Presso Nessuna Azienda

 

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Dipingendo devo essermi spruzzato di vernice gli occhiali. Grazie Linkedin!

L’altro giorno apro il computer e mi ritrovo una valanga di email. Via Linkedin, il social network per “manàgeri” (come li chiamo io, facendo il verso a Stefano Benni) un mucchio di sconosciuti si complimentava per il mio anniversario lavorativo. Chi fa parte del network aveva ricevuto più o meno questa notifica:

Congratulate Simone Perotti on his work anniversary

Simone Perotti is still working at Nessuna Azienda

I cosiddetti “advise” li emette un freddo calcolatore posizionato in chissà quale landa desolata negli USA, una di quelle perdute linee di confine tra l’American Dream e l’American Nightmare. Li elabora con frasi prefissate a cui aggiunge il nome dell’azienda che tu inserisci sul tuo profilo. Come tutti i servi sciocchi, il sistema non prevede anomalie, e non puoi scrivere che hai smesso di lavorare. Otto anni fa scrissi “Nessuna Azienda”.  E già allora Linkedin mandò una notifica con efficiente tempestività: “Congratulate Simone Perotti on the new job. He is now working at Nessuna Azienda. Risate.

Cosa non dissimile accadde aderendo a Facebook. Misi tra le informazioni che mi chiedeva che ero fidanzato, poi ci ripensai e per privacy la tolsi. Facebook, pensando a una novità nella mia situazione, scrisse una notifica urbi et orbi: “Simone Perotti è ora sentimentalmente libero”. Caos. Che tuttavia mi fu facile spiegare: non avevo intenzione di lasciare nessuno, solo che Facebook era tonto, non prevedeva l’ipotesi di togliere un’informazione, ma solo di cambiarla. Da “impegnato” a “libero”Capita anche con le assicurazioni on line e con ogni altro genere di anagrafica: “Che lavoro fai?” Io scorro la tendina e resto sempre interdetto tra “disoccupato” e “altro”. Due risposte possibili, ma entrambe sbagliate o imprecise. Questi format prefissati sono l’epifenomeno della ristrettezza di vedute di un certo mondo. O almeno il simbolo della sua inattualità.

Per superare vecchi confini serve un po’ di fantasia. Quando l’establishment non prevede l’ipotesi che percorriamo noi, la faccenda si fa sempre interessante. In effetti, se mi accorgo che ciò che penso e faccio è già “previsto” e incasellato da qualcuno, provo sempre fastidio, e ho sempre la sensazione di stare sbagliando. Non nascondo che quando le mie scelte mandano in vacca questi cervelloni del marketing (me li ricordo, te li raccomando…) io provo un po’ di soddisfazione. Imbacuccato per il freddo, in questo fienile di pietra, sorrido.

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39 pensieri su “Presso Nessuna Azienda

  1. “Per superare vecchi confini serve un po’ di fantasia”.
    E tanta forza aggiungo io.

    “Se io volessi fare il nomade non potrei”.
    Ecco.
    Vorrei cercare di capire.
    Molti senza casa hanno un domicilio fittizio. Un’idea nata chissà come. Ma funziona.
    E’ accogliente. Fa capire che qualcuno ci pensa. A te.
    Essere senza casa, temo, non è sempre avere la fortuna di sceglierselo.

    • Non c’e’ dubbio, ed è sacrosanto che ciò avvenga. Ma non c’è correlazione con l’impedirlo a chi volesse fare il nomade. È solo una limitazione insensata della libertà. Tra l’altro siamo nati nomadi, è una quota del nostro corredo genetico esserlo. Dunque è anche una innaturale forma di alienazione, almeno per alcuni. Nell’epoca della remotizzazione virtuale della comunicazione, in fine, è pure inutile.

      • “Tra l’altro siamo nati nomadi, è una quota del nostro corredo genetico esserlo”.
        Il Nomade per eccellenza ci è stato regalato da un poeta così grande che ha avuto il coraggio di trasformarsi in narratore di un qualcosa che una Musa gli raccontò.
        Ci parla di un Uomo che ci mette dieci anni per fare un viaggio di 50 60 giorni.
        Nomade. Curioso.
        Per cercare la Conoscenza perde le sue navi. I suoi compagni.
        Ma si ferma alla fine.
        Quando è arrivato a casa.

