Tiziana, ecco in cosa posso esserti utile

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58 pensieri su “Tiziana, ecco in cosa posso esserti utile

  1. Qualche settimana fa, in un programma che non ricordo, si parlava di giovani, di futuro, disoccupazione, di possibilità con quel particolare titolo di studio e via dicendo.

    Si intervistavano dei giovani davanti all’università chiedendogli perché erano lì e perché avevano scelto economia o architettura o giurisprudenza o lettere sapendo che l’università ormai non è più legata alla maggiore probabilità di trovare un lavoro.

    Che cosa mi aspettavo? Beh mi aspettavo che qualcuno dicesse: Sì, lo so ma, vedi, io ho sempre desiderato fare questo perché il mio sogno è diventare questo e voglio proprio provarci perché ne sarei felice e perché ho in mente di fare questo e quest’altro… potrei fare anche quella cosa e poi anche quell’altra perché, vedi, il mio progetto è che io…

    Ecco. Nessuno dei ragazzi ha detto una cosa del genere. Nessuno! Neanche uno. Per me la prima cosa sconvolgente del servizio è stata questa.

    Andando avanti con le interviste i ragazzi rispondevano cose del tipo: Beh ma se no che mi metto a fare? Il falegname? O magari mi metto a sporcarmi le mani? Sempre sporco a fare una cosa non “qualificata”? Oppure: Beh sono qui perché non ci sono alternative oppure: sì, ho scelto questa facoltà ma… così, tanto o questa o quella alla fine non fa tanta differenza, il lavoro tanto non si trova… E poi, tanto, che mi metto a fare? Il contadino? Io ho studiato! O: Va beh ma tanto comunque ci sono i miei…non è che io abbia poi questa necessità immediata di lavorare!

    Ecco. Questo è lo spirito che, non dico sempre ma spesso, si sente in molti, giovani. E meno giovani.

    Se facciamo un’intervista in un call center è probabile che le risposte siano simili.
    Ci sono dei casi (ne conosco personalmente) di assoluta necessità nei quali è assolutamente urgente fare la prima cosa che capita e anche di corsa senza guardare troppo per il sottile se hai un minimo di responsabilità. E degli altri in cui quel lavoro è soltanto il modo di percorrere un’altra strada che stai percorrendo altrove.

    Ma la maggioranza dei casi qual è?

    Lo spirito di quei ragazzi, che si accingono a diventare ideali candidati di call center, è morto. Totale mancanza di prospettiva, totale mancanza di passione, di rischio, di fede in qualcosa che sei, che ti piace. Totale assenza di un progetto. Uno qualunque. Ci sarà qualcosa che sogni, che ti piace fare, che vorresti diventare, a 20 anni, accidenti!
    E a maggior ragione che ci sono i tuoi a proteggerti, perché non rischi? Perché non provi? Perché non ti butti? Perché non approfitti di questa possibilità?

    E vai! e buttati! Guarda dentro e fuori di te. Alzati! Muoviti! Scuotiti! Svegliati! E credici un po’ nelle cose che hai dentro, E che ci sono, lo so che ci sono!

    Ecco. Il video, io, l’ho interpretato così.
    I modi sono quelli di quando ci si arrabbia: si spara senza una mira troppo precisa e condivido, uno per uno, tutti gli appunti che ti ha fatto Antonella. Ma i contenuti, il senso, il significato erano centrati su questo concetto preciso, lucido, esatto, verissimo. Doloroso, ahimé, per tutti.

    E qui il call center sembra solo un simbolo, una metafora per tutte le situazioni in cui ci troviamo costretti e imprigionati senza neanche sapere di esserlo. Almeno una sveglia, tanto per renderci conto che, qualche volta, forse, è anche possibile svegliarci.

    • Esattamente Marica. Ma lo hai visto anche da tanti commenti: “single, figlio, necessità, nessuna alternativa”. Ormai la comunicazione sulla crisi ha permeato tutto, i giovani, i meno giovani. E’ un disegno ben preciso: quando tutti siamo proni e convinti che c’è la crisi, allora tutto può passare, leggi speciali, strumenti speciali, economia speciale, lavoro speciale. Cose che senza crisi avrebbero fatto gridare allo scandalo. Fino a che c’è gente che vuole davvero realizzare il proprio sogno, o che almeno ha un’idea libera della propria vita, quel “regime speciale” non si può realizzare.
      Ecco perché se io attacco i call-center e chi ci lavora e lo faccio con qualche ruvidità pur inadeguata a fronteggiare una condizione/lavoro/servizio così assurda e metafora dei tempi decadenti in cui viviamo, tanti difendono il call-center, chi ci lavora, il fatto che sia comunque un lavoro. Anche un ergastolano è comunque vivo, ma che vita è la sua?

  2. Purtroppo è un concetto difficile da cogliere, Simone.
    Con questo dibattito che si è aperto è diventato un tantino più evidente, più accessibile.
    Tutti sono stati distratti dai toni accesi forse? Io ci ho messo un paio di giorni a metabolizzare il messaggio.
    Che alla fine è semplice, troppo semplice per poterlo cogliere davvero. E quasi tutto sta in quel “NO” virgolettato che ripeti in qualche tua risposta.
    Lo vogliamo completare questo “NO”?
    “NO! Capo mio bello, amico del sole: facciamo un call center che serva a qualcosa! Perché dobbiamo prendere per il culo le persone che chiamano?”.
    E’ il non opporsi che ti rende schiavo, è fare un lavoro che tutti sanno essere “sostanzialmente poco utile” (tanto per non offendere) senza dire nulla, senza farsi domande. Non il tipo di lavoro in se stesso.

    • non avere mai paura. io non ho percepito aggressività. solo confronto serrato. ma questo è un bene. sempre serena con me. ciao!

  3. Simone, non credo ti interessi realmente quello che penso almeno a giudicare dal post appena pubblicato…visto che ho scritto io certe frasi le allusioni sono davvero subdole e gratuite…complimenti!

    • Sbagli Antonella. Mi riferivo al 99% a quanto avvenuto nel fittissimo scambio, anche duro, su facebook e alle tante comunicazioni ricevute in privato. Dovresti saperlo, ormai, che se scrivo “mi interessa” vuole dire che mi interessa davvero. Altrimenti non scrivo nulla. Oppure banno chi mi rompe. Dopo tempo, dovresti saperlo come agisco e cosa penso.

