Perchè ci paia vero

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Paio vero così!?

E basta con questi selfie, e dai… Ma non lo vedete che siamo patetici, che immortaliamo istanti scelti ad arte per convincerci di qualcosa che non è vero, per dare a qualcuno messaggi di una vita che l’istante prima e l’istante dopo quella foto, invece, nascondiamo, perché ce ne vergogneremmo!? Quelle facce eternamente sorprese, quei volti cristallizzati in smorfie di giubilo sopra-le-righe, sono cartapesta di un carro allegorico, significano quasi sempre qualcosa di metaforicamente opposto, ma lo mascherano per noi, che siamo i primi a non crederci e ci fotografiamo perché ci paia vero. Nel farsi una fotografia ogni tanto non c’è nulla di male, ma come diceva il vecchio Compay Segundo: “si può fare tutto, per tutta la vita, ma senza esagerare”. Non così, non a comporre una cronistoria da ipertiroidei esaltati, finti cocainomani dell’ego che cercano di dimostrarsi vite movimentate, affascinanti, esilaranti, avventurose, piene di massime da filosofi de no’antri, nel tentativo di negarsi e negare che nella vita, come nella musica, contano più le pause delle note.

Non c’è niente di particolarmente interessante in questi nostri autoritratti, non so se ci è chiaro, e questo sì che combacia con le nostre vite. Sono tutte pose vacanziere, da reclusi nell’ora d’aria, in cui l’unica cosa interessante, di cui resta il perenne languore, sono le altre foto, quelle che non ci sono perché non le scattiamo o pubblichiamo mai, cioè il racconto delle sequenze escluse dal romanzo, le sole che potrebbero dire qualcosa di vero.

Pippe. Onanismo iconografico. Autoerotismo della finzione, il decadente affresco di un’epoca di perpetua esaltazione emotiva farlocca, accompagnato sempre (o quasi sempre) da frasi d’altri, prese su Google, non certo da un libro che si sta leggendo, per comporre un quadro che non è il proprio, ricchi di una saggezza non nostra, confusionaria, raffazzonata, che non sa davvero di noi, e che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non somiglia neppure all’aforisma di ciò che vorremmo diventare. Ritratti di persone che non siamo, ricche di un acume che non dimostriamo dal vivo. Invocando inutilmente, sempre più debolmente, un’autenticità che a furia di fotografarci non ritrarremo mai.

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30 pensieri su “Perchè ci paia vero

  1. Sono molto d’accordo, Simone, e condivido il fastidio per la finzione a scapito dell’autenticità delle cose e, soprattutto, delle persone. L’unica cosa che mi sento di aggiungere è che i selfie e gli aforismi buttati lì su facebook sono solo la punta dell’iceberg ed esprimono il bisogno di molte persone di battere un colpo, di dire “ci sono anch’io”. E’ un bisogno che c’è sempre stato nell’uomo secondo me: è positivo e sano condividere ciò che si è e si fa con gli altri, è diretta conseguenza della nostra socialità. Il guaio si verifica quando non comunichiamo la nostra unicità, la nostra ricchezza, i nostri talenti, le nostre emozioni più vere e i nostri pensieri più profondi, ma cerchiamo di conformarci ai modelli di vita che vanno per la maggiore, quelli comunemente accettati e, per questo, più rassicuranti. Bene o male è una cosa che riguarda tutti noi: se non è fecebook, è il modo di vestire, parlare, pensare.
    Per questo motivo è importante fermarsi ogni tanto e gettare una riflessione anche su queste punte di iceberg, proprio come hai fatto tu: per chiederci se stiamo seguendo la nostra vera natura o se stiamo interpretando una parte che qualcuno ha scelto per noi.
    Un saluto a tutti!

  2. Oh, ma ci fai o ci sei?
    In data 5 ago rileggiti, fai scorrere il ditino o il mouse.
    Vai a farmi verdura grigliata ed un bicchiere di rosso.
    Buon appetito!

