglioso. Sto dicendo che il “solo pathos”, che tanto affascina alcuni (tanto da invocare la sua preminenza sul logos, il controllo, la razionalità, la consapevolezza), è condizione parziale, limitata, che non conduce affatto alle forti emozioni, anzi, le limita. proprio perché le emozioni vere, profonde, universali scaturiscono dall’equilibrio e dall’armonia. Non è schiacciando l’acceleratore a tavoletta che ci si emoziona guidando. Servono volante, marce, dosaggio di tutto, uso congiunto di freno e acceleratore etc.

      Il problema qui è culturale: un uomo in equilibrio, nella vulgata, è un uomo serafico, quasi assente, che non eccede, che sta lì quasi sospeso, imperturbabile. Ma l’equilibrio è tutt’altro: è potersi consentire l’eccesso, lo sbilanciamento, senza andargli sotto, senza diventarne vittima, ma stando in groppa al toro scatenato, divertendosi come pazzi della sua folle corsa. Lo stesso dicasi per armonia, che viene presa come una sorta di limbo, di sorrisino sempre presente sul viso di un quasi ebete, di pace dei sensi. Un uomo armonico, invece, letteralmente, sa appunto armonizzare, cioè far coesistere a pari dignità gli opposti, senza dimenticare alcuno degli ingredienti della propria vita. Dunque vivendola appieno.

      Ma queste condizioni, questi stati, non godono di buona stampa nella nostra cultura. Noi siamo melodrammatici, pseudo romantici, inclini all’eccesso che poi ti sodomizza con le sue conseguenze (che farà soffrire, ma quanto è bello!), ci commuoviamo di fronte al gesto autolesionista se originato da cose intoccabili, sacre, come l’amore e l’amicizia. A noi l’idea della sofferenza per amore ci è cara, la accudiamo, la consideriamo inevitabile. Anche il bisogno, ma sì, ma che problema abbiamo col bisogno? il bisogno è umano, è naturale! Ma siamo naturali, facciamoci sfondare dalla vita, senza paura!

      Questa cosa che ci sia un pathos che è umano e un logos che è da marziani la dice lunga sulla nostra cultura, che non è mai stata neppure temporaneamente illuminista, che ha in spregio la ragione, che contempla solo il cuore. E infatti si vede che bella gente che siamo…

      Quanto alla tua domanda, consentimi, un po’ poco interessante, cosa vuoi che ti risponda? Che non so cosa sia l’amore, che non ho mai dato niente per amore, che non sono mai stato umano? Ti rispondo lo stesso: certo che sì. Ma non mi vanto di quando sono stato improvvido, di quando ho tirato delle facciate contro il muro che avrei potuto evitare. Soprattutto che non valuto l’uomo di quei giorni, che oggi grazie al cielo non sono più, come un essere più “naturale”, migliore, più generoso. La capacità di esserci davvero, di dare davvero, di promettere, di offrire emozioni è venuta quando ho smesso di essere un furibondo adolescente che amava tutto incondizionatamente e percepiva lo struggimento dell’universo come proprio del suo cuore eroico. Anche perché quelle erano tutte delle enormi cazzate. La verità era solo che per sentirmi vivo, uomo (come tutti gli imberbi della vita) dovevo soffrire, percepivo della sofferenza il valore sacralizzante, avevo necessità di vedermi solo, santo, eroico contro la vita, non con la vita.

      Le emozioni migliori, più profonde, capaci di spingersi nei territori più inconfessati dell’amore, del sesso, del piacere, della sintonia con una donna o con un amico, le ho iniziate a vivere quando ho iniziato a imparare che avevo degli strumenti, mentre me ne mancavano altri, o quando ho compreso in cosa ero assente, in cosa non sapevo dare, e in cosa invece avevo molte ricchezze da mettere in gioco. Quando, soprattutto, ho capito quale carico emotivo potevo reggere, fino a che punto, e quale mi avrebbe distrutto. In sintesi: quando pathos e logos dentro di me si sono conosciuti, parlati, hanno cominciato a lavorare insieme, invece che uno contro l’altro.

