Un sorriso prima di morire

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Dentex Ipercubicus – Rigore nella preparazione del piano. Poi, andare.

Essere in movimento deve sovrastare la paura. Il gusto di sentirsi in evoluzione, intendo. Mai fermi, mai fermi, e mai paura. Non quella che inchioda, perlomeno. E “in movimento” non vuol dire ipercinesi, naturalmente. Conosco persone che saltano, fanno caos, dichiarano, grandi sorrisi… Tutte cazzate. Eruzioni di una frenesia. Gratti, e sotto non c’è niente. Le considero un danno, perché qualcuno che ci crede, per fragilità magari, lo trovano sempre. No, io parlo di non impantanarsi nello “space between” tra paura e inerzia. Perché, non so se avete notato, la vita va.

In questi ultimi mesi ho affrontato cose grosse, che mi terrorizzavano. Lo faccio ancora, ma molto meno. Con coraggio, piano piano, non senza disperarmi, non senza temere, non senza l’istinto di mollare, sono andato avanti. E sono qui. Non mi ha sdraiato fronteggiare i miei mostri. E ora si procede. Decisioni che diventano realtà. Ho delle certezze? Naturalmente no. Ma neppure parto sconfitto. Ogni partenza è buona, meglio se senza una conclusione certa. Cosa accadrà? Un mucchio di cose belle. E chi lo dice? Io. Io è solo me, dunque niente di infallibile, ma non è neanche “nessuno”.

Ora io già so che questa cosa, che mi ha fatto paura, che ho scalpellato con pazienza e che adesso faccio, è una di quelle a cui penserò con un sorriso prima di morire. Ecco la faccenda. Accumulare immagini così, quelle dove c’eravamo, dove abbiamo tentato, dove c’era qualche buon motivo per non muoversi, e invece siamo andati, perché abbiamo visto (sentito…) una ragione in più per farlo. Non ci si muove senza un buon motivo. E neppure avendo solo certezze. All’inizio c’è un buon sogno. In mezzo c’è il coraggio. Alla fine un sorriso.

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18 pensieri su “Un sorriso prima di morire

  1. Eh sì, ” la vita va”, con noi o senza di noi. Non ci aspetta. E se noi non saltiamo sull’ “onda”, c’è poco da fare: rimaniamo “senza vita”, anche se continuiamo ad esistere. Non ci sono mezze misure: o sei con lei o non ci sei.
    Non so se intendevi dire questo, Simone, ma è la riflessione che la tua frase ha richiamato in me. Se invece intendevi altro. mi piacerebbe sentire la tua.

    Ho sentito questo aforisma sul coraggio: “La paura venne a bussare alla porta. Il coraggio andò ad aprire: non c’era nessuno.”

  2. Io la butto lì…
    bisogna sostituire alla parola felicità la parola gioia. Così i contorni della “sensazione” si chiariscono un pò meglio. Gioia di fare, gioia per aver fatto, gioia per essere stato così e cosà, etc.
    La ricetta la personalizza ognuno a modo suo. Gli ingredienti base però devono esserci. Quali sono? Forse il primo il coraggio. Dopo l’impegno, dopo…..

    • Ottimo esercizio. definire le cose prima di tentare di farlo è cosa sana, che evita la pastetta del grigio indistinto, dove si muovono i ladruncoli…

  3. Aspettate. (riprendo da qui perché altrimenti con le risposte sotto facciamo un trenino lungo un chilometro).
    La faccenda dei corsi non va vista né con eccessi da un lato né con eccessi da un altro. In generale, i corsi che “promettono la felicità” sono delle boiate. Già chi usa questa parola è banale, che cazzo è la felicità? Posso capire l’equilibrio, l’armonia, la condizione di appagamento, posso capire l’amore, l’amicizia, tutte forme di armonia (mi duole la ripetizione…) temporanea, circostanziale, che al variare di elementi varia anch’essa, come il mare, mare calmo che vuol dire’ il mare è tendenzialmente e temporaneamente… qualcosa, dipende…
    Tuttavia… come ogni libro, come ogni persona, come ogni circostanza, per l’occhio curioso, acuto, che vuole vedere, che vuole capire… i corsi, come anche altre forme di pratica, possono essere pezzetti del percorso, segmenti che fanno la linea, che poi diventa fune, cima, scotta e ci si può reggere ad essa anche grazie a quel che si è visto, imparato, interiorizzato. Dunque concordo in linea di massima (avevo fatto io la prima affermazione sul tema) ma anche lasciandosi aperti a quel che accade. Certo, alcune affermazioni fanno un po’ ridere, nelle proposizioni di questi “corsi”, e anche chi li fa a volte (non tutti, beninteso) è un po’ curioso… Insomma, come al solito nello stigmatizzare occorre sempre un po’ di apertura. Oggi mi sono svegliato democristiano… Sarà che ho appena finito di parlare con un coniglio meraviglioso che si è installato nel mio giardino e sta brucando il trifoglio… Ciao!

