Tutto uguale

Una_donna_in_carriera

Qualche sera fa ho rivisto “Una donna in carriera”, (1988) cult movie di Mike Nichols. Ricordo benissimo tutto, film e anni. Ambizione, simboli, quei picchi di incontenibile soddisfazione per un aumento, una promozione, l’ufficio due metri più grande, la kenzia, la segretaria. Giovani, eravamo stati allevati con la droga del capitalismo consumista già nel biberon. Continue crisi d’astinenza da sedare in quel modo. Pensando a quei trent’anni trascorsi, e sentendomi ad anni luce da quella cultura, ho sorriso. 

Almeno fino a che non è capitata una coincidenza: in una scena, Sigourney Weaver spiega a Melanie Griffith che “se vuoi essere trattata in un certo modo, devi vestirti in un certo modo”, icastica headline estetica di quegli anni. Subito dopo, pausa del film e stacco pubblicitario: in primo piano appare una Mazda rossa dal design aggressivo e un giovane vestito in modo qualunque che allunga la mano e la tocca sul cofano. Come per una corrente elettrica o un’onda magnetica, immediatamente il ragazzo si trasforma negli abiti, diventando elegante e trendy, perfino il suo portamento se ne compiace. Incredibile. Passati trent’anni, il riferimento culturale dell’essere a posto, riusciti, di successo, è rimasto lo stesso: esteriore e formale.

Appena dieci anni prima di quel film l’estetica e la filosofia di vita erano molto diverse. Come mai, salvo che per una minoranza (forse…) la cultura sociale e individuale si è fermata a quegli stilemi? Come mai una cultura nuova non si è imposta, come sempre accade, rendendo obsoleta la precedente? Un po’ come per i pantaloni da donna a vita bassa (cui invano la moda tenta di sostituire la vita alta, da quasi dieci anni, senza che le donne abbocchino), consumismo, competizione, arrivismo e capitalismo sembrano aver cristallizzato ogni possibilità di cambiamento. Non dovremmo, di generazione in generazione, sorridere delle precedenti? Nietzsche, dove sei!?

Il giorno dopo, ore 10.30, sento al telefono il mio amico F. (54 anni), a cui sottopongo il quesito. Mi risponde così: “Ma se io poco fa mi sono svegliato con la voglia di sentire “After the gold rush” di Neil Young, e mi sono pure seduto sul divano leggendomi i testi dell’LP, come facevamo da ragazzi… ma cosa vuoi che cambi!?”. Strana generazione, la nostra. Ci penso su…

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12 pensieri su “Tutto uguale

  1. Divertentissime queste riflessioni. L’appellativo di “psicodemoliti” rende bene l’idea…. e mi fa ridere tanto. Però, sapete, .. quella “Milano da bere” l’avevano confezionata bene. Era patinata e luccicante. Attraente ed esclusiva. Io ero troppo piccola per partire, ma ricordo che coltivavo il sogno di arrivarci. La rapidità, il successo, le grandi aziende, le vetrine della Rinascente… Come si poteva non desiderarla allora? E forse era giusto così.

    • Nessun dubbio che fosse “giusto” sperimentare. L’anomalia e’ che sia rimasto tutto uguale negli ultimi trent’anni…

  2. Abbiamo tentato di avere un obiettivo più alto.
    Magari cercando di cambiare “davvero” qualcosa. Non ci siamo riusciti.
    Allora qualcuno s’è preso un periodo sabbatico mentre altri si sono rifugiati nel privato.
    Tentando magari l’arma della Carriera.
    Il Lavoro può essere di tanti tipi.
    Anche Maligno.
    Oppure ti permette di svilupparti attraverso di esso.
    Non dico realizzarti.
    Imparare per esempio quanto vali. Se riesci a reggere la tua qualità nel tempo e nello stress.
    Ti permette, è vero, di guardare davanti con tranquillità.
    Non ho mai visto le strade invase da psicolabili.
    Semplicemente perché, cambiando o sviluppando “oltre” l’approccio, avrei potuto tranquillamente essere uno di loro.

  3. L’etica del lavoro è sparita? Forse è bello esserselo guadagnato il tempo, col sudore della fronte e con i sacrifici. Non sono convinto che sia giusto passare il messaggio che è giusto lasciarsi andare a non far nulla, alla pura contemplazione.
    In fondo il lavoro ci forma la mente, non è solo una questione di consumismo.
    E il concetto che ognuno è arbitro del proprio destino non dovrebbe essere abbandonato.

