Ho capito

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“Sono placide le ore che noi perdiamo, se nel perderle, come in un vaso, mettiamo fiori” (J. Saramago)

Poco fa tornavo a casa, dopo aver fatto la spesa. Seguivo il filo di un pensiero cupo, in cui meditavo di reagire a qualcosa, perché lo ritengo ingiusto… Iniziava a piovigginare, e per radio ho iniziato a poco a poco ad ascoltare una storia: l’amore politico, culturale, gravido d’impegno tra Oriana Fallaci e il poeta greco Alexandros Panagulis. “Il suo eroismo era la naturale conseguenza del suo essere poeta”, aveva dichiarato di lui la scrittrice. Che frase ricca di evocazioni, di spunti, di indirizzi! Gradualmente ho smesso di ascoltare, mi sono perduto a pensare a molte cose che ho letto, a storie dei miei libri, e poi ad altre ancora, da scrivere, che chissà se scriverò mai. Il mio pensiero cupo era scomparso. E allora ho capito

Ho capito la ragione principale del mio radicalismo, del cambiamento di vita netto e indifferibile dato alla mia vita: per poter vivere il più possibile nelle storie, nella cultura, nell’arte, cioè nel mondo che ha, lui solo, questo straordinario potere taumaturgico, senza il quale non mi era più possibile restare un essere umano. Ho capito dunque a cosa serve la cultura, a cosa servono i libri, i personaggi che non c’erano e che d’improvviso spuntano su una pagina, parlano di noi, ci appartengono e rappresentano. Servono a svilupparci dal groviglio della realtà minima in cui viviamo, dalle beghe del rancore e del bisogno, dalla nostra mediocrità, e a trasportarci nella parte migliore di noi. Là dove avvengono le cose che, se ci vedessimo da fuori, ci renderebbero donne e uomini orgogliosi della propria vicenda umana, avvinti dalla nostra personale avventura. E lì, su questo pensiero, ho capito anche perché scrivo: per trasportarmi io stesso in quel mondo.

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22 pensieri su “Ho capito

  1. Simone dopo questi 8 anni, cosa ne pensi del prendersi un periodo di 1-2 anni per staccare da tutto, dalle abitudini, dal lavoro? In Adesso Basta dicevi che l’anno sabbatico non funziona, ti fa perdere il grip con il mondo del lavoro e si paga un prezzo salato per rientrarci, sono perfettamente d’accordo dopo aver provato due anni di pausa, ma lavorare di fila per 30-40 mi sembra bestiale. Almeno per me è impossibile, so di aver bisogno di periodi in cui fermarsi, dedicarsi a se stessi. Nel nostro mercato del lavoro italiano sembra impensabile e improponibile.

    • gattolibero, ciao, bentornata/o. Ne penso tutto il bene del mondo per il fatto in sé, che implica il mollare e fare cose per il proprio benessere. tuttavia confermo quel che scrivevo, e che citi. Non amo le scelte a metà, anche perché non sono capace di gestirle. Il meglio di un’amicizia, di un amore, della vita, di una passione, non potremo mai averlo stando tra due posizioni, di qua e di là della linea. Io sono per attraversarla questa linea, e godere al massimo facendo davvero ciò che veramente amiamo. Per sempre. Almeno fino al prossimo cambiamento… Ciao! 🙂