  20. @marco non ho parlato di apprendimento teorico, ma le origini (origini dico) del jazz non sono legate a nessuna forma di studio ed esercizio propedeutico all’esibizione …proprio no.

    e non ho nemmeno sostenuto che fossero talenti naturali per rispondere a simone che risponde ad una mia frase di sponda usufruendo dell’osservazione di un altro.

    “…
    Viviamo come riteniamo di dover vivere e “verifichiamo se questo interseca (e come) la sua via”
    …”

    TEORICAMENTE È UN PRINCIPIO FAVOLOSO, peccato che se tutti facessero esclusivamente così non esisterebbe il dialogo ma mera comunicazione di servizio tra due individui. Se per te questo è la base di un sano rapporto di coppia saremmo già estinti, probabilmente.

  21. Simone,

    quello che tu scrivi è molto vero e molto bello….ma il famoso detto “tra il dire e il fare…” qui ci sta tutto. Spesso veniamo travolti dall’amore, da una passione (anche te hai parlato della tua mediterranea e della difficoltà di ritrovare l’equilibrio). Purtroppo anche a me è capitato di andare dietro a donne che si concedevano a intermittenza mentre io ardevo per loro…è sbagliato lo so e con il tempo ho imparato molto dalle ferite ma è anche vero che la passione spesso annebbia la vista e qualche sana follia male non fa. Nonostante tutto “Niente di quello che viene da fuori ci può intossicare” è tremendamente vero….

    Grazie comunque sempre per quello che scrivi che continuo a seguire con molto interesse.
    Mauro

  22. “Lei farà quel che deve. Ma noi sappiamo cosa dobbiamo fare?”.

    Immagino di sì. Se io fossi il tuo amico vorrei vederla, toccarla, amarla. Ma così credo che la domanda sia mal posta. Parliamo di una relazione, non si può sapere cosa fare indipendentemente dall’altro, altrimenti diventa una masturbazione.

    • Francesco, e’ su questo che non concordo. Noi non facciamo qualcosa “perche’ c’e’ lei”. Viviamo come riteniamo di dover vivere e “verifichiamo se questo interseca (e come) la sua via”. Capisci la differenza? Proprio perche’ questo mio amico e’ cosi’ preso deve fare la sua vita e verificare se, quanto, quando, dove, come la sua vita incontra la vita VERA di questa ragazza. Modi per far funzionare le cose artificialmente ne potrei consigliare tanti. Ma a che servirebbe?

  23. Condivido in pieno l’intervento di fabio (23/04/2013 at 13:30). Bisogna cercare la giusta misura e se due persone sono interessate l’una all’altra faranno di tutto per trovare un punto d’incontro.

    • Francesco, detta così sembra una mediazione immobiliare… Ora non riesco che devo uscire. Ma poi ti rispondo. Solo una suggestione: occupiamoci di noi, non dell’altra persona. Lei farà quel che deve. Ma noi, sappiamo cosa dobbiamo fare?

  24. @fabio

    studio non significa solo apprendimento della teoria, significa anche esercizio, e sono convinto che i pionieri del jazz, prima di esibirsi, di esercizio ne abbiano fatto parecchio…

    • @marco è così affascinante pensare che fossero dei talenti naturali! gente tutta cuore e speranze che ha preso lo strumento in mano e ha inventato un genere! Perché vuoi contrastare la splendida illusione del talento puro, tutto ispirazione! Se sostieni che hanno studiato, che hanno fatto fatica, che si sono impegnati con volontà (che schifo!) tenacia (anche peggio!) che hanno buttato via molte delle cose che partorivano (ma come, e la spontaneità?!) finisce che diventano gente comune, lavoratori che hanno sudato sangue! E noi abbiamo così bisogno di eroi…

  25. E lo sapevo che sarebbe andata così… Parlare di emozioni introducendo ANCHE elementi di controllo, di consapevolezza, di razionalità genera sempre riprovazione.

