L’uomo che guarda passare le navi

channakale

Stretto dei Dardanelli, aspettando che il vento cali.

Il vantaggio di stare male, non fingere di stare bene, non dirsi stupidaggini che non reggono più di qualche minuto e non cercare scorciatoie dicendo che la causa dei tuoi guai sono gli altri, obiettivamente, è scarso. Ma è essenziale.

Ci pensavo oggi, seduto in un bar sullo Stretto dei Dardanelli, a fare l’uomo che guarda passare le navi. Si stava bene, preparano il miglior espresso dell’Anatolia occidentale, e per qualche istante sono stato felice. Io compilo sempre una mia personale classifica, che si intitola: I luoghi dove sono stato felice. E quel bar l’ho inserito subito. 

Fingendo e raccontandosela, eleggendo un nemico causa dei nostri guai, abbiamo un mucchio di vantaggi: la colpa è sua, non nostra, se non ci fosse stato lui chissà dove saremmo, la vita ci rema contro e noi siamo degli eroi, salvatori di noi stessi e della patria, a sopravvivere controcorrente, ogni problema è originato da quella causa, se le cose peggiorano è solo una conseguenza, il lavoro per capire i nostri guai non dobbiamo farlo, se stiamo male ci sentiamo pure vittime e non degli scemi che stanno male invece di stare bene. Peccato che la premessa è sbagliata, e dunque tutto il resto, che segue, è falso. E il futuro, fortemente compromesso.

Vivendo al contrario di così, cioè tirando tutto sotto la nostra responsabilità, abbiamo solo svantaggi: colpa, fatica, scavo interiore, solitudine, tempi lunghi, nessuna attenuante, etc. Ma guadagniamo che poi, a un certo punto, il segno si inverte, e gradualmente cominciamo a stare meglio, in modo solido, concreto, duraturo, motivato. E pure senza il sospetto che ce la stiamo raccontando. Per come siamo stati male, e così a lungo, sappiamo bene che non è vero.

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9 pensieri su “L’uomo che guarda passare le navi

  1. Immagino che questa “pratica”possa essere utilizzata in molte circostanze….Esclusa la guerra, la fame, la povertà indotta (quella, per intenderci, casuata dai paesi “ricchi” vs i paesi “poveri”)…. E immagino che anche lo lo stupro possa essere aggiunto un lunghissimo elenco, salvo che le “vittime” NON denunciano proprio perché si sentono “colpevoli”, pur NON essendolo…con tutta evidenza….Ma perché si sentono colpevoli? E sono la stragrande maggioranza, non uno sparuto gruppo… Questo per dire che capisco cosa si vuol dire quando si sottolinea l’importanza di assumersi la repsonsabilità, e soprattutto di non “spostare” il proprio sguardo, ponendo attenzione a se stessi e cercando consapevolezza… Però. Però io penso che lo facciano in pochi, pochissimi, chè se fosse il contrario… forse non avremmo le nostre quotidiane carneficine…forse.. Eppure c’è qualcosa che non mi convince. Eppure io penso che se l’altro, che in qualche maniera ti ha ferito, ti ha mancato di rispetto, ti ha umiliato, ha abusato di te e della tua pazienza, di questo non puoi fartene carico tu… Non solo è impossibile ma è profandamento ingiusto. Se l’altro non ha consapevolezza e non si assume la sua parte di responsabilità, non posso caricarmi anche del suo fardello perché intanto….devo lavorare sulla mia parte di errrore e di dolore… Insomma, scusate tanto l’assoluta banalizzazione, ma non è che la parola “stronzo!” sia nata per caso fortuito e “fortunato”…….. o no?!???!! 🙂

  2. Caro Simone, per dirti grazie delle emozioni condivise…Incantevole dono in questi eterni giorni di incomunicabilità…Ti lascio un pensiero su Istanbul, comune, indimenticato amore…
    Istanbul cara, il rosa dei tuoi orizzonti starà scendendo ora, insieme al canto dei muezzin, per farti splendida agli occhi della sera.
    Ti tengo stretta fra le ciglia.
    Passa un tram di legno, finestrini di allegria e di tempo andato.
    Si schiude un mazzetto di bambini, fiori appena colti ed un po’ sciupati.
    Il profilo dei tuoi minareti: parole di struggente nostalgia.
    Ecco.
    Si stanno assopendo le tue case di legno, cullate dalla nenia delle onde.
    I tuoi gatti, felici, chiedono altre tenerezze.
    Risuonano di infiniti passi, mai stanche, le tue strade.
    Inshallah!
    Mille occhi blu ti proteggeranno da ogni maleficio.
    I tuoi mercati tingeranno sogni.
    All’oro dei sultani si aggiungerà l’oro del grano.
    Ti penso.
    Nelle tue melodie di pescatori e di sguardi senza volto.
    Nella tua danza di miele, pistacchi e narghilè.
    Nella tua poesia d’oriente raccontata ad ovest.
    Mi hai detto, con parole di spezie, che le amarezze, sparate ad un soffio da te, si scioglieranno nel tuo caffè nero.
    Mi hai raccontato, con il silenzio delle tue cupole, che acqua, ancora, cadrà sulle colpe, prima che la fronte tocchi terra.
    Mi hai giurato che due mari, insieme, possono respirare.
    Ho visto i tuoi prati di verdi capriole aspettare nuovi tulipani.
    Ho lasciato che la dolcezza del tuo nome si fermasse, ancora ed ancora, sulla mia bocca.
    Negli abbracci di Ortakoy, mi sono persa.
    Come stare ferma, ora, se con te ho letto la bellezza dell’andare?
    Vedi.
    Ho le mani e l’anima pieni di te.
    Qui, le montagne hanno appena cominciato a guardare il blu del giorno che è scivolato.
    So che non dormirai, neppure questa notte.
    Le voci dei tuoi compagni di viaggio a tenerti compagnia.
    I sorrisi dei miei compagni di viaggio a fare eco.
    Istanbul cara, fermati, se puoi, un solo attimo.
    Un attimo appena, e sentirai la mia carezza.