  2. Eh, eh, simpatiche considerazioni…
    Accade pure in occasione del rinnovo carta identita: risulta obbligatorio dichiarare la professione che spesso cambia, mentre il documento rimane per anni.
    Ovviamente dietro vi sta il business di chi vende dati che valgono una valanga di quattrini.
    Una contromisura? Basta non diffondere i propri.
    L’ ultima persona che mi chiese info su di me ( un direttore di banca), risposi con un sorriso: fatti miei!
    Siamo controllati con telecamere, con il cell, tramite pc, negli ambienti pubblici insomma ovunque, fa poi tendenza raccontare i cazzi propri sui social o farsi fotografare con in prossimità di status symbol od in vacanza per dimostrare chissacosa a chissachi.
    I risultati sono sotto i nostri occhi…

    Valentino

    • La carta di identità italiana non prevede l’ obbligo di segnare la professione. Pochi anni fa quando la rinnovai provarono a insistere per sapere cosa segnare, ma ribadii di lasciare lo spazio vuoto, rassicurato dal fatto che un mio conoscente aveva fatto così. Anche perché la professione non é identificativa della persona ai fini del riconoscimento. Quello della professione é un dato che viene raccolto per raccogliere info per censimenti sulla popolazione.
      Ah, ho fatto lasciare vuoto anche lo spazio: stato civile.

      • Hai fatto bene. per altro, nel nostro Paese 8e in molti altri) non è consentito il nomadismo. La tendenza umana più antica, grazie alla quale si è diffusa l’umanità sul pianeta, oggi è vietata. E’ necessario avere fissa dimora, un domicilio preciso. Non si può vivere in barca o su un camper o in tenda. Chi non ha fissa dimora fa paura, forse, perché oggi si muove fisicamente, domani chissà dove va a finire col pensiero. Tutte le forme di libertà insensibili e incontrollabili fanno paura al potere.

        • In realtà, Simone, non è così. Ovvero, non è soltanto così. L’avere un domicilio indicato sulla carta d’identità, o su qualsiasi documento di riconoscimento, consente al titolare del documento di accedere ai servizi anche solo primari di assistenza, p.es. sanitaria. Questa infatti non consiste soltanto nell’assistenza in emergenza/urgenza, cioè quella da Pronto Soccorso, dove comunque si interviene al di là di qualsiasi documento, ma si riferisce anche all’assistenza di tipo domiciliare per un soggetto anziano, bisognoso, indigente. A Roma, ma anche in altre città italiane, il comune ha previsto un domicilio fittizio per tutti i senza fissa dimora; in pratica, sulla carta d’identità o sulla tessera sanitaria di queste persone è indicata una strada- via Modesta Valenti – che in realtà non esiste sulla mappa cittadina, ma che, poiché i piani di assistenza sanitaria sono codificati anche per domicilio, consente ai senza fissa dimora di essere inseriti nella pianificazione delle necessità assistenziali. Il nostro Paese è fatto male, è pieno di difetti, ma su alcune cose, magari sempre troppo poche, siamo bravi. I senza fissa dimora, al di là delle motivazioni che li hanno portati a non avere una casa, hanno così gli stessi diritti di chi un tetto sulla testa ce l’ha e l’indicazione del domicilio, anche fittizio, consente al sistema sanitario una pianificazione assistenziale uguale per tutti. Poi se vuoi te la racconto bene la storia della strada fittizia.