    Siamo il paese in cui l’illuminismo non è mai arrivato, e il Candido di Voltaire non viene letto né amato. Siamo il Paese dell’eterna dicotomia tra ragione e sentimento, in cui è difficilissimo parlare di maturità come sintesi tra queste due sfere imprescindibili.

    Non so se riesco qui a rispondere, certo ho milioni di cose da dire sulle vostre risposte. Probabilmente ne scriverò in modo esteso, su un post. Questo tema è centrale per noi come individui, per noi come cultura.

    Mi limito ora a una semplice nota. Marica scrive che vede sempre e solo “gente che ha paura di amare, di esprimersi, sempre col freno a mano tirato, gente che non vuole rischiare, infelice, triste”. APPUNTO! Questa gente è tutto fuorché in grado di vivere in armonia ragione e sentimento, semmai è gente sotto schiaffo della paura, come tu dici, che è un sentimento irrazionale, primigenio, istintivo. E’ PROPRIO QUELLA PAURA che va combattuta, e la medicina NON E’ lasciarsi andare. Quella paura è proprio il risultato del fatto che si lascia andare, che ha una macchina lanciata a cento all’ora senza freni, che non tiene in mano il volante, che non introduce controllo, dosaggio. Chi guida meglio chi schiaccia l’acceleratore e basta senza tenere in mano il volante o chi guida alternando acceleratore, freno, chi sterza, chi prende diversamente le diverse curve della strada?

    E’ la sindrome di James Dean, è il culto dei Maradona, genio e sregolatezza, è la religione dei Basquiat. Io sono sempre stato per i James Stewart, i Van Basten, i Picasso, cioè gente che al genio e all’emozione collegava vita, progetto, volontà e anche controllo. Gente che se ti diceva “ti amo” non valeva solo in quel momento, valeva per tanto, potenzialmente tantissimo. gente che se ti diceva “ci sono” c’era sempre, non solo quando riusciva a vincere la paura.

    In italiano non c’è una parola molto importante: accountability, che è un misto di affidabilità, possibilità di contare su una persona, garanzia di impegno, presenza, consistenza. Io non credo a niente che non sia condito di queste cose, che non abbia sostanza dietro, che non valga solo per questo istante. L’emozione vera non è prima di questi elementi, è dopo. Le cose non sono di chi dice di tendere all’arcobaleno, ma di chi ti dice che andrà over the raimbow, che ci riesca o no poco importa. Ma VUOLE andarci, con tutte le sue forze. Si predispone al viaggio e nello zaino mette tutto il cuore che ha, e tutta la mente di cui dispone.

    ma ripeto, è tema immenso questo. La nostra cultura è troppo figlia della metafisica e del cattolicesimo, scusate se lo dico. Abbiamo tanto bisogno di mettere le mani sul volante. Ma tanto. E questo significa accelerare, andare più forte, emozionarsi ancor di più nella guida, non certo rallentare o annoiarsi o privarsi delle emozioni. Schiantarsi mentre stai godendo della guida è bello solo sulla carta, nei romanzi.

  26. Hai ragione Simone, la rotta deve essere il più possibile “vivere di sé”. Ma come scrive Nicola, specie nei rapporti sentimentali, non credi ci sia qualcosa di più da prendere in considerazione? Mi riferisco al concetto di legame. Quel cordone di emozioni, sensazioni, belle e brutte, che si crea quando instauriamo una relazione con qualcuno. Senza legame non è possibile alcun rapporto. Del resto la comunicazione non può essere a senso unico: ogni significato che si scambia è strettamente legato a quello comunicatoci precedentemente dall’altro e così via.

