Precis-azione

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Nea Maramaras, porto, mentre scrivo. La foto non è netta, precisa. Ma a me dice molte cose.

A me pare di vedere una serie di cose. Ne sono convinto, le guardo, le sento, le ricordo, le snocciolo tra le dita, le penso, e le vivo. Poi incontro sempre qualcuno che mi dice che sono diverse, che non è come sostengo io, che quell’informazione è sbagliata, che quel nome è diverso, che quell’anno era un altro, che quel posto era più in là. L’esattezza o l’inesattezza di quel dato finisce sempre per monopolizzare il discorso: è così, no è diverso, erano tre chilometri non cinque, un grammo non un chilo. C’è sempre qualcosa che “avevamo detto”, qualcosa che “dovevamo fare”, a cui attenerci, da mantenere, con cui verificare. E’ come dicevo io oppure no?! Com’è andata veramente quella volta?

Io in quella storia ci stavo bene. La chiamavo con un nome diverso, sbagliavo data, fraintendevo i nomi? Può darsi. Ma il succo, l’anima, l’ho preso. L’anima di chi, del fatto? Non mi ci sono soffermato mai. Il punto non era quello, ma ciò che provavo, il racconto con cui la vivevo, con cui era possibile comunicarla, gratis, a qualcuno. Un dato corretto, una volta verificato, una volta che ha attivato l’energia necessaria alla vidimazione, è utile per cosa? La storia vale più o meno del numero? Cosa conta, l’informazione o l’emozione? Cosa prevale, sapere o sentire? Imparare o vivere? Guadagnare o spendere? E soprattutto, se il dato certo non genera emozioni, siamo sicuri che sia corretto?

Qualcuno mette energia nell’ordine, qualcuno ordine nell’energia, qualcuno se stesso nel senso. Qualcuno fa le cose in fila, qualcuno no. Siamo diversi. Servirebbe un po’ di precisione nella classifica, l’unica possibile, la nostra, in cosa viene prima, in cosa segue. Alla fine della giornata imparare, sentire, esserci stati, dove, come, facendo cosa. Le parole dette o non dette, che hanno generato storie, sorrisi, oppure no. La mente, il cuore, sono andati via o sono rimasti, hanno fatto il compitino o hanno fecondato vita? A me quella storia piaceva così, la snocciolavo tra le dita come fosse una collana d’avorio. Era congegnata bene, era possibile, ma soprattutto era utile. Renderla più corretta, precisarla, potrà nutrire la vana ossessione per l’ordine, ma non ci salverà.

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4 pensieri su “Precis-azione

  1. …che bel post!..Ci pensavo qualche giorno fa..la nostra memoria non ricorda, credo che in qualche modo ci accontenti!..I nostri ricordi sono la regia di un evento passato, scelgono gli attori, le atmosfere, i primi piani..non parlano di quello che è accaduto, parlano di noi.

  2. Bello, Simone. Grazie.
    Preciso, acutissimo, anche nel racconto del profondissimo senso dell’imperfezione.
    Incursione impeccabile e ispiratissima tra ordine e disordine.
    Domande che sono già risposte.
    Prosa che si fa poesia.
    Come Lei.
    Che mi hai fatto riaffiorare alla mente,
    in una impercettibile frazione di pensiero.
    Lei, inconsapevole, delicatissima compagna, con te, di un pomeriggio d’autunno sospeso.
    Lei, poetessa di ogni giorno che lascio anche qui, perchè altri possano goderne insieme a noi.
    Adesso.
    .mari.

    di Wislawa Szymborska, Scrivere il curriculum

    Cos’è necessario?
    E’ necessario scrivere una domanda,
    e alla domanda allegare il curriculum.
    A prescindere da quanto si è vissuto
    il curriculum dovrebbe essere breve.
    E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
    Cambiare paesaggi in indirizzi
    e ricordi incerti in date fisse.
    Di tutti gli amori basta quello coniugale,
    e dei bambini solo quelli nati.
    Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
    I viaggi solo se all’estero.
    L’appartenenza a un che, ma senza perché.
    Onorificenze senza motivazione.
    Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
    e ti evitassi.

    Sorvola su cani, gatti e uccelli,
    cianfrusaglie del passato, amici e sogni.
    Meglio il prezzo che il valore
    e il titolo che il contenuto.
    Meglio il numero di scarpa, che non dove va
    colui per cui ti scambiano.
    Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
    E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.
    Cosa si sente?
    Il fragore delle macchine che tritano la carta.

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