        • Avevo letto su un forum di vela, delle valutazioni di marinai che si lamentavano di aver avuto dei problemi con la carta di credito. Gli era accaduto di trovarsela disattivata -e di doversi impegnare in argomentate discussioni telefoniche per la riattivazione rapida- poiché se una persona viaggia e cambia paese con frequenza viene interpretata come una anomalia. Il fatto che la carta di credito si segnali in così tanti posti differenti faceva supporre che potesse anche essere stata rubata (questo era l’ alibi). Pertanto molti tenevano una seconda carta di credito di riserva, sapendo che ciò poteva ripetersi.
          Sulla stessa scia, ovvero che non é previsto che gli esseri umani si spostino, ma piuttosto aderiscano ad una vita stanziale, ordinati ed inquadrabili, vi era un racconto di uno di loro che riferiva di avere attivato in Nuova Zelanda una carta di credito che si otteneva compilandone online la richiesta e poi facendosela spedire per il ritiro ad un indirizzo fisico. Uno dei campi obbligatori da riempire era quello della propria abitazione. Non era possibile aggirare questa voce. Sicché la persona in questione ne ha messa una fittizia, motivando sul forum che non era una colpa quella di non rientrare in certi schemi prestabiliti, non possedere una casa, e viaggiare per gli oceani su una piccola barca a vela.

          Se cresciamo emotivamente, intellettualmente e ci contaminiamo poi come si fa a tornare indietro? Aver avuto esperienza di qualcosa ed averla persa, é molto peggio che non averla mai avuta.
          Per me l’ auto-apprendimento é un passaggio fondamentale: bisogna riuscire a muoversi da uno schema in cui: lo stato ti dà l’ impostazione, l’ insegnante ti dà le nozioni, la parroco (chi c’è andato!) ti dà la religione, e via così… cioè in cui passivamente si ruota come satelliti attorno all’ entità che é stata il nostro riferimento, ad un paradigma dove le cose ci stanno attorno e siamo noi (capaci o meno) a dovere andarle a prende.
          Considerando che rispetto alle precedenti generazioni l’ apprendimento di varie nozioni si é gradualmente esteso, in parte per via dell’ aumentata complessità di cui facciamo esperienza, ne consegue che anche il periodo di condizionamento passivo si prolunga avendo modo di consolidare i suoi effetti negativi.
          Se ci guadagniamo una parziale autonomia di pensiero diveniamo un cruccio più penoso della mancata crescita economica, della futura scarsità dell’ acqua, dello strombazzato riscaldamento climatico, della temuta prolificazione nucleare.
          Mi sto progressivamente rendendo conto che senza un’ adeguato ammontare di stimoli, idee, lettura non si producono cambiamenti. Il cervello allora non riceve uno stimolo persistente che lo induca ad accogliere e far crescere in sé una nuova abitudine che diventa condizionante se reiterata nel tempo.

          • E io, che l’ho sempre pensata come te Red su quest’ultimo punto, mi rendo conto d’altro canto che stimoli, idee, letture le cerca (e fatalmente le trova, mettendole a frutto) solo chi è “già così” dunque, per paradosso, “già cambiato”. Ma ciò a cui conduce questo ragionamento è tutt’altro che bello…

  3. E’ appena uscito il bando con i contributi previsti per il nuovo piano di sviluppo rurale veneto. L’ho letto tutto, tra una cosa e l’altra 500/600 pagine. Beh non chiederò un bel nulla perché poi sarei vincolata a spendere in modo inappropriato e dovrei rendere conto per anni di quello che combino o non combino.
    Ma la lettura di tutti quei dati e punteggi e vincoli è valsa la pena per una nuova definizione che ho conosciuto e che sposo subito: l’agricoltore custode. Aaaaaaah. Non è meraviglioso? E tu che fai? Eh io… faccio l’agricoltore custode, sai com’è…
    Se mi mettete la casella io la spunto!