  3. Mi riferisco ai recenti scritti di questo post, l’ ho dato per scontato.
    Buona giornata
    Vale
    P.s anch’ io conservo un buon ricordo di vita delle scuole salesiane, anche se ci sono aspetti discutibili di certi educatori…
    Ciao

    • ok, certo. Ma che vuol dire “non temo confronti e critiche, siamo in democrazia, ci mancherebbe”. A quali critiche ti riferisci?

  4. Perotti, non temo confronti e critiche, siamo in democrazia, ci mancherebbe.
    Ti senti forte, sei a casa tua e va bene così: ricordiamoci tutti, che nessuno ha la verità in tasca ed i punti di vista, esperienze e competenze, spesso sono diverse.
    La vera capacità, in pubblico è quella di saper ascoltare e cercare di capire anche altre posizioni, scrivere e fare l’ opinionista è molto impegnativo e tu lo sai bene, vista l’ esperienza vissuta.
    Molto spesso condivido e ti capisco benissimo, in altre occasioni siamo distanti ed è assolutamente normale.
    Buon ferragosto da un paesello medioevale più alto della provincia sassarese, stiamo preparando la corsa all’ anello a cavallo e la classica tavolata in campagna per il 15.
    W la vita!

  5. La parola che mi colpisce di più è onanismo. Mi faccio bello, nel senso che mi scatto una foto in cui sono bello, per trarre piacere da me stesso, proprio come quando pratico l’autoerotismo usa la mia mano per trarre piacere da me stesso. E’ tutta una questione di mani. Allora forse sarebbe meglio saltare il “medium” che è il supporto tecnologico e fare subito la cosa che ci da piacere, cioè una enorme collettiva masturbazione, che è quello a cui si è ridotta la vita come ce la fanno vivere. Una grande sega. E pensare che le mani servirebbero per creare.
    F.

    • Mi colpì molto un professore delle medie, un salesiano sveglio, che sul tema ci fece un esempio calzante. Ci disse: non vi dico di non masturbarvi perché è peccato, perché non si fa, perché diventate ciechi, etc… Vi dico di stare attenti a una cosa: si rischia di collegare il concetto di piacere esclusivamente a se stessi, mentre il piacere è una faccenda che riguarda noi e gli altri. Non so perché ma questa faccenda mi rimase impressa, e in qualche modo credo mi abbia indirizzato. E credo anche che calzi, almeno per parte, con quanto hai scritto, Fulvio. Ciao.

  6. Ah, adesso ho capito perchè mi danno così fastidio.. Grazie per aver messo a fuoco i motivi della mia insofferenza. E pensare che l’autoscatto (preceduto in pittura dall’autoritratto) è un concetto vecchio di secoli…eppure gli invasati che fotografano se stessi (scusate, non è snobismo, ma mi viene l’orticaria ad usare il termine inglese tanto di moda), quegli invasati, dicevo, sembra che abbiano fatto chissà quale scoperta! Spesso gli scatti vengono fatti per la strada, su sfondi insignificanti se non proprio squallidi (es.sotto il tunnel del metrò con dietro il distributore di bevande, sigh!), perchè sembra che conti anche farsi vedere dagli altri mentre lo fai. Ho la sensazione che vogliano dire a tutti; “Guardate come mi diverto!” E invece a me fanno tristezza, cavolo! Sono come le pubblicità in cui le persone ritratte sorridono sempre (tranne alcune eccezioni): dopo centinaia di sorrisi tutti uguali ti viene il voltastomaco. Ma d’altronde, dopo decenni di pubblicità, TV e modelli di tal fatta su schermi di ogni tipo , dopo un tale lavaggio del cervello, quanti riescono ancora a mostrare un’emozione diversa, un’espressione autentica?

  7. Il due ruote è uno degli strumenti di movimento più potenti che abbiamo per, se non cambiare, modificare in meglio la nostra vita.
    Agili, piccoli. Vanno dappertutto.
    Qualcuno ci fa la pinna.
    Molti ci fanno i pazzi.
    Certo.
    Ma questo non squalifica i “due ruote”.
    Solo l’uso che se ne fa.