  4. Ciao Simone,
    io credo che una buona mano all’impantanamento nello “space between” tra paura e inerzia la stia dando anche questo modernismo esasperato e questa tecnologia invadente e in continua evoluzione che ci sta intasando la vita di App, Pin, Password, social network e via dicendo. Smartphone e Tablet stanno diventando il prolungamento dell’identità personale dei singoli. Creatività, progettualità, sogni e autenticità (almeno nei confronti di se stessi) sono andate a farsi fottere. Credo, perciò, che molte delle paure dell’uomo contemporaneo, siano quelle di uscire fuori dal coro, di deragliare dai sentieri tracciati dal sistema adagiandosi in modo abulico e acritico su quel conformismo che, solo illusoriamente, ti agevola l’esistere. Ecco perché ci sono persone che saltano, fanno caos, dichiarano, grandi sorrisi e, non di rado, si ergono a saggi dispensatori di buoni consigli.
    Gaber cantava “il tutto è falso, il falso è tutto” traendo spunto da quel lungimirante esponente della Scuola di Francoforte che è Adorno. Una frase sul quale rifletto spesso.
    Arrivare a sorridere a se stessi e al mondo “nonostante tutto”, almeno per me, significa riuscire a riprendere in mano la voglia di incamminarsi seriamente verso quell’autenticità fatta di sano contatto con la realtà, autenticità consapevole, che si lascia andare ai sogni e cerca di realizzarsi senza rimanere preda della paura dell’abulia e dei condizionamenti sociali.
    Sarò ottimista ma uscire da quel penoso “spazio tra” è molto più semplice di come può apparire, ovviamente se lo si desidera, slegandosi dalle convezioni sociali e da regole e regolette che, in fondo, stazionano nella nostra mente solo perché noi glielo permettiamo.

    • Adorno… un nome (e un mondo) che era moderno e ora sembra venire da un’era lontana..
      Felice tu hai sostanzialmente ragione. Tuttavia ci sono due considerazioni/domande da fare. La prima è perchè, se è cosi basilarmente facile, qui parliamo da anni ma la gran parte di noi non si muove se non per gesti bradipi e onanistici (per lo più). La seconda è che quel che dici è vero ma solo a valle di una profonda consapevolezza. E questa costa tempo e fatica acquisirla.

      • Quando si parla di consapevolezza e di come raggiungerla, mi vengono sempre in mente gli insegnamenti del Buddha il quale asseriva che “Colui che è maestro di se stesso è più potente di chi è maestro del mondo”. Certamente il cammino verso la vera consapevolezza è impervio, lungo, disseminato di ostacoli, condizionamenti e, diciamolo francamente, da tutta una serie di pippe mentali che il più delle volte ci creiamo a nostro uso e consumo. Però credo che già il fatto di volerla acquisire questa consapevolezza, di avere dentro di sé questa volontà, questo desiderio sia già un bel passo in avanti. Si moltiplicano i corsi di Mindfulness Therapy e questo la dice lunga su quanto, oggi, l’urgenza di affrontare la vita in modo consapevole sia quanto mai presente. Il problema è che, proprio perché la consapevolezza “profonda” non la si raggiunge hic et nunc ma necessita di determinazione e costanza molti rinunciano a continuare un certo tipo di itinerario.
        Ed ecco forse la genesi del muoversi con gesti bradipi e onanistici. Forse è più comodo ma sicuramente meno costruttivo.

        • So di dire una cosa paradossale e non vera in assoluto, ma io qui riferisco una sensazione: quando cominciano ad esserci tanti corsi su qualcosa, sai cosa penso io di chi li fa? Che non vogliono davvero fare cio che stanno cercando di imparare. Vogliono solo una citazione di quegli insegnamenti, due volte a settimana. So che non e’ sostenibile cio che dico, ma e’ cosi. Ogni volta che si vuole mandare un po’ tutto in vacca su questioni esistenziali si fa un corso.