    • Ciao lucia, definizione bellissima! “E tu che fai? Eh io… faccio… il contadino custode”… non suona meglio? (per me almeno), il contadino ha una sua storia, una sua personalità e individualità, l’agricoltore è più una definizione tecnocratica inventata da qualche politicante burocrate per rendere il contadino più borghese e meno rurale. Ma il vero custode è lui! colui che immagina il frutto della terra prima ancora di averlo prodotto. Capisco il tuo rifiuto totale, figurati che il psr sardegna è composto da 900 pagine circa più allegati vari (tabelle di calcoli, analisi ect… io non l’ho letto tutto, sai che noia!), ma se fossi in te farei o quantomeno cercherei di fare ciò che suggerisce simone in alcune righe più in basso, strumento e finalità non vanno confusi. La casella la spunto pure io. Ciao

      • Mi sono abbassata il cappello di paglia sulla fronte, Luca!
        Contadino custode suona davvero meglio purché non serva a nasconderci dentro un radical chic che mi fa le palle di fango con dentro i semini, le tira in mezzo al prato e poi mi racconta che ci si autosostiene così. Siamo sotto san Valentino e mi sbilancio, ma lo penso davvero: la professionalità è sexy!!!
        Sei contadino per scelta? Cosa produci di buono?

        • Il contadino custode viene raccontato magnificamente da Jean Giono nel suo “lettere ai contadini sulla povertà e la pace” anche se lui non lo descrive espressamente; io non sono un contadino, non ne possiedo la sapienza, mio nonno ha dedicato tutta la sua vita nel farlo, mio padre esercita la professione di agricoltore, uno dei tanti agricoltori stretti nella morsa dell’agroindustria e sequestrati dalle multinazionali delle sementi. Le palle di fango con dentro i semini che tu schivi e ne capisco perfettamente il motivo, sono un ottimo contraccettivo al disarmante dilagare dei signori delle sementi, il metodo di Fukuoka (non credo fosse radical chic ) si può applicare su piccole, piccolissime realtà e seguendolo in modo radicale, con maniacale costanza senza scendere a compromessi di nessun genere. Neanche io ci riuscirei, ma credo che oggi più che mai sia davvero una rivoluzione! Sarebbe appunto come dice simone…. lavorare presso nessuna azienda… alla seconda domanda non ti saprei rispondere con precisione, non subito almeno, lo sto chiedendo a me stesso già da troppo tempo, provo però a dare una risposta, almeno per me…

          • Provo però a dare una risposta… almeno per me. Ecco, bravo, se posso permettermi il giudizio. La radice tica della questione è ‘almeno’. Che non va inteso come ‘che sia almeno valida per uno se non riuscissi a trovarne una valida per tutti’ bensì ‘fare almeno quel che serve per il grado zero, doveroso, dell’umanità, che è quello di trovare una risposta valida per sè’. I problemi che abbiamo sono dovuti tutti al fatto che la stragrande maggioranza non trova doveroso almeno trovare una risposta valida per sè. Il che impedisce PER CERTO un’evoluzione collettiva.

          • Permettimi Luca: il metodo di Fukuoka lo potrai usare con buoni risultati in Giappone, dove vivono riso ed arance. Tuo nonno non conosceva Fukuoka, e nemmeno il mio. È fondamentale il contesto in cui si vive.
            La tendenza a seguire scuole ed esempi con maniacale cura e senza compromessi fa morire di fame.
            Secondo me pretendi troppo, e non ti viene “almeno” una risposta.

  4. Credo che alla nuova vita digitale sia quasi impossibile sottrarsi, le connessioni sono sempre più virtuali. Vedo i miei figli non digitare nemmeno più i messaggi ma utilizzare la dettatura ed inviare brevi testi vocali . In USA tutti ormai parlano con il cellulare, per ottenere informazioni ti devesi loggare con un social network, che dimostra che “esisti”..all hertz per prendere un auto ho dovuto telefonare all’ufficio prenotazioni , mentre ero fisicamente in un loro ufficio in aereoporto e fare la procedura via web, pur avendo la persona di fronte.
    Considerando che tutta questa tecnologia l’abbiamo inventata noi degli anni 60/70, ora ci stia sfuggendo di mano o non ne sappiamo ancora bene gli sviluppi.
    Personalmente accetto che la tecnologia mi ricordi amici, anniversari, compleanni, credo che poi però , sia necessario un piccolo sforzo e superare la barriera digitale per parlarsi, abbracciarsi , condividere fisicamente un momento di vita insieme.
    Credo che ci sia ancora molta necessità e voglia di questo, ma manchino le istruzioni .
    Il fatto che piattaforme che prevedevano un avatar alternativo siano quasi tutte fallite o ridimensionate ne sia un esempio.
    Certo, viene fatto molto poco per insegnare un miglior utilizzo dei sistemi digitali, ora a mio parere hanno ancora una funzione di alibi per giustificare una certa timidezza o inadeguatezza nell’affrontare la vita con i suoi pro e contro.
    Spero che le nuove generazioni sviluppino queste conoscenze con altri risultati che mi la semplice condivisione di un momento digitale.