  3. E’ vero, è un meccanismo della psiche quello di proiettare sugli altri quei problemi, concetti, “cose” di cui non ci prendiamo la responsabilità. Credo che accadano guerre per questo motivo. E penso che pure la domanda: “dipende da me o dagli altri questo malessere?” non abbia più molto senso, nel momento in cui ci si prende le proprie responsabilità, fino in fondo, fino al punto dall’essere disposti a cambiare rotta. Perchè a quel punto, se anche gli altri ti creassero fastidio, tu te ne saresti già allontanato. Fisicamente e/o moralmente.

  4. L’argomentazione di Simone sul modo di attribuire le cause all’interno o all’esterno mi richiama le interessanti teorie psicologiche e sociologiche sull’attribuzione causale e sul cosiddetto “locus of control” interno o esterno.
    Accade molto sovente infatti che le persone, al fine di tutelare l’autostima, tendano a scaricare la responsabilità di ciò che di negativo accade a fattori esterni, arrivando a volte, in mancanza di alcun fattore concreto, a ricorrere alla categoria astratta della “sfiga”.
    Il bello del ragionamento è che quando qualcosa di negativo accade ad altri l’attribuzione causale, essendo asimmetrica, torna ad essere interna.
    Faccio un esempio. Se io prendo un brutto voto a scuola “la professoressa non ha capito, è prevenuta, ce l’ha con me”. Se il brutto voto lo prende qualcun altro “non ha studiato, non è capace”.
    Divertente il ragionamento sul caso positivo: se mi avviene qualcosa di positivo, ad esempio una promozione sul lavoro, “me la sono meritata”, se viene promosso un altro “ha avuto culo o è un rufiano del capo”.

    Ciò che mi piace del Perotti-pensiero è che il suo modo di rompere questo schema è semplicissimo e si chiama “assunzione di responsabilità”. Per farlo bisogna essere molto solidi in partenza (cosa non comune), oppure fortificarsi strada facendo, lungo un percorso a volte molto doloroso, per arrivare finalmente a “prendersi la responsabilità”.

    L’assunzione di responsabilità così come concepita da Simone è quindi secondo me un concetto chiave della sua storia personale, che peraltro si può trovare in tutti i suoi scritti, saggistici e narrativi.

  5. Ho letto più volte i tuoi pensieri, non volevo essere la prima a commentare…che dire, è vero, è molto più semplice spostare la responsabilità all’esterno piuttosto che cercare i nostri errori, mettersi in discussione e ammettere di aver sbagliato strada, di avere delle colpe o solamente di non aver fatto abbastanza per…
    E’ altrettanto vero tuttavia che bisogna anche imparare a volersi bene, ad accettarsi con le proprie fragilità ed i propri limiti, ad apprezzarsi per quello che si è!
    In alcuni tuoi scritti ho trovato toni molto critici verso chi non sceglie da che parte stare, non riesce a decidere per un cambiamento radicale: io credo che non tutti siano in grado, per indole o per necessità, di modificare improvvisamente e radicalmente la propria esistenza come hai fatto tu e altri. Voi siete sicuramente un obiettivo a cui tendere, ma penso sia importante dare una speranza a tutte quelle persone che sono in cammino, che ci arriveranno con i loro tempi o che non ci arriveranno mai, ma comunque ci tentano ogni giorno con azioni meno ecclatanti ma pur sempre significative.
    Penso di essere uscita completamente dal tema trattato, fossi alle superiori mi preoccuperei, ma sono sicura che in questa sede sarà tollerato.
    Sei di nuovo in mare, quindi stavolta te lo dico io…buon vento!

  6. L’antidoto a questa falsa premessa potrebbe essere chiedersi quante possibilità abbiamo di trascorrere la vita nella – diciamo così – infelicità o, se preferite, in balìa di guai e “disgrazie” se la colpa è di qualcun/qualcos’altro e quante possibilità, invece, se la responsabilità è principalmente nostra.
    Nel primo caso, infatti, non possiamo che – molto passivamente – sperare che prima o poi il nostro “destino” si capovolga a nostro favore. Nel secondo, possiamo fare qualcosa in ogni momento. E, quindi, quale delle due ci “conviene” di più? Mi sembra evidente.

  7. io compilo anche una mia personale classifica con “le persone che mi sono mancate quando sono tornata nei luoghi in cui ero stata felice”. sorprendente quante cose non avevo capito alla prima..

  8. …e quando il segno si inverte ecco che escono allo scoperto gli altri, con le loro invidie e la voglia di screditare.Ma lo stare bene è così solido che ti compiaci di tutte le tue “colpe, fatiche, solitudini…” io me le sento addosso come una seconda pelle e non vorrò mai dimenticarle. Ciao!

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