Venir giù

copertina

La copertina dell’eBook. E’ gratuito. Scaricatelo

Venir giù“. Ma proprio giù a precipizio, senza rete, senza salvezza, destinati a fine certa. E invece… nulla di tragico, una possibilità, rinascere ad altra vita. Un magia…? Smettere di precipitare, è possibile?

Venir giù” è un mio racconto inedito, scritto qualche anno fa. Ero convinto, all’epoca, che si potesse non morire. Che ci fosse la possibilità di non soccombere, che tutto dipendesse da una questione interiore. Teorie complesse, qualcuno le conosce, ne abbiamo parlato di persona navigando. Un giorno magari ci tornerò anche pubblicamente.

In ogni caso, eccolo qui per voi: “Venir giù“, un racconto inedito, diventato un eBook gratuito, a cui tengo molto. Leggero, poetico, perfino un po’ visionario. Ecco perché esce ora. Contiene anche un capitolo intero di “Un uomo temporaneo” e un estratto di alcuni passaggi chiave del romanzo.

E’ gratuito, scaricate l’eBook qui, o su qualunque altra piattaforma (IBS, sito Frassinelli etc…). Buona lettura. Smettere di precipitare, si può.

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8 pensieri su “Venir giù

  1. Questa tua storia mi ha colpito, Simone.
    Mi ha riportato alla mente, forse per la sua aura a tratti fiabesca, “L’estate del disincanto”. I due racconti seguono traiettorie completamente differenti, ma in entrambi ho percepito un senso di attesa, quasi quiete prima della tempesta o svolta prima dell’ atto finale, permeare ogni pagina.

    Ho letto in “Venir giù” una possibilità, una chiave di volta. Sarà forse che gli oggetti di cui si servono Lorenzo e Serena per “restare a galla” sono gli stessi che incontriamo in ogni nostra giornata; in questo modo il mondo “di lassù” diventa quanto di più simile al mondo di “quaggiù”. A tratti pare quasi di confonderli: il cielo diventa terra e la terra diventa cielo.

    Tra il “lassù” ed il “quaggiù”, forse, c’è di mezzo la sola volontà dell’ uomo.

    Buon vento, Simone.

  2. Fin dall’incipit, che è quello di un disastro aereo con tutto il suo afflato di paura, vuoto, smarrimento, si percepisce che questo racconto non è la narrazione di una tragedia, ma un lieve e progressivo trascolorare della realtà verso un mondo possibile, alternativo a quello della fine inevitabile. Smettere di precipitare si può semplicemente se si smette di pensarci, se la paura cede il passo alla possibilità, se ci si accorge “che, nell’intervallo, comunque, c’è un mondo da scoprire”.
    Una fiaba? Forse…soave, delicata che procede con movimenti lievi come il venir giù composto, dignitoso della neo-coppia sottobraccio e al riparo di un impermeabile o il porgere un palloncino verde afferrato al volo da parte di un Lorenzo un po’ imbambolato alla dolce Serena per attaccarlo poi al bottone dell’impermeabile o la leggiadria della vita che ricostruisce le sue abitudini all’interno di una nuvola, ma sempre in equilibrio precario, in una vicinanza che non può mai diventare davvero contatto….e alla mente si affacciano inevitabilmente la tenerezza romantica e un po’ triste dei gesti di Charlot o la poesia di certi personaggi di Fellini…
    E’ solo una fiaba delicata, surreale, un po’ grottesca o non sarà, forse, metafora della condizione umana quando d’improvviso viene squassata dal vento del cambiamento e attanagliata da tutti i terrori e le immaginazioni catastrofiste che accompagnano il salto nel vuoto? Questo breve racconto sembra suggerire che ogni cambiamento, per quanto improvviso e radicale, offre delle opportunità se le si sa cogliere, che non sfracellarsi è possibile, che un’alternativa si offre, ma solo a chi è già in grado di concepirla superando la paura e affidandosi al flusso della vita con curiosità e stupore.
    E nel finale, che resta aperto ad ogni possibile lettura, c’è spazio anche per l’amore che colma le distanze, ma rompe gli equilibri, l’amore che comporta dei rischi, anche quello di precipitare forse, ma è un rischio che vale la pena correre…
    Splendido!

    • Si antonella. Quel venir giu, non e’ un disastro aereo. Non e’ un racconto surreale. E’ la rappresentazione comprensibile, piana, perfino iper realistica della nostra vita. Noi, se qualcuno non se ne fosse ancora accorto, veniamo giu…

  3. Con il tuo permesso, da moderatore, e con il mio “vero” nome apposto in alto e in calce, “copio e incollo” anche qui un post che ho deciso di pubblicare sul mio profilo di facebook… Il tema è quello “narrato” nel tuo ultimo libro. Per discuterne. Per non rimanere in silenzio. Grazie.