    Insomma, per quanto sia necessario ridimensionarsi e tenere i piedi per terra è umano e credo naturale che si creino delle aspettative. In mancanza di esse, si perde il sogno e senza il sogno si perde quella marcia in più, quella scintilla che rende vivo un rapporto, si rischia di cadere nell’apatia. Per dirla come il Piccolo Principe (Saint-Exupéry), “è il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.

    Ripeto, la comunicazione non può essere a senso unico. Qualcuno ricorderà il paradosso della tolleranza di Carl Popper: la tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.

    E veniamo al dunque, tu suggerisci di “prendere quello che c’è e godersi le sensazioni che ne nascono”. Ma a giudicare dalla posizione del tuo amico, non tutte le sensazioni che nascono in questo caso sono belle. Anzi, mi sembra che la ragazza in questione comunichi freddezza, a volte indifferenza. Può essere questo il presupposto per un rapporto di qualunque genere? Stando al ragionamento precedente, può il tuo amico agire in totale indifferenza rispetto a questo messaggio? Dove sarebbe allora la differenza tra questa persona e una persona che invece comunica il proprio interesse e la propria voglia di esserci?

    Tu dici “vivere di sé”. Ma “Amore” significa incontrarsi a metà strada, andare oltre i confini di se stessi. Se non si rischia questo non si ha nulla in cambio. Forse è uno dei pochi casi in cui il “punto” non può essere dentro di noi. Ogni volta che ci si mette in gioco bisogna andare oltre se stessi. E’ lo stesso concetto di viaggio. Ogni volta che si segue una rotta senza conoscere bene la destinazione (in questo caso l’altro) si fa un salto nel buio, si rischia di perdersi. Se avesse ragione Platone (il mito delle due metà), la posta in gioco potrebbe essere trovare nell’altro la pienezza di sé, il proprio completamento, la propria parte mancante. Insomma, siamo sicuri che all’uomo basti davvero “vivere di sé”?

  27. “Per suonare bene non basta l’esprit. Serve studio. ”

    dovremmo dirlo in faccia ai pionieri del jazz…a voglia che studio che ci avevano fatto…anni e anni di studio.

    per emozionarsi, anzi per Emozionarsi, bisogna staccare un po’ del proprio controllo…altrimenti è solo un virtuosismo, una tecnica, una ginnastica. correndo il rischio di farsi male, di massacrarsi anche ma poi di rialzarsi più ricchi d’animo, altrimenti cosa resta? resta solo un sè pieno, un sè “completo”, un individuo sostanzialmente solo (anche se con molta vita sociale, ben controllata e calcolata), pieno di interessi e progetti realizzati e in corso di realizzazione, ma incapace di rischiare nelle relazioni, incapace di investire se stesso in relazione agli altri. Il, tanto decantato, dialogo del duo uomo-donna, il socializzare i pensieri e le emozioni vale solo se il led è acceso e il checkup della centralina dice ready? ma quando mai: per fortuna!

  28. “Ma per emozionarsi ci vuole tecnica”

    come cadono i grandi(?)…basta una frase di queste e sbang…

    @marica mi ha emozionato quello che hai scritto…è proprio quello che dovremmo ricordarci.

    del discorso di simone mi piaceva molto il concetto del “non dimenticarsi di sè” di curare sempre ciò che ci piace fare e lasciare che le cose accadano senza mostrare solo angoscia e ansia…vero verissimo…ma quanto è bello mostrare ciò che si prova, urlarlo, fare pazzie

    ..la potenza è nulla senza controllo… è una emozione interrupta!

  29. .. per emozionarci non ci vuole tecnica… e nemmeno controllo no.. che emozione è?
    L’emozione è spontanea… non è controllata… e per questo può essere forte e travolgente…
    In alcuni momenti bisogna mollare tutti i controlli e lasciarsi completamente andare…
    Questo non coincide necessariamente con inconsapevolezza.

    Buon viaggio!

