“Qui” (secondo capitolo)


2.

Era ancora freddo, i giorni erano corti. Ogni mattina, nel vento teso invernale, un caffè e via, al cantiere. Il rudere aveva già il tetto ma era ancora invivibile, polvere dovunque, calcinacci, gelo (noi siamo del sud, ma qui il nostro sud lo chiamano nord). Ogni sera, stremati, intirizziti, verso casa. Dovevamo vivere in tenda vicino al rudere, questo era il piano. Ma gente ospitale si è opposta, siamo finiti in una casina deliziosa sul mare, “Il luogo delle danze”, Xorokampos. Filoxenia, così si chiama qui l’ospitalità.

Fatica, tanta, da subito. Mani che perdono fette. Schiene che perdono gambe. Ferite, abrasioni. Muscoli che non sapevi di avere. Me lo aspettavo, non era una scampagnata, anche per me che ero e resto un ingenuo quando si tratta di sogni. Iniziare da capo, qualcosa di grosso, che coinvolge tutto: anima, carne, sangue, cuore. E destino. Un cambio di vita, per me, ancora, ancora, ancora. Finirò col non averla più, una vita, a furia di cambiarla. O forse è questo moto, questa marea, la vita. La mia, almeno.
Solo noi. Due. Due è ancora un numero sociale? Ha senso due, quando già uno è difficile? E la grande paura, quella di tutti. Distanti, su un’isola vuota. Gli untori italiani. “Sono positivi, hanno fatto il tampone ad Atene”. Le voci su un’isola corrono più del vento, soprattutto se sono infondate.
Ma era così azzurro, il cielo. Dio… Il mondo veniva giù, in quelle giornate di marzo, ma la luce sfolgorava. Pareva impossibile la morte spruzzata d’azzurro. “Che succede? E noi, che stiamo facendo?” Solo le cose impossibili sono vere, ricordo di aver pensato un giorno. “Solo l’impossibile va tentato”, questo invece me lo ero appuntato anni prima. 

Su un’isola c’è il rischio di perdersi, a momenti. È necessario andati avanti, “vedere” ciò che non c’è, lavorare. Il corpo a pezzi, noi piegati a raccoglierli. Riattaccarli al cuore screpolato dal vento e dal sole, talvolta, non era un successo. Ma quanta meraviglia. Certe gite di un giorno, avete presente? Maglioni umidi, al mare, una musica, l’impressione che nulla possa turbare. Così.
Un amico, un grande pianista, inviava ogni sera un concerto di venti minuti. Poche parole per intrattenere chi era chiuso in casa da settimane. Parole dette con voce tranquilla, uomo che ha vissuto, e poi solo note. In macchina, in silenzio, ci siamo fatti portare per mano. “Ciao, buonanotte, dormi e pensa a me solo…”. L’indomani, come fosse l’unico appiglio, il verde. Il blu. Il bianco. “Guarda come si vede Creta!”. Il panino del pranzo, preparato alle otto di mattina, saprà di caffè.
E c’era la terra. Una bella terra affacciata sul mare. Com’è bella. “Da qui inizia l’Egeo, ci pensi?”. Tutto già sbocciato, due mesi in anticipo. Sapore di horta e asparagi selvatici. Scopritori di un nuovo mondo, abbiamo piantato limoni liguri come si lancia una cima: per fermare la barca sul molo. E poi la pietra. Quella è sempre la stessa. Porta via la pelle. Pesa. Ma è qualcosa che c’è. Il Mediterraneo è fatto anche di pietra. Come una casa.

Abbiamo atteso tanto. Abbiamo dovuto perdere il passo, assumerne uno minore. I materiali, su un’isola, non arrivano mai. “C’è burrasca”. E ora: “con questo virus…”. Mancava sempre qualcosa. Arrangiarsi, riutilizzare, fare lo stesso. Fare finta che sia possibile, quando si costruisce, vale più delle certezze. Ma per questo non serve aspettare una consegna. Serve speranza. Impariamo un principio, o lo ricordiamo: con la speranza si costruiscono cose. Una casa è fatta di brama.

Fino a che ci siamo venuti. A vivere. Qui. Anche se era presto per farlo. Andare avanti, indietro, mattina, sera… era spingersi oltre il limite. Limite dell’attesa e della stanchezza. Tirati. Stanchi. Un campo di lavoro, questo è stato. Ma non una finta, o qualcosa di simulato. Una quotidianità indefinibile, dura. Siamo stati soli, isolati, ancor più soli perché dovevamo stare lontani da chi c’era qui. Un’altra vita per noi, ma dentro un’altra vita per tutti. Le notti nere, l’acqua incessante del mare che batteva ai fianchi della sensibilità. “Ci pensi?” detto al buio, prima di chiudere gli occhi “qui intorno, c’è soltanto mare”. Certe sere faceva tremare.
“Che ci faccio qui?”. Le domande peggiori, quelle dette in silenzio, senza consentire risposte, che pure, prima o dopo, arrivavano.
Fino a quel giorno… a quello che ci è capitato. I polsi, i nervi, sono tremati a lungo. Tremano ancora a ogni ricordo. Un brivido che non scompare. Forse un giorno passerà, e allora potrò raccontare.

