Che sa?

Milano

Italia. Sbarcato a Samsun, in attesa di imbarcarmi ancora, a giorni. Il Mar Nero orientale, sia anatolico che caucasico, è un mondo remoto. Vi domina il silenzio, grandi moli deserti, tanta accoglienza. Arrivavo in barca, su Mediterranea, forse era facile essere guardato con stupore, curiosità, gentilezza, disponibilità, da chiunque. Però i modi, i toni, le parole, i gesti della gente, gli occhi… difficile che ingannino. Pochi euro per un taxi, pochi euro per mangiare, pochi euro per tutto, e tante volte niente euro. “Siete i benvenuti”, solo sorrisi. Forse anche David, a Batumi, che abbiamo giudicato male.

Milano. In questi giorni passeggio, guardo, cerco di riabituarmi, anche se non dovrei. Il nomade che si abitua comincia a soffrire del movimento, che gli ha sempre dato riparo (ma io sono un nomade?). Città che sale. A tratti bellissima, come mai prima. Tante cose che non avevo visto, che non conoscevo. Tanta gente in giro. Pochi sorrisi. Oggi cartoleria e banca, un consolato per il visto, un bar. Nessuna accoglienza. Solo facce serie, grinte un po’ scure. A parte gli amici eritrei del Red Café, cari come sempre. E un ragazzo, Salvatore, che mi corre incontro: “Tu sei Simone? Ti ho riconosciuto! Sei un grande, ho letto tutti i tuoi libri…”. Grazie.

Qui è tutto costoso. I prezzi si sono impennati dall’ultima volta. Un aperitivo 12 euro, due caffè e un tramezzino minuscolo, 15. Un bicchiere di birra e tre polpettine: 12 euro da Eataly. Nutrire il pianeta. Quanto costerà cenare? Ricordo Trebisonda, cena Ramazan, due grandi piatti a testa di carne e verdure, oltre ai mezé e all’acqua, 7 euro. Ma come al solito non colpisce il denaro, anche se con queste cifre non posso più neppure uscire qui.

Intanto mi chiedo, come sempre. A quasi cinquant’anni dovrei forse essere più fermo, solido, fisso, definito? Dovrei assumermi più responsabilità? Che sia sano, come vivo? E la responsabilità di essere io, di cercare l’autenticità, di offrire le poche cose che ho nelle mani, ma tutto quello che ho? Non basta, mi sa. Chissà come deve andare il mondo, la vita. Più cerchi di capirlo, di rovistare, e meno ci riesci. Morirò che non saprò più niente, neppure il mio nome, mentre a vent’anni sapevo tutto. Oppure no. Forse sto capendo davvero, ma solo quel che si può. Il nomade può sapere qualcosa di definito mai? E chi nomade non è, cosa sa?

#unuomotemporaneo

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18 pensieri su “Che sa?

  1. Come mi ritrovo nel tuo commento pattylafiacca, soprattutto l’insofferenza nel fare quello che ai molti appare come il massimo divertimento (o diversivo…). Cerco di togliere, eliminare, semplificare, focalizzarmi su ciò che mi permette di esprimermi per quello che sono, ma che fatica stare sul pezzo… e la paura di perdersi qualcosa che si insinua ad ogni rifiuto, rinuncia.. il timore di richiudersi su me stesso… l’onnipresente messaggio che sprona ad uscire dalla propria zona di comfort… e al tempo stesso l’ebbrezza che mi da la sensazione di essere libero di assecondare la mia indole.

  2. Aggiungo un’ altra lettura, ad integrazione di quelle vostre. (Anche se rileggendomela adesso può suonare un po’ meccanicistica…)

    A vent’ anni avevamo la sensazione di sapere, perché dopo l’ emancipazione da quello stadio evolutivo (un po’ sfigato per alcuni – senz’altro per me lo é stato!) dell’ adolescenza abbiamo avuto uno ulteriore sviluppo in varie aree: in una cresciuta autonomia, nella comprensione e capacità di analisi di argomenti più complessi, etc.