  4. @Claudia e Granlasco
    Mi dispiace, ma avete frainteso completamente il senso della mia affermazione…sto provando da ieri a rispondere, ma il pc è in tilt e sarà in assistenza per qualche gg e da un cellulare come il mio è un’ impresa scrivere un testo esaustivo…superata la crisi tecnologica se ancora l’ argomento potrà interessare ne riparleremo…un saluto

  5. Sì Granlasco, è così. Io ce l’ho con tutta questa “meccanicità” impregnata di idiozia, quindi imparo a riconoscerla e a evitarla il più possibile. E’ una questione di salute mentale, ma non mi sento furbo per questo: sto solo lottando per salvarmi.

  6. (La felicità è concetto generico, utopico, vagamente fasullo). Ecco Simone ai proprio centrato l’argomento condivido il tuo concetto anzi ti dirò,io penso prima bisognerebbe cercare l’equilibrio dell’anima anche se un impresa difficile ma non impossibile….. per la tua latitanza non c’è bisogno di nessuna scusa anzi capisco benissimo il tuo stato il tuo stato d’animo,a proposito quanto manca alla partenza????

  7. @Fabio Saracino condivido: mi pare ci sia un libro “far from the madding crowd” al quale mi pare Simone abbia attinto in uno suo recente post (“via dalla pazza folla”).
    E’ vero, anche io spesso (anzi ormai quotidianamente) osservo molte delle quotidiane usanze che sono veramente assurde, come dici tu.
    Dal “sacro” al “profano”: dalle mie parti si dice: “meno internet, più cabernet”! Rende l’idea, vero ??!!

  8. Forse non è il suo lavoro il funzionario di banca che ha piazzato Parmalat o Cirio a vecchietti o comunque a gente del tutto ignorante in materia di finanza?
    E il direttore della filiale che ti ha glorificato il ridotto spread del mutuo che ti ha fatto stipulare, solo che il vero costo non lo si trova alla voce “interessi”, ma sotto una congerie di altre voci (“spese revisione fido”, “spese tenuta conto”, ecc.)? Potrebbe ben dire che la sua autonomia decisionale era pressoché nulla, tanto erano i “grandi capi” a decidere le condizioni contrattuali ed egli pressoché nulla poteva !
    E gli informatori farmaceutici (o almeno una parte di essi)?
    E i camionisti che non rispettano i turni di riposo e manomettono il cronotachigrafo? Potrebbero ben dire che se facessero diversamente verrebbero subito licenziati e tengono famiglia !
    Ecc. ecc. … esempi potrebbero farsene a volontà.
    A prima vista sembrerebbe l’antico italico vizio dell’autoassoluzione.
    Ma a meglio guardare vi sono state purtroppo ben altre tragiche situazioni dell’umanità in cui l’essere (o sentirsi di essere) una semplice rotella di un assai complesso ingranaggio è servito a farsi ritenere pressoché indenni da responsabilità ( … erano ordini che arrivavano dall’alto e io mi sono limitato ad eseguirli, non potevo fare altro; uno spaventoso spaccato di questo si legge ne “Le Benevole” di J. Littell).
    Non è vero che il sonno della ragione genera mostri, almeno non solo; semmai l’apice della razionalità (le grandi organizzazioni burocratiche, le società orientate secondo ideologie penetrate nel profondo della comunità – e il capitalismo è una ideologia) genera mostri ancora peggiori.

  9. #Antonella: appunto, proprio perchè il lavoro è una (non l’unica, ma lo è)funzione del vivere, come scrivi tu…Del vivere!!! Quanto al non utilizzarlo come singolo parametro di valutazione (in che senso, meritocratico??? qui mi pare che nessuno giudichi le singole persone sulla base del lavoro che svolgono, o dell’inquadramento professionale, non è questo il punto…) mi chiedo se lo stesso pensi si possa applicare a chi vive commerciando (onestamente!) armi, tanto per fare un esempio.

  10. La rabbia nel messaggio è quella tipica da post-dialogo con un operatore, ma è anche stata la mia quando, perso il lavoro e disposto a tentarle tutte, ho iniziato il primo giorno di lavoro in uno di questi call-center. La cosa che mi ha fatto più incazzare durante il primo giorno di corso non è stata la felicità della nostra “capetta” che si presentava dicendo che lei aveva iniziato nella nostra stessa posizione, nè l’ottusità del capo (uno che era evidente che non scopasse da mesi) ma questo: la seduta di gruppo in cui ci presentavamo, secondo me c’era solo una signora in stato di necessità (chiuso il negozio, figli da mantenere), gli altri/altre erano tutte neolaureati, disoccupati, che erano lì in mancanza di meglio, in mancanza di altri sogni. Alcuni dicevano voglio reinventarmi, ma come pensavo, se vuoi reinventarti mettiti in giro per il mondo, impara a fare il pane, qualsiasi cosa che non venire lì dentro…e questo mi ha fatto molto incazzare, che non avessimo sogni per stare altrove, o non avessimo abbastanza voglia e fame di concretizzarli. Io comunque sono scappato dopo il primo giorno..

  11. Scrivo adesso perchè sono fresco di ritorno da un viaggio in bici di 4 giorni con amici, in cui abbiamo pedalato per le Alpi Marittime, e ho ancora nella mente “l’altra dimensione”, quella fatta di cose semplici, difficoltà vere, incontri con persone di spirito, ma soprattutto vere.
    Sono in ufficio ma ho ancora la sensazione di essere lassù e mi sento ossigenato, in tutti i sensi. Osservo con divertita disillusione (oggi me lo posso permettere perchè ho carburante, perchè sono più forte) l’assurdità delle nostre vite e intanto riconosco a me stesso di essere riuscito negli ultimi anni a coltivare qualcosa, in me, che forse mi salverà.
    Nel mondo moderno è quasi tutto sbagliato,
    bisogna vivere dignitosamente la vita e spenderla così è indegno! Ci basta poco ma quel poco dev’essere vero, umano, deve nutrire lo spirito. E allora si può tirare una bella riga sul presente, senza fare troppe parole che tanto ormai lo sanno anche i sassi, si può buttare via tutto o quasi, che tanto di salvabile c’è poco, e si riparte, e buona fortuna.

  12. @Pietro
    Forse il segreto della felicità sta tutto nell’accontentarsi, una persona “contenta” difficilmente correrà il rischio di scontrarsi con l’insoddisfazione e col bisogno di rincorrere irraggiungibili utopie, nutrendo nel contempo le giuste ambizioni.