  5. Iscritta a Linkedin per “obblighi” lavorativi. Iscritta a facebook da “soli” tre anni e, in un certo senso, mio malgrado… Incauto uso della mail di facebook. Assolutamente negata nell’utilizzo (richiesto anche dal datore di lavoro) di whatsapp. In buona sostanza tecnologicamente incapace. Il 13 agosto ricevo la lettera di licenziamento. Ero stata avvisata del fattaccio già alla fine di luglio, ma non c’era nessun accordo rispetto alla tempistica. Faceva molto caldo quel giorno ed ero sola. La busta bianca, anonima, con il mio indirizzo scritto a mano ed errato, che però ugualmente era stata recapitata, con formale raccomandata. “E, con rammarico che le comunichiamo…”, etc. etc, etc. “Amici” mi raccomandano di inviare molti CV tramite internet, spiegandomi che nessuno mi risponderà…ma non si sa mai… Altri “amici” mi suggeriscono che quella è solo una perdita di tempo: “usa i tuoi contatti personali!”. Altri mi dicono che sarò iscritta, di default, al Centro per l’Impiego (quello che una volta era l’ufficio di collocamento) ma ci tengono ad avvisarmi che non funziona, o funziona molto male… Altri ancora ci tengono a rammentarmi che alla mia età (50 compiuti a giugno 2015) sono, come tanti, “in mezzo al guado”… Né carne né pesce, come mi diceva qualcuno. che mi faceva parecchio incazzare, quando ero adolescente. Beh, intanto, mi dico, aggiorno il mio profilo su Linkedin. Non so cosa combino ma il giorno dopo mi arriva un messaggio su whatsapp di un vecchio amico delle medie, che ho ancora sul cellulare in seguito a una di quelle rimpatriate delle quali ancora non ho scoperto il senso, che si congratula con me per il nuovo lavoro… Sorrido a denti stretti. Lo ha saputo tramite Linkedin perché, a mia insaputa, siamo “amici …là”… Dovrei rispondergli subito qualcosa ma rimango per qualche attimo con il cellulare in mano, immaginando di scagliarlo con forza dal balcone… a) potevo scegliere di non rispondergli, ma il “doppio segno di spunta azzurro” indicava che lo avevo letto; b) potevo scrivergli che in effetti Linkedin si era sbagliato e la vicenda era tutt’altra; c) “ti tocchi”, diceva Sabina Guzzanti-Moana. Bene. Sono certa che la terza opzione sarebbe stata di gran lunga la migliore ma….ho scelto la seconda. Il povero malcapitato ci è rimasto male ma mai quanto me! Un po’ di imbarazzo, qualche parola di circostanza…e poi “ciao, allora…” o forse, meglio, come sui sacchetti della spesa: “arrivederci e grazie!”, se poi ci si rivedrà o meno, poco importa.
    E’ bello condividere queste fantastiche esperienze virtuali, ci si sente meno soli (?)… Del resto navigare in questo mare di l’Inc. Cool 8, sentirsi privati della propria individualità, di cui, di fatto, non frega niente a nessuno, è una sensazione che necessita una unica e sola reazione……. Sorriderne.

    • “il “doppio segno di spunta azzurro” indicava che lo avevo letto”
      lo puoi anche togliere il segno azzurro. Vai su Impostazioni, poi Account, poi Privacy ed infine sulla voce “conferme di lettura” selezioni: No.

