Senza neppure l’isola

Complici i fatti della vita, e grazie a questo posto incantato, sperimento ogni cosa dentro di me, nel silenzio e nella solitudine. Non si tratta della passeggiata che puoi immaginare quando avresti bisogno di stare da solo, o del pomeriggio a casa quando vorresti riposare e fuggire dalle incombenze. Piuttosto di una condizione sospesa, indefinita, che pende dalle labbra del tempo, della luce, del vento.

E’ sorprendente come il mondo resti per lo più vivibile, a tratti perfino meraviglioso, senza che nessuno faccia esperienza di questo. Vista da qui, pare impossibile pensare alla vita, o che si riesca anche solo a rimanere degli esseri umani, senza la pratica della solitudine come ingrediente quotidiano, alimento almeno periodico. Addirittura, la gran parte di noi potrebbe fare fatica a ricordare un giorno soltanto della sua intera esistenza passato nel silenzio, in effettiva, completa solitudine. I più, assuefatti al consesso umano, mi pare che fuggano l’isolamento, cioè la condizione interiore insulare, che prevede necessariamente un’isola e molto mare circostante, privo di bastimenti in arrivo.

E tuttavia questa sospensione non è una condizione ma un percorso. Senza mai neppure un giorno d’inizio, tanto meno si riesce a comprendere ciò che significa questo stato il suo secondo giorno, o il quinto, o il ventesimo, che sono tutt’altro, come scrivere trenta volte una lettera su un foglio, da bambini, non somiglia in nulla al nostro primo racconto, la nostra prima adulta lettera d’amore.

Chi non è mai stato in mare, da solo, di notte, su una barca a vela con mare formato e vento sostenuto, lontano dalla terraferma e dai ripari, non può dire cosa sia la paura. Così come nulla può dire sensatamente della sua vita, non dico della vita in generale, chi non abbia trascorso almeno una settimana in solitudine effettiva, in un luogo dove sperimentare se stesso come uomo-su-un’isola, poi come fosse l’isola stessa senza neppure quell’uomo, poi solo il mare senza neppure l’isola.

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8 pensieri su “Senza neppure l’isola

  1. Simone, uso questo spazio solo per comunicarti che il link al tuo tweet “Questa è gente in gamba. Garantisco.”, non è accessibile, perlomeno a me. Non so se dipende dal fatto che si debba avere un account facebook che io non ho… Grazie e scusa l’intrusione

  2. Solitudine buona e quella cattiva.
    D’accordo sulla definizione di quella buona.
    Che scegli. Lontano da tutto e da tutti.
    Dietro le tendine della finestra temi che arrivi qualcuno a trovarti.
    Quella cattiva è che dietro le tendine speri che arrivi qualcuno a trovarti.

  3. Oh, la solitudine…
    Occorre viverla in buon equilibrio psico fisico, possibilmente con serenità e beatitudine.
    Ad un mese dalla scomparsa di mia madre, sto rivivendo, frequentando casa sua tra le sue cose, in tranquillità, il ricordo di lei.
    Certo ,non è semplice, ho fatto il possibile per aiutarla in vita ed ora godo dei miei sforzi e riposo con il cuore in pace senza rimorsi , pur essendo dispiciuto del fattaccio accaduto.
    Certo che in compagnia della solitudine, spesso compare nostalgia, malinconia e tristezza, emozioni umane normalissime.

    Valentino

  4. Esistono due tipi di solitudine: quella buona e quella cattiva. Un po’ come per il colesterolo… La prima è quella che produce effetti positivi, quasi una catarsi, che molti di noi cercano ostinatamente, avendone sperimentato i benefici. La seconda, quella cattiva, è quella che si prova quando ci si sente soli pur essendo in compagnia… Penso, ad esempio, ai posti di lavoro, oppure a relazioni con “amici”, “partner”, “mariti” e parenti vari… Su questo tema ho sempre riscontrato un certo livello di omertà. E dal momento che siamo in prossimità di un periodo in cui ci si dovrebbe ritrovare tutti pacificamente uniti, solitamente intorno a un tavolo, mi è tornata alla mente quella sensazione di spaesamento totale che mi è capitato di provare spesso. Forse è proprio da queste esperienze che ha origine quella sensazione di alienazione di cui tanto si parla …Ed è forse proprio dalle relazioni “forzate”, dalle situazioni rigidamente precostituite che nasce la solitudine “buona”, ricostituente, rinfrancante. Ma è la mancanza di “un’isola” che ci fa pensare a un atto estremo, forse eroico, e comunque e sicuramente ascetico. Rimango convinta del fatto che la solitudine, quella buona, appunto, sia indispensabile e che vada ricercata sempre. Che esista la possibilità di rigenerazione e di miglioramento attraverso questa esperienza.
    Ma quando la solitudine è indotta, quando è “sociale”, allora mi spaventa. Questa è la solitudine del terzo tipo: non è voluta e non è indotta, ed è la peggiore. Mi occorre dirlo a gran voce. Mi preme perorare la causa di tutti quelli che per molte ragioni si trovano ghettizzati, messi al margine da una società che non fa distinzioni, che marginalizza, che impone con arroganza modi di vivere sbagliati e lo fa con un ghigno violento e arrogante e “senza neppure un’isola”…

  5. La solitudine è un’esperienza quasi mistica. Lasciar fluire i pensieri in maniera libera, senza distrazioni ma anche senza costrizioni, dimenticarsi dell’orologio, fare le cose perchè si sente il bisogno e non perchè si deve, sprofondare nelle proprie riflessioni più profonde, perdersi e ritrovarsi per poi perdersi nuovamente…
    Non ho mai trascorso in solitudine periodi lunghi, però ho avuto la fortuna di sperimentare precocemente questa esperienza, seppur per un massimo di 24 ore, e tuttoggi apprezzo molto stare da sola, non mi spaventa affatto nè mi rattrista, anzi, molto spesso ne sento un bisogno viscerale di staccarmi da tutto per stare in mia compagnia.

  6. Anche solo arrivare a quel primo giorno è un’impresa. Vanno tolte di mezzo tali e tante cose. È un cammino impervio ma, è curioso, fatto qualche passo, con grande fatica, non riesci più a tornare indietro. Spaventa e attira. Grazie Simone.

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