Quello che volevo dire

Egeo

Adesso

Scrivere del Mediterraneo è talmente difficile che oggi che volevo farlo non l’ho fatto, cioè, l’ho fatto, ma non ci ho messo dentro questo, e voi direte questo che? questo, quello che ho di fronte adesso, che teoricamente vedete nella foto, ma non basta, la foto è Flatland, bidimensionale, simula la quadridimensionalità ma senza potersi neppure avvicinare, perché non c’è l’uomo! cioè chi quella scena la guarda, e che ne fa parte perché un giorno ha deciso di smettere di fare lo spettatore e si è fatto un culo quadrato per essere qui adesso, che nella fattispecie sarei io, dunque l’uomo che non vede ciò che vede, ma vede se stesso riflesso nello specchio, ed eccolo il Mediterraneo, è lo specchio, era così facile… cioè il se stesso capovolto, sinistra dritta, e perfino alto basso, dunque ciò che non sai di te, ciò che non sospetti, o meglio, forse un sospetto ce l’hai, ed ecco il guaio, quel sospetto, se non ce l’hai è molto, ma molto meglio, oppure devi darti un gran daffare, e la vita è dura per quelli che hanno il sospetto, la domandina, il tarlo, dunque sanno che devono stare lì, ma non ci stanno, e per una vita si chiedono, ma che forse io dovrei stare lì? esatto, solo che esatto non se lo dicono, perché alla fine mettono un mucchio di belle frasi su facebook, sono tutti scrittori in quest’epoca, tutti filosofi, ma poi alla fine se ne stanno col culo bello inchiavardato dove sta (il culo, e anche loro), ma è giusto! devono stare lì! e infatti avete mai visto uno che deve stare in un posto e sta in un altro? ma figuriamoci, quello che c’è si vede, avviene, perché le scelte vengono fatte, perché la storia si ripete, immutabile, e ci definisce, e quello che odiamo e quello che diciamo di amare sono tutte stronzate, quando poi non avvengono, e infatti eccoci alla scena d’apertura, equipaggio a terra, tutti a vedere la cittadina, che è carina, e chi lo nega, e il comandante resta a bordo, perché c’è vento, e anche se ho una linea d’ancoraggio di un traghetto non mi fido, il comandante a bordo non si fida mai, in terraferma si fida troppo, e infatti guarda lì, ma lasciamo perdere, e allora si siede sulla tuga e guarda, e che vede? ma vede se stesso, ovviamente! anche se ha il nome di un’isola, di una baia, un cazzo di nome qualunque, ma qualunque non è, perché guardando, mirando, gli interminati spazi di là da quella (siepe, ma nel mio caso: prua), scorge se stesso, vede la rifrazione del mondo, il riflesso di sé, e dato che per settimane non si è visto, finisce che si scopre, e quel momento (sole che va giù, pensieri, emozioni, carne, sangue, memoria e tutto il resto) vale il viaggio, ed eccolo il Mediterraneo! quel momento, preceduto da settimane senza, seguito da settimane senza, ma impreziosito da un momento con, e quel momento, beffardo, assurdo, inestimabile, è costato un lavoro enorme per garantirselo, e infatti si chiama col suo nome, si chiama essenza, si chiama se stesso. Ecco, cos’è. Il Mediterraneo. Per me, s’intende… No, in assoluto.

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5 pensieri su “Quello che volevo dire

  1. Simo…..oggi su questo pezzo non ci ho capito niente….. (simpaticamente e con leggerezza, ma con l’apprezzamento di sempre). Ciao.