    • scusate la latitanza, ma Mediterranea ha tanto bisogno di lavoro, siamo a pochi giorni ormai dalla partenza.

      Solo un commento ad alcune cose che leggo: non facciamo l’errore di sottovalutare ciò che la felicità NON E’. La felicità è concetto generico, utopico, vagamente fasullo, ed è cosa semmai temporanea, transitoria, effimera. Tuttavia, non per questo, sotto di essa, un grado più in basso di essa, non possiamo (non DOBBIAMO!) perseguire l’equilibrio e l’armonia che invece sono condizioni assai più concrete e incidenti e, tra l’altro, strumenti necessari e talvolta perfino sufficienti e rendere le felicità qualcosa di frequente e prolungato.

      Faccio un esempio: dare un taglio a consumi e vita insensata, stabilmente, in modo radicale e definitivo, per poter finalmente scrivere e navigare, ha reso il mio percorso verso l’autenticità ricco, vero, concreto, quotidiano, produttivo. Questo ha avuto, nel tempo, la conseguenza di consentire equilibrio e armonia nella mia vita, che sono il terreno di coltura della mia personale possibilità di essere felice.

      Questo schema è la rotta, per me. L’albero. Su di esso i rami e le foglie dell’equilibrio e dell’armonia hanno prodotto a momenti alterni ma sempre più frequentemente i frutti della felicità. Per quanto umanamente e personalmente possibile, almeno.

      Ma se non avessi pensato, progettato, fatto, per anni, oggi staremmo tanto, ma tanto peggio, da queste parti…

  13. volevo rispondere alla domanda (Siete felici?”)di M.Elena una Tiziana qualunque rispondo sono molti anni che la cerco non l’ho ancora trovata ho forse non me ne sono accorto di essere stato felice!!!!!anzi rifaccio la domanda ma la felicità esiste?

  14. Ciao Simone questo video mostra la realtà in cui stiamo vivendo, condivido in parte la tua esternazione,capisco la tua incazzatura,anche io ultimamente mi sto incazzando sono più di tre settimane che continuo a chiamare ai soliti numeri per l’assistenza la risposta e sempre quella che tu ai sottolineato nel video per lo stesso motivo alla fine ho deciso di cambiare gestore del servizio però il dubbio resta come sarà il servizio del nuovo gestore???? buon vento..

  15. Tutto tristissimamente vero. E come direbbe il prof. Galimberti se avesse il dono della stringatezza:siamo messi male,molto male.

  16. Mi presento: sono una Tiziana qualunque….Ho lavorato per cinque anni in un call center, avete presente la signorina che dà i numeri di telefono? Avevo 21 anni fresca di diploma e senza grandi aspirazioni lavorative. Per come ricordo quegli anni non è stato poi così male: dovevamo sottostare a delle regole, il lavoro era quello che era, ma i rapporti tra colleghi quasi tutti coetanei erano ottimi e grazie all’orario ridotto, il lavoro non mi pesava eccessivamente. Non posso affermare di esser vissuta in un lager e nemmeno di essere stata schiava!! Col tempo poi ho ottenuto delle “promozioni”, il mio lavoro è cambiato e ora svolgo il mio lavoro di impiegata in autonomia e senza pressioni di nessun genere. Non vi nascondo che il lavoro che faccio non mi dà grosse soddisfazioni e con gli anni ho capito che non è il lavoro che fa per me, ma al di la’ di questo cerco di farlo bene e cerco di essere utile. E devo essere grata alla mia azienda che mi ha dato questo “misero lavoro” e tutti i mesi mi paga un “misero stipendiuccio” .
    Non nego che spesso sogno di cambiare lavoro, ma non lo posso fare per molti buoni motivi che ho più volte vagliato e sono consapevole del fatto che nella vita (non solo quella lavorativa) si deve spesso sottostare a dei compromessi. Pertanto ritengo di non essere un soggetto da compatire né tantomento da deridere. Io il mio sogno l’ho realizzato nella normalità e nella semplicità più assoluta: ho una bella famiglia e ho avuto il tempo di crescere i miei figli!! Tutto qui, direte!! Si tutto qui rispondo io e chiedo a voi che vi siete affrancati dal vostro lavoro aberrante: “vi sentite pienamente realizzati? Siete felici?”

    • Nessuna derisione daparte mia. Ma un serio tema di richiamo alle responsabilita’ dirette e indirette di cio che facciamo. Quanto alla domanda finale, chi puo’ essere felice… Ma io ora ci sto provando seriamente.. Prima dicevo solo un mare di stupidaggini a me, soprattutto. Provare ad essere felice senza scrivere e navigare era solo un fake.

  17. @Claudia
    Quando dico che non sono il mio lavoro non intendo che “non ci sono” nel mio lavoro che, anzi, svolgo con passione (nel caso del call center solo con scrupolo…). Intendo che il lavoro non identifica il mio valore come persona, valore che esisteva anche quando ero una schiava moderna e che continuerà ad esistere anche se non avrò lavoro in futuro. Significa non farsi crocefiggere ed imporre lettere scarlatte se ti trovi al gradino più basso della società né sentirti un padreterno se sei ai vertici. L’essenza di una persona, per me, è fatta di altro, di valori, di relazioni, di pensieri, di sentimenti e non si esaurisce in una professione anche se la più bella del mondo, anche se esercitata con tutta la passione del mondo. Intendevo che il lavoro è una funzione del vivere, che non si vive per lavorare, né tantomeno si può giudicare se stessi in base a questo singolo parametro. Siamo esseri più ampi, non trovi?
    @ Dona
    Quello che ho raccontato appartiene al passato perché negli ultimi anni le multinazionali hanno dislocato la maggior parte dei servizi all’estero compresa l’assistenza clienti. I dipendenti italiani, nella maggior parte dei casi, sono stati appaltati a società di servizio che, dopo 1 o 2 anni, li hanno licenziati. Alla fine vince comunque l’azienda ed io, licenziandomi, ho solo guadagnato tempo (e salute mentale). In bocca al lupo per i tuoi sogni, spero che si realizzino al più presto, faccio il tifo per te!
    @Barbara
    Brava!

  18. Ciao Simone, ciao tutti,

    ieri sera mi è capitato di vedere in tv un film-documentario intitolato Il paese dei balocchi. Per chi non lo avesse già visto credo potrà essere molto interessante e attinente al tema che si sta affrontando in questa discussione.

