Ponti

Ortakoi, e il suo ponte sul Bosforo, vista da est

Giornata strana, ricca, iniziata e finita col dolore alla schiena, lo stupore del dolore… dunque anche col bisogno dell’immaginazione, essere trasportato in un altro mondo, lontano a sufficienza per non dover più dire ahi!

Al parco, brezza di primavera, sole di maestrale. Facevo fatica a tenere gli occhi sul libro, dai colori. Poi Istanbul ha vinto, è prevalso l’Huzun, il senso di nostalgia e vago dolore malinconico per la fine di un’epoca, di un popolo, qualcosa che non torna, ma c’era. M. mi aveva detto di non averlo trovato chissà che, l’ho portato con me per scorrerlo, guardarci dentro appena. Ozpetek non è uno scrittore, però il suo filo mi ha irretito, l’ho seguito. Un libro che si legge in due ore, Rosso Istanbul. Fatico invece a dare un titolo alla mia giornata di oggi. Può essere stata felice, soffrendo?

I libri non esistono, esistono solo i lettori. Sono solo specchi davanti a cui ci troviamo per controllarci il rossetto, o i baffi, il mascara o i capelli. Il nostro sguardo è vuoto, di vetro. A volte distogliamo gli occhi e proseguiamo oltre; a volte smettiamo di riavviarci la frangia, ci immobilizziamo, scorgiamo qualcosa in quel disegno asimmetrico che dovrebbe essere un volto: il nostro, l’unica cosa che non avremmo pensato di vedere. Ma allora, cosa cercavamo? Solo i libri possono distrarre da ciò che ci distrae, e non hanno colpe né meriti, come gli amanti.

Giornata indefinibile, che legherò a questo libro. Sarà che Istanbul è una delle mie tre o quattro città dell’anima, che mi aspetta in fondo a questo anno, a dicembre, sarà che da giorni la mia parte maschile è quasi sopita, sono più fragile, ogni cosa mi tocca. Sarà forse che il pirata che studio e descrivo è turco, Dragut. Sarà che ultimamente posso cogliere solo i fili delle trame, non tutto il disegno, di quelli che non puoi tirare e si spezzano, e l’unica cosa è tenerli nel palmo della mano, con cautela.

Cittadino del Mediterraneo di lingua italiana, sogno da sempre di unire le mie isole. Le pagine sono ponti. Forse è per questo che scrivo.

Rosso Istanbul

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15 pensieri su “Ponti

  1. Caro Simone,spero che sia diminuito il tuo mal di schiena!
    Che bel post sul potere della lettura e che bella cosa leggere !Entrare nei pensieri di un altro,in luoghi ,epoche e gusti lontani dai tuoi! Questo è viaggiare!

  2. ….l’ huzun turco mi sembra affine alla ” suadade” dei portoghesi..è un termine che si può tradurre come ” nostalgia per qualcosa che, forse, non c’è mai stato” Pessoa ne era il cantore.

    • ha tanti significati, anche quel che dici, ma è uno di quei termini intraducibili, che più che spiegare si può sentire..

  3. Simpaticissimo Francesco! Non vorrei che il blog di Simone diventasse, mea culpa, un sito per incontri…e poi…ma perché no? Dico incontri di persone che vogliono discutere,parlare, confrontarsi…e poi il resto, va da sè, se deve arrivare…arriva…Attendo felpa da Simone…fermo posta…Ciao!

  4. ..Barbara…non mi aspetttavo questa virata sullo storico/politico..
    Conosco la storia e la condizione delle donne oggi, in Italia e nel terzo mondo..ho lavorato per una ong e ho visto cose che nessun libro può raccontare..parlo di donne, di infanzia, di minoranze etniche,prigionieri politici e molto altro. Le donne, è vero, sono spesso, insieme ai bambini, le più umiliate fra gli umiliati.
    Quote rosa?..Non so..in alcuni paesi hanno funzionato come strumento temporaneo per riequilibrare i rapporti di forza fra i generi…il potere comunque, se lo vuoi, te lo devi prendere! Uomo o donna che tu sia.
    In Italia leggere è un diritto che pochissimi ( uomini e donne) si premurano di esercitare, le piccole librerie chiudono e le grandi sopravvivono con pochissimi testi, spesso pipposissime americanate.
    Non ho letto il libro di Simone ma non mi pare tratti della situazione di sfruttamento o minorità del genere femminile, al contrario mi sembra parli di uomini ormai spenti e poco creativi…forza allora, è il tuo momento!!
    La felpa, se vuoi, te la faccio vincere…però devo essere onesto: temo che, se ti chiamassi Giuseppe invece che Barbara , la cosa non mi avrebbe neppure sfiorato i pensieri.
    ..Sono un gentiluomo d’altri tempi o uno dei tanti che ” ce prova nun se sà mmai”?..Questo dubbio non troverà mai risposta univoca e soddisfacente, secula seculorum!!..Ciaoo..e grazie della conversazione.