      • Grazie Red! Ma vedi… io gia’ non capisco quelli che tolgono la data dell’ultima connessione… ma non perche’ la cosa mi interessi particolarmente….Penso che questo strumento, ora per altro gratuito, sia stato creato per farti trovare, quasi per geolocalizzarti… Un piccolo o medio big brother (come molti social, del resto) che oserei definire ‘vampireschi”. Rubano dati per fini statistici e di vendita, persuasori non poi cosi’ tanto occulti… ma c’e’ dell’altro… c’e’ la nostra smania di ‘mostrarci’, il nostro ego smisurato e vanitoso denso di niente…. In fondo, credo, non vogliamo ‘esserci’, preferiamo defilarci, temiamo la ‘comunicazione’, quella reale e a volte molto faticosa… Lo smartphone deve essere griffato, molto sottile, dotato di braccio per un selfie davanti allo specchio…e il conteggio dei like, la risposta al nostro sterile impegno.

        • Capisco, dei pochi contatti che ho con amicizie su questo social, che utilizzo con moderazione, ci sono due di loro che cambiano spesso foto associata al loro profilo. Già da questo capisco chi è a rischio di esibizionismo. 🙂 Io ho messo perfino un’ immagine e non una foto mia.
          Tengo sempre disattivata la localizzazione, sia sul telefono che su qualsiasi programma sul telefono che me la richiede. O in genere non installo applicazioni che la domandino.
          Un discorso un po’ a parte riguarda la mancata abitudine ad andare a fondo alle cose, al dedicare del tempo per capire come funzionano o sono organizzati grossomodo alcuni programmi. E non intendo affatto avere le competenze sofisticate di un programmatore, ma prendere l’ abitudine di smanettare un po’, farsi venire dubbi e provare a reperire in merito informazione su internet.
          Senza quest’ approccio si è più vulnerabili. Un esempio: una persona mi ha detto che hanno visto delle sue foto su facebook ed è rimasta spiazzata perché pensava di non averle rese pubbliche a chiunque. Parlandone, -io non ho facebook- mi hanno spiegato che per la privacy bisogna impostare ciascun album fotografico come visibile solo dagli amici, altrimenti é visibile a tutti. Sono questi passaggi che bisogna fare: prima raccogliere delucidazioni, poi semmai fare.
          Temo che questo derivi anche da come la massa è stata abituata ad usare il software per personal computer. L’ approccio di Microsoft e Apple ha facilitato l’ uso dei pc, l’ utente è spesso deresponsabilizzato da decidere quali aggiornamenti scarica sul proprio pc e perché. Per installare molti programmi ci sono delle procedure abbastanza facilitate. Un sistema operativo per le masse!
          Io sono da alcuni anni anche un, modesto, utilizzatore di Linux sul pc e se non altro devo stare attento di più a cosa faccio. Semplicisticamente, in Linux sei tu che con i permessi di amministratore (leggi: la password per intervenire sul sistema operativo, nonchè installare programmi) puoi combinare un discreto casino e ti prendi la responsabilità di capire prima cosa fai e magari di non installare un malware (“virus per pc”) da una programma di sospetta provenienza. Con Microsoft è pressoché tutto in automatico, sollevando l’ utente dal pensare, e poi si punta troppo sull’ antivirus per rimediare alle leggerezze compiute.
          Questi gingilli, di per sè anche allettanti, come tablet e smartphone, con la loro interfaccia immediata amplificano la ludicizzazione dell’ esperienza: sono più immediati da un lato, ma ciò si sconta domandandosi meno cosa c’è sotto il cofano… Anche molti programmi appaiono così.

