Cibo

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Io cucino, tutti i giorni, mi piace molto farlo. La gastronomia, nella mia visione, ha la stessa consistenza dell’arte. Solo che l’opera dura l’istante del pasto, poi scompare. Preparo cene per quattro, per otto persone, anche quando sono solo. Poi surgelo il resto. Oppure preparo per due, e allora sto sempre recitando un rosario d’amore.

La mia alimentazione è quasi interamente di verdure e pesce. Mangio quattro volte l’anno i formaggi e la carne rossa, solo quando sono irresistibilmente buoni, e non più di dieci volte l’anno la pasta, solo quando ne ho davvero voglia e allora voglio prepararla in modo splendido. Sono contrario alla pervasività del pomodoro nella nostra tradizione, io lo uso come una spezia. Credo che l’unica cosa che davvero non mi piace siano le banane, forse i cachi, per il resto mangio tutto. Le cose in cima alla lista dei desideri per me sono: gamberi rossi, granchione e granseola, ostriche, ventresca di tonno, uova di riccio. Mangio sempre tutto di stagione, perché è bello desiderare d’inverno i gamberi rossi e poi un giorno vederli sul banco, o le acciughe d’estate attendendo settembre. Sto attento alle provenienze, cerco di mangiare sempre cibo che viene dalla zona, senza pesticidi o altre schifezze. Sto attentissimo al prezzo di ogni cosa. Pagare troppo qualcosa, salvo eccezioni rare, non è sano.

Con Zenzero e Nuvole (Theoria 1995, Bompiani 2006), sono stato il primo in Italia (e non solo, a parte in un certo senso Manuel Vasquez Montalban) a scrivere storie in cui si mescolassero viaggio, esistenza, erotismo, cultura e cibo.
Riporterò su questa pagina accenni, spunti, idee, ricette. E pensieri, come sempre.

Buon appetito.

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Chirashi della Temporaneità



Per fare un buon “Chirashi della temporaneità” occorre avere ben chiaro che la vita è una malattia inevitabile. E mortale. Ma che temporaneamente si può guarire del tutto.

Fieri di questa consapevolezza, prendete del riso giapponese a grana piccola, fatelo bollire e marinatelo come per realizzare il Sushi (aceto di riso, zucchero e sale in proporzioni perfette. vedi oltre ricetta del Sushi). Con dei bei gamberi rosa freschi, metà sbollentati e metà crudi, fate un trito al coltello uniforme e né grossolano né minuto. Aggiungete una o due foglioline tritate di coriandolo fresco e un cucchiaio di “salsa della temporaneità parziale” (uova, coriandolo fresco, peperoncino fresco, uno schizzo di salsa di soia, un pomodorino piccolo, un pezzetto di zenzero fresco, un cucchiaino di zucchero, sale, e frullate tutto aggiungendo olio di semi a filo).

Su una bella pietra piatta allestite il riso e, sopra, il trito di gamberi, aiutandovi con un coppapasta. Sulla sommità aggiungete un po’ di salsa, un fiammifero di cetriolo, uno stelo di erba cipollina. Decorate con qualcosa di rosso, per esempio un ravanello.

Nei giorni di guarigione, il “Chirashi della temporaneità” sarà l’ennesima conferma che morirete. Ma non ancora…


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Pollo “Salsa della Cisterna”

In questa foto si vede il pollo “Salsa della Cisterna” fotografato il giorno dopo, dunque riscaldato. In prima battuta l’aspetto è dunque diverso: più umido e meno tostato. Ma la foto lì per lì non l’ho fatta. Avevamo troppa fame.



Tagliate a pezzi un pollo con la mannaia. Pezzi non troppo grandi, ognuno metà di una coscia, per intenderci. Infarinatelo molto bene e friggetelo fino a dorarlo bene in molto olio bollente. Una volta scolato bene e asciugato su un foglio di carta assorbente, mettete il pollo fritto in una coppa, condite con la salsa, mescolate gentilmente (per non staccare la doratura dal pollo) e servite tra caldo e tiepido.

La “Salsa della Cisterna”:

Tritate un generoso ciuffo di coriandolo e prezzemolo freschi. Tritate cinque o sei spicchi di aglio (possibilmente fresco anche lui). Tritate un pezzettino di zenzero fresco, sei o sette ravanelli (non tritateli a pasta, lasciate che i pezzettini restino a fare il loro caratteristico effetto croccantezza), aggiungete pezzetti di limone ben tritati (anche qui, senza rendere il limone una poltiglia, pezzettini piccoli è l’ideale), aggiungete un cucchiaino di peperoncino piccante affumicato in polvere, un cucchiaio di olio di semi di sesamo tostato, un cucchiaio scarso di olio di semi normale, due cucchiai di zucchero un cucchiaino di sale fino, due dita di bicchiere grande di salsa di soia giapponese (dry), due cucchiai di semi di sesamo tostati in padella, un ciuffetto di rosmarino fresco tritato finemente, una foglia di salvia fresca, due dita d’acqua tiepida, un cucchiaio di Sake (in alternativa, grappa secca), due o tre fogliette di rucola fresca tritate, un giro di limone spremuto, senza esagerare, due dita di aceto di riso (o aceto di vino bianco appena diluito). Mescolate bene, poi assaggiate e regolate i sapori come più vi aggrada.
Il risultato finale non è liquido, ma è assai lento e bagnato. Dunque non è una salsa fluida, è rica di materia, ma fate in modo di rendere il tutto non denso o duro, bensì ampiamente fluido e bagnato.

Piatto ideale per dare un senso di celebrazione, cioè di responsabile e rassicurante sottolineatura delle proprie buone cose. Dunque, è da prepararsi assai spesso.
Per noi tutto è nato una sera, appena finito di lavorare alla cisterna del recupero acque. Un riferimento chiave per il tipo di vita che facciamo qui. 

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Macedonia di fichi e pomodori secchi



Per la macedonia di fichi e pomodorini secchi, l’ideale è avere fichi appena colti, pomodorini di Pachino, capperi isolani fatti in casa, olive greche isolane tipo le taggiasche, sempre fatte in casa, e olio d’oliva sempre dell’isola, greco, quasi perfetto. Ma insomma, come sempre avviene, in cucina si farà quel che è possibile. Ognuno, poi, sarà innamorato dei suoi prodotti, dunque che ognuno li usi a suo piacimento.

Far riprendere i pomodorini secchi in poca acqua bollente. Pochi minuti. Poi scolare bene, strizzandoli appena. Tagliare i fichi a rotellone, non troppo sottili, aggiungere pomodorini, capperi e olive. Condire con olio d’oliva, senza eccedere ma con generosità, e un lieve giro di pepe.
Servire a temperatura ambiente.

Non riuscirà a cambiare il senso di marcia, ma sarà utile per prendere al meglio la strada che scorre sotto le ruote. Magari fermi, in sosta, davanti al mare. Così che la smetta di andare…

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Patamole


Al “Patamole” ho pensato mentre stendevo intonaco come un bergamasco, come se non ci fosse alcun’altra prospettiva. Desideravo un Guacamole, in quel momento, ma ho realizzato che (ovviamente) non avevo un avocado. Ma patate, sì (il mio motto, come quello di ogni marinaio, è: “il meglio che posso, con quello che ho, dovunque io sia”). Credo che mescolare cemento e usare un fracasso non siano azioni così diverse da cucinare. C’à dietro della fatica, del gusto. E qualche idea.

Dunque l’ho preparato (la sera). E l’esperimento mi pare del tutto riuscito. Se volete provarci, bollite le patate tagliate in quattro, così perdono amido. Poi pelatele, schiacciatele alla forchetta, lasciatele intiepidire, quasi raffreddare. Intanto tritate grossolanamente una cipolla rossa, poi un generoso mazzetto di coriandolo fresco, aggiungete tabasco (se non ce l’avete vi dico come farlo, è semplicissimo, io non lo compro da circa vent’anni), succo di lime e soprattutto un bel po’ di olio di semi (l’avocado è pieno d’olio, la patata ne è del tutto sprovvista, dunque serve introdurre un po’ di grassi). Quindi accorpate il tutto e mescolate bene dosando il sale quanto basta (il Patamole, come il Guacamole, deve essere perfetto nel “punto di sale”, non un grano di meno, non un grano di più).

A questo punto, impiattate con la foggia che credete. Qui (foto) aggiungo uno spicchio di limone e un cucchiaio di maionese fatta in casa con senape e spezie, a mio gusto. Ma solo così, “giusto per”, senza alcun particolare significato (per me la maionese fatta in casa è come la nutella nei primi film di Nanni Moretti).

Il Patamole è ideale per una giornata da celebrare con sobria soddisfazione. Sono le giornate migliori, quelle in cui non avete scoperto alcun vaccino che salverà l’umanità, ma insomma, dati i mezzi che avete, ci avete dato giù di brutto.


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Taimeshi modificato

Tai vuol dire orata, in giapponese.  Dunque la prima modifica è che questa ricetta è fatta col pagello. Ma non è la sola. Il riso, ad esempio: qui è preparato secondo le regole del riso per il sushi. Ma se è un riso sushi con sopra del pesce, allora la ricetta dovrebbe chiamarsi chirashi. Insomma, il solito caos creativo.

Sta di fatto che se vi trovaste su un’isola greca al centro del Mediterraneo e doveste mettere le mani su un pagello di poco più di un chilo, appena pescato, dovreste sfilettarlo e mangiarlo crudo. La carne del pagello è delicata, solida ma soffice, e la sua “morte” è sale, pepe, limone, olio di buona qualità, rigorosamente in quest’ordine. Punto.
A meno che…
…Non abbiate lavorato sodo al campo coltivato, negli ultimi giorni, o facendo muretti di pietra, o restaurando un’antica cisterna, e dunque vi fosse sorto il desiderio di un altrove moribdo, suadente, in cui, per un istante, rifugiarvi. Ecco “il momento”, ecco l’evocazione. Ecco l’istante in cui cercare un sapore. Quel sapore.
Memorie.
Voli.

E allora: squamate e sfilettate il pesce, in modo attento e perfetto, sciacquandolo bene con acqua di mare (se ne avete. Non averne mentre si lavora il pesce è drammatico). Ricavatene due filetti interi (i due lati del pesce, che è piatto e largo), controllate che non ci siano spine nella linea mediana del filetto (ci sono, fidatevi…). La lisca ben pulita la legherete con fil di ferro tra bocca e coda, in una posa dinamica (i giapponesi dicono: “drammatica”), coprendo con la stagnola coda e muso perché non si brucino nella cottura. La farete andare al grill elettrico del vostro forno, quando basta perché sia arrostita e rimanga in quella “posa”. Poi la terrete da parte.