    Purtroppo non ho recuperato riferimenti sul web, a questo link potete però leggere una sintesi e vedere quando verrà ritrasmesso:
    http://www.laeffe.tv/38,Programma.html

    Ciao!
    Simone M.

  19. ahahahah…
    Sono una “Tiziana” (maschio) che ha detto “NO”. Cioè… me so’ licenziato 😀
    3 ore di formazione e poi al rispondere al telefono dove si risponde a gente che chiama quasi sempre incazzata e dove io dovevo far finta di sapere cose che mi avevano raccontato in 3 ore. Ma cosa diavolo potevo mai imparare in 3 ore?
    Niente! Appunto.
    C’è una cortina di acciaio tra ogni azienda (compreso lo Stato) e i fruitori dei servizi che tale aziende dovrebbe elargire.
    La cortina si chiama “call center”.
    Non è morta la nazione, è morto il mondo occidentale.
    Viva l’Italia!

  20. Antonella: ma se tu non sei il tuo lavoro, quando insegni chi c’è al tuo posto? Un automa spara-nozioni? E ti aspetti che i tuoi studenti invece “ci siano”? O ti basta mantenere con mezzucci ricattatori la disciplina in aula? La prima cosa che gli studenti fiutano è se in cattedra ci sei (come persona, nella tua interezza, non come erudito)…o ci fai. In tal caso si sentono autorizzati a fare casino, e hanno ragione, dovrebbero ribaltare la cattedra adosso a chi insegna tanto per fare qualcosa. Perchè così formiamo futuri automi, oltre ad esserlo noi. E tu ti perdi ogni giorno dei pezzi di vita, la tua (e considerato quanto tempo trascorriamo ogni giorno lavorando)…

  21. Ecco, appunto.
    Si può passare allo step successivo?
    Dopo aver “digerito” il boccone amaro della resa dei conti, del dover ammettere a noi stessi, pacatamente e anche serenamente (!) di essere “schiavi moderni” (di essere stati o di esserlo diventati…), che per pochi sesterzi o per qualche migliaia di euro hanno…Qui io mi blocco…Perché se teoricamente possiamo essere d’accordo che il “sistema” sta implodendo, se possiamo, obbiettivamente, essere d’accordo sul fatto che stiamo “vivendo male” sottoponendoci, volenti o nolenti, a frustrazioni e vessazioni, mi chiedo, c’è una differenza tra chi si porta a casa ben più di pochi sesterzi magari anche perché NON si accontenta di una macchina qualsiasi ma desidera viaggiare comodamente in Porsche e quello che invece devo mantenere una famiglia? Possiamo urlare i nostri “insindacabili” atti d’accusa, scagliando saette, senza fare dei giusti e sacrosanti distinguo? Possiamo magari, una buona volta, anche considerare quanto sia, e sia stato, fondamentale, soprattutto per noi donne, raggiungere una adeguata indipendenza economica per liberarci da lacci e lacciuoli di matrimoni e convivenze sbagliate, senza pagare un prezzo altissimo? Come si fa a parlare di “libertà” così genericamente, senza “scendere nei dettagli”? E’ possibile? I “call center” sono “luoghi” di lavoro partoriti da una mente sicuramente malata, vuoi per le condizioni economiche, vuoi per le modalità, per l’approccio, per lo scopo…Sono d’accordo con Antonella. Quando una persona è costretta a chiedere il permesso per assentarsi e andare al bagno, dietro ci deve essere sicuramente una mente perversa, che ha dimenticato o che non conosce…altro che Olivetti e …gli imprenditori “illuminati”… E se poi questo garantisse quel “valore aggiunto” alla azienda ma se nemmeno quello… e allora, Simone, questo video lo dovresti inviare a tutti i gestori di telefonia, per comunicare loro che il risultato è pessimo, che il “lavoratore” non sta raggiungendo nessuno obiettivo né personale ma tantomeno di business…Che il “fruitore finale” non è per niente contento…A meno che…A meno che, caduta l’ultima tessera del domino, di questo assurdo gioco…non sia lì ad aspettarci il Chaos, lo stato primordiale del “vuoto”, il buio anteriore da cui…poi potranno riemergere nuovi dèi e nuovi uomini e donne…

  22. Antonella,
    dopo aver letto la descrizione del tuo ambiente di lavoro, smetterò di lamentarmi del posto in cui lavoro io 😉

    Nei tre mesi intercorsi tra la chiusura del progetto ristorante e l’assunzione dove lavoro ora ho provato a mantenermi con attività alternative.
    Ho distribuito volantini dove mi offrivo come baby sitter, traduttrice, donna delle pulizie, commessa, rammendi e cerniere, etc etc etc…
    In tre mesi ho portato a casa circa 50 Euro, un’entrata che non basta a coprire le mie necessità mensili (circa 650 euro).
    Per fortuna avevo qualche risparmio, ma quando poi non sei sicura di riuscire a ripristinare il gruzzolo, diventa angosciante ogni prelievo, seppur minimo.
    Ecco perché alla fine va bene anche star qui, almeno finché non riesco a trovare una fonte alternativa di sostentamento compatibile con le mie passioni.
    Finora le passioni costano più di quanto mi portino in tasca.
    😉

  23. e comunque non condivido nella maniera più categorica possibile l’affermazione “io non sono il mio lavoro”. Certo che tu sei il tuo lavoro, come tu sei quel che pensi, che fai, che dimostri, che dici, che sostieni, che testimoni. E CERTO CHE TU SEI IL TUO LAVORO, devi essere il tuo lavoro, altrimenti a furia di non essere quel che facciamo si arriva a questo, ad oggi, e l’unico modo di uscirne è TORNARE AD ESSERE RESPONSABILMENTE QUEL CHE FACCIAMO, e anche a NON ESSERE QUEL CHE (INFATTI) NON FACCIAMO). è importantissimo questo passaggio Antonella.

