Cominciamo da questa guerra

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Lesvos, accanto ai migranti. Mi ha impressionato perché sono piccole, da donna, diverse, e puntavano una a nordovest, l’altra a est.

Mitilini, Lesvos, su Mediterranea: Migrano perché c’è la guerra. C’è la guerra per la sete di potere tra fazioni sunnite e sciite, un’autentica resa dei conti che i mancati concili teologici dell’Islam, mai rinnovato, mai evoluto, e mille altre cause, hanno trascinato fin qui; per la voracità economica e politica tra signori del petrolio nel periodo coloniale, poi in Africa occidentale, in Maghreb e Mashreq, dunque in Iraq, e ancora oggi dovunque; per la follia dei tiranni come Isaias Afeworki, dittatore eritreo che schiaccia e umilia il suo popolo, che il nostro ex Presidente del consiglio ha ospitato sul suo yacht privato, che Italia e stati occidentali continuano a legittimare; per il cinismo della politica estera, che gioca sulla pelle della gente, dell’una e dell’altra parte, nella questione palestinese, israeliana, e più in generale mediorientale; per lo sporco calcolo delle convenienze nel Paese Curdo, in Siria, in Turchia, terreno di scontro indiretto tra grandi potenze e nuove emergenti follie. Ecco perché migrano. Senza questo elenco, e uno ben più lungo che potremmo fare, migrerebbero meno. Alcuni, forse, per nulla.

E invece fuggono, come farei certamente io, dai disequilibri che conseguono a scelte prese altrove, dalla violenza in cui termina una firma su un contratto commerciale spregiudicato in Niger, in Sudan, in Cina, dai soprusi in cui si manifesta l’effetto della mazzetta presa da un politico greco, albanese, o di chissà dove, dalle discriminazioni in cui si palesa il disprezzo del dolore di politici fondamentalisti, o solo ignoranti, che non hanno sogni per sé e per i loro popoli. L’intellettuale turco in prigione per reati d’opinione, come il migrante che muore, come l’armeno perseguitato, come il darfuriano esule, non sono eventi inevitabili, inspiegabili, fatali, sono effetti di azioni, oltre che endemici fatti di questa assurda vita. Cominciamo a non fare il prossimo errore, a non siglare il prossimo contratto, a non perdonare la prossima corruzione, a non tollerare il prossimo gesto diplomatico dettato dall’avidità e dall’analfabetismo culturale, a stigmatizzare con forza il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU che chiuse il fascicolo sulla morte sospetta di Thomas Sankara. Cominciamo da questa guerra, come dice Gino Strada, senza preoccuparci che sia impossibile la pace nel mondo. Cominciamo dal prossimo mitra che vendiamo, dalla prossima mina antiuomo, dal prossimo gommone, dal prossimo giubbotto salvagente, dal prossimo pieno di gasolio. Cominciamo dal prossimo campo petrolifero nel Mediterraneo, dalla licenza estorta o avuta oliando politici che andrebbero defenestrati. Cominciamo da gesti ancor più semplici, quotidiani, ognuno i suoi. Cominciamo dalle parole che usiamo. Dai libri che non leggiamo per pigrizia. Dalle scuse con cui ci assolviamo sempre. Dai pensieri. Che non facciamo. Dalla vita. La nostra, che non scegliamo. Con cui, spesso, avalliamo tutto.

 

«Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità. » (Thomas Sankara)
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4 pensieri su “Cominciamo da questa guerra

  1. A proposito di ONU, condivido le riserve su molte cose, per esempio sul fatto che esista l’UNRWA (perchè per tutti gli altri profughi una sola agenzia “collettiva”? ); ma ricordiamoci anche che della commissione per i diritti umani appena ratificata fa parte l’ambasciatore saudita Faisal Bin Assad Tral. In Arabia Saudita Ali Nimr (21 anni, in carcere dal 2012) rischia la decapitazione e crocifissione per aver manifestato contro il governo e la famiglia reale. Ricordiamoci poi del blogger condannato a 50 frustrate al giorno solo per aver parlato di islam liberale. Incominciamo a ricordare. Dall’inizio del 2015 in Arabia Saudita sono state eseguite 109 condanne a morte (non con armi vendute da noi). Si scappa anche da questo.

  2. E temo che i cambiamenti climatici non faranno altro che inasprire tutto quanto. Potrebbero costituire ben oltre la goccia che fa traboccare il vaso: anche perchè mi pare che si stiano manifestando con maggior forza proprio nelle zone più martoriate, dove a causa della povertà è anche più difficile proteggersi dai fenomeni atmosferici più violenti (siccità ma anche alluvioni).
    Eppure il cambiamento climatico potrebbe essere anche l’occasione per una presa di coscienza collettiva: o ci diamo da fare, oppure tutto andrà sempre peggio.
    Ciao

  3. Si, la guerra è terrificante. E’ guerra. Questa estate a Madrid la “sindaca”, ha apposto sul palazzo comunale uno striscione con la scritta “benvenuti rifugiati”. E, così sia. Ogni paese ha l’obbligo morale di accogliere i rifugiati. Però, non posso ignorare, in questo delicato e complicato argomento, che molti non sono rifugiati. Scappano da un fortissimo disagio, si. Ma non da una guerra. Mi chiedo: come potremmo accogliere tutti? I mezzi, i soldi, le strutture e poi, il lavoro, una vita decorosa. Non so se c’entra col tuo post, ma io soprattutto mi interrogo su questo. Penso al COME.

    • Per pensare al come può essere utile un’occhiata ai numeri sulla situazione esistente riferita al 2014.
      http://blog.openpolis.it/2015/09/14/pubblicato-il-minidossier-di-openpolis-immigrazione-il-giorno-dopo/
      Come si vede i permessi rilasciati ai rifugiati in Italia sono una quota minima, poco meno dell’8%. Il che già mi sembra interessante. Vuol dire che, almeno fino a quando non si sono fatti questi conti, la maggioranza delle persone non fuggiva dalle guerre, magari le guerre le combatteva, ma da altro. Se chi fugge viene in Europa suppone di starci meglio, e magari è allettato anche da qualcosa che non sia la mera sussitenza (se no non scapperebbe), chissà, magari anche da stili di vita in cui parte di noi neppure si riconosce più ; o le donne dalla possibilità di emanciparsi, cosa di cui non godono in paesi di altra cultura… Non ho mai pensato alle grandi migrazioni che periodicamente avvengono nella storia in termini di “invasione”, ma devono essere i paesi accoglienti a non perdere la loro identità, che costuitisce verosimilmente in parte il motivo per cui chi fugge arriva qui, in nome di un presunto rispetto delle tradizioni altrui. Altrimenti non c’è integrazione ma sostituzione. Il problema non è solo economico, si tratta di una colossale sfida culturale e politica.

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