Nemici doppi

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Chi è quell’ombra, l’altro uomo, l’altra donna, che pure siamo?

Il nemico è l’uomo nero, quello che ci ha intortati, turlupinati, truffati, danneggiati, è la causa di come stiamo, del nostro male, della fatica che dobbiamo fare per riprenderci. Lui magari non sa neanche di cosa stiamo parlando, e la sua visione su fatti e circostanze è del tutto opposta. Ma non è importante questo. Lui è il nemico, la causa. Noi lo sappiamo. Se lui non fosse mai esistito saremmo felici.

Poi però c’è il nemico del nostro nemico, che siamo noi, il nostro peggior nemico.

Noi lo individuiamo (generalmente scegliamo un genitore, un collega, un parente, un amico, uno a portata di mano, facile da identificare, di cui sappiamo almeno qualcosa), noi lo riteniamo responsabile di tutto. Noi ci sentiamo traditi (rispetto a quali illusioni precedenti, elaborate da chi?). Noi gli attribuiamo malefatte selezionate con cura, a volte perfino difficili da spiegare, che dunque necessitano molte elucubrazioni per essere illustrate. Finalmente possiamo evitare di darci colpe, di chiederci dove abbiamo deragliato, perché c’è lui, su cui possiamo far convergere ogni strale. Noi siamo innocenti, vittime, lui è colpevole, il carnefice.

Ma il nemico non è lui. Nemici suoi e nostri, dunque nemici doppi, siamo noi. Ogni cosa detta siamo noi ad averla voluta dire o intendere così, potevamo scegliere, opporre altri valori, opporre altre decisioni, ma non lo abbiamo fatto, perché noi, che ci piaccia o no, siamo anche in quel modo. Ogni cosa fatta abbiamo evitato di vederla com’era, immaginandola premessa di altro, conseguenza di altro, ma noi vogliamo vedere alcune cose, perché siamo così, dura da ammettere. Ogni cosa che NON abbiamo fatto, che non abbiamo intuito, l’abbiamo evitata perché lui ci ha offuscati, ingannati, ma la verità è che non l’abbiamo fatta e intuita perché non volevamo. Ogni cosa scelta sotto la nostra libertà, rivelatrice puntuale di ciò che siamo realmente (giacché ciò che non siamo, noi non faremmo mai, ma ciò che facciamo SIAMO e restiamo), l’attribuiamo all’ipnosi con cui lui ci ha irretiti, al calcolo diabolico che lui ha ordito ai nostri danni privandoci della possibilità di scegliere, per i suoi biechi interessi. Senza di lui mai e poi mai avremmo detto, pensato, fatto ciò che abbiamo fatto e pensato. Perché noi siamo diversi da come ci siamo comportati. Che stronzo, bieco, infido e bastardo il nostro nemico…

Siamo stati legati e torturati, o siamo stati lì scegliendo liberamente? Siamo stati picchiati, siamo stati minacciati, abbiamo agito senza alternative? Abbiamo dovuto scegliere in un istante, a rischio d’errore, o abbiamo avuto mesi per evitare o confermare? Non abbiamo avuto nulla in cambio, oppure abbiamo avuto cose utili, utilissime, CHE DESIDERAVAMO AUTENTICAMENTE, e tante anche, di cui abbiamo goduto ampiamente prima che lui si rivelasse il nemico, e di cui godiamo ancora oggi senza neppure ammetterlo? Non sarà che quel nemico, nemico non è, che anzi potrebbe darci ancora molto, se solo la nostra incapacità di essere consapevoli ce lo consentisse? Non sarà che il nostro nemico ci rivela per quello che (anche) siamo, solo che noi, obnubilati dall’odio (per le nostre mancate scelte!), non riusciamo ad ammetterlo? Ad accettarci diversi da come ci piace pensarci?

(pensieri in margine al concetto di Nemico, uno dei grandi temi del romanzo che sto scrivendo)

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19 pensieri su “Nemici doppi

  1. Il nostro nemico dice tutto di noi, se vogliamo sapere come siamo fatti dobbiamo prestargli attenzione, esaminare quel che dice. Ci offende perchè dice cose che noi sappiamo e condividiamo già. Occorre non negarlo, rifiutarlo, respingerlo o combatterlo: anzi si dovrebbe invitarlo a prendere un the, e soprattutto dirgli che lui può andare e venire, nonchè stare con noi tutto il tempo che vuole, la sua presenza è gradita. Quando avrà detto tutto quel che ha da dire, andrà via da sè, senza alcun codazzo di rimpianti.