  24. ” La condizione di esistenza dei buoni è la menzogna: in altri termini, il non voler vedere a ogni costo come in fondo è fatta la realtà, che non è certo fatta per suscitare continuamente istinti benevoli, e ancor meno per consentire un continuo intervento di mani miopi e bonarie”
    F. Nietzsche

  25. Io non sono il mio lavoro, non lo ero quando lavoravo all’università (lì sì malpagata e schiavizzata, ma con un maggior riconoscimento sociale), non lo ero quando lavoravo nel call center di una multinazionale, non lo sono ora che insegno in un liceo né in futuro quando farò chissà cosa…non mi sento una “poveraccia” né persona da compatire in alcun modo. Detto questo, condivido tutte le osservazioni di oggi dette in maniera più ragionata e consapevole e comprendo anche il malumore del momento in cui incorro io per prima quando mi confronto con uffici della pubblica amministrazione e persino con i call center, guarda un po’! Quello che non condivido è sparare a zero senza conoscere le realtà dall’interno e non solo come utente finale incazzato o falsamente compassionevole.
    Il problema di queste realtà, almeno nel periodo in cui le ho conosciute io dall’interno, non è utilizzare i dipendenti come parafulmini o non fornir loro alcun tipo di preparazione, al contrario…il fine dell’azienda è il profitto e il lavoratore non è una persona, ma una risorsa da spremere fino all’osso. Come lo fanno? Con delle tecniche raffinatissime di deprivazione della personalità individuale e plagio di massa, un po’ come avveniva nei lager nazisti. L’elemento pensante non è funzionale per cui viene messa in atto fin dal primo giorno un’opera di persuasione occulta fatta di cd con “I nostri valori”, breakfast di benvenuto con accompagnamento di video autocelebrativi che sulle note di ” We are the Champions” dei Quenn alternano immagini di trionfi sportivi con quelle della scalata vittoriosa dell’azienda, e ancora corsi stile pnl che arrivano addirittura ad importi una postura precisa sulla sedia in modo che l’emissione della voce possa essere la più empatica possibile fino agli script a cui bisogna adeguare le risposte perché quelle sono le parole giuste, le più efficaci da utilizzare. Poi si passa al lavoro pratico, molto usurante, fatto di tempi ristrettissimi (3 minuti al massimo a telefonata) con i negrieri che passano urlando nei corridoi di accellerare perché c’è coda ed in tre minuti devi essere esaustivo, risolutivo, proattivo e fare in modo che il cliente non richiami più per lo stesso motivo. Ovviamente tutto controllatissimo da report di persone che vengono scelte appositamente tra le più decerebrate possibili perché completamente prone alla logica aziendale. E se ti ribelli? E se dici la tua magari anche in maniera costruttiva? Allora sei un elemento sovversivo e pericoloso per questo perfetto sistema di plagio di massa e cominciano le ritorsioni sotterranee (permessi negati, ferie solo da ottobre in poi, niente premi di produzioni, nessuna promozione, declassamento in reparti subumani, allontanamento dalle persone con cui fai gruppo secondo la nota tecnica del “divide et impera” e tanto altro). A questo punto la persona pensante di solito crolla e subentrano problemi di autostima, episodi depressivi (non sai quanti ne ho visti…)e le alternative sono due: o si adegua per necessità cominciando, però, a lavorare con strafottenza ed apatia come Tiziana o si licenzia, come ho fatto io senza aver alcun paracadute, ma convinta della necessità di salvare gli ultimi scampoli di salute mentale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato quando ci hanno imposto di chiedere per telefono al capo il permesso di andare in bagno in alcuni casi sentendoselo negare per sovraccarico di telefonate in coda. Lì ho avuto la percezione chiara che da quel lager si doveva fuggire al più presto possibile…io l’ho fatto e mi sono ripresa a poco a poco la mia dignità e la consapevolezza del mio valore come persona, ma non mi va di sentire attacchi indiscriminati agli operatori che non sempre sono nelle condizioni o hanno gli strumenti per emanciparsi da un condizionamento. La situazione è grave e va denunciata, ma non aggredendo Tiziana che di suo ne subisce già tante di umiliazioni. Concludo questo sproloquio dicendo che spesso, su chi ha lavorato in un call center, grava un marchio d’infamia, una sorta di lettera scarlatta che condiziona fortemente il giudizio sociale…i nuovi schiavi che, però, agli occhi del mondo, rimangono tali anche quando si sono affrancati dalle catene…vi prego di pensarci un po’ su e di capire dopo sta in marcio prima di giudicare pesantemente…

    • appunto Antonella. Fermare questo scempio NON E’ POSSIBILE se non scuotendo Tiziana. Proprio per quel che tu racconti, NON C’E’ altra via che sottrarre gente disposta a fare questo lavoro di merda. Finchè ce ne sarà uno loro proseguiranno. E Tiziana è correa di questo. Esattamente come lo sono stato io quando facevo la comunicazione e lobby per l’Enel a Montalto di Castro. Zero compassione, zero mezze misure, zero cautele, è così. Ed è chiaro che tirare al alzo zero prende anche Tiziana, ma questa, davvero, non è una dissertazione seminariale, è una contrapposizione radicale, che fa vittime (verbali, comunicazionali) ma è l’unica possibile. “NO”.