  8. Bello che scrivi una cosa pensando a qualcuno e risponde qualcun altro, certo che pensavi a lui. Mah… Anni a giudicare e dirne di tutti i colori e poi si stigmatizza chi si ritiene che ti giudichi. Coda di paglia e ipocrisia.
    Vabbè… Diciamo che stare sulla propria via con consapevolezza, è un’altra cosa…

  9. I social, i selfie, le vite omologate, le rat race, mode e tendenze demenziali sono considerazioni spesso riprese.
    Noto che te la prendi male, la mia è solo un’ osservazione.
    Tranquillo, cerco di capire ed imparare tutti i giorni.
    Ciao

    • Non prendo male nulla. Non sovrapporre l’opinionista e la sua vis critica all’uomo. Io conduco una vita tutto sommato ordinaria, niente su cui fare selfie. L’opinionista osserva e cerca di far riflettere, a volte mette alla berlina, a volte fa iperboli per bucare l’apatia e la convinzione, di tutti, che le cose valgano solo per l’altro. Ciao.

  10. Sono pienamente d’accordo … ma che dire di chi invece non vuole mai comparire in nessuna foto … non sopporto rivedere la mia faccia dopo anni forse perché sono sempre in cambiamento e quella persona non sono più io, i miei soggetti preferiti … le mie piccole figlie!

  11. Sei comunque bellissimo Simone!!!!
    Sardegna, Spiaggia di Stintino, luogo unico distrutto da gente impilata su asciugamani a mò di lasagna…..tappa obbligatoria quasi come Las Vegas in usa dove, se ci passi vicino, non puoi far a meno di sbirciare.
    Una ragazza evidentemente triste, stressata con pronunciate occhiaie, inforca gli occhiali da sole ed inizia la sua avventura con l’autoscatto con pose degne di Playboy…..le posterà sicuramente sui social per dimostrare agli altri che si diverte un sacco….. e dentro il vuoto, penso io. Nel dubbio e per paura di essere contaminata da questa follia dilagante non immortalo nemmeno il paesaggio, hai visto mai che con un clik le butti sul mio profilo fb aperto recentemente per “lavoro”…….. Eppoi che non cominci anch’io a fare mio il termine di autoscatto in inglese che fa tanto figo, anzi figa, così come insistentemente ci trasmettono i nostri rappresentanti…… Nel dubbio apro la bocca in una risata (non adatta ai selfies) e mi godo, in privato, una meravigliosa insalata di mare, su una spiaggia semideserta, al tramonto…….
    “Ciaone” come direbbero i fighi….
    Lory