      • Uh! Che bella domanda Gattolibero 🙂 Scusate ma mi sento talmente presa in causa che vorrei dire qualcosa… Sperando di non far danni…
        Io ho lavorato 30 anni-di-fila. Naturalmente non sono stati “uguali”. Gli ultimi 14 anni, per esempio, il mio è stato un “lavoro a metà”. Quando ho chiesto il part-time (che mi hanno concesso, loro malgrado) mi guardavano tutti di traverso. Soprattutto le colleghe. Un misto di invidia e non so che… “beata te!”, mi dicevano quando me ne andavo a prendere mio figlio a scuola… E io borbottavo tra me e me: “perchè non lo chiedono anche loro?”. La durezza del part-time in tempi non sospetti, è che è una scelta a metà, appunto. Ma è una scelta pensata e utile se devi gestire da sola un figlio e ha, sicuramente, dei vantaggi che non sono economici. Lo svantaggio è però che a poco a poco, e con buona pace della “crisi”, esci dal contesto lavorativo perché delle tue 4 ore , a vedere bene, si può fare a meno. Sorrido quando leggo che la Svezia pensa che la giornata lavorativa-tipo dovrebbe essere, al massimo, di 6 ore: perché lavorare meno, lavorare tutti. Oppure: usare il proprio tempo anche per “altro” (famiglia, interessi politici o sociali, altre attività spirituali o meno, insomma qualsiasi cosa che non abbia un timing, che permetta alle persone di sviluppare l’altra parte di sè, quella emotivo-passionale o chiamatela come vi pare).
        Ma il punto è che, come previsto da Simone , le cose stanno andando sempre peggio… Ora non si sceglie più il part-time, come ho comunque potuto fare io. Ora scelgono altri le ore in cui farti lavorare, e possono essere notturne e “a chiamata”… Troppo poche o troppo tante…. in un labirinto di attività quasi senza senso e senza nesso. Per questo, per quello che sto vedendo, per quello che sto patendo sulla mia pelle, devo essere d’accordo con Simone.
        Se le proposte “lavorative” sono “borderline”, si rischia di diventare “bipolari”, nel senso più patologico del termine. Si rischia di non “rosicare” nulla….Parafrasando quello che scrivi, Gattolibero, se esci dal “mercato” sei fottuto… O forse no. Forse ti viene concessa (certo, non consapevolmente da chi concede) una “opportunità”. Il punto è “giocarsi” questa chance nella maniera migliore… E secondo me è questo il punto di snodo di cui dovremmo discutere… Ciao.

      • …ho fatto richiesta del part-time verticale per lavorare solo 6 mesi l’anno; per sperimentarmi in altri ambiti e, vivere perlomeno 6 mesi a modo mio operando contemporaneamente la decrescita felice. L’ho pensato per operare anche un graduale distacco. Ognuno ha un proprio sistema. .. per sottrarsi al sistema.
        P.S. non mi è stato concesso e, sono in piena agitazione personale ma continuo la mia decrescita. … chissà…

  2. Mentre leggo dalla mia playlist viene fuori “Dream on” degli Aerosmith. Si può dire che le canzoni (almeno certe canzoni) hanno lo stesso potere?
    Ciao,
    Antonio

    PS; e ora, giusto prima di premere su “Invia commento”, parte “The unforgiven II”

  3. “senza il quale non mi era più possibile restare un essere umano” questa frase per me esprime quasi tutto. E aggiungerei alla cultura anche l’ambiente, naturale, e il cibo provieniente da esso. Dobbiamo essere da un lato con i piedi ben saldi per terra, che il contatto con la terra è prezioso, e dall’altro elevarci, espandendo le nostre percezioni.

  4. Sono anni che faccio il web designer. Lo faccio perché mi piace. Lo faccio perché mi permette di pagare l’affitto e da mangiare. Per il resto sento sempre quel desiderio d’arte, di cultura. Di buona letteratura. Di perdermi nelle storie. Invento storie sulle persone che vedo in giro per il mondo. Oppure vado in un museo a godermi le opere degli altri, dello sguardo altrui.

    Grazie Simone per le tue riflessioni sempre piene di spunti!

  5. Ho capito l’importanza della lettura ed il valore della scrittura leggendo proprio quel libro, “Un uomo” di Oriana Fallaci.
    Avevo 17 anni ed un’amica me lo aveva prestato, perchè lei lo trovava noioso.
    Io , invece , me ne sono innamorata, di quel libro e della sua autrice.
    Lo lessi allora , con il cuore spesso in palpitazione per le emozioni forti della storia che raccontava, la storia di un uomo, Alekos, e del grande amore che legava lui alla vita e la stessa Oriana a lui e alla loro storia condivisa nei sentimenti, nelle idee , nelle passioni, nelle sofferenze ed anche nei reciproci contrasti.
    Un libro che ho riletto pochi anni fa, dopo la morte della Fallaci; io, più matura di quando ero un’adolescente di 17 anni, ma ancora più convinta che in quel libro Oriana avesse messo “Tutto”, tutto quello che è autentico amore e passione per la vita, non solo per un uomo.
    Posso dire che il capovaloro di Oriana Fallaci ha rappresentato per me la più importante e significativa lezione di educazione alla lettura e alla conoscenza.
    Amore e passione per la vita: leggere e soprattutto scrivere è un grande gesto d’amore, per se stessi ed anche per gli altri!
    Grazie anche a te Simone, che continui a scrivere anche per noi!