          L’ altro argomento, la comunicazione “vera”:
          Ultimamente mi sono reso conto che abbastanza frequentemente non ho voglia di comunicare, sia perché non vengo corrisposto nel tempo e nell’ importanza da metterci su argomenti che contano e su cui sarei disponibile ad avere un confronto, sia perché è difficile trovare qualcuno che si dedichi con competenza a degli argomenti. Io non sono un dotto! Mi piace però parlare, ed ancor più, ascoltare di taluni temi espressi con competenza. Da una persona che è in grado di veicolare ciò che ha approfondito.
          Oggigiorno ha preso troppo piede una comunicazione fatta di schizofrenia: 5 minuti di quello, poi si passa a quell’ altro e non c’è nemmeno un filo del discorso. Come diceva un professore americano in un video su youtube si é persa l’ abitudine alla lettura: qualche minuto di quello, poi una distrazione, poi sul pc arriva una notifica di facebook o di una email ricevuta e si perde la continuità. Trovo che sia così anche per i discorsi e pure le chiacchiere fra individui. Questo mi toglie lo stimolo.

          • Come ti capisco, caro Red! Ho smesso di ‘comiunicare’ con molte persone che, quasi in ogni conversazione, ci infilavano gli immigrati…..Di qualsiasi cosa si parlasse, spesso di lavoro/soldi, l’extracomunitario risolveava il conflitto, essendo lui, l’unica causa e origine dei ‘nostri problemi’. Mi sono stufata. Mi sono stancata di provare a dire la mia e/o di stare in silenzio. Cosi’ evito di parlare. Tutto cio’ che la tecnologia ha creato per sostituire, in un certo senso, la comunicazione reale, per me non ha alcun senso. Trovo sterili e inutili le discussioni tramite whatsapp o via skype. Non esiste nulla che possa sostituire la ‘presenza’, l’ascolto, lo sguardo, la mimica del corpo…un sorriso….Come quello di cui parla Simone in questo post…. La ‘foto’ ci racconta ‘altre cose’, aggiunge spessore alle parole….’Da’ corpo’ ….ma lascia anche un certo margine di immaginazione….Questo non succede quando hai una persona davanti a te. Poca immaginazione, dura realta’…ma, se butta bene, un abbraccio potrebbe far sparire tutto….anche le parole..per una volta…. 🙂

  6. Come ti capisco, la mia carriera è stata costruita sempre al contrario, ma che divertimento.. Pure ora che mi sono licenziata… Sono meno brava di te, vado a naso.. di vento… il naso, con qualche straorza..ma.. Bello bello. Buon vento e sbrigati ho fretta di leggerti. Dominique

    • Donatella, ho avuto una barca che per quanto riducessi tela o scarrellassi il trasto, ogni tanto straorzava. La straorza (e la strapoggia) sono tendenze connaturate a certe imbarcazioni.

      I non velisti ci scusino l’angolo poco comprensibile.

      Ciao!

    • Bello bello. Condivido. Un mazzo così ma… bello bello. Anch’io sono andata a naso, mi sono sentita da sola come nel tender di Faamu Sami in mezzo all’oceano.
      Che grande paura bisogna vivere per imparare il mare.

  7. Io sono tra quelli che ha sempre evitato di dire i cazzi suoi a chicchessia. Non sto su Facebook, nè su Linkedin, nè su Tweetter o in altri social che, chiaramente, monitorizzano la vita altrui. È arcinoto che molti dei dati immessi in questi contenitori Web vanno a finire negli USA e comunque si sa troppo sui gusti, le abitudini, le idee e gli stili di vita di qualche miliardo di persone. Che dire? È lo scotto che si paga quando ci si inchina con troppa facilità alla tecnologia e sopratutto quando a questa si affida molto della propria identità personale. È comunque assurdo che, una volta registrati su un qualunque sociale, ci si debba rimanere per l’eternità nonostante si chieda di essere cancellati. Non vi pare che ci sia qualcosa di losco e perverso sotto?

    • Felice, a me che abbiano le mie informazioni private interessa poco. Basta che non mi rubino il poco che ho o non facciano cose penalmente rilevanti. Anche su questo dovremmo ragionare, forse. E’ un tema che implica questioni forse ancestrali.

  8. Finchè sono le macchine a commettere certi errori ,o meglio chi le istruisce in tal modo, è anche comprensibile si tratta comunque di sistemi informatici rigidi, ma quando capita ai ‘cervelli naturali’ allora la cosa è preoccupante e sintomo di appiattimento mentale.