  12. Ho trovato un articolo di Dario Palomba, del 2014, pubblicato su “La Stampa” dal titolo molto accattivante: “Il selfie (o del declino…)” di cui riporto qualche parte:
    “Da un po’ di tempo si aggira per la rete il selfie. Si tratta di un’immagine di sé stesso scattata con un telefono. Molto spesso queste immagini vengono postate su instagram, twitter, facebook o altri siti social. In genere hanno più o meno tutte la stessa inquadratura: mezzo busto, una mano non si vede (perché regge lo smartphone), l’altra mostra il pollice in alto o, in alternativa, l’indice e il medio aperti ad imitare la lettera V, il viso, senza espressione, atteggiato ad un sorriso più o meno intelligente, o labbra prominenti a rappresentare una posa imbronciata (soprattutto le ragazzine). Quello che colpisce è che coloro che sono rappresentati sembrano voler comunicare tutti la stessa cosa: ti prego guardami!
    Ma a chi viene rivolta questa richiesta? Qui viene il bello: a nessuno in particolare.
    Queste “fotine” sono lanciate nel mare di Internet come pezzettini digitali di sé stesso (selfie) da cui ci si può separare senza dolore fisico. Non credo che questo abbia qualcosa a che vedere con il narcisismo. Se qualcuno ricorda il mito di Narciso, saprà che Narciso, divenuto giovinetto e ammirato da tutti per la sua eccezionale bellezza, un giorno passeggiando sulla riva di un ruscello, vede per la prima volta la sua immagine riflessa nell’acqua e rimane rapito a contemplarla. I selfie non servono a guardare sé stesso ma a farsi guardare, a offrirsi agli altri.
    C’è in questa pratica qualcosa di disperato (o alieno?), c’è un richiamo spedito nella rete per cercare qualcuno, qualcosa con cui entrare in contatto.
    Sono soli i personaggi dei selfie, non vivono più nel mondo reale dove è possibile avere un amico, due amici, cinque amici. Gli amici in rete si contano a centinaia. Erano gli anni ottanta del secolo scorso e Roland Barthes scriveva:
    “Io vorrei insomma che la mia immagine, mobile, sballottata secondo le situazioni, le epoche, fra migliaia di foto mutevoli, coincidesse sempre con il mio io (che come si sa è profondo); ma è il contrario che bisogna dire: sono io che non coincido mai con la mia immagine; infatti è l’immagine che è pesante, immobile, tenace (ecco perché la società vi si appoggia), e sono io che sono leggero, diviso, disperso e che, come un diavoletto di Cartesio, non sto mai fermo, mi agito dentro la mia buretta: ah, se la Fotografia potesse darmi un corpo neutro, anatomico, un corpo che non significasse niente! Invece, ahimè, sono condannato dalla Fotografia – la quale crede far bene – ad avere sempre un’espressione: il mio corpo non trova mai il suo grado zero, nessuno glielo dà. (R. Barthes – La camera chiara – Einaudi 1980, pag. 13). Solo 30 anni fa. Non c’è studio, non c’è posa nei selfie. Un pezzo di corpo che si stacca in modo indolore (come capelli o unghie tagliate) e viaggia in modo autonomo nella rete.C’è poi un altro tipo di selfie: quello delle celebrities. Questo si, segue le regole sperimentate della rappresentazione. Personaggi seminudi o con la faccia pensosa o forzatamente scanzonata si scattano un selfie e postano le loro fotine su instagram o facebook. Hanno sempre qualcosa di veramente importante da scrivere per accompagnare il selfie.
    Qualcuno addirittura gioca con i selfie, si ritrae tutti i giorni o quasi per mettere in scena una sorta di onanismo neanche troppo simbolico.Non varrebbe la pena parlarne se non fosse che oltre a riempire il web, di selfie cominciano a parlarne quotidiani come la Repubblica (un non meglio identificato Nicola Perilli ci delizia dalle pagine del quotidiano on line con titoli tipo “Come scattare selfie da manuale” o “al MoMa sono diventati una forma d’arte” ed infine ci fornisce anche la notizia che è stata pubblicata una preziosissima “breve guida per restare al passo con i tempi” da Contrasto editore per soli euro 9,90 intitolata “Shooting yourself”). Il Corriere della Sera pubblica un servizio intitolato “I 15 selfies (ri)trovati di Vivian Maier, fotografa di strada, che finora era anonima e che oggi è paragonata dai critici a Diane Arbus e Dorothea Lange”.Ci uniamo desolatamente al redattore di 6 gradi, blog del Corriere della Sera, che conclude il suo articolo sul bikini bridge scrivendo: “Se arrivati in fondo a questo post, avete deciso che l’argomento non vi interessa per nulla e avete in cuor vostro pensato “ma chi se ne importa” (per non dire di peggio)…beh allora vuole dire che siete pronti per buttare via lo smartphone e salvarvi dal declino della nostra civiltà”.

    • “C’è in questa pratica qualcosa di disperato (o alieno?), c’è un richiamo spedito nella rete per cercare qualcuno, qualcosa con cui entrare in contatto.”

      Condivido.