  30. Mah Simone…sarà…
    Sarà che a me, proprio in questo periodo, mi sembra di vedere proprio il contrario: gente che ha paura di amare, di esprimersi, sempre col freno a mano tirato, gente che non vuole rischiare, infelice, triste e sempre lì a calcolare attivi e passivi. Gente che sceglie (non so perché in questo periodo ne vedo tanta) di stare “tranquilla”… Proprio di qualche giorno fa la telefonata di un mio carissimo amico che sta rinunciando a qualcosa di bello perché “a conti fatti” non ci sono troppe garanzie e lui vuole “stare bene”. E se poi mi fa stare male?
    Ma che dobbiamo farci l’assicurazione, oltre che sulla macchina, sulla casa, sulla vita, sul cane, sul gatto, sui figli e sul lavoro, pure sull’amore?

    Sempre la paura di farsi male… a me sembra che siamo diventati così impauriti e così fragili…

  31. Per me avere rispetto significa non avere paura dei miei sentimenti, delle mie debolezze, dei miei bisogni. E neanche di quelle degli altri, di quelli che mi sono vicini. A proteggersi da queste cose si rischia di proteggersi dalla vita stessa. E non si vive per paura di soffrire. Si sta sereni. Che è sempre una gran cosa, certo.

    • Non so Marica. La potensa e’ niente senza controllo. La mia idea di uomo e’ quella di uno che sa emozionarsi, vivere davvero, sentire, spendersi, godere, ma col timone in mano. Gente fervida che si e’ schiantata in nome della spontaneita’ e dell’istitnto ne conosco tanta. Vedo molto poco controllo, molte poche mani sul timone, molta poca consapevolezza. E dunque molto dolore, molta fatica, molta insoddisfazione. Emozioniamoci. Ma per emozionarsi ci vuole tecnica, controllo, consapevolezza. Non ci si emoziona lasciandosi andare, facendo “quello che si sente”m e’ una finta spontaneita’ quella. Per suonare bene non basta l’esprit. Serve studio. Serve saper muovere le dita sulla tastiera. Io la vedo cosi’.

  32. “Poi deciderà se le va a genio; oppure “aspettarsi cose, pretenderle, volerle tanto da starci male se non arrivano. Nel primo caso è sereno, dentro, come persona. Nel secondo ha qualcosa che urge, che lo costringe a reagire. La differenza tra il bisogno e il desiderio.”

    Ma cosa c’è di tanto terribile nel bisogno da doverlo negare, sopprimere, emanciparci da lui fino al punto da considerarci prigionieri? Come se la nostra serenità dipendesse solo dalle nostre decisioni razionali: possibilità numero 1, ok, programmo, imposto, eseguo l’operazione. Possibilità numero 2, ok, programmo, eseguo, imposto il delete. Vantaggi: n. 3. Svantaggi: n. 4.
    Noi non siamo computer a valutare sempre e comunque ciò che sarebbe giusto e razionale fare. Ma soprattutto quello che ci farebbe sentire meno dolore e sarebbe meno dannoso per il nostro cuore, magari già abbastanza bistrattato.

    Ma chissenefrega di noi, per una volta, ma lasciamolo andare il nostro cuore incontro alle tempeste, ai temporali, alle siccità terribili, alle alluvioni, alle splendide giornate di sole, ai disastri naturali, ai terremoti.
    Soffrirà? Sarà sconfitto? Qualcuno approfitterà di lui? E allora? ma dobbiamo passare tutto il nostro tempo a proteggerci? E che non si dica mai che io ho bisogno di qualcun altro di cui semmai mi autorizzo a provare solo desiderio? Ma perché? Perché il premio è che mi sentirò serena?

    Ecchissenefrega di essere serena e tranquilla. Io non voglio essere serena e tranquilla se il prezzo è questo.
    Che la persona che desidero faccia pure ciò che vuole finché io faccio ciò che voglio. Che la vita ci trascini pure. Che ci faccia precipitare, ci faccia quello che vuole finché il mio cuore sarà in grado di sopportarlo.
    Non sarà certo la mia decisione razionale di non stare male a non farmi soffrire e a farmi sentire protetta da un rifiuto, dalla lontananza, dalla differenza.