    • Interessante, parliamone.. anche a me non garba per niente dare via le mie informazioni private. A parte il fatto che in molti casi sapendo nome, cognome e data di nascita di un illustre sconosciuto e’ relativamente facile accedere al suo conto in banca (ad esempio utilizzandone le carte di credito/debito online), sapere che qualcuno annota da qualche parte la mia vita e la collega alla mia faccia o al mio nome mi provoca un stretta allo stomaco. Non credo proverei lo stesso fastidio se i miei fatti/pensieri rimanessero davvero anonimi. In molti casi dicono che sia cosi’, ma chi gli crede?

      • PriLa, il problema sai qual è? Che registrano tutto e lo usano solo quando serve e contro di te. Se registrassero tutto e guardassero, ascoltassero, cercassero di capire, a me starebbe bene. Segreti non ne ho. Che mandassero tutto in televisione anche, no problem. Ma che registrino e non vedano, no, questo mi dà fastidio.

        • Tutti d’accordo allora, continuiamo a ‘sabotare’ il sistema come possibile quando necessario.. 😉
          (comunque grande spreco del potenziale della comunicazione, chissa’ se un giorno..)

          • Ma vedi PriLa, anche questa idea dello spreco… Se ci ragioni era del tutto assurdo che il media fosse il messaggio (come asserì lungimirantemente e visionariamente Marshal MacLuhan). Il media, per quanto potente, non può sostituirsi al suo contenuto. Come nella vita, col denaro, col lavoro, sostituire strumento e finalità porta dritti all’alienazione. Oggi capita la stessa cosa con la comunicazione. È più importante lo smartphone di quel che lo usiamo per fare, dei contenuti che veicoliamo tramite esso. Dunque non c’è spreco. Quel che chiamiamo spreco, in realtà, siamo noi. Sarebbe migliore se fossimo migliori noi.
            Come dice il protagonista di un mio romanzo, “per un mondo migliore servono persone migliori, e io non ne vedo”. Oggi si sa tutto, c’è tutto, dunque si può fare tutto. Se non accade qualcosa non è per impossibilità. Purtroppo….

  9. Ho evitato di fornire molte mie informazioni a Facebook, perchè sapevo che una volta entrate nel sistema, queste sarebbero state macinate, interpretate, avrebbero vissuto di vita propria, secondo determinate logiche, anzi no, algoritmi, e sarebbe stato molto difficile controllarle. Credo che sia utile un approccio minimalista, ovvero aggiungere qualcosa quando serve, piuttosto che essere costretti a togliere dopo, dato che si rivela poi molto più complicato… e rinunciare quando non è possibile attuare una simile strategia.
    Un po’ come quando si sottoscrive un nuovo abbonamento: sembra tutto facile, chiaro e veloce all’inzio, ma al momento di cancellarsi o applicare modifiche mirate, frutto di riflessioni, la faccenda si complica e, come mette iperbolicamente in scena il personaggio IoTimCook di Crozza, arriva l’Inc. Cool 8… appena un minuto per registrarsi, ma firme contro-firme e mesi di attività per cancellarsi!

  10. Vero. Il paradosso l’ho provato proprio in concomitanza dell’ultimo giorno dell’anno scorso. Un mio caro amico, e’ deceduto in giugno 2015 dopo una lunga malattia. Siamo cresciuti insieme e quindi cio’ ha generato un profondo dolore in me. Penso spesso a lui che a 55 anni, ci ha lasciato. Ovviamente, la frenesia della vita moderna, lavorativa e non, fa si che tu rientri ben presto nell’ingranaggio stritolante. Bene. Questo sfortunato amico, avrebbe compiuto gli anni il 31 dicembre. E puntualmente, al mattino del 31 dicembre, giunge il messaggio di Facebook….” Fai gli auguri a Stefano, per il suo compleanno”…..mi e’ preso un groppo alla gola ed ho iniziato a piangere. Facebook non poteva saperlo. Il suo profilo e’ ancora aperto.

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