#discorsoaipolitici
Leggo che in autunno si vogliono tenere i riscaldamenti più bassi, e anzi, impedire per legge che si vada oltre una certa soglia di ore e di temperature. Per risparmiare. Perché di gas ce n’è meno, e costa troppo.
“Il piacere femminile è un tabù”. Aurora Ramazzotti dixit. (Signore, prendi me, immediately!)
Oggi grande indignazione: la politica sembra aver deluso, amareggiato, ferito la gran parte del Paese. C’è da preoccuparsi, in effetti, e molto. Solo non vorrei che fraintendessimo l’ordine delle cose, il che sarebbe gravissimo: per quanto stracciona e mediocre, la nostra politica è così perché il Paese è così, perché noi siamo così. Dunque non facciamo troppo gli stupiti, né gli scandalizzati né i delusi: da oltre tre lustri io e tanti altri andiamo dicendo che così non va, ma mai, o quasi mai, ci avete sentito rivolgerci ai politici o a chicchessia. Per me posso dirlo con certezza: ho sempre parlato di me, di noi, a me e a voi.
Le scelte quotidiane non fatte, il non pensare, il preferire divertentismo a senso, denaro a vita, lavoro indefesso e inevitabile a percorso umano, intellettuale, psicologico… ecco cosa ha generato tutto questo.
Cedere ogni giorno sovranità sulla propria vita, lasciando che a decidere per il nostro destino fossero le famiglie d’origine, l’impresa, il giudizio degli altri, il dover essere, invece che il nostro coraggio, le nostre propensioni… ha generato tutto questo.
Rimandare, invece di decidersi, sottovalutare invece di rimettere le cose in ordine, il dire “sì è vero!” senza poi far conseguire azioni… ha generato tutto questo.
Sentir dire “porti chiusi” senza sentire quella affermazione come indecente, mentre la gente moriva per mare…. ha portato a tutto questo.
Capire che avevamo bisogno di iniezioni di metodo e di disciplina senza però applicarci. Sapere benissimo dov’era il punto delle nostre esistenze, senza mettere il dito in quel punto… ha generato tutto questo.
Voltarci dall’altra parte, girare pagina in un giornale, sottovalutare, mentre c’era da restare con lo sguardo dritto su quella pagina, dando il peso dovuto alle cose… ha generato tutto questo.
Vendersi per due monete d’oro inutili, piegarsi alla dittatura del tempo imposto, dei luoghi insensati, tralasciando relazioni, benessere, studio, idee… ha generato tutto questo.
Ascoltare le grandi e tragiche notizie sull’urgenza di cambiamenti comportamentali per evitare la catastrofe climatica, ma senza cambiare di un’unghia le nostre abitudini… ha generato tutto questo.
Rubare, mentre venivamo derubati, dunque assecondare i ladri invece che preoccuparsi di salvaguardare… ha generato tutto questo.
Lasciar correre sui diritti delle persone accanto a noi, attivandoci solo quando toccavano i nostri… ha portato a tutto questo.
La politica rispecchia sempre gli uomini e le donne che la esprimono e questo non è un dato variabile: è sempre così, per sua stessa definizione. Alle cose avremmo potuto e dovuto dire “no”, molto tempo fa, in tanti. Avremmo dovuto dire “Adesso basta” quando era il momento giusto. Non averlo fatto ha portato a questa degenerazione, non altro, e se domani andranno al potere i portabandiera della stessa politica, della stessa cultura che ha reso possibile Bolzaneto… di chi sarà la colpa?
Dunque oggi non indigniamoci troppo, non facciamo quelli che cadono dall’albero della cuccagna stupiti e meravigliati. Sono molti, molti anni che parliamo di queste cose, e tirarsi fuori ora con la scusa che “loro” hanno detto, fatto, tramato, è la più indecente delle deduzioni. Un uomo che cambia, cambia il mondo. Quante volte l’ho scritto, quante volte ne abbiamo discusso?
Ecco, siamo qui. E come in mare, quando ci si accorge di non aver fatto qualcosa che andava fatto prima, la reazione non può mai essere: “è andata…”. Semmai sbrigarsi a fare ora, tardivamente, con maggior solerzia e impegno, quel che andava fatto prima. “Ma ormai è tardi!” dirà qualcuno, compresa la voce in fondo al cuore, il “timoniere della Pinta”. No, era già il tempo, oggi lo è solo di più.
(apparso sul Fatto Quotidiano del 23 luglio 2022)
Un mese e mezzo lontano dall’isola. Una settimana di presentazioni del mio libro, poi a navigare, sostanzialmente. Ma anche per aeroporti, stazioni, qualche passaggio nelle città. Interessante, perfino troppo. Ora, nel ritrovato silenzio e nella sacra quiete dell’Egeo, comincio a ripensare un po’ a tutto.
Troppe persone. Troppo è termine relativo, implica una comparazione. Io la faccio con me stesso, la mia dimensione. Troppa gente. Così tanti, uno accanto all’altro, non riesco. Forse le questioni dentro di me si vanno ancor più radicalizzando. Ci devo riflettere. Sta di fatto che la condizione per me ideale è quella dell’eremita. Laico.