(continua…)

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19 pensieri su ““Qui” (secondo capitolo)

  1. Io invece mi soffermo piacevolmente sulla frase: “Una casa è fatta di brama.” Che bella…. Per chi resta volutamente fuori ed è quindi ancora alla ricerca di un approdo – ed è bene non ce ne sia uno definitivo – una frase così è semplicemente vera. Mi colpisce sempre molto cosa sia diventata la “casa” – simbolicamente e materialmente – nella nostra società. Spesso un luogo preconfezionato, anonimo, replicato, che costa un botto, fatto poi alla fine male da “quelli del mestiere” e in cui si passa relativamente poco tempo ma si sogna comunque di trovarci la “tranquillità”, come i vecchi. Una casa di riposo privata, un rifugio full-optional da una vita dannata che però sembra l’unica possibile per finanziarsi il rifugio full-optional (cortocircuiti assurdi…), una vetrina statica da guardarsi e da far guardare. D’altronde siamo nella società della distrazione (dall’esistenza) e dell’intrattenimento. Ecco, no, appunto: una casa è fatta di brama. Concordo. Sta in piedi con il desiderio tenace. Deve costar fatica, deve sapere anche di vite altrui e deve essere sempre un passaggio, mai un approdo. Secondo me poi muoversi fra due case così è una cosa bella e sana, il nomadismo è un valore (checché ne dicano). Quindi bravi, state investendo nel giusto (non solo e non primariamente in termini economici, ovviamente). In bocca al lupo, quindi, davvero!

      • Sul νόστος – quindi sulla presenza-assenza della casa – la Grecia classica ha costruito un cosmo. Noi abbiamo invece negli ultimi 70 anni sviluppato un terrore panico per la privazione e quindi il desiderio (buttando a mare 3/4 del pensiero filosofico europeo e non solo – ma il mare restituisce…) e reso la “casa” (privata, singola, guscio vuoto) un totem. Parlare di “casa” è parlare di come si sta al mondo. Ci si pensa troppo poco. Tu senti, vivi e racconti. E così tieni compagnia anche a noi, che scelte simili le tentiamo. Io vivo già da anni un po’ a nord, un po’ a sud della Alpi,senza esser a casa da nessuna parte, e ora ho sistemato con pochi aiuti una casa in montagna, vecchia un secolo. I muri larghi 80cm. Dove mancavano i sassi, li avevano riempiti con legnetti, terriccio, tutoli. Che grande lezione quella… Mi avevano detto di buttar giù tutto. Io ho tenuto e sistemato, senza tradire quello che era. Ancora oggi ogni tanto mi fermo e mi chiedo che ‘zzo sto facendo?! Dovrei trovare lavoro fisso, marito, figli, appartamento con lavastoviglie e divano immacolato. Fatica, terrore, dubbi. E poi tratti di estasi, desiderio acuto e soddisfazioni ampie. Tanta solitudine, un po’ amara, un po’ dolce, comunque essenziale (scrivine sì, per favore, ti leggeremo con affetto). Non c’è alternativa, mi sa. A leggervi (grazie della nuova puntata oggi), a leggervi tutti e due, mi do un po’ più coraggio. E mi ritrovo a fare il tifo per voi, che senza anestetizzanti e intrattenimenti vi lasciate strattonare dalla vita. Bello. Avanti tutta, quindi!

        • “Non c’è alternativa” se vuoi rimanere un essere umano. eccolo lì il punto. che bello questo tuo commento… mi ci ritrovo al mille per cento.