    Di fondo ci sta un errore di percezione, di stima, nel prendere le misure sia di quello che ancora c’é da affrontare: quanto é “esattamente” ancora lungo il percorso, sia soprattutto (per i più) una mancata profonda consapevolezza di ciò che avevamo realizzato fino a quel momento.
    Intendo che avendo acquisito delle capacità, in maniera tutto sommato naturale, anche se forzata (nel senso che dall’ infanzia ai vent’anni molte cose che si fanno, comunque si scelga, se venissero evitate procurerebbero una incapacità, una così forte limitazione rispetto all’ interagire con la società che ci sta attorno che ci sarebbe troppo da rimetterci a non metterle in atto) almeno fino ad un certo livello permette di essere funzionali nelle cose che dobbiamo fare. Dopo però, calando la costrizione, dipende dalle persone compiere un ulteriore sforzo deliberato per continuare migliorare nelle cose che le interessano. Sforzo che, haimé, segue la legge del rendimento decrescente: ad ogni unità di tempo aggiuntiva alle precedenti che si dedica a qualcosa il ritorno ottenuto é via via sempre minore. É quella che gli economisti chiamano: produttività marginale decrescente. Per farla semplice il grafico disegna una curva che cresce in maniera veloce all’ inizio e poi man mano sempre meno fino a raggiungere un apice e poi decrescere. Basta ricordarsi che assomiglia molto al grafico che quasi tutti avranno visto nel manuale di guida per l’ esame della patente della macchina nel rapporto tra l’ aumento dei giri del motore il relativo incremento della velocità: man mano che si schiaccia l’ acceleratore la macchina va più veloce, ma la velocità aumenta in maniera sempre minore fino a che pur continuando a premere il pedale dell’ acceleratore fino a fine corsa non aumenta la resa, anzi diminuisce pure di un po’, quindi si sta sprecando pure un po’ di carburante senza ottenerne nulla.
    Nelle varie cose della vita il discorso di questo andamento serve per mettere a fuoco che anche prima di potere mai raggiungere l’ apice, che é l’ eccellenza, se mai lo raggiungeremo – o, se mai avessimo davvero un ritorno a cercare di mirare tanto in alto- il beneficio tende progressivamente a diminuire. Nell’ affrontare qualsiasi cosa: uno sport, una qualche abilità, la capacità di interagire con le persone, etc. spesso non si é granché consapevoli di come si viene influenzati da questo andamento delle cose (la curva di cui dicevo), e di come tenerne conto anche per cose relativamente inesplorate che ci accingiamo ad affrontare come nuove.
    Quando siamo attorno ai vent’anni veniamo da e siamo ancora in una fase di acquisizione delle cose con un rendimento ancora relativamente elevato rispetto alla fatica che ci dobbiamo mettere. Penso che sia per questo che ci sentiamo ancora come: “ “oggi ‘spacco’!!!” ”

    Nel percorso che si compie esistono poi anche dei plateau e dei momenti di epifania.
    Ci possono cioé essere dei periodi di “stanca” in cui si ha l’ impressione di ristagnare senza progressi pure mettendoci energie. Questi sono i plateau.
    Mentre quando abbiamo delle rivelazioni, intuizioni, cambiamenti repentini che portano a superare il nostro affrontare le cose con una progressione superiore al nostro andamento normale, cioé dei picchi, abbiamo delle epifanie. Le epifanie non sono programmabili a priori, sono accidentali, anche se sono in relazione in un qualche modo con un accumulo di un impegno precedente che abbiamo messo in qualcosa su cui ci cimentiamo.
    É invece più fattibile (non facile, ma fattibile) lavorare sul superamento di un plateau. Serve migliorare la capacità di notare ciò di cui ci occupiamo per cercare quindi di aggiungere o variarne qualcosa. Mi sto convincendo che l’ attitudine e il desiderio di una persona a notare, modificare, mantenere abbastanza a lungo delle variazioni applicate ad un comportamento, per vederne gli esiti, possa contribuire almeno in parte ai risultati che raggiunge.

  3. Ciao Simone,
    anche a me succede questo. Più avanzo nella vita e meno mi sono chiare le cose, più mi confondo, più non trovo senso. Ho smesso di giudicare da tempo ma rimango fedele al mio sentire e se una cosa/persona/ambiente/situazione non mi piace, non la sento nelle mie corde non la tengo. La sperimento, sì, mi lascio coivolgere, la sento ma poi la lascio, chè non ho tempo di provare tutto quello che non voglio… Seguo la mia linea di minor resistenza e già quì c’è molto molto da fare e pensare. Mi rendo conto che tutto non posso, quindi seleziono, scelgo, mi isolo e guardandomi attorno avverto che tutto sta andando verso direzioni non mie, che non mi rispecchiano, anzi, mi generano ansia, conflitti interiori. Vuoi farmi un dispetto? Invitami ad un matrimonio, in un villaggio turistico, in un locale alla moda: mi sale l’ansia, quella brutta, quella fisica. Più avanzo e più mi sento stabile e allo stesso tempo debole di fronte a ciò che non mi piace , non lo riesco proprio più ad afforntare. Non sono sicura sia un bene ma tant’è

  4. Si tratta di due mondi diversi. Il primo l’hai vissuto per tanti anni, con accanto una guida; il secondo è tutto nuovo e da scoprire e ti tocca farlo da solo ma con quasi 50 “poteri” (teoria del mio ragazzino che ritiene/riteneva che ad ogni compleanno ci venga regalato un potere!).