  26. Io non sono il mio lavoro, non lo ero quando lavoravo all’università (lì sì malpagata e schiavizzata, ma con un maggior riconoscimento sociale), non lo ero quando lavoravo nel call center di una multinazionale, non lo sono ora che insegno in un liceo né in futuro quando farò chissà cosa…non mi sento una “poveraccia” né persona da compatire in alcun modo. Detto questo, condivido tutte le osservazioni di oggi dette in maniera più ragionata e consapevole e comprendo anche il malumore del momento in cui incorro io per prima quando mi confronto con uffici della pubblica amministrazione e persino con i call center, guarda un po’! Quello che non condivido è sparare a zero senza conoscere le realtà dall’interno e non solo come utente finale incazzato o falsamente compassionevole.
    Il problema di queste realtà, almeno nel periodo in cui le ho conosciute io dall’interno, non è utilizzare i dipendenti come parafulmini o non fornir loro alcun tipo di preparazione, al contrario…il fine dell’azienda è il profitto e il lavoratore non è una persona, ma una risorsa da spremere fino all’osso. Come lo fanno? Con delle tecniche raffinatissime di deprivazione della personalità individuale e plagio di massa, un po’ come avveniva nei lager nazisti. L’elemento pensante non è funzionale per cui viene messa in atto fin dal primo giorno un’opera di persuasione occulta fatta di cd con “I nostri valori”, breakfast di benvenuto con accompagnamento di video autocelebrativi che, sulle note di ” We are the Champions” dei Quenn, alternano immagini di trionfi sportivi con quelle delle scalate vittoriose dell’azienda, e ancora corsi stile pnl che arrivano addirittura ad importi una postura precisa sulla sedia in modo che l’emissione della voce possa essere la più empatica possibile fino agli script a cui bisogna adeguare le risposte perché quelle sono le parole giuste, le più efficaci da utilizzare. Poi si passa al lavoro pratico, molto usurante, fatto di tempi ristrettissimi (3 minuti al massimo a telefonata) con i negrieri che passano nei corridoi urlando di chiudere le telefonate perché c’è coda ed in tre minuti devi essere esaustivo, risolutivo,rassicurante proattivo e soprattutto fare in modo che il cliente non richiami più per lo stesso motivo. Ovviamente tutto controllatissimo e valutato da report di persone scelte appositamente tra le più decerebrate possibili perché completamente prone alla logica aziendale. E se ti ribelli? E se dici la tua magari anche in maniera costruttiva? Allora sei un elemento sovversivo e pericoloso per questo perfetto sistema di plagio di massa e cominciano le ritorsioni sotterranee (permessi negati, ferie solo da ottobre in poi, niente premi di produzione, nessuna promozione, declassamento in reparti subumani, allontanamento dalle persone con cui fai gruppo secondo la nota tecnica del “divide et impera” e tanto altro ancora). A questo punto spesso le persone pensanti crollano e subentrano problemi depressivi, problemi di autostima (non sai quanti ne ho visti…) e le alternative sono due: o si adeguano cominciando a lavorare al minimo sindacale coma Tiziana con scostumatezza e strafottenza o si licenziano come ho fatto io pur non avendo alcun paracadute, ma convinta della necessità di salvare gli ultimi scampoli di salute mentale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? Quando ci hanno imposto di chiamare per telefono il capo ogni volta che avevamo necessità di “slogarci” (ossia disconnetterci dal sistema togliendo le cuffie) per andare in bagno. Dover chiedere ad un uomo il permesso di andare in bagno e sentirselo anche negare a volte o rispondere se era proprio necessario mi ha dato l’esatta percezione della condizione da lager in cui vivevo e che era necessario fuggire da lì al più presto possibile…io ne sono fuori e mi sono ripresa la mia dignità e la consapevolezza del mio valore come individuo, ma vi prego di pensarci un po’ su prima di giudicare pesantemente situazioni che andrebbero solo denunciate…

  27. @Fabio G. ho pensato la stessa cosa !! Simone dovrebbe fare un pensierino al teatro … magari a pieces di denunzia … un po’ come Paolini … ma più centrato sulla moderna deriva dell’individuo.
    Molto umoristico quando poi fa Crozza alias Razzi!

  28. Io non sono d’accordo con Antonella, Valentino e Mauro, per vari motivi. Il primo è che secondo me non hanno colto l’invito all’orgoglio che c’è nel messaggio, a ribellarsi a questo mondo di lavoro insensato, che, dietro una misera (o anche ricca) paga, ti chiede in cambio qualsiasi cosa, dal fare la parte del cretino nel caso del call center, all’essere uno stronzo di manager che fa i tagli “per il bene dell’azienda” nel caso opposto, con tutte le varie sfumature fra i due estremi e che quindi tutti noi possiamo sperimentare.
    Ribellarsi perchè quando accetti totalmente il gioco (visto come una sciagura dal centralinista o come un premio dal manager), vendi la tua umanità e dimentichi la tua libertà di dire “no, io a questo schifo non partecipo!”.
    E’ ovvio che il “NO” non può avvenire dall’oggi al domani! Ma questo non sminuisce neanche un po’ il moto d’orgoglio che dovrebbe metterci in cammino verso maggiori libertà e consapevolezza.

    Secondo punto: secondo me siamo tutti in un call center, perchè il call center è solo l’emblema del lavoro inutile, deumanizzante, alienante, frustrante, di questo enorme sistema produttivo che ormai non produce più per necessità ma, rullo di tamburi, per nutrire se stesso e in cui l’essere umano è solo un ingranaggio!

    E l’essere un ingranaggio è una condizione piuttosto avvilente per un essere umano. Ma allora se siamo tutti d’accordo e siamo tutti ingranaggi, che male c’è a denunciarlo? Una volta Simone critica i manager, una volta l’estremo opposto, svelando che, alla fine, i problemi che ho brevemente citato e di cui lui parla da nni sono trasversali.

    Il fatto e’ che una volta la gabbia è dorata, un’altra invece è sporca e con le sbarre in evidenza e con il cesso puzzolente e mostra la propria vera natura. Ma sempre di gabbia si tratta. Dovremmo (pre)occuparci di questo, non del fatto che qualcuno ce lo ricordi.

    PS questo video di denuncia potrebbe essere il seme di uno spettacolo teatrale, ce lo vedo benissimo

  29. Non ho la presunzione di cambiare il mondo e la gente; da consumatore, cliente o utilizzatori finale, in forma oculata e lungimirante, scelgo e non mi faccio certo scegliere da altri.
    Call center: basta non perder tempo…
    Capitan Perotti ti noto incazzato in video,
    non è da te, renditi conto che vi sono persone che purtroppo devono campare e non hanno o non sanno far di meglio nella vita.
    Buona giornata
    Vale

  30. Credo che il malinteso principale è che, guardando il video, si è avuta l’impressione che l’invettiva fosse diretta proprio contro Tiziana e la sua presunta incapacità di sottrarsi all’obbrobrio “call center”, piuttosto che contro un sistema produttivo che prevede un’assistenza post-vendita così assurda.
    😉

  31. ..qualche settimana fa chiamo il call center di una importante società italiana ( gruppo De Agostini), dopo qualche scambio di battute la ” gentile ” signorina manda a fare in culo me e tutti i clienti in quanto, a breve, trasferiranno l’attività in Romania e lei perderà il già precario posto di lavoro! Ho provato un pò di umana pietà e ho risolto il mio problema da solo!…Forse ha ragione Simone: meglio dire di NO e DA SUBITO!!

  32. Io sono daccordo con te. L’anno scorso a settembre passai un mese di telefonate inutili, per cercare di ottenere una spiegazione alla truffa che mi avevano organizzato i gentili signori di una compagnia telefonica. Tutto inutile parlare con sti “poveracci”, glielo dissi pure alla centralinista che mi spiaceva se alzavo la voce e la mandavo a quel paese, sono uno scudo piazzato lí e non hanno nessun potere decisionale, peró l’offerta e la presa per il culo te la possono fare… risultato, é da 8 mesi che io e mia moglie non abbiamo il cellulare e stiamo benissimo, alla fine li devo pure ringraziare.