    Mi mancava questa esperienza “lavorativa”. Il “calcetto” dato sotto la scrivania per farti silenziare non mi era ancora capitato. Sto attendendo la sberla in piena faccia. Ho subito nell’ordine “stai zitta e pesa le parole, hai un figlio”; “sei maleducata e con te non si può parlare”; “non vai bene in questo ruolo e quindi ora è un casino”; “vaffanculo, ora ti arrangi da sola”. E altre amenità che non voglio ricordare per vergona, quella di chi, per ruolo, pensa sia questo un “modo” virile e macho di presidiare la propria azienda. Quando ho chiesto spiegazioni per il “calcetto”, mi è stato risposto che mi erano già stati inviati cenni di sguardo per silenziarmi. Peccato che io, presa com’ero dall’imbarazzo di parlare in pubblico (a cui non sono certo abituata come loro) e dalla voglia di spiegare al meglio il mio “operato”, fissavo la persona che aveva posto una domanda. Allora io credo di averne davvero abbastanza. Credo di non riuscire a tollerare più vigliaccheria e ruoli pre-impostati, rigidi atteggiamenti snobistici di una “casta” di manager che non riescono a crearsi un altro ruolo che non sia quello del “potere” e, soprattutto dell’abuso di potere. Chiedono maggiore flessibilità, tanto che io, dipendente di una società, sono in subappalto a un’altra che di dipendenti ne ha 1 e solo 1…A quasi 50 anni non stiamo a “spaccare il capello”. Siamo “colletti bianchi”, ancorati a una scrivania. Di noi operai e collaborati scolastici o ecologici pensano che non facciamo un cazzo. Vai a spiegare che torni a casa e ti frullano ancora nella testa numeri su numeri che non sei riuscito a quagliare. Che senti il sudore freddo dell’errore che incombe come un corvaccio nero, preludio dell’ennesima strapazzata. Vai a spiegare che il nostro è un lavoro “di testa”, dove in pochi secondi, quasi come un esperto chirurgo, ti tocca prendere decisioni repentine che potrebbero ridurti a passare i giorni di natale a recuperare un file che non hai salvato dopo averlo aggiornato per ore e ore, cavandoti gli occhi …Vai a spiegare che ora sei un dipendente-consulente, Che non hai un orario fisso. E che se torni a casa ti possono chiamare quando vogliono, h24 per stronzate qualsiasi e tu devi rispondere, ricordarti e farlo bene….devi tenere a mente tutta l’alberatura della tua fottuta posta elettronica….dei numeri delle fatture, di date e protocolli e di tanta carta e ancora carta…E come sempre sono le lotte tra poveracci in cui perdiamo tempo. Altro che “dignità” del proprio lavoro! Ora se ti “pagano” ti stanno facendo un favore. Hai un prezzo “pattuito” se sei fortunato. Se no devi lavorare gratis per un po’ e poi si vedrà… Altro che “know how” e capacità di “problem solving”! Mi è capitato svariate volte di risolvere un problema prima del mio capo… tutte quelle volte è stato per “casualità” e “fortuna”, Che tu, donna, dipendente, non vorrai mica credere di poter “surclassare” il maestro! Questo è sessismo! E, badate bene, vale per entrambi i generi… lo fanno anche con” lo stagista”… Questo è un “modus operandi” sbagliato. Da rifare. Da rivoluzionare.