    • Mary dì al tuo ragazzo che la teoria dei 50 poteri mi piace moltissimo. Sembra un racconto delle Mille e una notte. Ho tuttavia il sospetto che vi sia una somma algebrica da fare: un potere ad ogni compleanno, e va bene. Ma quante sottrazioni ad ogni genetliaco? E di cosa? Meraviglia, innocenza, ingenuità, incanto, ottimismo, speranza, visione, fiducia, che fine fanno ad ogni anniversario? interessante quesito con cui inizio la giornata sapendo già che fino a quando mi addormenterò sarà difficile pensare ad altro…

  5. Ciao Simone, come direbbe un adolescente ” ne sai a pacchi” , solo che a 50 anni si è meno presuntuosi che a 20. Io non ne sapevo a 20 e pure adesso passati i 50 non sono molto migliorata a parte una cosa…….non giudico più. Quanto giudicavo a 20 anni , quanto mi sentivo superiore ….quanto ero cretina e superficiale. Non giudico in senso negativo, ascolto , dico la mia opinione ma non giudico.
    P.S. : Mannaggia vai a Santarcangelo di Romagna e non riesco a venire naturalmente a causa del lavoro , se non ci sei mai stato rimarrai stupito dalla sua bellezza.
    è sempre un grande piacere leggerti e leggere i commenti di persone pensanti.

  6. Sono impressioni che condivido in pieno. In questo periodo sono molto impegnato nella casa in campagna con i lavori, quella dove vivrò, e sto scoprendo un mondo dove basta parlarsi per ricevere frutta, verdura e vino, come atto di benvenuto. E aiuto. Lì il mio vicino di casa ha 84 anni e ne dimostra 15 in meno, secondo me è una persona che ha avuto la fortuna, durante la vita, di lavorare e vedere e godere dei frutti del proprio lavoro. Costruire se c’è il bisogno, zappare la terra per cibarsi in modo genuino quel tanto che basta per sè e per scambiare, e via dicendo. Legarsi a quel che si fa, apprezzare, custodire e amministrare. Altro che lavorare da pazzi solo per far crescere il PIL (e spendere poi 10 euro per un panino e 2000 per una vacanza di 7 giorni per far passare la gastrite) magari producendo cose dannose che non vedrai neanche realizzate (perchè tu ne fai solo una parte). Ha una energia che molti giovani non hanno… mi insegnerà anche a fare l’orto!
    La realtà si mette a danzare e sa sorprendere quando si fanno delle scelte…

    • Stefano, Fabio… a me colpisce l’involuzione, o se volete la raffinata evoluzione: a vent’anni sapevo tutto. Ma dico proprio tutto, come girava la ruota, potenzialità, conseguenze, scenari, relazioni… oggi che quasi ne ho cinquanta, mi pare di sapere sempre meno. Quel che accade tendo a non comprenderlo. Mi faccio migliaia di domande, godo degli scampoli di gioia che la pesantezza del pensiero del mondo mi lascia. Mah…!

      • Credo di capire cosa intendi… forse da giovani si è più sintonizzati sull’essenziale e finchè si rimane su quel piano, le cose funzionano perchè sono, tutto sommato, semplici e vere. Poi si incontra altro, di più, di peggio, di meglio, il proprio mondo si arricchisce e si espande. In un mondo più semplice, in megli forse. Oggi, con una modernità così ricca di stimoli (spesso banali), ci si confonde parecchio. Assorbiamo tanto materiale che va metabolizzato e capito, altre volte espulso, proprio come un rifiuto. Forse sono più i rifiuti da espellere che i nutrimenti e così a volte le persone si ammalano. Non riusciamo a distinguere il bene dal male: c’è di tutto troppo. Siamo come bicchieri in cui continua a essere versata acqua, ma non c’è più spazio e questa fuoriesce. Credo che gran parte della confusione in cui viviamo derivi dal fatto che siamo investiti da una quantità di informazioni colossale. Da giovani si è ancora “puliti”. Scelte che apparivano chiare e lampanti adesso sono offuscate e c’è bisogno di lavoro e grande forza per rendere di nuovi nitidi i confini. Io ricorro spesso al ricordo di cosa pensavo a vent’anni per recuperare anche solo un po’ lo spirito “giusto”, per aiutarmi nelle scelte. Poi, ho avuto un periodo della mia vita, sui 23-25 anni, in cui ho proprio avuto l’impressione di essermi inquinato per il troppo e nello stesso tempo di aver perso la lucidità che mi era propria. Ecco la radice del cambiamento necessario… e credo che questo processo, maturando nel tempo, stia rendendo le nuove generazioni più consapevoli (anche dei propri deficit).