    Io voglio sentirmi libera, detesto le armature, le protezioni, gli antivirus, i paracadute e gli sciroppi contro la tosse.

    E se mi ammalo, confido in Madre Natura, che ci ha dotato di tutto l’occorrente per leccarci le ferite, autoguarirci e poi ripartire più ricchi e più forti di prima.

    • Marica, discorso molto pericoloso il tuo. Non universale. Valido solo per gente molto salda, forte, stabile. Per affrontare le burrasche servono marinai coraggiosi e molto esperti. Anche se in marineria sia dice “il marinaio coraggioso affronta la burrasca. Il vero marinaio guarda il marinaio coraggioso che affronta la burrasca stando seduro al bar del porto”. Con la burrasca non si esce. Non si invoca lo scontro con gli elementi. Bisogna volersi un po’ di bene, e avere rispetto.

  33. Non si nasce liberi, lo si diventa, e non basta nè desiderarlo nè sognarlo, nè avere la sensazione di esserlo, per diventarlo realmente: essere liberi è una conquista continua e precaria che dura tutta una vita…
    …… che la libertà esige parità e reciprocità, che non è raggiungibile senza immaginazione e sogni, che è di natura solitaria e deve fare compromessi con l’amore, che la dote principale di cui ha bisogno è il coraggio: di non fare come gli altri, di non seguire mode, uniformi, ipocrisie e di saper anche, in un’epoca di proclamato individualismo e di reale conformismo, levare la propria voce contro per ricordare il bisogno di amicizia, di tolleranza e di solidarietà.
    da “Bisogno di libertà” di Bjorn Larsson

    Ciao Simone
    Buon vento!
    Patrizia

  34. A Paolo, che scrive “…un’altra volta ?!”
    …un’esclamazione simpatica, in questo contesto.
    Mi ha strappato un sorriso e qualche ricordo dal cuore.

    …un po’ di parole:

    “Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:
    -Non c’è altro da vedere-, sapeva che non era vero.
    La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro.
    Bisogna vedere quello che non si è visto,
    vedere di nuovo quel che si è già visto,
    vedere in primavera quel che si è visto in estate,
    vedere di giorno quel che si è visto di notte,
    con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi,
    il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto,
    l’ombra che non c’era.
    Bisogna tornare sui passi già dati, per ripeterli,
    e per tracciarvi a fianco nuovi cammini.”
    Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.
    (Josè Saramago)

    “Partirò. Perché a un certo punto occorre farlo.
    E sarà tutto fuorché andare lontano. Semmai sarà un avvicinarmi,un restare…”
    (Simone Perotti)

    “..E il gabbiano Jonathan visse il resto dei suoi giorni esule e solo.
    Volò oltre le scogliere Remote, ben oltre.
    Il suo maggiore dolore non era la solitudine,
    era che gli altri gabbiani si rifiutassero di credere e aspirare alla gloria del volo.
    Si rifiutavano di aprire gli occhi per vedere…Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare…”
    (Richard Bach)

    …belle parole.

  35. Sono d’accordo con Nicola Fusco, le aspettative sono naturali ed è giusto averle e anche l’insoddisfazione non va tenuta per sè. Tuttavia bisogna essere capaci anche di aspettare e di rispettare i comportamenti altrui. Giusto esigere, quindi, ma solo dopo essersi messi un po’ alla prova.