In una piccola terrina mescolate del sakè con poco zucchero e un paio di cucchiai di salsa di soia. Se siete sull’isola greca però il sakè non lo avrete, dunque userete tsipuro e un goccio d’acqua (lo tsipuro è più alcolico del sakè, mediamente). Poi aggiungerete fettine sottili di aglio (greco, meno forte di quello italiano) e fili sottili di zenzero fresco. Un giro di olio di semi di sesamo tostato per profumare. Metterete i due filetti a marinare nel liquido, girandoli due o tre volte nell’arco di un paio d’ore. Poi, dopo averli perfettamente scolati dalla marinatura, li arrostirete a fuoco lento in una padella perfettamente antiaderente, tenendoli solo sul lato della pelle e coprendo con un coperchio. Cuocete quanto basta, non un istante di più. Il pesce deve arrostirsi appena sul lato della pelle, ma restare morbido e umido nella polpa.

A parte, cuocete il riso del sushi nel bollitore, marinate con l’intingolo classico (aceto di riso, zucchero, sale. Le proporzioni sono il motivo esatto per cui un cuoco di sushi viene pagato a peso d’oro. Dunque non chiedetemele. Ci ho messo dieci anni per trovare le mie) e lasciatelo al caldo nel bollitore.

Al termine, su un vassoio, disponete la lisca arrostita del pagello, e nell’incavo riempite di riso ben tiepido. Sopra al riso disponete i due filetti di pesce senza romperli eccessivamente. Spolverate l’insieme con un trito grossolano di cipollina fresca. La salsa della marinatura mettetela in una coppetta, ognuno ne userà quanta ne desidera, dopo essersi servito. 

Accompagnate questo piatto con alghe kombu bollite, scolate e condite con l’intingolo per la marinatura del sushi. A lato, una coppa di dashi (“l’essenza” in giapponese. Cioè il brodo di cottura dell’alga con dentro quanto necessario per il dashi, appunto, cioè il brodo giapponese).

Piatto ideale per interrompere e partire.
Dunque, essenziale per restare.

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Fettucciotte a tasso fisso

Raccogliete barbe di finocchio selvatico, e tritatele molto grossolanamente. In un piatto mescolatele bene con del caciocavallo di San Rufo piuttosto stagionato, una generosa girata di pepe, un pizzico di sale, ma poco (il formaggio è già assai sapido).

Poi tirate una sfoglia senza uovo, acqua e farina, solo un poco di sale. Fatela ben asciutta, tagliate due grandi strisce, poi arrotolatele e fatele a fettine per ottenere delle lasagnacce o fettucciotte non troppo sottili o troppo piccole.

A quel punto, in un qualunque giorno da cani, la cucina starà già profumando di farina, finocchio, pepe. Un autentico antidoto. Io per esempio non ho dormito per un dente che mi ha fatto impazzire, ma a questo odore mi sento già meglio

Allora fate sciogliere due noci di burro in una casseruola, salvate un poco di schiuma di amido durante la bollitura delle fettucciotte e incorporatela girando lentamente. Poi impiattate e a crudo spargete il trito di finocchio, caciocavallo e pepe su tutta la superficie.

Servite con amore, che è cosa non secondaria quando si parla di sapore.

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Salsa Spitaki

 


Nella foto si vede poco, è dietro una piccola catasta di spiedini, deliziosi. Ma è lei la protagonista, un vero “uovo di Colombo” gastronomico: una salsa adatta a tutto, semplice, gustosa, modulabile per punto di agrodolce e piccantezza senza per questo stravolgerne la natura. Ideale per bollito, carni arrostite, ma anche verdure, pesce alla griglia o bollito (per pesci troppo delicati è forse appena troppo saporita, ma si può attenuare). Insomma, una salsa tra le mille che invento da anni, ma stavolta me la sono segnata, perché è destinata a restare.

Ingredienti da mettere in una ciotola e mixare tutti insieme al Minipimer: cipolla novella, anche parte verde (la cipollina fresca sarà l’80% del componente complessivo della salsa); un pezzetto non grande di aglio, che si senta appena; due o tre pezzetti di peperoncino rosso piccante (Cayenna va benissimo); un cucchiaino di aceto bianco, dunque non troppo; lo stesso quantitativo di succo di limone; una fettina di limone tagliata in 4; un cucchiaino abbondante di zucchero; il sale sarà invece un sesto, circa, dello zucchero; due cucchiai d’acqua; 4 cucchiai di olio d’oliva ben profumato;  una grattata di pepe macinato.

Verrà fuori una salsa densa e ben compatta (che ovviamente, se la lasciate lì un’ora, tenderà a separarsi, data l’insolubilità degli ingredienti. Dunque va fatta e dopo poco servita), il cui grado di liquidità e di intensità potrete regolare con l’acqua.

Vi stupirà. E se vi avanza, artatela quanto necessario per farla diventare un più liquido dressing per un’insalata mista. Spettacolo.

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Bouillon di tonno (della speranza)

Per il Bouillon di tonno (o di spada, come forse ho descritto già in questa pagina) serve disorientamento emotivo, incombenza, sensazione di vigilia. Se poi serpeggia un po’ d’amore, non guasta.

Il tonno si può fare a fette di spessore variabile: dipende dalla familiarità col mare. Sconsiglio di farle eccessivamente fini, perché la sostanza è parte della forma, ma anche viceversa. Poi, in una padella, si mette di tutto. A sentimento: cipolla rossa, aglio, zenzero, origano fresco, rosmarino, pepe, due foglie fresche di alloro tritate finissime, fette di limone non trattato, olio buono (calabrese in questo caso), pepe in abbondanza. Peperoncino, per chi vuole. Lo si tira e ritira due o tre volte con un Grillo, o una Falanghina (no bolle, vino fermo).

Alla fine, bollente, si versa la spadellata (che dovrà essere densa ma con buona quantità di liquido) tutta sul tonno. Per chi sa o vuole attendere prima di mangiare, il tonno sarà più “cotto”, per gli altri più crudo.
Sconsiglio, tuttavia, di attendere. Come quando si spera…

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Carpaccio di salmone (quando non c’è da festeggiare)

Il salmone è un gran paraculo. È il colore, secondo me. Né rosa né arancione, color salmone, appunto. Che gli dici a uno che per definire il suo colore lo si chiama per nome? Ha già vinto. Anche se non sa di tanto, anche se ormai è introvabile selvaggio (o costosissimo). E poi mi urta che in ogni banco del Mediterraneo ci sia lui, sempre in bella mostra. Ma che siamo in Scandinavia? Come fa a arrivare capillarmente in ogni singola bancarella di pesce del paesino o della città più sperduta? Il colore.. deve essere quello. Color salmone…

Insomma. Il salmone mi sta un po’ sul cavolo. Mi viene voglia di mangiarlo due volte l’anno, come il mais. Non lo amo, e poi però un giorno, tac, eccolo lì, lo chiedo, me lo incartano, lo porto a casa. Di solito coincide con qualche momento un po’ così. Tanto che mi verrebbe voglia di surgelarlo. Non è serata, mi dico. Ma poi…

Per le serate un po’ del cavolo, magari quelle in cui una notizia non buona vi ha fatto girare o vi ha intristito, ecco il momento del salmone tagliato a carpaccio, sottile, controfibra, e marinato con limone, sale, pepe, prezzemolo e (per ultimo, altrimenti scherma la carne e non consente una buona marinatura) del gran olio d’oliva ligure, o del Garda (per mediterraneizzarlo, ma non troppo). Aggiungeteci una punta di cucchiaino di peperoncino di Cayenna fresco, giusto per fargli venire un brivido. Mescolatelo bene in una terrina, poi stendetelo su una gentilina dell’orto, fresca, croccante, appena recisa.

Ma a latere, vi prego, fate qualcosa. Altrimenti è un mortorio! Una cipolla di Tropea fresca, anche il gambo verde, tagliata alla julienne per diagonale, per renderla più bella. Marinate anche lei con aceto di mele, zucchero, poco limone, pepe, sale, olio. Lasciatela appassire appena, una ventina di minuti, e poi stendetela a fianco del carpaccio.
Che si sappia, almeno, che avete fatto del vostro meglio. Ma non eravate, non siete, non sarete mai d’accordo.

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Carpaccio di scottona (perché le cose cambiano)

Metti che tutto cambi, in un istante. Metti che succeda qualcosa che non potevi davvero prevedere. Metti che non ci sia nemmeno qualcuno con cui consolarti. E ma che serata!

Serve qualcosa di morbido, docile, dolce, a cui dare appena una lieve scossa. Un pezzetto di magrissimo di Scottona, da fare a fettine sottili controfibra, e da marinare leggermente con un’emulsione di olio non troppo forte, prezzemolo tritato fine, una cipollina fresca appena raccolta, un quarto di spicchio d’aglio, che quasi non si senta, e poi pepe e sale quanto basta… ma il tutto allestito dentro una ciotola dove c’è un residuo appena di una bella maionese fatta in casa, sarà un cucchiaino appena, poca da mangiare, troppa da buttare. Non buttate mai niente.

Emulsionate bene, stendete con un cucchiaio sulla carne, lasciate lì qualche minuto. Poi, nel brivido incontrastato del sentimento del tempo, quello che quella sera sta definitivamente cambiando… buon appetito.

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Spiedini a tecnica mista

Io ho un “Sushi-bar immaginario“. Lo apro in serate particolari, speciali, dovunque mi trovi. Non posso evitarlo, devo aprirlo, perché se c’è una cosa a cui spiritualmente non posso resistere è “il momento“. Quello che si crea da solo, non lo puoi decidere tu, non lo puoi ricreare, e ha (quasi) sempre a che fare con la risonanza che provo verso luoghi, ma soprattutto persone.

Fatto sta che l’ho aperto qualche giorno fa. E i locali della zona hanno chiuso subito bottega, i proprietari sono venuti qui dov’ero io (al Fienile dell’Anima), e anche i loro clienti, anche i passanti. Nessuno può resistere quando apre i battenti “Hana e Hiro“, il mio Sushi-bar immaginario. La genesi di questo locale è una storia Caraibica, ha a che fare con l’isola di Bequia, un giorno forse ve la racconterò.

Ma l’altra sera, oltre al favoloso “Sushi espresso creativo e sincretico“, pezzo forte del locale, ho sperimentato un po’. Ho provato a fare spiedini di lonza di maiale con diverse coperture e panature, e una salsa che merita di essere divulgata.