  6. Un libro che ho letto precisava che l’opinione pubblica possedeva una tirannia da nulla, se paragonata al potere del nostro giudizio e che l’insieme di questi giudizi, avrebbe diretto persino il nostro fato.
    Avrai capito di aver afferrato saldamente le redini di una vita degna? Sono sicuro che quando sarà così, lo saprai!
    Quel libro continuava verso la metà ammonendo di cogliere la pienezza delle nostre storie mentre le viviamo, per non scoprire in punto di morte, di non esser vissuti. (Le virgolette le avevano finite)
    Sicuramente serve la stoffa giusta per sbrogliarsi dal “groviglio della realtà minima”, la tua! E hai vinto pure le virgolette! Chissà! Può darsi che prima o poi la Nostra Storia non proverrá più dal nostro passato, né si affaccerà più in là di ora. Qualcosa che ci renda avvincenti e “avvinti” allo stesso. Un elasticità che ci tende verso il diverso e il molteplice, in ogni attimo e verso l’altro. Verso la poesia che ci renda gli eroi della Fallaci, o più semplicemente come scrivi tu: nel rimanere esseri umani

  7. Tornavo a casa anch’io, poca fa. Sotto a una pioggia fitta fitta… Un passaggio veloce in ufficio per verificare le “ultime” cose ma non c’era corrente in tutta la zona, Milano, centro… e quindi sono tornata a casa. Mestamente, pensavo. Tra le mani un libro acquistato in velocità in un ipermercato vicino a casa e di prossima chiusura. Una di quelle “cattedrali nel deserto”, che anni fa splendeva di mille luci colorate, degna di un consumismo con i fiocchi, e ora pare un rudere…poco dopo un bombardamento…

    Ho letto “Un Uomo” di Oriana Fallaci molti anni fa. E ne ho fatto dono a una persona che, a quel tempo, ritenevo molto speciale. “Un libro sulla solitudine dell’individuo, che rifiuta di essere catalogato, schematizzato, incasellato dalle mode delle ideologie. dalle Società, dal Potere. Un libro sulla tragedia del poeta che non vuole essere e non è uomo-massa, strumento di coloro che comandano, di coloro che promettono, di coloro che spaventano.”. Alekos: lui era (è ancora…) il mio “eroe”. Colui che si batté per la libertà e per la verità senza arrendersi mai, e per questo venne ucciso da tutti: dai padroni e dai servi, dai violenti e dagli indifferenti. Molte emozioni… molti pianti… molta speranza anche…

    Tra le mani un altro libro e leggendo, trovo questo:
    “Ebbe cento mestieri e nessun amico. Guadagnò i soldi che spese. Lesse libri che parlavano di un mondo in cui non credeva più. Iniziò a scrivere lettere che non sapeva mai come finire. Visse contro i ricordi e i rimorsi. Più di una volta si spinse su un ponte o sul bordo di un precipizio e osservò serenamente l’abisso. All’ultimo momento, tornava la memoria di quella promessa e di quello sguardo del Prigioniero del Cielo…….camminò per due chilometri fino alla stazione ferroviaria, dove comprò il biglietto che l’ aveva aspettato per tutti quei mesi.” (Carlos Ruiz Zafòn, Il prigioniero del cielo”)

    Sorrido e mi sento infinitamente riconoscente.

  8. Io, invece, ho capito che, questo post, sarà l’epigrafe del mio prossimo libro (romanzo, o racconto lungo, o raccolta di racconti). Non ho idea di quando, e se, riuscirò a pubblicarlo: ma sarà la mia epigrafe, se me lo permetterai. Tanto, poi, quando sarà, te lo dirò, in anteprima.

    Grazie Simone e un saluto,

    Giuseppe

    “Servono a svilupparci… dalla nostra mediocrità”.

    • Meglio ‘soccombere’ di ‘sopravvivere’. Come gli squali, che non possono fermarsi a mezz’acqua altrimenti vanno a fondo, anche noi o viviamo sopra o soccombiamo.

  9. Interessante considerazione sulla cultura atta ad elevarci dalla mediocrità che spesso la vita ci offre.
    Occorre sforzo ed impegno quotidiano per dribblare perditempi ed approfondire storia e cultura generale.
    Ottimo post Perotti, molto bene.
    Buona giornata uggiosa
    Vale

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