  5. Francesco…mi faresti vincere una felpa dei viaggi di Simone…se leggessi “Dove sono gli uomini” scritto magistralmente dal nostro Simone Perotti…
    Stavo rispondendo anche a Isa e volevo consigliarle un libro dal titolo “Le donne che leggono sono pericolose”. “Attraverso i dipinti, i disegni e le fotografie questo volume racconta la storia della lettura femminile dal Medioevo al XXI secolo. Il tema della lettrice ha affascinato gli artisti di tutte le epoche. Sono stati tuttavia necessari molti secoli perché alle donne venisse permesso di leggere ciò che volevano. Prima potevano ricamare, pregare, allevare bambini e cucinare. Ma nel momento in cui esse colgono nella lettura la possibilità di sostituire l’angusto mondo della loro casa con il mondo sconfinato del pensiero, della fantasia e del sapere, diventano una minaccia. Le donne che leggono sono pericolose perché in questo modo si sono appropriate (e forse lo fanno ancora oggi) di conoscenze ed esperienze originariamente non destinate a loro. Queste immagini di donne che leggono sono piene di bellezza, grazia ed espressività.” Vorrei uscire dalla banalità della dicotomia. Ma, permettimi, Francesco, non è colpa mia se ancora oggi parliamo di “quote rose”. La divisione non sta nella mia testa ma nell’esperienza quotidiana della vita reale. Ci sono le eccezioni, certo, che però confermano la regola…

  6. ..Barbara..noto un certo astio verso il genere maschile…ti prego..non cedere alle lusinghe del ragionamento duale ( maschio/femmina…buono/cattivo ecc..)

  7. Grazie Barbara!
    Ricordo ancora Simone, quando è nata la mia passione per i libri … alle superiori grazie ad una meravigliosa insegnante di italiano! Da allora non ho più smesso di leggere, libri di tutti i generi, quando leggo non esiste più me stessa ne’il mondo che mi circonda…annullo tutto ed entro come in un’altra dimensione…sarà per questo che mi piace tanto!Ultimamente penso che leggerei per lavoro ma nessuno ti paga per questo.
    Uno dei miei primi libri è stato “L’Opera” di E. Zola … ricordo le lacrime … che emozione…

  8. Proviamo dolore fisico come i mufloni o gli animali in genere. Ci differenziamo però da questi e dalle pietre, perché percepiamo il dolore “emotivo”, quello del “sentire empaticamente”…Nel genere umano esistono però, cara Isa, uomini e donne solo dopo persone… E c’è poco da stare allegri, perché ancora oggi il sistema educativo scolastico e familiare, non incentiva le donne a parlare di se stesse. Lo possono fare sì, meglio se tra di loro. Gli uomini ascoltano meno tendenzialmente, e sono invece più propensi al “bla bla bla” soprattutto se si parla di loro. Moltissimi risultano dopo un po’ di una noia assordante. Io, da un po’ ho deciso che ho cose interessanti da dire tanto quanto…, e le esprimo a volte anche con forza…E’ un “mondo difficile” e noi donne, più degli altri, dobbiamo faticare moltissimo per farci ascoltare…ma credimi, ne vale davvero la pena…

  9. Barbara
    Sin da ragazzina ho sempre pensato che a nessuno potesse interessare quello che avevo da raccontare e ancora oggi faccio fatica a parlare con gli altri perchè la maggior parte non ti da neanche spazio per esprimerti e parla parla …

    • sì, Isa… l’ascolto, come l’osservazione… sono attitudini che manifestano l’interesse reale che noutri per l’altro. Da quel che vedo sono in estinzione…

  10. Molti spunti da questo post. Tutti, a mio parere, difficili da commentare…Ma leggendo oggi un’articolo sull’espresso in difesa della “psiche”, trovo questa citazione di Rainer Maria Rilke: “il dolore è quella prova che trasforma l’esperienza esteriore che abbiamo del mondo in esperienza interiore”…E il commento dell’intervistato che dice “cosa c’è oggi di più sacrificato, di più negato, disprezzato e deriso di una tesi come questa?”…Qui si parla di “dolore” psichico, di tutta quella serie di disagi psicologico che possono sfociare in ansia, in quel “mal di vivere” che è la depressione. Quindi non dolore fisico. Ma ugualmente è un’esperienza che appunto trasforma e interiorizza ciò che vediamo e sentiamo tramite le nostre esperienze del e nel mondo. La capacità di renderne partecipi gli altri è già un passo verso la guarigione verso l’ “uscita”… Come lo è, o dovrebbe esserlo,l’abilità degli altri di prestare attenzione, di ascoltare…Di non lasciar cadere le parole in un limbo e in una vaghezza dove tutto si dissolve e di cui non rimane nessuna traccia…Perché è il dolore a distinguerci dalle pietre…

    • molto interessante Barbara… Anche se credo che a distinguerci da un muflone non sia il dolore, che entrambi se feriti fisicamente e ancor più psicologicamente credo proviamo, ma la consapevolezza di esso e il parametro su un’idea di assenza del dolore/felicità che il muflone credo, per sua fortuna, non abbia.

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