Che dire sul mare…

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Non parlo mai del mio amore per il mare. Ne ho scritto molto in almeno tre dei miei romanzi, quelli che definirei “nautici”, e mare ce n’è tanto dovunque in quello che scrivo. Forse è per questo che poi non mi ci soffermo ancora. Il mare, in fondo, non è cosa semplice di cui parlare. Anche quando torno in terraferma, non racconto molto. Chi ne sa, immagina meglio di ciò che potrei spiegare. Chi non ne sa, farebbe comunque fatica a capire.

Ad ogni buon conto, stare in mare molti mesi l’anno, ha qualcosa di ipnotico, che pure anima la sensibilità. Scorrono i porti, scorre la superficie del mare, scorre il tempo in modo del tutto asincrono. Scorre il cuore, che si sofferma su pensieri impossibili per la terraferma. In mare un’ora non è un’ora, ma uno schizzo d’eternità che rapido asciuga sull’intonaco di un muro assolato. Ciò che manca a bordo, è sempre più in là; ciò che c’è, è ancora più vicino. In mare si sente di più, se si deve sentire, e si patisce di più, se si deve soffrire. Il mare non è cosa per uomini che desiderino poco, che tendano alla quiete interiore. Per vivere in mare occorre stipulare degli onesti patti. Uno è con se stessi. Un altro, almeno, con la solitudine.

Ciò che avviene in mare è un antico confronto, tra se stessi e se stessi, che ha luogo al di fuori, in campo aperto, nessuno mai nel suo, nessuno mai col favore del campo, ognuno senza rete, solo con la sua storia. Chi è stato male quando era a bordo di una barca, lo sa. Quello che avviene su una barca, tuttavia, è sempre la verità. In terraferma, nel caos dell’agio, si mente molto più facilmente. Anche perché all’asciutto si cerca vanamente di essere felici, mentre in mare ci si accontenta di vivere. Che è assai più vero e difficile.

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6 pensieri su “Che dire sul mare…

  1. Non so … Io amo il mare. Più della montagna. O almeno era così… ora non ne sono più tanto sicura… Amo l’elemento che costituisce il mare, l’acqua. Quando nuoto mi sento bene. Mi sento protetta e leggera. Senza peso. Senza sostanza, immateriale… Perdo la mia fisicità, la mia “pesantezza”. Perdo il senso dell’udito e non ho bisogno di parlare. Se apro gli occhi non vedo nulla o quasi. E’ un mondo diverso. mancano i riferimenti. Quelli della concretezza, della “solidità”, del materiale, del tangibile…
    Ma stare in mare, in barca, per giorni, per mesi, questo non l’ho mai fatto. E non riesco nemmeno a immaginare se riuscirei a “sostenerlo”… Dai racconti che fai, Simone, mi sembra compplicato per chi ancora percorre strade che portano da casa all’ufficio e viceversa. Quando ci si trova stipati sulla metro che si blocca sotto al tunnel …si tende a pensare a quanto si starebbe meglio al …mare …o anche in un qualsiasi altrove, tranne che qui…. Poi ognuno di noi sa perfettamente che è un “modo di dire”… di sentirselo dire, o di sentirlo dire agli altri che, come te, stanni lì, chiusi e bloccati a maledire qualcuno o qualcosa, a non saper motivare fino in fondo la propria “SCELTA”, se così ancora la vogliamo chiamare. Forse, meglio, una passeggiata in montagna… non troppo in alto e nemmeno troppo veloce… ho una certa età… 🙂

  2. Stamattina su fb hai postato della foto spettacolari, che ben si accostano alle sensazioni che qui descrivi.
    Sono molto in linea con quanto scrive Mario: ci sono determinate esperienze e situazioni che mettono a diretto contatto con le forze della natura, riportando a uno stadio primitivo di vulnerabilità che costringe a guardarsi dentro, a trovare le proprie forze, ad assumersi responsabilità, a prendere decisioni.
    C’è che va per mare e chi va in montagna, c’è chi corre e chi arrampica, c’è chi salta nel vuoto con un parapendio e chi scende nelle viscere della terra attaccato ad una corda.
    Sono tutte esperienze che costringono a fare i conti con i propri limiti, le proprie paure, i fantasmi del passato e del presente, le speranze e le aspettative per il futuro. Sono momenti indispensabili per fare il punto e andare avanti.
    E la solitudine, a mio avviso, non è un male, anzi: se sai stare da solo sai anche stare insiame ad altri, non sempre è scontato il contrario.
    E
    Hai ragione, non è una cosa per uomini ( e donne ) che si accontentano: bisogna avere la voglia e il coraggio di non fermarsi in superficie, di andare a fondo nel proprio io e di rischiare, perchè non sempre quello che è sepolto dentro di noi ci piace. Ma solo facendoci i conti si può crescere.

  3. E se ti dicessi che quel pezzo di mare, forse, lo conosco ?
    Collin, tante, sul mare. Rocce bianche. Mare di un blu tendente all’indaco.
    E un vento da Nord che, a volte, fa veramente paura.

  4. Condivido quasi tutte le affermazioni di Simone.
    Di una cosa non concordo o almeno la mia esperienza (assai minore) mi dice qualcos’altro.
    “Ciò che manca a bordo, è sempre più in là;”.
    No. E’ lì con te.
    Se sei in pozzetto è a prua magari a tirar giù il fiocco.
    Se sei tu a prua è giù a preparare panini o caffè tedesco caldo.
    Tra poco “quel che manca” sarà vicino a te. Potrai parlargli.
    Ascoltare quello che ti dice.
    E si che di cose da dire ce ne sono.

  5. Spesso si sente dire “amo il mare” oppure “amo la montagna” come se le due cose fossero in antitesi tra di loro. Non lo sono, sono espressioni diverse di realtà che ti mettono a nudo davanti a te stesso e che non ti permettono più di mentire. Non puoi affrontare nessuna delle due realtà senza stipulare un patto di sincera onestà con te stesso. Non sto parlando del rischio che c’è nel confrontarsi con la montagna o il mare in condizioni estreme dove se si mente a se stessi si rischia la vita. Sto parlando del semplice confronto quotidiano con ambienti nei quali noi passiamo in secondo piano per ritornare protagonisti della nostra vita solo se saremo onesti con noi stessi. In questi ambienti le cose scorrono indipendentemente da noi e sta a noi seguire il vento giusto, il sentiero migliore. Belle parole, Simone…poche e precise nel descrivere bei sentimenti.

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