Per gli spiedini: ho messo a marinare le fette di lonza in una soluzione di grappa bianca e secca (non avevo Saké), salsa di soia dry, olio di semi di sesamo tostati e poco limone. Li ho lasciati marinare un’oretta. Poi li ho infilzati in vari stecchini e tagliati per lungo per farne spiedini. A quel punto li ho rivestiti. Alcuni solo con un foglio di alga Nori, altri con panatura da Tonkatsu (farina, uovo sbattuto, pan grattato tagliato grosso e prima tostato), altri con farina, uovo, pangrattato fine e di nuovo farina. Altri ancora con la panatura da Tonkatsu ripetuta due volte. Ma tutti gli spiedini avevano almeno una fascia di alga Nori che li avvolgeva, stretta, più larga, o integrale per l’intera lunghezza. La sperimentazione stava soprattutto lì.
E poi li ho fritti a fuoco medio, olio di semi a, diciamo, 160 gradi, per consentire al maiale (pur se sottile) di cuocere il giusto all’interno.

Per la salsa: una parte di mostarda forte (quella che pizzica nel naso se la mangiate assoluta), una parte di marmellata di albicocche (meglio se fatta in casa, ma non per altro: quella comprata spesso non è un granché), una parte di salsa di soia Kikkoman (giapponese, intendo, quella dry, non quella dolce cinese). Emulsionare forte in un vasetto ben chiuso (dunque non frullare, ma shakerare).

Risultato: interessantissimo, per tutte le tecniche. E la salsa, commovente.

Provatela. Ma solo nel vostro locale, in quella sera, con quelle persone. O da soli.

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Due salse imprescindibili

Epoca fluida, intensa e dal sapore agrodolce. Come le due salse di stagione essenziali per la nostra cucina. La salsa di peperoncino al pomodoro verde e il Nar Ekshisi turco.

La prima è affascinante e semplicissima: prendete i pomodori rimasti verdi sulla pianta a fine stagione (e che ormai non matureranno più), li aprite e li mettete in una casseruola insieme agli ultimi peperoncini (anche loro ormai prossimi a finire male, perché la pianta starà morendo). Se li avete di Cayenna, perfetto, altrimenti altrimenti quelli che volete. Aggiungete due fette di zenzero fresco, aglio, erba cipollina, zucchero (un terzo del peso totale degli ingredienti) sale (un sesto o un settimo dello zucchero), uno schizzo di salsa di soia per regolare il punto di agrodolce. Fate sobbollire.
Al termine, frullate tutto con il Minipimer.
Salsa ideale per dare smalto a una verdura bollita, ma anche su pollame e agnello. O dove volete.

Quanto al Nam Ekshisi: da bravi italiani potremmo tenere seminari sull’aceto balsamico più o meno dovunque nel mondo. Tranne in Turchia e in Azerbaigian. Nelle loro case, in questa stagione, si prepara da sempre questa salsa sciropposa e color rubino. Meravigliosa. Che ricordi nel 2014 e 15! (Ne portammo a bordo litri, lasciando il Mar Nero e la Turchia, ma durarono comunque troppo poco).
Qui basta sgranare il melograno e farlo andare a fuoco leggero in una casseruola, mescolando. Uscirà un liquido rosso e profumato. Poi, colpetti di Minipimer (oppure un bel po’ a schiacciare con una forchetta) in modo da separare polpa, sugo e semini bianchi. Filtrare il tutto e rimettere sul fuoco, aggiungendo zucchero per metà del peso del melograno che avevate sgranato, e acido citrico per il dieci per cento del peso del melograno. Poi via di spezie, che nessuna ricetta definisce in modo apodittico. Io metto basilico, coriandolo e peperoncino freschi, ma si mettono anche pepe e cannella volendo. Si riporta a bollore, sempre mescolando. Il risultato deve essere intenso e denso.
Ideale per insalate e verdure cotte, ma anche su carni bollite, uova, dovunque. Gli azeri lo usano molto (e giustamente) sulle carni arrostite.

Due imprescindibili sapori del Mediterraneo. Quando qualcuno collega il sapore agrodolce ai cibi esotici e lontani, be’… fatevi grasse risate. Su chi, invece di queste meraviglie, usa il ketchup… neanche mi esprimo.

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Maltagliati alla gallinella

La chiamano in tanti modi, tra cui “Gallinella”. Pesce affusolato con testa grande (uno dei nomi è, appunto, “testone”). Carne bianca, dolce, tenerissima. Pesce senza squame. Ideale epr guazzetto, sugo per la pasta, ma splendido anche a filetti da marinare. Qui la versione sugo per la pasta, da provare.

In un tegame mettete un giro d’olio ligure, o del Garda, insomma, non toscano o umbro (che sarebbe troppo profumato e protagonista), poiuno spicchio d’aglio, semi o fiori di finocchio selvatico (io li avevo di Kos, ma ognuno ha i suoi), rosmarino fresco tritato, una fetta di limone, pepe macinato, sale marino. Adagiateci sopra le gallinelle e fate andare a fuoco molto basso per mezz’ora ben coperto. Poi togliete il pesce, spinatelo e lasciatelo coperto da parte.
Con gli scarti (spine, lische, pelle, teste) fate un fumetto/dado coprendoli d’acqua, aggiungendo sale, cipolla e aglio e facendoli andare a fuoco medio in un pentolino.

Nel tegame, invece, correggete bene la sapidità dopo aver aggiunto mezzo cucchiaio di zucchero e una ciotola di pomodorini che, precedentemente, avevate spaccato in quattro, salato, pepato e leggermente schiacciato per far trapelare un po di sugo. Fate andare per una decina di minuti a fuoco vivo mescolando bene. Poi spegnete.
Tutti i pezzi e pezzetti delle gallinelle che vi si sono rotti durante la pulizia, metteteli nel tegame e mescolate a fuoco spento. Se per la quantità di sugo che dovete fare i filetti sani non vi servono, metteteli da parte: saranno speciali da mangiare in altro modo (marinati in olio, limone, sale, pepe e con un giro sopra di salsa che un giorno vi dirò).

Alla fine, quando il vostro fumetto/dado di gallinella sarà pronto, quasi sodo/gelatinoso, prendetene due cucchiai e accorpate al sugo nel tegame.

A latere avrete intanto impastato acqua, farina, un goccio d’olio e sale per preparare la pasta. Dopo averla fatta riposare venti minuti rimpastatela e aggiungete farina quanto basta per rendere l’impasto asciutto. Poi fatela a fettuccina o a maltagliato, fate andare in acqua ben bollente per pochissimo (la pasta fresca cuoce subito), scolate e bene e a fuoco vivo girate bene nel sugo per un minuto. Al termine un bel giro di prezzemolo tritato finissimo.

Questa pasta al sugo di Gallinella è un fazzoletto di Mediterraneo da stendere sul tavolo. In sé, per i sapori e la bellezza, è da considerarsi uno di quei piatti perfetti che fanno da cardine in qualunque cucina del nostro continente. Ideale per una serata piena d’amore, in cui magari ricordare.

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Sunomono di cetriolo

Prendete un cetriolo, toglietegli la buccia a strisce longitudinali, ma una sì e una no, in modo che risulti striato. A quel punto tagliatelo a fettine oblique, in modo che ogni fetta sia un ellisse e non un tondo. Una volta fatto questo, tagliate a metà l’intero cetriolo così affettato. Se tagliando manterrete la forma originaria del cetriolo (senza lanciare fette dovunque) sarà semplice disporlo in una coppetta come nella foto.

A parte, versate in un contenitore dell’aceto di riso (o aceto bianco o di mele, ma con aggiunta di un poco d’acqua perché non sia troppo forte), aggiungete un bel cucchiaio di zucchero, mezzo cucchiaino di sale marinao, e mescolate fino a completa diluizione. Ora versate questo liquido (vagamente denso) sul cetriolo, coprendolo tutto.

Nato come metodo di conservazione (sale, aceto e zucchero sono dei potenti conservanti) è diventato col tempo un antipasto prezioso, profumato, saporito. Potete fare la stessa preparazione anche con dei gamberi crudi, o cotti, o con quello che preferite. Splendido.

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Insalata di mare e alghe

Quando mangiate la granseola, anche in un ristorante, non buttate l’exuvia, o guscio, come volte chiamarlo. Tenetelo. È uno splendido piatto da portata. E si lava bene, perché dentro è smaltato, dunque potete riutilizzarlo.

Per esempio nel caso dell’insalata di mare e alghe.
Tagliate a pezzetti, tutti della stessa forma e misura, e mettete in un contenitore: del buon surimi di granchio, del tonno fresco e crudo, delle capesante precedentemente arrostite sulla piastra, branzino fresco e crudo, gamberi sgusciati, qualche acciuga marinata (vedi sotto, altra ricetta in cui dico come prepararle). Aggiungete cozze (crude, ma se non ve la sentite, fatte aprire senz’acqua, in una pentola chiusa con un coperchio, senza nessun olio, sale etc) e vongole veraci saltate prima in padella con poco olio. Condite il tutto con pochissimo sale marino, pepe fresco in quantità, aglio tritato finissimo, zenzero tritato finissimo, due cucchiai di salsa di soia giapponese, tre cucchiai di olio di semi di sesamo tostato. Lasciate riposare mezzora.

Prendete delle alghe Wakame, fatele rinvenire in acqua tiepida per almeno mezzora, poi strizzatele a morte, apritele e separatele bene (strizzandole si assuccano), aggiungetele al pesce nel contentiore, mescolate abbondantemente. Poi aggiungete succo di limone. Mescolate di nuovo.
Nel guscio di granseola mettete dunque una foglia di insalata “gentile” ben lavata e scolata e riempitela con il pesce. Sopra a tutto fate piovere qualche francobollo di alga Nori tostata.

È una ricetta costosa (anche se infinitamente meno di quel che si pensa, se volete facciamo i conti: non supera i 4 euro a porzione) dunque si può fare saltuariamente. Ideale per gli spiriti portati al sogno e alle serate in cui è bello disegnarli nell’aria con un dito.

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Pollo dei ricordi

Non vi dico quali, ma i ricordi, con questa ricetta, mi si affastellano nella mente. E sono ricordi magnifici.

Accadrà anche a voi se, periodicamente, con i vostri migliori amici, preparerete il Pollo dei ricordi, ricetta capace di sollevare i cuori e far volare i pensieri.