  36. Simone,
    mai ho condiviso in modo assoluto le tue parole come oggi.
    Quando si riesce ad avere la consapevolezza di quello che si sta vivendo, quando si impara ad amare se stessi e a rispettare gli altri in tutte le loro sfaccettature, quando non si brama al possesso ma si cerca il confronto continuo, quando non si ha paura di perdere ma la voglia di riconquistare ogni giorno ricominciando da zero, allora si approcciano le relazioni con desiderio e curiosità ma non con il bisogno. E i risultati sono sorprendententi anche per noi stessi.
    Buon vento

  37. molto bella la sintesi di questo consiglio, valido non solo per il tuo amico ma per tutti e per ogni tipo di relazione interpersonale.

    ma c’è un misurino (ognuno ha il suo)…bisogna stare attenti a non far traboccare il liquido.

    comunicare il proprio stato d’animo di gioia nel “fare” ciò che amiamo è altrettanto importante, come lo è anche il piacere di condividere la propria passione verso una “attività” con chi sentiamo empaticamente vicini a noi. ma anche comunicare lo strugimento emotivo dopo lo “scontro” con un individuo fa parte dell’essere umano. tutto sano se dosato bene…

  38. Noi siamo i comandanti della nostra anima! E’ la frase che mi sono scolpita in testa e nel cuore e che mi corrisponde molto, per come sono fatta. Anche a me è accaduta una vicenda come quella del tuo amico e la conclusione della storia è che non è mai incominciata. Il “lui” della situazione, probabilmente, non era mosso dal desiderio. E’ molto difficile trovare persone che si lasciano mettere in movimento dall’energia del desiderio!

  39. Ciao… è quello che mi dico spesso …” vivere la vita” , ” sono viva ” adoro queste frasi ma in questo momento di crisi economica e ancora di più sentimentale gli uomini dimenticano queste frasi!!! Anche oggi nei quotidiani ci sono notizie di uomini che si sono suicidati (ben 3 ), che si sono arresi alla vita … ma perché ??? La definizione “Fienile dell’anima” è stupenda e ti auguro di cuore un viaggio stupendo … aspettando sempre tue notizie ….. qui … Buona vita !!!

  40. Grazie per avermelo ricordato!
    Ho fatto una scelta.
    Ho seguito il mio istinto.
    Ho lasciato il lavoro che facevo da 12anni e ne ho cominciato uno “nuovo”, sto cercando di curcirmelo addosso, su misura, con i colori che piacciono a me…sto cercando di fare qualcosa che mi assomigli.
    Tutti i giorni faccio i conti sia con me stessa, che con la “solitudine”…è una lotta continua. Non è per niente facile, ma so che è la cosa giusta da fare.
    Grazie doppiamente per quanto hai scritto oggi, perchè come dici tu “dimenticarlo fa brutti scherzi”.
    Buon vento. Vale

  41. Ciao a tutti!
    Sono Isa a casa in maternità per la nascita della mia seconda figlia,sostituita nelle mie mansioni in ufficio senza nemmeno comunicarmelo, mai una telefonata o sms da parte del responsabile in tanti mesi. Da sempre ho il desiderio di mollare tutto, ora ancora di più!Sto preparando la lettera per chiedere di essere trasferita.
    E’ vero sono io il comandante di me stessa, il lavoro non è il problema, come per il tuo amico, tutto dipende da me!
    Buona navigazione e grazie per i conflitti e le crisi che mi provochi con ciò che scrivi!

  42. Senza arrivare ai limiti dell’atarassia ma vivere di se stessi credo sia la base (o l’equivalente) della serenità e quindi, forse, della felicità…

  43. Credo tu abbia parzialmente ragione.
    Comunque, credo che un minimo di aspettative sia ragionevole (anzi, inevitabile) averle, e quindi è altrettanto ragionevole (anzi, imprescindibile) comunicare la propria eventuale insoddisfazione.
    Finché la razza umana non avrà sviluppato la telepatia, bisognerà pure porre all’attenzione altrui determinati nostri sentimenti, se ci interessa comprenderci l’un l’altro… non trovi?
    E questo penso valga tanto con gli amici, quanto con i partner, i partiti, i sindacati, etc.

  44. Simone,
    grazie di questo post molto bello e molto vero.
    Si applica (come del resto scrivi anche tu) non solo ai legami affettivi ma a praticamente tutti gli aspetti della vita.

    In bocca al lupo per il tuo viaggio,
    Marco

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