  2. Non vorrei dire scioccheze, ma nella psicoanalisi si afferma il seguente principio: ciò di cui non ci occupiamo, i moti interiori del nostro animo che scegliamo deliberatamente di non considerare, non è che smettano di esistere, anzi proliferano; il risultato è che, smettendo di assumercene responsabilità, iniziamo a proiettare sull’altro il nostro problema ingigantio. Succede a livello personale ma forse anche fra i popoli che vanno in guerra. L’altro, che magari effettivamente, essendo umano, qualche piccola pecca l’ha pure commessa nei nostri riguardi, attirerà su di sè tutto il nostro odio, dovuto a tutto quel che noi non abbiamo fatto (una reazione non sviluppata, un progetto non riuscito, un rimanere dove si è per paura…). Diventerà il nostro capro espiatorio, poveretto.
    Ultimamente in un senso sono stato da entrambi i lati e lo sono ancora, seppur con un po’ più di consapevolezza. Finta vittima e quindi carnefice, per non essere abbastanza bravo da riuscire a distinguere il confine tra quello che spetta a me fare e quello che invece tocca all’altro (che pure, appunto, innocente non è, ma neanche così colpevole come l’ho ritenuto io), e capro espiatorio in un altro rapporto, vittima in quel caso reale di evidenti responsabilità altrui per nulla prese.

  3. Credo che sia raro il caso in cui veniamo turlupinati, ingannati.
    Legati e torturati.
    Quella che invece avviene più spesso è che abbiamo quella che si chiama “informazione perfetta”. Ma l’ignoriamo.
    L’altro è esattamente come è. Naturalmente non come noi vorremmo.
    Almeno per la parte iniziale.
    Poi inizia un percorso lento. Uno stridere o uno scivolare tra due modi di essere, due personalità che per forza di cose viaggiano insieme.
    Una si adatta all’altra.
    Si chiama “mitridatizzazione”.
    Re del Ponto da giovane ingeriva minime quantità di veleno. Per immunizzarsi.
    Non morì avvelenato infatti.
    Si credono normali fatti che non lo sono. Si crede che la vita sia tutta lì.
    Visibilità per anni a 50 metri nel timore che vedendo a 100 si possa stare male.
    Nelle righe di Simone compare, credo, un pessimismo cosmico.
    Non c’è soluzione.
    Io sono così ed io resto così.
    Ma è esattamente così ?

  4. Ciao Simone, leggendoti mi è venuto subito in mente un termine e questo termine si chiama autoinganno.
    Il nemico – come fai capire tu – è una sorta di alibi che uno si costruisce per motivare la sua inautenticità.
    Quando si parla di autoinganno, colui che inganna e che viene ingannato è lo stesso soggetto e, seppur ne diventa consapevole, non arriva a spiegarsene il motivo. Un esempio di autoinganno può essere il caso in cui una persona si sente in colpa per aver arrecato sofferenza a un’altra, sente il peso della propria responsabilità, eppure non l’ammette trovando altre spiegazioni che lo liberino da quel peso; l’individuo, quindi, prova a convincere se stesso, ad autoingannarsi appunto, che nulla di quello che è successo è attribuibile alle sue azioni, eppure il senso di colpa continua a persistere. Pertanto l’autoinganno è un meccanismo di difesa necessario per preservare la propria identità, anche a costo di nasconderla a sé e agli altri. La paura delle proprie responsabilità genera una falsa coscienza in ciascun individuo.
    Forse è questo che ci rende nemici di noi stessi…quel dibattersi in quel circolo vizioso tra ciò che crediamo di essere e ciò che siamo veramente. Comunque – e questa è una mia personale considerazione – non c’è cosa più dolorosa e infingarda che prendere per il culo se stessi.

    • Condivido, Felice. facciamo quest’opera di autoinganno perché ci costa meno dirci cazzate che ammettere ciò che siamo, l’entità delle nostre responsabilità in ciò che ci capita, il lavoro ce dovremmo fare per accettarci come siamo realmetne, oppure per cambiare la nostra vita e vivere davvero ciò che siamo. E’ più facile dirsi e convincere qualcuno che il cattivaccio ci ha ipnotizzati, siamo stati irretiti, ed è tutta colpa sua. Ciò che tecnicamente si chiama dirsi cazzate

      • Girando per la rete mi sono imbattuto in questo pensiero che vorrei condividere a proposito di…
        “Purtroppo quasi tutti sin da bambini, veniamo condizionati molto profondamente da una cultura deviante, impariamo così, durante il corso della nostra esistenza, a mentire sistematicamente a noi stessi e quasi sempre in modo estremamente arguto. In questo modo subentra gradualmente in noi, senza che ne siamo troppo coscienti, un sottile autoinganno e si innesca un circolo vizioso, fatto di false convinzioni, che ci trascina inevitabilmente nel suo mondo illusorio. Arriviamo così ad avere un pensiero inautentico che ci costringe a vedere la realtà da dietro un velo; di conseguenza assumiamo comportamenti ipocriti e ci ritroviamo, inconsapevolmente, ad indossare una brutta maschera che tende a coprire il nostro vero volto, nascondendoci persino a noi stessi”.