Lo Stato. Assente o eccessivamente presente. Quasi sempre invadente, proteso, estroflesso, abnorme nell’atto di verificare, controllare. Le norme. Quelle che definiscono, misurano, analizzano, sanzionano, approvano… la normalità. Dalla norma non si può uscire. Ma genera un immediato, invincibile desiderio di evadere.
Il denaro. Fuori controllo. Vivere nel consesso umano implica costi folli. E immotivati. Sensazione di essere stato, in questi 45 giorni, al centro di un meccanismo speculativo a spirale. Inevitabile, a aumento progressivo. Il recupero della condizione anacoretica è necessario anche per questo. Nessun costo, solo quelli scelti. Niente di indotto. Un modo per dire “no”. E anche “sì”.
I luoghi di concentrazione: stazioni, aeroporti, porti, quartieri dell’intrattenimento. Lo sciame fa impressione. Le code sembrano marce funebri. Le attese intruppati, il silenzio, o peggio, ascoltare. Prua all’orizzonte, l’unico strumento di difesa. Sarà un caso che su tutti ricordi le 90 miglia in altura tra Gozo e Lampedusa.
Le paure. Vederle permeare così in profondità tra le persone. Un velo che offusca, rende opaco, fa da coperta sul calore. La paura è l’arma più affilata, dalla quale la maggioranza si difende con maggior fatica. E ha effetti chiari. Ha un colore, che li copre tutti.
Il tempo. Sincopato, struggente nella sua velocità. Tempo che termina proprio quando inizia, è già scaduto prima di scorrere. Tempo relegato e recluso. Senza tempo. Senza che vi sia tempo. In questa nostra età il tempo è finito.
Le parole. Pare che restino solo loro. Ma parole dette tanto per dire, a caso. Parole che non implicano alcun accordo, alcuna promessa. Parole che liberano invece di collegare, che si staccano, non riescono a articolare. La dimensione umana residua è contraddistinta da parole colla, parole snodo, parole esoscheletro.
La gabbia. Immagine non chiara questa. Una gabbia dalla quale è non solo impossibile, ma inutile uscire.
Il ritorno. Ritorno dove, di chi, mi chiedo. E dopo essere stati dove? E perché?
Ho la sensazione che ci sia molto altro.
Verrà. Da sé.
Mesi a lavorare. Lavorare vuol dire: prendersi il tempo dagli impegni, prenotare un aereo low cost che ti porti a Trapani, andare, lavorare, fare da mangiare, lavare i piatti, interagire con gli altri, tornare, stanchi, poi riprendere le proprie cose.
Cinque squadre, per cinque settimane (più Nunzia che ha fatto tutto per tutti, grazie Nunzia), tra gennaio e maggio. Perché tutto questo sbattimento? Per poter ripartire, un altro anno, un anno ancora, con Mediterranea.
Piccolo esempio di cosa c’è dietro qualcosa che da dieci anni va avanti, senza ausili, senza sovvenzioni, senza sponsor, con la tigna, la maledetta convinzione che Mediterraneo “è una gran cosa”, il suo mare (da studiare, analizzare, esperimentare), la sua cultura (organizzare interviste, incontri, scrivere, comunicare), la navigazione (insegnare, parlare, raccontare, spiegare mille e una volta ogni cosa, a tutti) lo stare insieme (in un altro modo, con un nuovo modello di vita, con un altro appoccio, meno io, più noi, meno soldi, più fatica).
E quindi ecco che oggi riparte Mediterranea. Grazie a ragazzi e ragazze di grande tenacia, di grande spessore, gente che ha capito che su Mediterranea siamo noi a dover fare qualcosa per lei, per tutti quelli che ci lavorano, non lei per noi.
Rispetto. Sempre.
Considerazione.
E grande voglia di vivere.
Così si fa con i sogni veri. Altrimenti, solo pugnette.
Accettare tutto e poi fare finta di incazzarsi è roba da schiavi assuefatti. Irrecuperabili.
E perfino aver accettato la farsa reiterata del voto, chiamati tutti a vidimare con la propria scheda l’esistenza e il potere di politici che facevano e fanno affari coi dittatori…
(Per riprenderci un po’… Nella foto: un mezé armeno, mangiato nel quartiere armeno di Aleppo, tanti, tanti anni fa. Limone sul genere “Amalfi”, che ci sono anche qui, tagliato al vivo e fatto a cubetti o fettine appena spesse, ben salato, pepato, con abbondante origano fresco e olio d’oliva dal sapore piccante e amaro. Dopo cinque o sei ore di marinatura, mantiene la sua asprezza, ma è un aperitivo delizioso)
Ecco qui, su Spotify, un lungo podcast (1h e 37′) parte della serie “L’Ultima Domanda“.
Ci vediamo il 2 (Torino) e il 3 (Milano).
Qui sotto vedete orari, luoghi, tutto.