L’onesto patto

cargo

Un cargo. Cide, Mar Nero (TK).

Curo la mia piccola verruca, nel silenzio della cabina. La osservo, le spalmo sopra un po’ del liquido che la sta eliminando. Leggo poche pagine, sottolineo una frase, guardo fuori dall’osteriggio. La marina immobile, placida, silenziosa, e la valle ampia, ariosa, dietro di lei, sono irrorate di luce dell’est. Seguo la coda di un pensiero con cui mi ero addormentato: lo afferro, gli salgo sul dorso, volo tra le isole e il mare. Lo mordo sulla nuca, lo bacio. La barca è ferma, poco sciabordio sulla poppa, l’equipaggio dorme. Sono le 06.00.

Quando navighi a oltranza, la vita a bordo scorre per rituali, o improvvise accelerazioni. Sveglia presto, un caffè sul ponte, un biscotto, una sigaretta, la lettura del portolano, degli isolari immaginari. Gli occhi vagano tra il paesaggio marino e l’armo, spiano dunque il mondo e la tua vita. Un marinaio, quando naviga, vive in una stanza con due sole pareti: il mare e la barca. Forse è per questo che talvolta si sente scoperto. Forse è per questo che talvolta si sente libero.

Fuori, prua oltre le luci rossa e verde del porto, il racconto si fa epico e aritmico. Ciniglia e carta vetrata, cotone e tela di sacco. Oggi che giorno sarà? La lieve apprensione fa da pelle del navigante. E come lo rassicura, talvolta, l’orizzonte, quando è piano, senza gobbe di onde! Il suo sgomento oscilla tra preoccupazione e rassicurazione. Una cura, distrae; l’altra accentua. Navigare, alla fine di ogni discorso, è stipulare un onesto patto con la malinconia. Quella che il mondo sulla terraferma combatte ogni giorno con rumore ed oggetti, il falso movimento, e che noi assecondiamo con autoconvincimento e infingimento, l’illusione.

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5 pensieri su “L’onesto patto

  1. Oggi sarà un altro giorno da vivere come hai scelto tu. Con un po’ di lana pungente, un po’ di seta fine, un po’ di nylon, cucirai con attenzione. I tuoi patchworks riescono sempre benissimo. Immagino le vele della tua barca come se potessero essere fatte di tutti questi pensieri, ricordi, sogni.
    Un forte abbraccio. Aglio sulla verruca.

  2. si comunica sempre solo tra persone che sanno già quello che stiamo per dire. Altrimenti non c’è comunicazione… Diciamo sempre solo quel che l’altro sa già. Oppure non gli diremo mai niente…

    • … E’ un modo un po’ complicato per dire che …possiamo comunicare SOLO con chi ci comprende profondamente? Ma se chi ci capisce così bene sa già cosa stiamo per dire…perché lo diciamo? Cioè…ma allora in questo modo comunicano solo i “comunicatori”… E tutti gli altri? Io credo che la “comunicazione” spesso non abbia bisogno di parole. Paradossalmente. Per farlo occorre parlarsi, guardarsi negli occhi, seguire il movimento della mani che accompagnano le parole, i gesti, i modi…. Qui comunichiamo dei pensieri. Li “scriviamo”. E naturalmente ognuno con i propri mezzi e le proprie possibilità…ma credo liberamente e abbastanza “onestamente”. Forse. Ma poi chissà. Io non so niente.

  3. Anche il mio è un “onesto patto”…. con il diavolo, però.
    Ultimamente infatti mi chiedo spesso se il mio è un accordo implicito sottoscritto con me stessa o se invece è un tacito assenso di cui mi sorprendo di non saperne nulla. Chi ha messo firmato al posto mio? Chi ha deciso per me? Dove sono le carte??!!!
    Sono sempre stata io la vera responsabile di tutto ciò che mi accade? oppure no? Che poi è bello filosofeggiare sulla questione del “libero arbitrio”. E’ piacevole sentirsi sollevati dalle parole di uno psicanalista che legittima ciò che non va con sedicenti e seducenti “traumi infantili”. Ma poi non è vero. O comunque non è “tutto”. E lo so perfettamente. Ma conosco altrettanto bene quelle “gabbie”, quei maledetti stereotipi che comunque ammaliano, soggiogano… ti incantano e ti portano là dove forse comunque saresti ugualmente dovuto approdare…
    Tregua. E poi un patto. Esplicito. Perché i miei occhi si posano da troppo tempo su paesaggi tristi e illuminati da un sole falso e malato. Le mie orecchie percepiscono parole guaste e vuote. La mia bocca si è chiusa, offesa, intimidita…Le mie parole… troppo strigliate e strapazzate e abusate. Inservibili.
    E allora mi piglio il diritto di sognare. Vagheggiare, fare castelli in aria. Senza sensi di colpa. Senza “deadline”. Allontanandomi da sguardi indiscreti. Cercando, per quanto possibile, spazi aperti. Nella mia “stanzialità”, nel mio esistere “qui e ora”.

  4. Quanta ispirazione hai messo in queste parole, cosa si prova ad essere in mezzo al mare, a quell’ora, tutti dormono ancora, tu solo avvolto in quel silenzio, capace di gustare tutto di tale esperienza… i colori meravigliosi che mutano lentamente, gli odori, il quieto sciabordìo dell’acqua, il cielo e il mare ampi, infiniti. Quanto trasmette tutto ciò a chi è in grado di ricevere… mi piace davvero tanto questa descrizione.

    E in antitesi penso agli uomini d’affari impegnati, che pur con tutta la buona volontà non riuscirebbero che a cogliere un vago riflesso di tutto ciò, con la testa e il cuore lontani, a far di conto, a studiare strategie, a secernere bile travestita da ottimismo. Magari in una mano un costoso cellulare, nell’altra un sacchetto di nocciole sbucciate delle langhe (!) 😛

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