        • Ho scritto “In un mondo più semplice, in meglio forse”: volevo dire che, in un mondo più semplice, questa espansione portava l’individuo a incontrare altri elementi essenziali e validi. Quando passeggio in zone rurali cerco di (ri)conoscere questi elementi. Questa frase può confondere nel punto in cui l’ho inserita.

        • Ancora una cosa e mi taccio:

          – tu sei del ’65 se non sbaglio, e sei stato bombardato con certe modalità, ma ancora negli anni ’70 si viveva ancora abbastanza slow, si pensava ancora
          – io sono dell’80 e sono stato bombardato con armi più sofisticate (ancora adesso quando vedo una scatola di Lego ho strane pulsioni 😀 )
          – chi è più giovane è bombardato ancora meglio e poi è continuamente connesso

          tutto farebbe pensare che i più giovani saranno spacciati… io invece penso che, proprio perchè il processo è maturato (ossia è diventato insopportabilmente invasivo), saranno proprio i giovani a dire “basta” nei prossimi anni. Ciò che poteva sedurre un tempo (una bella carriera ad esempio) ai più giovani suona più come un imperativo e un obbligo (perchè vedono che è tutto già scritto). Anche se le modalità di persuasione possono essere raffinate, credo che l’evoluzione se ne sia accorta e stiano nascendo anticorpi naturali. Poi, magari solo per una parte accadrà.

          • Fabio, quel che dici lo si e’ sempre pensato. Dalla societa agricola alla rivoluzione industriale, da quella industriale a quella dei servizi. Da quest’ultima a quella del virtuale. Non c’e’ dubbio che l’attuale sia enorme, come rivoluzione, ma io credo che oggi leggendo seneca lo troviamo scritto per noi l’uomo non cambi mai. Reagisce.

  7. Gli interrogativi che ti poni sono quelli che mi pongo ormai da tempo…….cosa e’ giusto, cosa no, cosa significa vivere, o semplicemente esistere…….tutti stritolati a pensare al futuro, ad accumulare denaro perche’ …domani magari ne potresti aver bisogno, mentre domani potrebbe persino non esserci. Inchiodato a questa sedia, a questo computer a ripeterti che cosi’ non va, da troppo tempo non va, ma incapace di svoltare , di ribaltare il tavolo. Che sia sano come vivo ? la mia risposta e’ no, sono sicuro sia la risposta giusta ma cio’ nonostante rimango qui. Questo e’ il vero segno del fallimento. Non provarci neppure. Tu hai cambiato, ci hai provato ci sei riuscito e continui a provarci tutti i giorni. Sei d’esempio. Vai avanti cosi’….fallo per te, fallo per noi. Grande Simone. Grazie, comunque.

    • Ma…Simone, ne sei proprio sicuro? A 20 anni sapevi tutto? Davvero? O forse era solo una “sensazione” di forza, quella che, trascorsa in qualche modo l’adolescenza, ti fa pensare “oggi ‘spacco’!!!”. Comunque per me è proprio l’opposto. A 20 anni mi sentivo solo più forte fisicamente, questo è certo! Ma per il resto…. Lasciamo perdere. Giravo spesso come una trottola, cercavo ovunuqe conferme, mi sentivo insicura, debole, e perennemente “in attesa”. Sarà forse che sono donna? Chissà. Qui ora siete tutti….maschietti…… 😉 Dei miei “già” 50 anni e del percorso per arrivare fino a qui, invece, mi sono stupita. Più padronanza, meno menate, più semplicità e una certa “alterigia” nello stare a guardare ciò che succede… E poi ascolto 3 volte al giorno “Sally” di Vasco…così per sentirmi “capita”…. Ciao!

      • Non c’e’ dubbio che si trattasse anche di gioventù. Tuttavia, le domande che mi facevo erano tutte appropriate, i modelli tutti fattibili. Ogni cosa mi pareva chiara, evidente. Tutto quello che non cercavo, evidentemente, non mi obnubilava, non mi saturava e confondeva al tempo stesso. Chissà…

      • Quello che tu provavi a 20 anni, lo provo a 50…..con la consapevolezza di aver praticamente buttato i migliori anni della vita, dietro al lavoro. Non e’ bello. E cio nonostante non riuscire a trovare il coraggio di svoltare…..

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