  33. Ok, dopo 1 ora di corsa ho sbollito la rabbia e rispondo più serenamente….Simone, ti prego di riascoltare il video ora che ti sei calmato e praticando quell’esercizio di verità che ci hai consigliato in passato, mi devi dire se si tratta di un’analisi sociologica della realtà dei call center (che non conosci, ripeto) o se è, come suona a me, una caterva di insulti rivolti ad una categoria di lavoratori mal rappresentati da questa sciagurata Tiziana…
    Mi sembra che il gusto dell’invettiva ti abbia trascinato un po’ troppo in là con le parole e a volte fanno male…
    Lo snobismo lo trovo nella tendenza molto diffusa ad esaltare il contadino, il pecoraio, lo scaricatore di porto (rispettabilissimi, per carità) ed infierire invece su persone, magari laureate, plurispecializzate, come se ne trovano tante nei call center, come fossero idioti incapaci di liberarsi dal giogo dell’oppressore o pronti a svendersi per una pizza con la loro brutta fidanzata…Per me questo video è uno scivolone, ma considerando che viene dalla stessa persona che ha scritto Stojan Decu, lo considero una dimostrazione della molteplicità dell’essere umano…
    P.S. A me fecero fare un mese di formazione in aula, 8 ore al giorno, prima di poter rispondere ad un cliente…che poi il contesto aziendale fosse infernale è un discorso che si può affrontare, ma non in risposta a questo video…

    • ok, è un “tiro largo”, ne sono consapevole, ma si riferisce al “sistema” di questi call center, non certo solo a chi risponde, che come dico nel video è uno schiavo, è costretto per pochi sesterzi a fare un lavoro in cui è inutile. è chiaro (ma lo dico proprio) che il punto sono le aziende e i loro metodi… Tuttavia, se Tiziana vede questo video qualcosa pensa, su qualcosa riflette, e non potrà non ammettere che:
      – fa un lavoro del tutto inutile
      – recita una sceneggiata mal scritta, ripetitiva, il mantra del nulla
      – fare questo le fa male, le fa male come essere vivente teoricamente meraviglioso su questa terra che invece si abbrutisce
      – l’idea che quella sia l’unica possibilità senza la quale morirebbe è inaccettabile, è assumere per sè le motivazioni del sistema, è usare le scuse offerte dal datore di lavoro, dunque è pessimo
      – se non urla lei bisogna che qualcuno urli per lei, dunque anche un po’ contro di lei, senza cattiveria, però una sveglia bisogna darla anche a lei, evidentemente

      In sintesi: io nutro profonda e umana pietà per chi patisce e ha pochissime alternative. Tuttavia, a volte, come ieri, perdo il senso della necessaria misura VOLONTARIAMENTE, perché di questo lungo elzeviro-ragionamento che stiamo tessendo da anni fa parte anche l’invettiva, e ricordo che abbiamo girato tante volte intorno a temi come:

      – il sistema non cambierà dall’alto
      – noi come individui dobbiamo alzare la mano e chiamare il fallo
      – uno che dice no come cliente, come lavoratore, è eversivo
      – la responsabilità di ciò che facciamo è la nostra, ci impone comportamenti e scelte
      – per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti (F. De Andrè)

      tutto qui. come vedi Antonella non mi discosto di una virgola da me, dai miei principi, dal mio modo di vedere le cose. Solo, l’ho fatto con foga l’istante dopo aver messo giù il telefono con qualcuno (azienda, sistema, operatore…) che mi stava facendo tanto ma tanto incazzare. E ogni tanto si perde la pazienza. E secondo me è sano. E secondo me è pure utile. E secondo me va fatto. Di rado magari, ma va fatto.

      (il tuo riferimento alla molteplicità citando Stojan Decu è di una precisione chirurgica. Complimenti)

  34. Caro Simone, le tue parole sono come al solito controcorrente ma questa volta non mi sento sulla stessa lunghezza d’onda. Io ho una sorella meravigliosa che lavora da tanti anni in un call center per mantenere due bambine e le voglio un bene dell’anima ancora di più insieme alle mie due nipotine.

    Prima di giudicare una persona, come dice un famoso proverbio, occorre camminare per molte lune nelle sue scarpe.

    Mauro

    • ragazzi scusate ma cosa c’entra che uno ha fatto quel lavoro o che una sorella lo fa adesso per far campare la famiglia? queste sono storie individuali, rispettabilissime. Lo dite a me che ho fatto il manager per vent’anni?! Ma mica che per questo sono tenero col management! Anzi!

      Il fatto che uno DEBBA fare un lavoro per un certo periodo ci sta, lo sappiamo bene, ci sono compromessi, tentativi, malumori, tenere duro etc… ma questo non toglie che questo sistema di cose è fasullo, epigone di una follia collettiva di società e di sistema economico, teatrino degli orrori a cui tendiamo a dare la patente di normalità ma normalità non è. E’ come per la guida online di risoluzione dei problemi del computer: chi l’ha fatta sarà anche un bravo tecnico etc ma NON SERVE A NULLA! Mai! A nessuno! è un presa per i fondelli e basta.

      Io questo dico:
      – chi lo fa è messo nelle condizioni di non saper essere utile, solo gentile (se va bene)
      – le aziende che lo fanno (il call center) ti prendono per i fondelli e basta
      – io, come utente, sono stufo marcio di essere preso per il culo

      Tutto qui.
      Nessuna superficialità o mancanza di rispetto verso il singolo individuo che avrà i suoi motivi per fare quello che fa fin tanto che non può cambiare esattamente come io facevo quel che facevo fin tanto che non ho avuto modo e coraggio per smettere.

      Snob, poi, proprio non l’ho capito…

  35. Credo che Antonella abbia ragione, è possibile che parte di coloro che lavorano in call-center sia cosciente di fare un lavoro non proprio ideale, ma forse lo stanno svolgendo momentaneamente mentre stanno creando le condizioni per lasciarlo appena possibile; come quei 10.000 che oggi a Milano concorrevano per un posto da vigile urbano, forse anche loro cercano un modo per sopravvivere lavorando parallelamente al loro sogno/progetto di vita.