Un pollo, disossatelo, lasciate un terzo della pelle, tagliatelo a bastoncini o bocconcini adatti ad un morso, infarinateli, friggeteli a fuoco alto ma senza che l’olio bruci. Scolateli e asciugateli con carta assorbente. Ancora bollenti, cospargeteli di polvere di zenzero, zucchero, prezzemolo.

A parte, pulite e tagliate a striscioline i peperoni rossi, saltateli a fuoco vivo con zenzero fresco tritato, aglio tritato, olio di semi, e al termine aggiungete curcuma in polvere e salsa di soia. Un bel po’ di peperoncino fresco, naturalmente.
E poi tagliate a rondelle della bella cipolla rossa, e saltatela in padella con poco olio di semi (se la padella usata precedentemente è unta, basta così), mezzo cucchiaino di zucchero, una punta di sale. Non fate dorare, togliete a mezza cottura e aggiungete due cucchiai di olio di semi di sesamo tostato.

Accorpate tutto e saltate in un wok. Deve venir fuori qualcosa di ben saltato ma con un fondino di sugo. Dunque se è troppo asciutto aggiungete mezza tazza di brodo (fatto con le ossa del pollo che avete messo in una pentola con acqua a coprire, cipolla, poco sedano, zenzero, aglio, poca carota, sale) e alzate la fiamma mescolando bene.

Non so quale sia la causa, ma chiunque, e dico chiunque, ama questa ricetta. Provate.

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Il Re è rosso

Scusate l’autocitazione, ma sono costretto a rimandare a un memorabile capitolo di libro ciò che è necessaio dire sul gambero (“Il mio nome è Rosso”, in “Rapsodia mediterranea” Mondadori).

Mi limito qui a dire ciò che ogni conoscitore di cibo di mare sa prima e meglio di me: e cioè che il buon gambero rosso (e il migliore, mi duole per tutti gli altri, è quello di Mazara) si mangia crudo e senza niente, così com’è. E tuttavia comprendo e salvo chiunque voglia dargli una marinatura leggera, capace di esaltarne il sapore: poco sale marino, tanto per bilanciare la dolcezza “del rosso”; pepe fresco macinato al momento; una goccia di limone per gambero; un giro d’olio leggero (no Toscana, no Umbria).

E basta. Eccome se basta…

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Burger di bollito

Se fate il brodo, tenete da parte le carni miste. Sono preziose.

Una volta scolate bene, eliminate le ossa ed eventuali pezzi eccessivi di grasso. Poi preparate un trito di aglio, zenzero, prezzemolo, erba cipollina, pomodorini, aggiungete sale marino, pepe in abbondanza, peperoncino fresco, un po’ di succo di limone, olio d’oliva profumato a dovere (no ligure, no del Garda, no pugliese).

Accorpate tutto e lasciate insaporire per una mezzora. Poi con dei cerchi di metallo fate una bella composizione. Ideale per certi giorni del cavolo, quelli in cui pare che non debba capitare niente. E invece…

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Acciughe come si deve:

Acciughe fresche, l’ideale è a maggio e giugno, o settembre e ottobre. Ma se le trovate anche fuori stagione, come spesso accade, prendetele. Sono il miglior frutto del mare per un giorno qualunque, e durano bene anche i giorni seguenti.

L’importante è toglier loro la testa con le dita e trascinarsi dietro tutte le interiora. È facile, provate. Poi, aprendo il ventre con il pollice, togliete la lisca. Viene via facilmente. Con un po’ di pratica diventerete velocissimi. Ci fosse un esame per diventare “Mediterranei” questa sarebbe la prova scritta.

Ad ogni modo: una volta pulite, mettete a bagno le acciughe in metà acqua fredda, metà aceto bianco, un pugno di sale grosso. E tenetecele quanto più vi piace che siano marinate. Io le tengo un paio d’ore, non di più. Poi scolatele, asciugatele con un panno o della carta assorbente, stendetele con ordine su un bel piatto, a raggiera, o in file parallele. E a quel punto conditele: sale, pepe, limone, olio, ma anche aglio tritato finissimo e prezzemolo. Non andate oltre questi ingredienti. Per farle come si deve, non c’è bisogno.

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Sartù “Due per Due”

Due vegetali. Due carni (del mare). Un sartù per le grandi occasioni.

Spinate il tonno e fatene dei cubetti di circa 1,5 centimetri, magari non tutti uguali, anche qualche fettina della stessa dimensione. Togliete l’exuvia alle mazzancolle di media dimensione, togliete la testa e tagliatele a cubotti. Mettete i due “pesci” a marinare separatamente. Il tonno con un poco di sale alle erbe mediterranee fresche (“Sale magico”, altrove qui), limone, pepe, aglio fresco. Le mazzancolle con sale, pepe, un ‘idea di aceto leggero e bianco, olio di semi di sesamo tostato. Lasciare a marinare per almeno tre quarti d’ora.

Preparate intanto un Guacamole leggero e senza cipolla, ma con tutto il resto (meglio del peperoncino rosso fresco, tipo Cayenna, rispetto al Tabasco). Selezionate delle punte di cima di rapa freschissima, mettetele in acqua fredda per almeno due ore, poi scolatele, asciugatele molto bene, tritatele grossolanamente e mettetele a marinare con limone, sale, olio d’oliva leggero (no toscani, un ligure semmai, o un Garda. Idem per il tonno qui sopra) e spremeteci dentro, con le dita, le teste delle mazzancolle. Lasciate riposare le cime, coprite bene con domopak il Guacamole, che non prenda aria che altrimenti si ossida (qualcuno dice che se gli ficcate mezzo dentro e mezzo fuori il grande seme interno all’avocado, ne evita l’ossidazione. Mah…).
In generale, nelle operazioni qui sopra, state solo attenti a usare poco olio. L’avocado ne è già ricco.

Accorpate tutto, mescolate bene, correggete la sapidità finale. Preparate tanti cerchi quanti sono i commensali, uno per piatto, oppure un solo sartù da servire con qualche decorazione.

Ideale per i ritrovi di amici che abbiano fatto qualcosa di grande e bello insieme. Per celebrare l’energia che è stata creata. Prestare attenzione: crea dipendenza.

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Insalata di grigliata argentina

Come ci insegnano gli argentini, non c’è solo il “taglio fiorentina” per la brace. Anzi. Nella loro famosa “parrilla” i tagli di manzo che vengono usati sono tutt’altro: punta di petto, biancostato, parti che noi usiamo per il bollito. E per evitare che restino duri la grigliata va fatta in modo del tutto diverso: per noi brace incandescente e rapida nella cottura, per loro appena calda, ma per ore.
Prendete quindi un bel pezzo da bollito, quello con dentro le ossa larghe e ovali, che sia unbuon mix tra magro e grasso, disossatelo, insaporite con rosmarino, aglio, pepe, sale e stendete su una griglia. Cuocete a brace appena calda per quattro ore almeno, rintuzzando la brace periodicamente. Poi, se volete, conservate tranquillamente in frigo per l’indomani. Quando vorrete (subito il giorno a venire) potrete tagliare la carne controfibra a tocchetti e saltarla appena dopo aver portato a bollire e caramellare a fiamma viva una soluzione di zucchero, aceto bianco e salsa di soia, aggiungendo anche un cucchiaio di zenzero fresco tritato finissimo.

Impiattate accanto a una “virgola” di insalata gentile, tagliata per trasversale e appena condita con qualche goccia di senape, limone e olio emulsionati.

In un giorno che minaccia neve, accanto al camino, questo piatto potrebbe cambiarvi la giornata. E non solo.

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Pesto di rosmarino

(effetto granulare, non pastoso. Colpa del rosmarino non fresco)

Il basilico non c’è sempre, e ai primi freddi ciao. Ma non solo: il pesto è un concetto, il suo segreto non è il basilico, bensì l’idea di creare un condimento con niente. Un cucchiaio d’olio, uno spicchio di aglio, due pinoli… e un’erba aromatica. Un concetto perfetto, un equilibrio assoluto. Provate a farlo con la rucola fresca: buonissimo. Ma provate anche a farlo con la spezia chiave, la spezia regina del Mediterraneo, che non è il basilico, come tanti pensano, non è il prezzemolo, non è… Ma è il rosmarino.
Rosmarino fresco appena raccolto, meglio se solo di punte, le più tenere e dolci. Non fatelo (come nella foto) con rosmarino staccato dalla pianta da giorni, risulterà meno pastoso, più granulare e troppo intenso. Ma con quello fresco vi stupirà per aroma e delicatezza. Per il resto, la preparazione è identica: pecorino, pinoli, aglio, olio d’oliva. Io ci metto anche il pepe, che col rosmarino e l’aglio si associa in modo ideale. Nell’acqua delle linguine (qui, ereticamente i ravioli di ricotta, non male) gettate fin da subito tre o quattro pezzetti di patata sbucciata e tagliata piccola, e altrettanti fagiolini.
Il pesto di rosmarino stimolerà l’intensità della vostra riflessione mediterranea. E Dio sa quanto ce n’è bisogno. Abbiamo bisogno di sud, basta con l’EU e gli USA. L’unica cosa buona che viene da nord ovest è il maestrale

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Variazioni sulla coda

Coda. Variazioni 3.

Coda di rospo, o rana pescatrice che dir si voglia.  Lophius piscatorius, per essere precisi. Un pesce interessantissimo, perché la sua carne ha una consistenza del tutto diversa da quella dei suoi simili. Per certi versi somiglia a quella delle grandi aragoste arcobaleno, “a placche”, anche se meno evidenti. E poi è carne magra, morbida ma che non si sfalda, consistente ma senza eccedere nella fibra. Una consistenza che ricorda quella dei sogni sensati.

Un pesce ottimo, insomma. Ma che non tutti sanno come cucinare. Qui, nella foto, vedete tre versioni molto diverse tra loro, ispirate tutte alla cucina giapponese, che ovviamente ha grande considerazione della coda di rospo.

Non ve le racconto tutte e tre. Vi parlo solo di una, al momento, quella in basso nella foto, piatto con bordo arancione.
Spinate e mondate bene la carne della coda di rospo, togliendo sia la pelle sia la sottopelle, una pellicola trasparente, un po’ viscida e resistente, che dovrete spellare con pazienza. Tagliate in pezzi, dimensione di un boccone, asciugate grossolanamente e cospargete di poca curcuma, sale marino, pepe. Poi infarinate abbondantemente con due terzi di farina di grano tipo “0” e un terzo di amido di mais (maizena). Lasciate riposare.