    • Per dirla meglio…
      “Vi è stato sempre detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura. Ma io vi dico che quando lavorate compite una parte del sogno più avanzato della terra, che fu assegnata a voi quando quel sogno nacque. E che sostenendo voi stessi col lavoro amate in verità la vita, e che amare la vita nel lavoro è vivere intimamente con il più intimo segreto della vita.”
      “Se non potete lavorare con amore, ma solo con riluttanza, allora è meglio lasciare il lavoro e sedere alla porta del tempio e accettare elemosine da chi lavora con gioia.”
      Kahlil Gibran
      “Il lavoro è una manna quando ci aiuta a pensare a quello che stiamo facendo. Ma diventa una maledizione nel momento in cui la sua unica utilità consiste nell’evitare che riflettiamo sul senso della vita.”
      Paulo Coelho

  4. Vedi secondo me la vita lavorativa ora è fatta di numeri, statistiche, diagrammi che a volte descrivono un “trend” ( bruttissima parola )positivo o negativo a seconda di come tira il vento, politico o di illusione collettiva, e noi stiamo lì ad inebrianti di queste notizie, il problema fondamentale che adesso il mondo è diviso da chi fa e commenta questi trend e chi li subisce e se al mondo sono più numerosi i primi che i secondi che si sporcano le mani e rimescolano la polvere per non dire altro,non può andare bene, si vive di illusioni sperando che qualcosa succeda e il mondo continua a girare …. anni fa era bello leggere le copertine degli Lp e ascoltare il rumore della puntina sul vinile e semmai chiudeva pure gli occhi, questo spazio di noi stessi non ce lo toglie nessuno, a loro lasciamo la musica sulla chiavetta …. spero di raggiungere presto una situazione simile a te … vai avanti così, Simone e grazie ancora.

  5. Non infierire capitano, purtroppo la maggior parte della gente è incasinata fino al collo per motivi diversi.
    Io scrivo: fatti loro. Per quanto mi riguarda mi godo la vita già da anni dopo aver lavorato al fine di ottimizzare stabilità interiore ed un minimo di benessere.
    il problema primario di questa epoca, lo ribadisco, sono le strade invase di psicodemoliti che occorre evitare al fine di evitar di perder tempo.
    I famigerati anni ‘ 80 e la “Milano da bere” come recitava la pubblicità di un noto amaro era solamente uno specchietto per allodole creato su misura per cretini, infatti i risultati sono sotto i nostri occhi.
    Buon fine settimana
    Vale

  6. Fiducia cieca (eh, il potere del dogma) e ripetizioni all’infinito. Binari accuratamente disposti da percorrere avanti e indietro fino alla fine. Sono arrivato a 35 anni ignorando volutamente i segnali del mio corpo e della mia mente, perchè così richiedeva il mondo attorno a me. Quando sentivo “repetita iuvant” dal prof di italiano mi angosciavo ma reprimevo. Una bella fetta di energie l’ho spesa nel considerare difetti miei, scogli da superare, quelli che erano solo ottimi segnali: che avrebbero però richiesto cambi di direzioni “impensabili” allora. Ora invece li penso eccome, imparo ad ascoltarli.
    Comunque la Weaver mi è sempre piaciuta perchè è una bellezza alternativa. Richiede anche un po’ di sforzo per essere colta. 🙂

  7. Difficilissimo formulare una risposta coerente all’interrogativo che poni, ma qualche frammento posso provare a esporlo. Da una parte, c’è un meccanismo che non può modificarsi più di tanto, di sicuro non può farlo nei suoi tratti essenziali, pena la propria scomparsa. Un organismo vero e proprio, quello del capitalismo fondato sui consumi, che come tale vuole riproporre se stesso all’infinito. Una forza impersonale a cui ci sottoponiamo (con estrema laboriosità) fiduciosi, nonostante tutto. E quindi giungo all’altra metà della questione: noi (o meglio, loro). Perchè, nonostante tutto, continuano (loro) ad aderire a tale modello? Va bene il condizionamento, va bene il lavaggio del cervello fatto dalla pubblicità, ma a tutto c’è un limite. E’ anche vero che oggi, quando si sta male, il sistema stesso ti propone un mondo di soluzioni chimiche, e solo se sei fortunato ti sussurra appena che forse stai sbagliando tu qualcosa ad un livello esistenziale (eccezione). La mia risposta è: non so perchè continuino a crederci, anche se sicuramente l’inerzia è un ottimo motivo e, tragicamente, basta. Però forse si può registrare un cambiamento che io considero importante: negli anni ’80 ci si credeva davvero, con grande convinzione, slancio, con gli occhi luccicanti. Con una certa serenità che derivava da una stolta fiducia nelle magnifiche sorti e progressive. Ogni questa energia non la vedo: si confida ancora nella terra promessa, ma i volti sono più tirati, nervosi. Eppure l’ideologia sopravvive: forse perchè, non avendo coltivato altro al di fuori di certi (dis)valori (carriera, denaro, bellezza, ma anche il posto fisso, una pensione assicurata, ecc.), continuare a crederci è rimasta per costoro l’ultima possibilità, l’ultima capacità e non potrebbe essere diversamente. Avanti così, insomma, perchè così è sempre stato e sarà (per forza, fino alla prova contraria, che si manifesterà: e allora adeguarsi si renderà obbligatorio).

    Per me il cambiamento è motivato, fra le varie ragioni, da una di matrice psicologica: la ripetizione mi stressa molto e quello in cui si vive è un meccanismo estremamente ripetitivo.

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