  36. Simone, sono riuscita a vedere il tuo video.
    Il mondo dei call center è veramente malsano, ma lo sanno per prima gli operatori che ci lavorano. Anche io, prima di trovarmi in questa situazione, dicevo “non lo accetterei mai”. C’è di buono che in questo call center lavoro con l’estero, quindi sfrutto una delle mie passioni (le lingue straniere), e che riesco ancora a pagarmi da sola l’affitto e le bollette.
    Proprio per la sensazione di frustrazione derivante da questo lavoro, ho chiesto (e ottenuto con un po’ di patema) il part-time: tre giorni sono in ufficio, il resto della settimana è mio.
    Siamo inutili? Sì, vero, ma perché il lavoro è impostato così. Tu hai un problema e chiami il call center; ti risponde un agente che, spesso, dipende dal tipo di problema, non ha le competenze e i mezzi per risolvertelo. Il suo compito è quello di prendere la chiamata, indirizzarla verso un team tecnico che provvederà alla diagnosi e alla risoluzione.
    Le competenze e i mezzi che mancano non sono colpa dell’agente: è che proprio deve starne fuori. Quello che può fare è verificare lo stato della segnalazione, eventualmente sollecitare contattando il tecnico(io lo faccio sempre anche se spesso non sono neanche tenuta a farlo perché per contratto io devo solo trasferire le informazioni); e fare da paracolpi da un lato e dall’altro.
    Le telefonate da noi non sono registrate, anzi, lo sono solo in quegli uffici dove ci sono state parecchie controversie di “educazione” tra utenti e agenti (spesso arrivati a prendersi a maleparole).
    Capisco la frustrazione di chi chiama. Personalmente sono così empatica che mi sono anche esposta a rischio contestazione della dirigenza per aver cercato una soluzione all’utente al di là delle mie competenze.
    Il fatto è che il call center è progettato per fare da filtro, perché non si può permettere all’utente finale (centinaia di migliaia o milioni in alcuni casi) di contattare direttamente il team di tecnici di “2° livello”, come sono definiti.
    Ribadisco: capisco la frustrazione, la provocazione dell’invito a mandare a quel paese il capo, l’azienda e così via. Ribellarsi al sistema.
    Comprendo. Condivido.
    Ecco perché non smetto mai di trovare la via per realizzare il mio progetto, continuo a scontrarmi con le difficoltà.
    Ma non tutti riescono a farlo. E’ già molto difficile quando sei “maturo” e hai definito il tuo ruolo e le priorità. Figuriamoci per chi sta ancora cercando.
    Buon vento
    Dona

  37. Povera Tiziana comunque:(
    Io son daccordo con te, Simone, ma considera che in Paesi diversi dall’Italia, dove non c’é stato alcun boom economico ne alcuna televisione commerciale con i suoi modelli, tanti giovani lavorano nei call centers perché davvero questo sembra qui un lavoro vero, dignitoso e “identificante”, nel senso che ti crea un’identitá. Un po’ come era per noi negli anni 60/70 riuscire ad andare a lavorare negli uffici amministrativi delle ditte, invece che restare a lavorare i campi, a fare qualsiasi cosa pur di avere uno stipendio con il quale comperarsi la tv a colori, la Fiat a rate, o sposarsi e farsi una famiglia. Un caro saluto da Budapest e thank you for your sharing 🙂

  38. Io invece ho pianto perché una di quegli schiavi moderni lo sono stata per un po’ nella mia vita e, pur avendo detto quel NO a gran voce le tue parole mi umiliano lo stesso…è evidente che non conosci per niente il mondo dei call center e non tieni conto delle persone e delle vite che ci sono dietro quelle telefonate…molto snob questa tua invettiva e anche piuttosto superficiale…

  39. Grazie Simone di aver reso pubblica quella sensazione là. Si quella che quasi tutti noi, almeno una volta nella propria vita, ha provato avuto contattando un call-center di questo tipo…Ti seguo da molto tempo, ormai e ti ammiro molto. Complimenti!!!

  40. Tipica reazione post-telefonata a un call center. Ne so qualcosa. E non tanto per questioni personali ma perché mi occupo di questo in ufficio (tra le altre cose…): contratti di telefonia fisso + mobile e quindi…sim aziendali…che mi viene da ridere ma fanno ancora parte dei “beneftis” che i consulenti esigono, sai no, per il “commerciale”, per “vendere”…
    Da questo video trapela quella “punta” di malessere, di incazzatura, a stento trattenuta prima perché poi in fondo, appunto, ti fanno anche pena. Perché brancolano nel buio. Non sanno niente. E quanto proprio non sanno più che “pesci” pigliare, extrema ratio, fanno cadere la linea…Oppure ti lasciano ore e ore in attesa con le musichette più orribili che ti perforano il cervello ma che, mio malgrado, ho imparato a memoria. Una volta il mio capo mi ha detto “oggi devi chiamare XXXX (gestore “nuovo” di telefonia, che ne cambiano almeno uno all’anno, in teoria per risparmiare, in pratica per buttare altri soldi..) per chiedere se possiamo fare la portabilità di un numero che è intestato a tizio che però ha un contratto con caio che comunque…poi paghiamo noi”…Avevo le lacrime agli occhi e non come adesso per il tanto ridere… cioè mi veniva davvero da piangere perché sapevo che sarei stata al telefono per ore e che non avrebbero capito niente e che avrei dovuto richiamare e poi avrei dovuto ripetere ancora e ancora le stesse cose per mille e mille volte….E quindi gli ho risposto “No!”. Lui si è girato con gli occhi sbarrati e mi ha detto “in che senso?”. Giuro, mi è venuto il magone….Ci ho perso la testa. Forse la salute. Perché poi alla fine l’ho dovuto fare e allora mi sono inventata un mio modo di procedere. Faccio battute (a uno gli ho detto “sonno stamattina eh? Che ne dici di prendere un altro caffè?), dico un po’ di cose a caso, e loro, i “poveracci”, prendono confidenza a tal punto che si mettono a Sparlare bellamente del loro “datore di lavoro”, il Merda per l’appunto, e ti dicono in maniera aperta e con un sorriso (che non lo vedo, ma c’è): “amica mia, cambi gestore, qui non funziona niente, è tutta malvivenza!”….

  41. Bellissimo. E alla radice del rifiuto, come sempre, c’è l’orgoglio, l’ultimo baluardo… oltre all’onorevole Razzi, amico di grandi e piccini!

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