Sound of silence

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Sott’acqua per non affogare

Quando manca il silenzio non senti che manca qualcosa, al contrario, ti pare di aver evitato il peggio, di essere in salvo, anche se in realtà qualcosa scappa, viene sottratto, lo perdi, il pensiero che potevi fare, o il ronzio che poteva condurti al pensiero seguente, e poi all’altro ancora, l’amplesso ventresco che poteva emergere al cervello senza spreco, generando da una fecondazione omologa: una riproduzione, una procreazione, questo consente il silenzio. Il rumore sterilizza. Le parole dette a cazzo per fare rumore, per impedire la creazione, inertizzano. Inerti e sterili, ci pensiamo in salvo solo perché c’è rumore. Ma non è così. È solo tutto rimandato.

Chiudo canali, sempre, quando posso. Eppure mi arrivano le parole vuote, di tanto in tanto. Quelle del giudizio senza comprensione, dette per salvarci, anzi per salvarsi, perché io compio empietà, come tutti, ma quelle parole non le dico, e se le penso le sussurro, me ne pento, per compassione verso me stesso, tramite loro. Stessa battaglia, stessi mezzi scabri, stesse sconfitte, malattie, solitudini, cosa c’è da dire l’un l’altro? Commenti tra identici che manifestano differenze minime deformate dalla paura di sé.

Non evitare il silenzio, preferiscilo, tanto non ci riuscirai mai per sempre. Un giorno inaspettato sarà un’onda irresistibile. Inabissati prima, volontariamente e a mare calmo, per provarti che un fondo c’è, adagiati sulla sabbia, senza respiro, occhi in su, annulla la mente come dovessi restarci per sempre, immobile per non consumare energie. C’è più pace là sotto che sputando rumori e parole che ti condannano. Stai sempre parlando di te, ricordatelo. Ogni cosa detta sei tu, ogni insofferenza è di te. Ogni rifiuto è a te. Ogni fuga è da te, che però ti rincorri, indivisibile. All’infinito.

“Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C’è sempre solo l’io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dell’altro lato della rete: lui non è il nemico: è più il partner della danza. Lui è il pretesto o l’occasione per incontrare l’io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti, per trascendere l’io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro il gioco: fai breccia nei suoi limiti: trascendi: migliora: vinci. Si cerca di sconfiggere e trascendere quell’io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. E tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all’infinito”. 

Da “Infinite Jest”, David Foster Wallace.

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5 pensieri su “Sound of silence

  1. “il divertimento di-verte,de-centra,, allontana,quando invece ci sarebbe bisogno di con-vertirrsi,di con-centrarsi ,portare al centro e partire dal centro. Cogliere la vita si può solo a partire dal raccoglimento. Il divertimento inteso come fuga,si può alimentare e ripetere a oltranza ma il vuoto resta lì,anzi la distrazione diventa proprio il modo di non sentirlo,come nel caso di chi tiene la radio olaa tv accesa in sottofondo, anche se non la segue,per la troppa paura del silenzio e della verità che comporterebbe……..
    ….Tu, cantando,mi hai insegnato a considerare il silenzio come esplorazione delle possibilità.
    …..nessuno conosce la propria profondità se non scende uno a uno i gradini del silenzio per trovarsi faccia a faccia con se stesso…..”
    (L’arte di essere fragili)

  2. Bellissimo pensiero e condivido.
    Ormai per riemergere il meno possibile dagli abissi, sto centellinando l’ossigeno con grande parsimonia.
    Il problema è che quando riemergo, le persone a me più care, si preoccupano pensando che laggiù io stia male.
    O che non provi abbastanza affetto per loro.
    Ma in realtà è solo per loro che a volte riemergo.
    Perché è laggiù che ritrovo me stessa .
    Libera da ogni condizionamento interpretativo o, peggio, giustificativo.

  3. Tanta roba…Perotti…Mi scoppia la testa! Chissà perché ci si innamora perdutamente di alcuni scrittori. Chissà cosa fa scoccare la scintilla… “Ho cominciato a portare la bandana a Tucson perché c’erano 40 gradi all’ombra fissi, e sudavo così tanto che sgocciolavo sulla pagina. La donna con cui uscivo all’epoca trovò che la bandana fosse una mossa saggia. Era un po’ fricchettona anni sessanta, una musulmana seguace del sufismo. Mi ha spiegato che ci sono diversi chackra, fra cui uno dei principali era quello che lei chiamava lo sfiatatoio, proprio in cima al cranio. A quel punto ho cominciato a pensare al modo di dire ‘Non perdere la testa’. Mi fa sentire abbastanza male che la gente la veda come un marchio di fabbrica o cose del genere: è più il segno di una debolezza, ossia del fatto che ho un po’ paura che mi esploda la testa”.
    Da quando ho letto queste parole, ogni volta che vedo una sua foto con l’immancabile bandana, mi commuovo e sento di provare un grande affetto e una riconoscenza infinita… Aveva cercato di essere una persona ‘normale’…Voleva “SOLO” scrivere ‘cose che parlano di che effetto fa stare al mondo. Invece di offrire un sollievo dall’effetto che fa stare al mondo’…….

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