Intanto avrete messo a fuoco medio e poi basso un fumetto con lisca, pelle e scarti della coda di rospo insieme ad aglio, una noce di zenzero tritata grossa, poca cipolla, sale, un pezzettino di sedano (ma poco). Lo farete andare fino ad avere un ristretto liquido di circa due terzi della quantità originaria d’acqua.

A parte pulite delle cime di rapa, lasciando anche i gambi (se sono grossi divideteli in due o in quattro per lungo), non sbollentatele (in acqua perdono sapore) ma gettatele direttamente in padella con sale, aglio, pochissima curcuma, peperoncino fresco tipo Cajenna, o Piri Piri portoghese, niente di eccessivamente piccante. Saltate senza coperchio a fuoco medio ma senza rosolare, poi aggiungete un bicchiere del fumetto e coprite. Lasciate andare a fuoco basso per un bel po’, in modo che le parti più dure si ammorbidiscano. Se l’umido interno alla pentola si esaurisce, aggiungete altro fumetto, ma senza esagerare. Il risultato deve essere comunque quasi asciutto, senza troppo brodino a fondo pentola.

Prendete una padella a bordi alti, mettete abbondante olio di semi, portate a temperatura alta (senza che l’olio fumi) e dorate i pezzi di pesce marinati e infarinati. Non fateli scurire troppo, appena prendono il caratteristico e lieve colore dorato della frittura togliete e asciugate con la carta, senza mai coprire (il fritto, se lo coprite, perde immediatamente croccantezza).

A margine, in una padellina antiaderente, preparate uno sciroppo agrodolcepiccante in questo modo: mettete su fuoco vivo due terzi di Mascobado (zucchero di canna) e un terzo di zucchero bianco, due terzi di bicchiere di aceto bianco, di riso o di mele possibilmente, tre cucchiai di salsa di soia Kikkoman, o comunque giapponese, cioè dry, non dolce, tre o quattro rondelle di peperoncino e una decina di fettine di zenzero fresco. Non lesinate nelle quantità, perché il tutto si restringe parecchio. Portate a ebollizione, lasciate che faccia schiuma in modo abbondante, e quando vi pare sufficientemente liquoroso togliete dal fuoco e mettete in una ciotola. Non tardate troppo a togliere dalla fiamma, perché raffreddandosi tende già di per sé a diventare più denso.

A questo punto disponete come nella foto qualche gambo o rametto di cima di rapa intorno a una ciotola; al centro i bocconi dorati di coda di rospo; versate sopra una dose generosa di salsa. Servite subito, va mangiato caldo, non fatelo freddare mi raccomando.

Se ci sarà modo vi parlerò anche delle altre due ricette in foto. Ma intanto, in quelle lunghe e  incomprensibili serate, quando non siete né dove vorreste, né dove potreste, ma neppure (onestamente) siete riusciti ad essere dove desideravate (cosa su cui occorre riflettere), godetevi questo piatto intimo ma spettacolare. Nulla di consolatorio. Semmai, benzina per andare.

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Focaccia 60-40

F6040

Un giorno vi organizzate. Prendete la cosa più importante e le date un metodo, la sistemate, la preparate. Diventa un cantiere, da un caos che era prima. Tutto pronto ogni mattina perché voi ci lavoriate. Da quel momento le suggestioni e le speranze diventano un lavoro quotidiano. Invece che pensare, operate. Ecco.

Nel caso vi rendeste conto di cosa vuol dire un gesto del genere, vorrete festeggiare. Occasione ideale per la F6040, la madre delle focacce. 60 di farina tipo “O” e 40 di farina integrale macinata a pietra, olio d’oliva di Creta, pepe nero, sale di Kythira, lievito di birra o pasta madre, acqua. Ecco: l’acqua. Il punto è lì. Ci dovrebbe essere una quantità ben definita per la farina che userete. Ma io non mi fido. Vi do il mio metodo: sciogliete il lievito in acqua tiepida, quasi calda, quanto basta per bagnare bene tutta la farina. Diciamo che la quantità d’acqua necessaria, per me, è quella che vi costringe ad aggiungere qualche cucchiaio ancora di farina perché l’impasto risulterà appena troppo bagnato. Dunque: acqua il massimo possibile per impastare. Il risultato sarà molto morbido, elastico.

Fate riposare e lievitare in frigo un’ora a mezza. Poi due ore in un luogo caldo e asciutto. Quando stendete sul tegame, fatelo con gesti minimi, senza mattarello, stendendola con pochi tocchi, tirandola dai bordi, senza schiacciare troppo, per evitare di smontarla e interrompere la lievitazione.

A questo punto: olio d’oliva in quantità, rosmarino fresco, qualche pezzetto di aglio infilato nella pasta col dito e nascosto bene (così non si brucia durante la cottura). Sale. Pepe. Infornate a forno bollente. Poi, mentre la mangiate, pensate al vostro programma quotidiano. Sentitevici irrimediabilmente dentro.

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Spaghetto mediterraneo dell’armonia

il rosa è il taramà, il verde scuro le alghe

Potreste avere in casa del taramà, del paté di alghe, e tanta armonia nel cuore. E potreste averne così tanta (di armonia) da desiderare di esprimerla nella cucina, tradurla, quasi, in una pietanza per prolungare un momento sospeso, dopo tanto amore. Qualunque cosa preparaste in quella serata magica, in cui per una volta almeno ogni pensa è stata sopita, vi verrebbe in modo perfetto, ma con quello stato di grazia nel cuore, starete cercando di più. Ecco dove entrano prepotentemente in scena le uova di pesce greche (taramà) e il paté di alghe (Campisi, Marzamemi). Ma avrete bisogno anche di un pezzettino di aglio, uno di peperoncino fresco, un piccolo ciuffo di prezzemolo, del limone, dell’olio d’oliva.

Preparerete il sugo crudo lentamente, senza agitare troppo rapidamente la forchetta o usare fruste, per evitare di far associare le uova con l’olio. Traglierete sottilmente e finemente l’aglio, il peperoncino fresco, due fette di limone che poi sminuzzerete al coltello, il prezzemolo. Tutto insieme armoniosamente. Poi spaghetti ben ruvidi e di dimensione, scolati in modo perfetto, arrotolati a nido con una grande forchetta. La salsa sopra. L’amore dentro. L’armonia, dovunque…

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Cena col taglio

Cena col taglio. La ciotola in alto a destra è un cetriolo in sunomono.

Pare che al povero salmone (pesce che, per altro, non brilla per acume) ne facciano di tutti i colori, ingrassandolo, rimpinzandolo di antibiotici, etc. Se a questo pesce martire e prevedibile impartissero dei corsi sullo scollocamento, molti di loro abbandonerebbero questa mania della maternità fotocopia e se ne andrebbero a spasso per conto loro. Il problema non è deporre le uova, ma farlo sempre negli stessi posti, sempre nello stesso modo, sempre nello stesso periodo. E tutti insieme, tra l’altro, come i Lemmings (caltri che non eccellono nel comprendonio). Morale, vengono sterminati. Oppure allevati e allora la loro vita è assai grama. Per questo non lo compro mai.

Quando lo trovo selvaggio, e magari in offerta, allora vale la pena. E quel giorno riaffiorano i ricordi del mio “Corso di taglio” in Giappone, Tokio, 1986. Il mio maestro, che io avevo soprannominato “Jedi”, era uno ieratico saggio, che non perdeva mai l’occasione di una massima o di una metafora con la vita. Ammetto di essermi ispirato a lui, anni dopo, quando facevo l’istruttore di vela in pianta stabile. Tra le cose che mi insegnò e che mi sono rimaste impresse, ce n’è una interessante: “la forma ha molto a che fare col sapore”. Detta così, capisco le vostre perplessità. Ma è assai vera. Basta fare la prova.

In Giappone il taglio è come da noi il soffritto, o la pasta fatta in casa. Non è una metodologia, ma un pezzo della sostanza. E tra le mille regole del taglio c’è un dettame specifico e fondamentale: taglio spesso, taglio sottile. E col salmone viene benissimo sperimentarla.

Prendete il salmone e tagliatelo controfibra in pezzetti omogenei spessi poco meno di un dito. Ma decidete voi quanto. Non sottile, ad ogni modo. Poi prendete un altro pezzo di salmone e tagliatelo controfibra in modo assai sottile. Come vedete nelle foto. “Pesce sottile, piatto bello” diceva il maestro Jedi, a significare che la sottigliezza doveva mostrare in trasparenza il disegno del piatto, per potersi dire adeguata.

Questi due piatti, dovrete metterli in tavola insieme, per un sashimi come si deve. la scelta di alternare fettine più sottili a bocconi più spessi, sarà tutta vostra. Prima di mangiarli, li intingerete a profondità variabile in una “bagna” (direbbero in Piemonte) così preparata: aceto di riso, zucchero (3/4), sale (1/4). Mescolate a lungo, poi fate riposare, dunque mescolate ancora. Tutto il granulato solido di zucchero e sale

dovrà essere sciolto. Dato però che la solubilità dello zucchero è quasi infinita (75%), mentre quella del sale è proporzionata alla quantità del liquido (se non ricordo male 15 o 20%), nel caso vi rimanesse del granulato fate riposare e poi travasate.

Per chi chiede di più alla vita, preparate anche un’altra “bagna”: fate sobbollire per una decina di minuti aceto di riso, zucchero, sakè, alga Nori. Freddate il tutto in frigo e aggiungete salsa di soia, qualche goccia di limone, peperoncino rosso fresco. Una variabile di mia invenzione della salsa Ponzu Soyu.

A tavola verrete sorpresi dalla differenza tra i due cibi. Per noi italiani è immediato dire (con accento milanese): “Eh, ma salmone tragliato fino o salmone tagliato grosso, l’è ‘i stess’!”. Lo so. Ma è diverso. Il maestro Jedi aveva ragione: “la forma ha a molto a che fare sol sapore”. Heidegger avrebbe detto “con la sostanza”. Ma l’è ‘i stess’.

Nella foto in alto, l’intera cena: le due salse, i due tagli di salmone, una ciotola di spinaci freschi conditi in modo leggero con la “bagna” che vi ho illustrato per prima. Una ciotola di sunomono di cetrioli.

Mangiando, non dimenticate di esprimere un buon pensiero per il salmone. E per il grande mare che ce lo ha offerto. Buona cena.

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Pane ripieno dell’abbraccio

Pane ripieno – Il concept è mutuabile in molti ambiti. Da provare.

Impasto di acqua e farina (metà farina integrale, metà farina di grano duro macinato a pietra). Mezz’ora di riposo e poi tiarata a sfoglia sottile. Uno strato sotto nella teglia ben unta e uno strato pronto a ricoprire tutto. E questo è il “pane”, l’involucro.