  2. Ognuno di noi e’ diverso e in maniera diversa interpreta e percorre la strada della decrescita che, fortunatamente, non e’ una sola. Ammiro molto Simone, la sua scelta radicale, la sua capacità di trasmettere emozioni e di guidare la riflessione, il suo gusto estetico ( hai una casa strafiga ), non condivido tuttavia il giudizio severo, che spesso emerge da alcuni suoi scritti più incazzati, verso chi, per scelta o per necessità, percorre strade meno radicali. Personalmente ritengo che abbia pari valore l’impegno di chi, costantemente, dirige la propria quotidianità verso scelte etiche ed ecologiche pur rimanendo in contesti “normali”, se così possiamo chiamarli: chi pone attenzione alla spesa privilegiando il km 0, il bio, l’impresa locale, chi ricicla, chi non spreca, chi autoproduce, chi cammina e lascia a casa la macchina, chi si mette un maglione in più e abbassa il riscaldamento. Poi la mattina va in ufficio, ma magari nel weekend porta i figli a camminare nel bosco, in montagna o sulla spiaggia a raccogliere conchiglie piuttosto che al centro commerciale. E magari trova conforto nello scrivere i propri pensieri su fb senza aver l’ambizione di essere uno scrittore, un filosofo o altro. E’ vero, Simone ha il dono di saper scrivere in modo tale che le sue parole sembrano rivolte proprio a te, ma questa è un’arma a doppio taglio che bisogna usare con cautela.

    • A me pare che il destinatario delle invettive di Simone (sacrosante, beninteso) non sia chi fa scelte meno radicali, quanto piuttosto chi “non sceglie” -e forse proprio per questo trova sempre il tempo per fare commenti oziosi preferibilmente grondanti sarcasmo e prossimi all’offesa personale. Le persone cui tu fai riferimento sono persone che già hanno fatto una scelta ben precisa, sicuramente non così radicale ma non per questo minore o meno degna di rispetto.
      Ad ogni modo, Paola, speriamo che quelle conchiglie rimangano al loro posto, le spiagge ne sarebbero felicissime 🙂

  3. Oggi un profluvio….di pensieri…di emozioni anche! Che bello leggerti. E’ come parlare al telefono con un amico. Hai il prezioso dono di scrivere, a volte, come se parlassi…. “il culo inchiavardato” è tipicamente una licenza poetica del dire…ma tant’è mi mette di buon umore…. E sorrido. Perché è come se tu fossi qui, (non altrove, non laggiù nella bidimensionalità … di una foto…) e io (o chi sta leggendo) è come se fosse là … Ma ancora di più è come se ci fosse qualcuno che ti bussa sulla spalla e che ti dice “ma che cosa stai facendo…?” con quello sguardo tipico…sornione ironico ma anche un po’ incazzato. Che poi mica tanto. Perché alla fine, se capisco bene, ti conferma che è proprio là che devi stare, e dove se no? Che se invece dovevi stare da “un’altra parte” saresti già là….e non qua.
    lo ha già scritto qualcun altro… finita la lettura… di un post come questo, l’occhio punta vacuo al soffitto, e pensa “ma…ce l’ha con me?”. Eh già! ce l’ha con tutti i culi schiacciati su ogni sedia del mondo (in special modo quelle degli uffici che, come ben sappiamo, vanno in coppia con i quelli dei sedili della toilette…)…
    E che si fa allora, noi, face-filosofi da quattro soldi o sei sesterzi? Ci si prende a schiaffoni? Ci si manda allegramente a quel paese? Si impreca contro la nostra stoltezza o contro la nostra pigrizia o contro “il non essersi fatti un culo quadrato”? Sì, un po’! Solo per un po’. Il tempo di metabolizzare a passare a un altro post, domani… E ogni volta che la mente torna su questo pensiero (che rimane lì, fermo, ma non si muove), vola via, veloce… No, io no. Io non sono capace, io ho paura, io sono una donna, io sono una madre, io ho delle responsabilità. E in questa accozzaglia di pensieri messi mali, storti, si pensa a se stessi, anche crudelmente. Ma non serve a molto. E dura poco. Già li vedo i soliti alibi, le solite stronzate… Il pranzo a scuola con i genitori e i professori per conoscersi… La ricerca di un altro lavoro…la disperata, vana, comica speranza di una pensione… Bene, ora non rido più… Grazie lo stesso. Buona serata.

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