  5. E’ molto comodo e più facile attribuire agli altri le cause dei nostri malesseri, problemi, fallimenti. E’ una bella scusa che ci permette di lavarci la coscienza, “in fondo io non c’entro, ho fatto quello che potevo, se non era per loro”, sono tutti discorsi di autocommiserazione con i quali ci autoassolviamo.
    Se ciò fosse vero ,basterebbe far cambiare gli altri per stare meglio noi , semplice no ? Invece siamo noi a dover cambiare.
    Mi viene in mente De Andrè .
    https://www.youtube.com/watch?v=G4FOK00NH4Q

    • Giusta citazione. Ma soprattutto: se facciamo o diciamo o pensiamo qualcosa, o compartecipiamo a cio che ci accade, noi siamo cosi. Molto utile e opportuno ammeetterlo.

  6. Condivido quanto scrivi. Vorrei aggiungere che quello che mi sorprende e mi ferisce anche di più, è l’accanimento con cui gli altri a volte prendono le parti della ‘vittima sacrificale’, turlupinano a loro volta e rincarando la dose. Come possono persone che spesso hanno solo elementi di giudizio parziali, permettersi di giudicare? Perché uno/a che non dice i fatti suoi ai quattro venti, non si lamenta, non risponde ad accuse, dovrebbe soffrire di meno o non avere sensibilità alcuna?
    Dobbiamo stare attenti al ‘lato scuro’ che c’è in noi. Lui, mentre agisce efficiente ed indisturbato, ci convince che stiamo facendo ‘cosa buona e giusta’…

    • Certo che con questi post ci devasti proprio la coscienza, ammetto che a volte mi creo dei sensi di colpa, ma è come la cura dolorosa ma salutare .

  7. Io ormai sono in una fase in cui quando ho un problema mi dico:”Se ho un problema, ho fatto un errore prima”…perchè generalmente, i messaggi, i warning ci sono sempre tutti….magari li minimizziamo, non diamo loro il giusto peso, perchè non ci fa comodo….ma …mannaggia…”risbobinando” il pregresso… c’erano tutti….

    • infatti. ma soprattutto è inconcepibile che si parli ancora di colpe degli altri, di responsabilità di altri, del cattivo che ti ha danneggiato. è patetico, quando sento cose del genere insorgo, di solito arringo per qualche ora il mio interlocutore lasciandolo esangue. ma basta con questa falsa coscienza. siamo padroni di tutto, passo per passo. ci capita di prenderci, ci capita di sbagliarci. noi. fine.

  8. Il discorso fila, fila alla grande, ed è adattabile a molte situazioni, dal capo ufficio al compagno di vita, dall’amico al genitore. Su una cosa però, almeno pensando alla mia personale situazione che tu a grandi linee conosci, non sono daccordo: sulla possibilità che ” quel nemico, che nemico non è, possa darmi ancora molto…”.
    E’ vero che non è quella persona la causa di tutti i miei mali, che rappresenta solo un facile capro espiatorio, che il problema reale sono io e come io in quella situazione ci sono finita, ho voluto rimanerci per il tempo in cui ci sono rimasta, ecc…E’ vero anche che per un certo periodo di tempo quella persona mi ha dato qualcosa, mi ha arricchito e che parte di quello che sono oggi lo devo a lui, però, dal momento in cui mi sono resa conto che quella situazione con quella persona mi faceva star male e, finalmente, ho preso la mia vita tra le mani e ho dato una svolta, non posso pensare che quella determinata persona possa rappresentare per me una ricchezza e che il problema adesso sia la mia incapacità di comprendere.
    Anzi, credo che la grande forza ora sia il riuscire a guardare la mia situazione dall’esterno, in maniera obiettiva, riconoscendo gli onori e non solo gli oneri sia a lui che a me stessa, senza tuttavia cadere nuovamente nello stesso circolo vizioso che mi ha portato a sceglierlo come compagno di vita.

    • questo ci sta Paola. Ma tu scrivi “quella situazione con quella persona mi faceva star male”, mentre è “quella situazione per quello che io ero mi faceva star male” e non puoi sapere “quella situazione essendo io un persona diversa” cosa avrebbe potuto generare, in te, in voi etc. Avochiamo sempre tutto a noi. ogni uscita verso responsabilità altrui è un errore.

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