  4. Ho cercato strenuamente di non leggere alcuni parti del libro che sono state pubblicate sul profilo di facebook di Simone, quando ancora io non avevo letto nemmeno la prima pagina…
    Questo perché, per quanto mi riguarda, la lettura di un libro è un percorso troppo personale, troppo intimo per essere comunicato, soprattutto quando la lettura non è ancora conclusa…A volte mi capita, infatti, di doverlo, o volerlo rileggere, o di soffermarmi su alcuni passi che ho evidenziato, per provare a riflettere su quello che l’autore ha voluto comunicare e, soprattutto, su quello che io sono riuscita a percepire. Per questo infatti soffro quando i libri non sono “miei” ma della biblioteca: doverli restituire è “una procedura” a cui non mi sono ancora abituata…e mi segno tutti quelli che necessitano di un acquisto…perché devono “rimanere con me”.
    La lettura di un libro, così come la visione di un film o di un quadro o di una scultura, è, per me, una esperienza unica e non sempre riesco a trasmettere l’emozione che ho provato. Per quanto riguarda i libri, sono soprattutto i romanzi quelli che io “vivo” e definisco, quindi, come un’esperienza unica e, a volte, perfino difficilmente condivisibile.
    Ora sto leggendo “Un uomo temporaneo” e mi pare di farlo con qualche “prevenzione” e non liberamente. Per questo ci sto mettendo parecchio tempo. Perché qualche frase, se non qualche pagina intera, è già stata fotografata, postata e commentata e quindi cerco di “liberare la mente”. E non tanto, o non solamente, perché, alla fine, il “giudizio” sia libero da “condizionamenti” ma per il fatto che ognuno di noi dovrebbe leggere e provare a “interpretare” il testo rispetto a se stesso. In questo modo il libro diventa “parte di te”, ti rimane dentro e capita di ripensare a quella particolare frase mentre stai vivendo un momento qualsiasi della tua vita. E, spesso, capita di sorridere tra sé, perché quella stessa frase diventa “il motore”, la spinta per agire, per “scegliere” di comportarsi in un modo o in un altro…Sono molte le frasi che ho sottolineato, riscritto, tenuto a mente, ricordato, citato, e tra queste c’è n’è una che ogni volta mi fa commuovere…Sono, per esempio, queste ultime 7 righe:
    “Era un pensiero ridicolo, ma in alcuni momenti non c’è altro da fare che assecondare i tuoi deliri come qualcosa che non scegli, come qualcosa che subisci e basta. Avevo voglia di urlare, volevo gridare, volevo stracciarmi i polmoni, come Papillon, con tutta la forza dello stomaco, spaccandomi la trachea, con tutta la voce che la gola poteva ancora pompare: “Maledetti bastardi, sono ancora vivo!”. (R. Saviano, Gomorra).
    Ma anche “Quando chi amiamo non c’è, non vediamo la sua assenza. Ma il nostro vuoto.”. (S. Perotti, L’equilibrio della farfalla).
    E soprattutto…”Il fatto è che, da qualche tempo, serpeggiava una nuova, irresistibile sensazione: CHE LA VOCE DI OGNUNO AVESSE UN VALORE. O CHE, ALMENO, QUALCUNO L’ASCOLTASSE”. (S. Perotti, Un Uomo Temporaneo). 🙂 Grazie. Barbara

  5. Ciao Simone..non ho ancora letto il romanzo ma ho appena finito il racconto. Mi è piaciuto molto: leggero, surreale, ironico, iperbolico con un tocco di romanticismo. Ne ho anche tratto un inaspettato insegnamento: nessun luogo è mai sbagliato per ” provarci”!

    • non so se è quella la “morale”, ma certamente è anche quella… un racconto, come una qualsiasi opera, è aperto. ognuno entra in risonanza e “legge” il racconto che vede. Cfr “L’Opera Aperta” Umberto Eco. ciao!

  6. Non so perché una lettrice abituale di questo blog mi ha lasciato un commento premettendo “non pubblicarlo, per favore”.
    Solo che è molto interessante il suo commento, e allora tolgo il suo nome ma lo pubblico lo stesso. Molto interessanti questi due quesiti. Che ne pensate?

    “Non pubblicare questo commento, Simone, grazie.

    Allora, intanto ieri mi è molto piaciuta la presentazione del libro che, però, non ho ancora letto. Avrei voluto salutarti alla fine ma c’era una fila lunghissima e dovevo andare via.

    Avrei voluto farti delle domande che mi sono venute dalla presentazione ma non avendo ancora letto il libro non l’ho fatto.

    Poi però ieri sera mi frullavano nella testa. La prima considerazione che mi veniva è che Gregorio mi sembra una sorta di cappellano del carcere. Ha come un manto addosso di religiosità, sembra quasi un po’ trasfigurato come lo sono certi religiosi. E’ un cappellano di un carcere che visita i detenuti a vita, li conforta ma non li libera. Forse perché è detenuto anche lui? Nessuno si rende conto di essere prigioniero e neanche lui?

    La seconda, invece, è un po’ pirandelliana. E se il personaggio ti fosse sfuggito? Se si fosse sottratto alla tua penna e vivesse ormai di vita propria e avesse un piano che tu non avevi assolutamente previsto? Se fosse in cerca dell’autore per condividere il suo piano con te? In questo caso tutto questo “bildungsroman aziendale”, scusa la definizione azzardata, non sarebbe la preparazione, il salto, la spinta per una vera e propria consapevolezza e liberazione?

    In questo caso, però, il romanzo dovrebbe continuare…

    Grazie e ciao”

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