          • Sono completamente d’accordo con te, figurati, io ho sempre visto con forte scetticismo corsi e corsetti per il “fai da te esistenziale” perché sono la riprova di quanto si tenti di speculare sui bisogni di serenità e sicurezza altrui. Anche qui diventa una pura questione di business e molti purtroppo ci cascano rimanendo fottuti due volte: non risolvono niente e spendono un mucchio di soldi. Prova a vedere i prezzi di certi corsi e ti puoi fare un’idea. Il problema rimane quello di rimboccarsi le maniche e iniziare a fare da soli, a procedere con le proprie gambe. Ho lavorato per diversi anni come psicologo in ambito oncologico e li, davvero, ho capito cosa vuol dire mettersi a confronto con la propria e l’altrui consapevolezza. E’ dura, questo è fuor di dubbio, ma un’impresa tosta non vuol dire che sia impossibile da affrontare. Si può cadere, cedere allo sconforto, rompersi le palle di procedere per tentativi ed errori, però secondo me ce la si può fare. In un tuo intervento dicevi, parlando della manualità, che si può acquisire ma a volte i tentativi per arrivare ad un determinato risultato possono tardare. Ma dopo un decina di volte – se ho capito bene – il risultato arriva o no? Io sono straconvinto di si.

          • Vero! Questa tua affermazione è tanto vera, quanto spiazzante per i frequentatori di corso di professione. Capita sempre più spesso di incontrare l’amico, l’amica, il conoscente…che ti racconta dell’ultimo corso cui si è iscritto, di quello che ha appena finito, di quello che vorrebbe fare. Ed io resto lì e domando: quando inizi a vivere? Bulimia. Da corsi. Dentro non resta molto. E sai perché? Perché poi queste persone restano sempre le stesse. Si aggirano nei salotti della vita sfoderando il sorriso di chi ha trovato una buona ragione di vivere, ma non una buona ragione per morire. E il problema è proprio questo. Meglio capirlo, che siamo mortali, che occorre convivere con quella mancanza a essere che è naturale, abbandonando la ricerca infantile della piena realizzazione o del pieno annullamento da mindfulness avanzata; meglio accettare che nella vita c’è una frattura, che non si può essere parte del tutto e fondersi in esso.

    • Tristeza nao tem fim
      Felicidade sim
      A felicidade é como a pluma
      Que o vento vai levando pelo ar
      Voa to leve
      Mas tem a vida breve
      Precisa que haja vento sem parar

      La felicitá esiste eccome….

  5. “Chi è felice non si muove”, una frase dai Buddenbrook di Thomas Mann , che mi ha sempre colpita. Sarà proprio vero che chi si sente felice lì, così e com’è non sente il bisogno di muoversi e di cercare qualcosa altrove?? Forse è vero, forse una certa sensazione di soddisfazione e di appagamento , legate ad un luogo o ad una condizione statica ed immutata non inducono al movimento. Se la felicità è lì, in quello stato ed in quel luogo, lì si rimane. Però, ammesso che esista veramente o non sia piuttosto la “meta” più ambita dell’animo umano, la felicità secondo me è nei modi per cercarla, nei momenti, nei luoghi e nelle emozioni che cerchiamo, muovendoci verso di l’idea personale, che di “lei” ci siamo fatti. E così, ci muoviamo, per cercare di non morire infelici.

    • Infatti nel romanzo il significato di quella frase, secondo me, e’ paradossale. Proprio non andando, evitandosi l’atto di andare..

    • Sono completamente d’accordo con te, figurati, io ho sempre visto con forte scetticismo corsi e corsetti per il “fai da te esistenziale” perché sono la riprova di quanto si tenti di speculare sui bisogni di serenità e sicurezza altrui. Anche qui diventa una pura questione di business e molti purtroppo ci cascano rimanendo fottuti due volte: non risolvono niente e spendono un mucchio di soldi. Prova a vedere i prezzi di certi corsi e ti puoi fare un’idea. Il problema rimane quello di rimboccarsi le maniche e iniziare a fare da soli, a procedere con le proprie gambe. Ho lavorato per diversi anni come psicologo in ambito oncologico e li, davvero, ho capito cosa vuol dire mettersi a confronto con la propria e l’altrui consapevolezza. E’ dura, questo è fuor di dubbio, ma un’impresa tosta non vuol dire che sia impossibile da affrontare. Si può cadere, cedere allo sconforto, rompersi le palle di procedere per tentativi ed errori, però secondo me ce la si può fare. In un tuo intervento dicevi, parlando della manualità, che si può acquisire ma a volte i tentativi per arrivare ad un determinato risultato possono tardare. Ma dopo un decina di volte – se ho capito bene – il risultato arriva o no? Io sono straconvinto di si.

  6. L’inerzia è colpevole e dannosa. Una palude triste che può tirarci a fondo.Bisogna avere coraggio per vivere,per provare a cambiare e a migliorare noi stessi e il mondo intorno a noi. Il senso della vita è qui.

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