  2. “Scopritori di un nuovo mondo, abbiamo piantato limoni liguri come si lancia una cima: per fermare la barca sul molo.”
    Mi sono emozionata, come sempre…
    La tua scrittura è per me come una luce accesa su cose dimenticate, sulle nostre speranze proibite, mi aiuta a guardare e sognare lontano…
    In ogni luogo dove mi sono trasferita ho sempre cercato un punto dove posare lo sguardo, verso ovest o verso sud, come un punto d’ancoraggio su cui orientare i miei pensieri, “come si lancia una cima…” ❤️ Grazie…

  3. Simo, sorridendo mi viene da pensare che sei l’unico eroe non condannato alla solitudine.
    Lo sai, gli eroi sono sempre soli. Tu sei riuscito a stravolgere anche questa regola 🙂 🙂 🙂 Si si, lo so, ora mi dirai che non sei affatto un eroe. Ma quello che fai (dai tuoi 40 in poi ), è senza dubbio quasi eroico.
    E siccome poi, molti di noi ti hanno seguito a ruota (less or more), ….. un pò eroi alla fine, lo siamo tutti !!!
    Ma -dubbio amletico da architetto- : il vostro incantevole fienile dell’anima ? ….. Io, lo sai, ho sempre pensato che lì vi fosse un genius loci prezioso. Dunque, con un pò di timore e se posso chiedere: che ne è del poetico fienile? Un saluto a voi ed alla gioia che sapete condividere.

    • il fienile ci manca tantissimo. un sacrificio enorme andare via da lì. il concetto per noi è creare valore con i nostri muscoli, e poi affittare la casa dove non saremo. così quando morirò (molto prima di lei) lei avrà di che vivere. ma ci manca… tanto…

      • Simone, no… non parlare di morte e di abbandono anche se lo fai in modo splendido con un senso di altruismo ed amore infinito. Non parlare di morte a me che sono semplicemente terrorizzato, anzi no, direi profondamente triste, quasi arrabbiato, per non poter vedere cosa sarà del mondo, delle mie figlie, un minuto dopo di me. Non parlare di morte perchè il pensiero non deve nemmeno sfiorarti… anche perchè tu morirai meno di molti di noi… lascerai storie, idee, libri, esempi, contrasti… voi artisti della vita, delle parole, delle idee, morite meno di noi… giusto così.

    • (quanto alla non solitudine, mi piacerebbe parlarne… intanto dipende su che base temporale… fino a qualche anno fa, pochi… vabbe. E poi su che base tipologica, quale solitudine? Rispetto a chi? Interessante sarebbe…

      • Sai, mi riferivo ai valorosi, a quelle figure che a partire dalle fiabe, attraversando la letteratura e fino alla cinematografia, sfidano le convenzioni per seguire la propria via. Per essere impropri ma pratici, se ci pensi, dal Piccolo Principe a Fabio Montale, fino…. bhò…ad Alexander Supertramp…. stanno tutti così: eroici, innamorati della vita e soli (ma gli esempi potrebbero continuare per pagine e pagine). Mi sono chiesta molte volte se, al di là della narrazione, la scelta di essere fedeli alla propria via e di accettare dunque un certo empirismo rispetto alla vita stessa, non implichi l’isolamento. Bhò! Spesso mi rispondo “inevitabilmente si”. Ecco, ti parlavo di questo.

      • Avevo scritto una risposta ma…non la trovo più. Ripeto, col rischio di fare il bis. Mi riferisco al fatto che a partire dalle fiabe, attraversando la letteratura e fino alla cinematografia, i valorosi che cercano e seguono la propria via, sostanzialmente sono tutti coraggiosi, innamorati della vita e soli. Per essere impropri ma pratici: pensa al Piccolo Principe, a Fabio Montale, e….bhò…pure ad Alexander Supertramp. (ma la lista potrebbe essere davvero infinita). Mi sono spesso chiesta se, al di là di ogni narrazione, chi sceglie di essere fedele alla propria ricerca, ed accoglie l’empirismo che questa implica, non sia in qualche modo particolarmente destinato alla solitudine. Ecco, ti parlavo di questo.

        • Si spesso è così. E un prezzo si paga a stare in due. Noi stiamo cercando di organizzarci, ma siamo due solitari di natura. Non è così difficile. Ma hai ragione.

  4. … Ci sono cose dentro di noi.. che solo noi vediamo.. ma quello che stai facendo con QUI..
    Mi serve da stimolo per continuare a crederci.. Buona Vita amici e non dimenticatevi mai che Cervo e Margherita vi aspettano

  5. “solo l’impossibile va tentato..” È l’audacia con cui, anch’io, davrei vivere la Vita.. Grazie Simone perché mi apri la mente e il cuore…

    • siamo tutti troppo impauriti, e dunque poco ambiziosi. occorre rispolverare il buon, sano concetto di ambizione. che sia un fiume a portare, che sbatta, che rompa. con costrutto, mai per posa, sempre pagando tutto con la fatica. forza.

  6. Solo l’impossibile va tentato…questa è la sostanza! Buona nuova “nuova vita!”. A distanza ci hai e ci stai insegnando cose che già esistevano dentro noi ma non riuscivano ad uscire. Grazie.

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