  13. Penso che profondamente nasca anche da un senso di solitudine, coinvolgo gli altri nella mia vita perché loro non ci sono, allora mi rendo interessante perché la prossima volta ci siano. Mi sono trovato a fotografare per condividere non per immortalare; la tecnologia ci da l’illusione di avvicinarci gli uni agli altri ma manca il tatto l’olfatto, la presenza. Non è mai la stessa cosa. E poi siamo li e guardiamo la realtà attraverso lo schermo che è tanto piccolo in confronto alla nostra visuale.

  14. Siamo alle solite: lo dicevano recentemente pure 3 attori molto in voga.
    Nel catalogo dei cretini, occorre apparire!
    Discorsi triti e ritriti, Simone, anche tu, eddai…

  15. Intanto, scusa eh, ma la bocca doveva essere più chiusa (tipo “a c…o di gallina”, se posso permettermi 😉 ) e lo sguardo più intenso, reso quasi strabico per lo “sforzo”… Le mani, poi, devono mostrare il gesto della vittoria o, a scelta, il solito, pollice rivolto verso l’alto (segno inequivocabile dei nostri amatissimi “like”, nostro cibo quotidiano, nostro sostentamento). E, in ogni caso, questa è la tipica espressione usata soprattutto da giovani teen-agers, quelli che stazionano in bagno, davanti a uno specchio, e mai e poi mai!, suvvia! con dei libri sullo sfondo…
    Pippe? Già. Seghe mentali, si chiamavano una volta… E se non ti fai un selfie sei “out”, fuori dai giochi…oppure un vecchio brontolone, appunto…
    La cosa più buffa è che il mio nuovo cellulare, che sono stata costretta a comprare dal momento che si rifiutava di caricare gli aggiornamenti, ha una fotocamera fighissima… Puoi scegliere il livello di “bellezza” (eh???) da 0 a 10 e non solo! Puoi aggiungere un “effetto” da scegliersi tra questi che vado a elencare: nostalgia, infanzia, alba,dolce, crepuscolo, puro, mono, vintage e…il mio preferito: “illusione”!!!!!! Posso garantire un effetto assicurato! Meglio, molto meglio di un lifting e più economico…. Ho riso mezz’ora… e poi mi è venuto da piangere però… Questo arnese, questo maledetto aggeggio mi tenta…
    Noi, tutti noi, ci rechiamo ogni giorno in soffitta a rimirare il nostro ritratto, ignorando chi sia Dorian Grey: “Viviamo in un’epoca dove le cose superflue sono le nostre uniche necessità”.

  16. Bella Simone,
    le tue osservazioni riprendono un articolo letto di recente che parlano degli europei tutti intenti a mantenere in vita rapporti (spesso farlocchi e inconsistenti) sui social mentre il resto del mondo attivo (indiani, cinesi ecc.) si attrezza per migliorare e sviluppare nuove tecnologie e nuove scoperte.
    Complimenti per riuscire sempre, con pochi e mirati interventi, a farmi pensare… !
    Alla prossima.

    Giorgio

  17. Caro Simone e’ sempre un piacere leggere quello che scrivi! Ti seguo da anni, sommessamente, silenziosamente ma ci sono sempre! Quello che hai scritto e’ verissimo e condivido pienamente. Comunque …bella foto, divertente, sono contenta che stai bene! Hai una faccia buffa! Non sto a commentare ulteriormente … hai già scritto tutto e mi piacerebbe di più parlare a viso aperto! Ti abbraccio scrittore che naviga. Buon vento Ciao Sonia

  18. Ciao Simone,
    osservazioni giuste, in particolare condivido e sento mio il concetto che è l’abuso ad essere sintomo di qualcosa che non torna.
    A me, ad esempio, dà una strana sensazione quando mi imbatto in un profilo Facebook, devo dire quasi sempre di una donna , in cui le foto sono esclusivamente selfie di se stessa, magari scattati al bagno (!) o tagliando a metà la persona che nella foto originale le era accanto, peggio se la foto è anche fuori fuoco.
    L’espressione poi è quasi sempre come la tua :-).
    Ciao!
    Fabio

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