Per l’interno lessate broccoli siciliani e frullate tutto con un po’ di fontina, acciughe, capperi, rosmarino, aglio e un filo d’olio. Regolate di sale, occhio che alcuni ingredienti sono già salati assai. Stendere lo sformato e coprire con la sfoglia sottile. Sigillare le due sfoglie sopra e sotto unendo i due veli con le dita. Infornate con forno già caldo, intorno ai 190°.

Il risultato deve essere una crosta croccante, secca e asciutta. Per chi ama qualcosa di più unto e accattivante, spennellate con olio aromatizzato al sale magico prima di infornare. Ma io lo preferisco nature, perché l’interno saporito e la crosta sciapa ben si accomunano.

Consolatorio. Ideale durante una malattia leggera, un’influenza, qualcosa di simile. Da preparare dopo un bell’abbraccio, sul divano, o sul letto. Da mangiare in silenzio, debolucci, senza sogni speciali. Ipnotizzati da un film.

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Raviolo con brodo di rincalzo

Il rincalzo è una disciplina.

Bollire i gamberi, come si sa, è molto difficile. Non devono restare crudi, ma dieci secondi di bollore di troppo e si rattrappiscono, si seccano, si restringono, diventano una cosa orribile. Vi dovesse capitare di farlo, che il cielo sia con voi. Ma già che ci siete, non di meno, fatelo pensando al bordo che vi resterà. Lo stesso dicasi se pulite gamberi e vi avanzano teste, carapace, code. Se li buttate vengo lì e vi picchio. Fateci il brodo! In entrambi i casi, dovrete aggiungere fettine di zenzero fresco, fettine di curcuma fresca, sale magico (insaporito con spezie fresche), un angolo di cipolla. L’acqua della cottura del gambero è acqua benedetta dal mare, che non dimenticherebbe se la sprecaste o, peggio, la buttaste. In cucina, come si sa, non si butta niente.

A quel punto che serve? “Hanno ammazzato Pablo” di De Gregori che serpeggia dal computer nella cucina con le luci soffuse, una candela accesa, qualcuno che studia nell’altra stanza, un diario della casa da comporre, pensieri, ricordi sempre buoni anche per i peggiori (che Dio li fulmini, ma senza le nostre maledizioni) e la voglia di mettere qualcosa dentro qualcos’altro. La voglia di riempire ha a che fare col senso, con la cucina, con la sera. E dunque chi se non un raviolo? Magari uno fatto in casa, solo ricotta dentro, sale e pepe, oppure ricotta e zucca. Insomma, un contenitore che faccia da riempimento, nel più consueto e amabile dei ribaltamenti.

Ed ecco allora quello che vedete in foto. Il raviolo col brodo di rincalzo al gambero, curcuma, zenzero, aglio, e se volete, ma soltanto alla fine e dunque finissimo, prezzemolo. Ideale per una serata di quelle che di solito scivolano via. Ma non per voi. Non stasera…

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Tartarghesa alla Minabé

La foto non è un granché, lo so… Ad ogni modo era spettacolare.

Incroci. Di ricordi e programmi, di sapori e circostanze. Ecco dunque che attendendo una persona amata, con la mente eternamente in viaggio, potreste desiderare di applicarvi a qualcosa di simile al concetto di cucina fusion, ma assai più precisa. Un incontro, non è forse una cosa simile? Mescolarsi, che sia fisicamente o spiritualmente, non è forse fondersi con la diversità, dando origine a qualcosa di nuovo, non già soltanto a due ingredienti messi insieme? Ecco. Se poi ci aggiungete l’attesa…

Ad ogni modo, per qualche venatura sensoriale sfuggita al controllo, ho immaginato un’hamburgesa speziata di Mediterraneo, una tartara di manzo, una salsa che ho affinato col tempo, il piccolo villaggio di Minabé, in Giappone, dove ho trascorso qualche settimana quando avevo vent’anni… Ed ecco che è uscita fuori questa ricetta che non ho alcun problema a definire splendida.

Prendete un bel pezzo di controfiletto, o un taglio a bistecca, eliminate eventuali ossa, parti più grasse o dure, tagliate a pezzotti e mettete nel frullatore con un pezzettino d’aglio (mezzo spicchio per 4 etti di carne tanto per capirci, dunque poco), rosmarino fresco, sale marino. Frullate il tutto per ottenere una pasta da hamburgesa, dunque né troppo fina né troppo grossa. Niente uovo, solo un cucchiaio di farina, giusto per tenere insieme. Con i caratteristici attrezzi di metallo componete dei cerchi di un dito e mezzo di spessore, ben compatti. Infarinate leggermente il tutto.

In un wok o in una padella fate andare una noce di burro insieme a: fette di zenzero fresco tagliate fine ma larghe, come si vede nella foto; zucchero in quantità generosa; salsa di soia a fare l’agrodolce, dunque quanto basta rispetto allo zucchero; un bicchierino appena di aceto rosé, o almeno non troppo scuro e carico; due cucchiai di olio di semi di sesamo. Passateci dentro le Tartarghesa a fuoco vivace, aggiungendo qualche po’ d’acqua se il burro si asciuga troppo, girando rapidamente solo una volta la carne. L’obiettivo è che fuori si cuociano e si avvolgano di salsa vellutata, ma dentro restino ben crude.

Servire subito, che non si freddi, aggiungendo il fondo della salsa ben sopra la carne. L’incontro perfetto tra rosmarino, aglio e sapori orientali vi farà trasalire. Forse, perfino ricordare. Certamente, vi piacerà.

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Tre versioni di carpaccio di tonno, per resistere all’inesprimibile

Versione “definitiva”. Realizzato (non per la prima volta, ma forse meglio di altre volte) l’8 settembre 2017 a Favignana, a bordo di Mediterranea.

È uno dei miei piatti preferiti, che cucino più spesso (soprattutto in mare, dove posso pescare il tonno direttamente) e forse proprio per questo mi accorgo ora di non averne mai parlato (appena tangenzialmente quando descrivo, molto sotto, il buillon). Per me, nella sua versione base, è la sintesi del cibo di mare, la modalità standard, l’Ave Maria della gastronomia ittica.

Occorre disporre di un buon pezzo di tonno, preferibilmente della specie Rosso oppure Alalunga, e tagliarlo controfibra in fette di circa mezzo centimetro di diametro. Rinunciate alla tentazione del “sottile”, che attanaglia la becera cucina di mare contemporanea. Ve ne pentireste.

A questo punto vi consiglio di cospargerlo generosamente di sale, pepe, limone, e solo infine olio d’oliva (da evitarsi oli troppo sapidi e aromatici, serve un buon olio ligure, al massimo del Garda). Dico “vi consiglio” perché sarebbe bene che prima di ogni altra sperimentazione provaste (e assaggiaste) la versione “base” del carpaccio. Ma va da sé che, in certi periodi, e soprattutto in certe serate, e segnatamente con alcune specializzate persone, vorrete prima o poi tentare qualcosa di più. E allora, seguitemi…

Versione definitiva. (quella nella foto sopra)

Per la marinatura prendete un coppetta non piccola, e mescolate lentamente: un cucchiaio di succo di limone, un cucchiaino di senape, mezzo spicchio d’aglio sminuzzato e finissimo, una noce di zenzero altrettanto fine, mezzo peperoncino mediamente piccante e fresco tagliato a rondelle, mezzo cucchiaino di aceto di melograno turco, una nutrita dose di prezzemolo tritato finissimo, mezzo cucchiaino di curcuma in polvere, olio d’oliva (come sopra). Mescolate lentamente, senza sbattere. Cospargete il tonno su tutta la superficie. Fate marinare per venti minuti.

Versione oltremare.

Oppure, ma solo se l’inesprimibile morderà davvero i polpacci della vostra sensibilità, nella coppetta mescolate: due cucchiai di zucchero bianco, mezza tazzina da caffè di aceto di mele, mezza di limone, un cucchiaio e mezzo di salsa di soia, semi di sesamo, tre cucchiai di olio di semi di sesamo tostato, mezzo peperoncino piccante tritato. Mescolate bene, a lungo, perché lo zucchero si sciolga bene. Potete decidere anche, se ritenete di desiderare una salsa più “sciropposa” (che Dio mi perdoni…), di scaldarlo sul fuoco per un quarto d’ora fino a ebollizione, mescolando accuratamente. Purché, dopo, lasciate raffreddare totalmente. Ad ogni modo, a crudo o sciroppata, versate in modo uniforme la marinata sul tonno, e lasciate riposare un quarto d’ora.

L’inesprimibile, come sempre, resterà lì, inossidabile e impenetrabile. Vi guarderà seduto nel pozzetto, fino a che non avrete finito di mangiare. Tornerà certamente a importunarvi con i suoi fragorosi silenzi. Ma per il tempo della cena, almeno… per quel tempo di sapori e di potenziali visioni, lo avrete temporaneamente sconfitto.

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Miglio di mare

Il miglio di mare.

Potreste improvvisamente scoprire che dei cereali non ne sapete granché. E un amico potrebbe spiegarvi che ha appena fatto una dieta a base solo di cereali, che pare contengano tutto quel che serve per alimentarvi in modo sano. Potrebbe anche capitarvi di avere voglia di provare qualcosa di nuovo, anche se dei cereali non vi frega granché e delle diete tanto meno. Il tutto, sia detto, potrebbe capitarvi d’estate. Ed eccovi in un supermercato bio ad aggirarvi un po’ nervosi di fronte al ripiano dei cereali. Hanno nomi un po’ poco invitanti, soprattutto uno: il miglio, che pare abbia molte proteine, sia molto completo e non contenga glutine. Mah… Vi accadrebbe certamente di ricordare quei poveri uccelletti in gabbia che teneva vostra sorella, e che voi guardavate carcerati e reclusi, con grande pietà, senza per altro dimenticarvi mai di dar loro del miglio, un mangime per canarini, appunto.

Ora, è chiaro che quando proverete a cucinare il miglio lo farete un po’ succubi dei ricordi, e incerti riguardo il vostro avvenire di volatili. Non di meno, farete il tentativo.

Lo bollirete e poi lo metterete in un bel piatto. Al centro, sopra il miglio, disporrete una misticanza di alghe profumate, cipolla, pomodoro, peperone, radice fresca di curcuma e zenzero condite preventivamente con olio di semi di sesamo tostato, salsa di soia e limone.

Incerti ancora su tutto questo, alla fine, lo assaggerete.

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Spaghetto mediterraneo

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Mettiamo il caso che stiate faticando-pur-nella-gioia. Capita, talvolta, quando stai facendo un bel viaggio, adatto a te, che ti affascina, ma intorno qualcosa ti infastidisce, ti costringe a reagire, o alla fatica di non farlo. Ecco, quella sera, immaginando anche la prossima partenza a bordo di una barca avventurosa, è l’occasione per lo “Spaghetto mediterraneo” che ha enorme potere cicatrizzante.

In una padella di ferro o d’alluminio, non antiaderente, gettate un cucchiaio di rosmarino fresco tritato fine, due spicchi d’aglio interi e schiacciati, due striscioline di peperoncino forte, semi di finocchio, due acciughe salate spinate e pulite (io uso le mie, fatevele da soli: risparmiate e sono più buone), un generoso giro d’olio buono e profumato (io ne ho usato uno d’alta qualità istriano). Fate saltare a fuoco vivace e, prima che imbiondisca, aggiungete una tazza d’acqua. Fate ritirare di un terzo a fuoco basso.

Bollite e scolate al dente gli spaghetti, senza sale grosso, tenendoli molto bagnati, poi saltateli nel sugo per un minuto abbondante, a fuoco alto. Mettete nel piatto e aggiungete prezzemolo tritato e una bella grattata di un formaggio caprino stagionato.

Ideale soprattutto per chi sa che stasera, come sempre, l’unica scorciatoia possibile è tirare dritto.

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Tonno a metà

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Nè carpaccio, né tartara. Tagliato a striscioline, invece. Così, per variare. E poi condito con un intingolo preparato precedentemente. Eccolo: salvia spezzettata a mano (se poi è selvatica raccolta su un’isola del Mediterraneo, tanto meglio), fettine di limone a buccia spessa tagliate sottili (genere “di Amalfi”), poco aglio tritato, un cucchiaino di tahina (o tahine), pepe macinato, sale marino, zenzero tritato a mano, olio di semi di arachide.

Mescolate bene. Poi mettete una bella canzone, adatta alla serata. Poi dedicatela a qualcuno.

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Vellutata di foglie di cavolfiore

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Le buttano, come si sa. Ma è un peccato. Voi lavatele bene, invece, fatele a pezzi, insieme a due o tre torzoletti del fiore di cavolfiore. Possono diventare una splendida vellutata. Basta mettere in una pentola un bel giro d’olio e una noce di burro, cipolla novella, un pezzetto d’aglio, un po’ di zenzero fresco tritato, delle fettine di limone sottili e tagliate in quattro, pepe macinato, sale marino, un cucchiaino di spezia composita per il cous-cous, mezzo cucchiaino di curry.

È sufficiente far rosolare a fuoco medio, poi aggiungere le foglie di cavolfiore, girare ancora velocemente. Incorporate una tazza di latte e girate ancora velocemente, e poi aggiungere acqua quanto basta, coprendo tutto il contenuto della pentola più un paio di bicchieri. Cuocete coperto. Dopo mezzora frullate tutto con un minipimer quanto basta perche tutto diventi soffice e vellutato. Regolate la consistenza aggiungendo acqua o facendo ancora cuocere senza coperchio, se serve. Deve essere liquida ma non troppo, densa al cucchiaio quanto basta.

È ottima. Ideale calda, ma non troppo, per un pranzo di mezza stagione invernale. Mentre aspettate che torni qualcuno…

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Spuntino di mare per sopravvivere al ritorno

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Le scatolette, se sono graziose, non le butto. Diventano coppette.

Potrebbe capitarvi di tornare a casa (casa amata, significativa, vera…) dopo un viaggio diverso dagli altri. Non una vacanza, non una semplice esplorazione, piuttosto un’immersione in un mondo caro, solo parzialmente vostro, anticipazione di un futuro desiderato. I giorni saranno stati forme di prefigurazione, di preveggenza. Vi sarete visti su quell’isola, su quelle coste, così come sapete bene che sarete, che diventerete, presto. Avrete pre-visto. Ecco. Quella sera, tornare a casa, sarà una forma di straniamento difficile da sopportare. Avrete certamente bisogno di uno spuntino salvifico. Eccolo:

Con un pezzo si pesce spada farete due scatole, o due barattoli, o due coppette, e ve le mangerete con gusto insieme al vostro compagno di viaggio, chiunque sia. Compagno di quel viaggio, vorrà dire compagno della vostra vita…

Nella prima scatoletta metterete lo spada preventivamente tagliato a fettine sottili e marinato una ventina di minuti in: pomodorini datterini seccati al sole e messi sott’olio, pochi mesi prima, con acciuga e capperi; pomodori datterini freschi e spaccati in quattro; finocchietto delle isole greche; olio d’oliva; sale marino di Kythira; pepe; qualche goccia di limone.

Nella seconda scatoletta o coppetta o barattolino di vetro metterete lo spada tagliato a cubetti di un centimetro per un centimetro, marinato preventivamente in un’emulsione leggera di aceto bianco, limone, acciuga salata e poi sott’olio sminuzzata, pepe.

Spuntino ideale per non risollevarsi. Cioè resistere rimanendo dentro il sogno.

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Linguine alle due uova di mare

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Alla salsa aggiungete un po’ di schiuma della cottura delle linguine

Uova di pesce spada sott’olio (fatte in casa possibilmente, come le mie), bottarga di muggine in polvere, tre fettine sottili di limone tagliate poi a pezzetti, prezzemolo tritato finemente, un quarto di spicchio d’aglio tritato finemente (per due persone), un cucchiaio e mezzo di salsa fatta in casa con pomodori freschi fatta appassire lentamente con aglio e sale e poi frullata, pepe macinato, un cucchiaio d’olio d’oliva tipo quello ligure.

Accorpate il tutto senza mescolare per evitare che olio e uova si associno in un “effetto maionese”. Regolate il punto di sale. Aggiungete al condimento un po’ di amido della pasta (la schiumetta mentre bolle), senza rendere troppo liquido il tutto. Quando scolate le linguine (o trenette, per i liguri) lasciatele appena lente e rimettetele nella pentola sopra al fornello, col gas uso, aggiungendo il condimento. Con un mestolo di legno mescolate vorticosamente, veloci e per una trentina di secondi. Servite e mangiate subito. Ideale nelle sere d’estate, quando per una volta ancora, si guarda con amore qualcuno sfuggendo alla tragica e beffarda visione del sé.

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Tonno ai due sapori convergenti

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Il prezzemolo grosso è orrendo. Ma avevo fame, volevo mangiarmi tutto, e per la foto mi serviva un po’ di verde…

Da un trancetto di tonno ben pulito ricavate tanti cubetti di un cm. per un cm. e posizionateli staccati tra loro in un piatto bianco. Guarniteli e lasciateli riposare fuori dal frigo per dieci minuti con due composte preparate e freddate preventivamente.

La prima, composta di cipolle di Tropea, preparata con cipolle rosse tagliate a fette, zucchero, sale (il primo il doppio [e anche più] del secondo), zenzero, pepe. Lasciate riposare il tutto in frigo per un giorno e poi cuocete a temperatura bassa lasciando che il liquido scaturito nella marinatura si ritiri lasciando il tutto sciropposo. Chiudete in barattolo ancora caldo e fate riposare almeno un giorno prima di consumare. La seconda, composta di peperoni rossi, la trovate sotto ma la ripeto: arrostite dei peperoni rossi, spelateli e puliteli di semi e picollo. Fateli a pezzi grossolanamente e poi frullateli insieme a zucchero e sale (il primo il doppio del secondo), qualche pezzetto di zenzero fresco e un paio di fettine di aglio, niente olio.

Ideale a maggio, giugno, settembre, ottobre, col tonno di corsa che migra per il Mediterraneo. Tiene legati al mare e favorisce una visione netta del mondo. Utile, soprattutto, nei momenti di confusione.

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Ricotta in camicia

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Allestimento

A vederlo, questo piatto, sembra un uovo in camicia, bordato d’arancione. In verità è un semplice allestimento di melone, ricotta fresca, un pomodorino tagliato a metà e un cucchiaio di composta di peperoni arrostiti (per la preparazione vedi i “Fichi composti”) e un rametto di prezzemolo. Fa bene al palato e a quel che al palato è connesso, cioè i sogni e la soddisfazione.

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Fichi composti

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Divertissement

Stagione di fichi, fine agosto, di peperoni e pomodori. Prendete due fichi neri, tagliateli a fette spesse e disponeteli in un piattino. Accanto, staccati, mettete una manciata di pomodorini che avrete messo venti minuti a insaporire con olio d’oliva e sale magico (sale con spezie fresche a scelta, messo in un barattolo e usato tutto l’anno). Sui fichi stendete un cucchiaio di composta di peperoni così preparata: arrostite dei peperoni rossi, spelateli e puliteli di semi e picollo. Fateli a pezzi grossolanamente e poi frullateli insieme a zucchero e sale (il primo il doppio del secondo), qualche pezzetto di zenzero fresco e un paio di fettine di aglio, una spruzzata d’aceto, niente olio.

Ideale per chi vuole nutrirsi con qualcosa di energetico e saporito, magari dopo un piccolo sforzo, a pranzo, in cerca di riposo nella penombra e nel silenzio.

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Salsa del taglio

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trovo questi colori splendidi. Consolatori.

Un pomodoro maturo e carnoso tipo cuore di bue, un friggitello ben appassito in padella con aglio olio e sale, un cucchiaino di tahina, un cucchiaio di succo di limone, sale magico (sale grosso o fino aromatizzato con erbe aromatiche fresche), un cucchiaino di pan grattato se si rivela necessario addensare la salsa, olio di oliva.

Con un minipimer frullate il tutto dopo averlo tagliato a pezzetti col coltello. Aggiustate col sale e solo alla fine accorpate un cucchiaino d’olio d’oliva, mescolando a mano. Guarnire con due foglioline di menta. Salsa fresca, estiva, da stendere su un pezzetto di pane bruscato o con cui condire un pezzo di pollo bollito. Ottima come dressing per verdure fresche o grigliate.

Salsa con cui celebrare una decisione di tagliare definitivamente quel ponte, dopo tanta vana attesa che qualcuno rinsavisse. Era lesionato, quel ponte, era dirupato, era sconquassato, ma era ancora vagamente in piedi, qualcosa di valore poteva ancora passarci sopra. Ma dato che non ci passa nulla, se non cose che non meritano un ponte, allora tanto vale tirarlo giù del tutto. Fa bene anche al fiume della vita, ignaro, che gli scorre sotto.

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L’invincibile Tre

Il tre è un numero affascinante, primo, inconcepibile, perfetto, inspiegabile, sorprendente. Può capitare che diventi anche un piatto, per caso, cercando d’inventare una ricetta per una persona importante che non può mangiare (temporaneamente) cose crude. Voi pensate al piatto, un solo piatto, e vi viene molto bene. Solo che poi osservate quel che resta, che è molto, molto interessante. Allora ne esce un’insalata, di quelle che ricordi a lungo. Ma non finisce qui. Col fondo residuo della marinatura cosa si può fare? Ecco il terzo piatto, uno spaghetto (pici, in realtà) da mozzare il fiato. l’Invincibile Tre è nato, senza volerlo. Eccolo, piatto scomposto e componibile, perfetto per questa nostra condizione di fervida (spero) frammentazione.

Sotto trovate, in sequenza, le tre ricette e le tre foto. Iniziamo dalla prima:

1. La Marinata dell’Invincibile

Gamberoni, polpo, acciughe sott’olio, tonno fresco, alghe Wakame, alghe Kombu, prezzemolo, basilico, germogli di soia, asparagi di mare, limone, arancio, cipollina fresca, aceto bianco, vino bianco, pepe nero, salsa di soia, olio d’oliva, olio di semi di sesamo.

Scottate il tonno con sesamo e una punta di sale e fatelo a striscioline; scottate bene i gamberoni alla plancia solo con sale sulla plancia prima di mettere i gamberoni, poi lasciate la testa e togliete l’exuvia dal corpo (la corazza, la buccia, la pelle, come la volete chiamare); cuocete il polpo e fatelo a striscioline; lavate bene tutte le verdure e la frutta.

Fate una marinata molto liquida e componete una catasta mettendo per primo il pesce, poi il resto: alghe dopo averle fatte rinvenire in acqua e ben scolate e strizzate, prezzemolo a rametti, non tritato, basilico a rametti, asparagi di mare a cui toglierete solo la parte dura, senza tagliarli piccoli, germogli di soia etc. Tagliate tre o quattro mezze fette di arancio e limone, il resto spremetelo. Aggiungete due bicchieri di vino bianco, uno di aceto, poi olio d’oliva e olio di sesamo, salsa di soia etc. Tutto secondo il vostro gusto. La marinata deve essere almeno quattro dita e metà dell’intero piatto deve essere immerso. Mescolate dolcemente almeno sei o sette volte. Fate riposare almeno tre quarti d’ora.

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Marinata dell’Invincibile

 Allestite un piatto con tre mucchietti: gamberoni, polpo, tonno. Se c’è ancora qualche acciuga non sciolta (ne avrete messe giusto tre o quattro) disponetela sopra. Aggiungete anche almeno metà delle alghe, scolandole. Spruzzate il tutto con un mestolino della marinata. Ecco la marinata dell’invincibile. ideale per chi combatte battaglie dure, dunque per tutti noi, ogni giorno.

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Insalata dell’Invincibile

2. l’Insalata dell’Invincibile

A pranzo del giorno dopo, vi capiterà di trovare un bel covone di alghe, prezzemolo, basilico, germogli, alghe, etc in una coppa con una splendida marinatura. Bene, sollevate tutto, scolate bene e disponete in un piatto. Aggiungete altri germogli freschi, se li avete, cinque o sei pomodorini tagliati in quattro, aggiustate i sapori ed ecco l‘Insalata dell’Invincibile, davvero buona, croccante, saporita. Sorprendente.

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Spaghetti o Pici dell’Invincibile

3. lo Spaghetto dell’Invincibile.

Ormai a sera, 24 ore dopo aver composto e mangiato la marinata di pesce, troverete in cucina una coppa con dentro il liquido che resta, su cui saranno rimasti due o tre spicchi di arancio e limone. Che fare? Olio d’oliva in una padella, spicchio di aglio schiacciato e gettatevi dentro una decina di pomodorini tagliati in quattro parti, con sale e un po’ di peperoncino. Fateli andare a fuoco alto, ben scottati. Poi aggiungete un velo di farina setacciata nella marinatura, mescolate bene e aggiungetela ai pomodorini. Aggiustate sale e piccante e poi saltateci dentro delle linguine, o dei pici, o degli spaghetti grossi. Vi sorprenderanno, gli spaghetti dell’invincibile. Vi sorprenderà com’è bello inventare qualcosa che fa bene.

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Hamburger di melanzane e acciughe

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Hamburger di melanzane e acciughe

Quando uno è un po’ giù, deve mangiare bene. Anche quando non lo è, a dire il vero. Siamo quello che facciamo, ma anche quello che mangiamo. Solo che pensare e fare è faticoso, mentre cucinare è rilassante. E’ un rimedio straordinario contro il tedio, la solitudine, l’angoscia dell’overload. In più, finito il lavoro, si osserva una cosa bella e, soprattutto, la si mangia.

Le acciughe, nella fattispecie, sono perfette: un poco laboriose da pulire, molto versatili, saporite e appetitose. E costano poco. Dunque, hanno tutto.

Per gli Hamburger di melanzane e acciughe, autentico rimedio contro l’angoscia, il male di vivere, l’ipersensibilità, servono: acciughe fresche, melanzane nere o viola, basilico, peperoncino, aceto balsamico, miele, sale, zucchero di canna, buccia di limone, aglio. Preparazione: tagliate a fette le melanzane, almeno due centimetri di spessore, e cuocetele sulla brace, o sulla ghisa. Innaffiatele bene di aceto balsamico, salate e lasciate riposare un quarto d’ora. Pulite le acciughe (togliendo le interiora) e infarinatele. Friggetele ben croccanti e asciugatele in carta assorbente. Poi passatele, entrambi i lati, in una marinatura fatta di miele, zucchero di canna, sale e buccia di limone grattugiata. Lasciate riposare qualche minuto.

Per allestire gli hamburger disponete nel piatto una fetta di melanzana, sopra metteteci tre acciughe parallele, spargete qualche pezzettino di aglio sminuzzato, poi coprite con un’altra fetta. Per guarnire: un giro d’olio d’oliva, qualche foglia di basilico e due rondelle di peperoncino rosso piccante.

Vi assicuro. Funziona.

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Gelato di patate con ricciola (o salmone)

Gran cena. In basso, la ricetta impiattata (col salmone…)

La ricetta è con la ricciola. La foto è col salmone. Per gli increduli: tentate la variante, non vi deluderà. Ma atteniamoci ai fatti…

Frullate delle patate lesse, a cui avrete aggiunto un cucchiaio d’olio d’oliva ligure o comunque delicatissimo e un paio di cucchiai di philadelphia. Non troppa, saprebbe di formaggio. Una volta amalgamato bene il tutto, abbattetelo di temperatura. Quando sarà freddo e consistente come un vero gelato alla crema fatene una pallina con l’apposito strumento per gelatai (o con due cucchiai) e disponetegli sopra un paio di fettine (o una fetta più grande) di ricciola lasciata a marinare non troppo, massimo venti minuti, in limone, sale, pepe, olio d’oliva, zenzero tritato fine e prezzemolo tritato a polvere.

Ecco il Gelato di patate con ricciola (o con salmone). Tenterete di finire il vostro importante discorso sulla vita, sulla letteratura, sull’avventura del viaggio e dell’amore. Ma non ci riuscirete. I commensali parleranno solo del piatto. Peccato. O no…?!

***

Ragno di mare

l’ultimo che ho preparato. Marsiglia 2013-2014

Poche cose sono buone come il grande ragno di mare, la granseola gigante del nord atlantico. E’ una delle poche offerte dell’oceano che abbiano un senso. Tutti sanno, infatti, che qualunque pesce o crostaceo che venga pescato negli oceani è imparagonabile per sapore e meraviglia al pescato del mediterraneo. Ma il grande ragno di mare dei banchi di Terranova fa eccezione. Cotto al vapore senza romperlo, è poi sufficiente farlo a pezzi con una mannaia e condirlo freddo con prezzemolo e coriandolo in egual misura, limone, sale, pepe, olio d’oliva adeguato. Si mangia sgranocchiandolo coi denti, perché il suo carapace è moribido. Fa letteralmente impazzire. Coadiuva il pensiero, l’immaginazione e inibisce il ricordo.

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Langustine gigante destrutturata e ricomposta

Langustine gigante destrutturata e ricomposta

Qualcuno potrebbe trovarsi a Marsiglia, d’inverno, in una luminosa giornata di maestrale. Potrebbe trovarsi a passeggiare per Rue Canebiere, arrivare al ristorante-mercato del pesce di Toinou, e visitare dietro il palazzo la via del mercato populaire. Troverebbe dell’ottimo pesce, soprattutto crostacei e coquillage. Potrebbe approfittarne e comprare delle Langustine, specie di mazzancolle gigantesche. A casa, una volta sgusciate lasciando la testa, potrebbe trovarsi a tagliarle a fettine, scomponendole, per poi ricomporle su un piatto, come nella foto qui, e marinarle con coriandolo fresco, limone, pepe, sale, olio. Beh, laddove questo avvenisse, direi che farebbe bene. Molto bene

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Cena d’addio

Ebi-Tempura-maki e Kani-maki chez moi

Càpita di doversi dire addio. Càpita che per settimane, mesi, ci si prepari, lo si sappia già, ci si senta pronti. Càpita però che il giorno in cui effettivamente ci si saluta, ci si scopra sguarniti, improvvisamente consapevoli che non c’è ritorno, e che quella cosa che chiamavate disagio ora diventa dolore. Quel giorno, inevitabilmente, bisogna cucinare, festeggiare. Si può festeggiare il dolore? Si deve. Quella fitta al cuore, quel peso dentro, sono la testimonianza che quel che doveva accadere è accaduto, che si è mosso il piede per fare un passo, il primo, su una nuova via. La lacerazione dell’abbandono c’è, e quella nessuno la può evitare. Ma dopo tanto tempo a dolersi immobili, bisogna riconoscere che oggi, stasera, siamo dolenti in movimento.

Per celebrare il nuovo cammino non c’è niente di meglio di una cena profumata, raffinata, appena lunga da costruire, magari mentre il sole tramonta e bevendo una buona Barbera.

Riso per sushi; aceto di riso, zucchero, sale per marinarlo; gamberi di media taglia; alga nori; erba cipollina fresca; cetriolo; maionese fatta in casa con senape; farina e acqua per la pastella; granchio in scatola (se è fresco è anche meglio, va da sé); wasabi, salsa di soia giapponese, succo di limone.

Ebi-Tempura- Maki (maki al tempura di gambero): bollito il riso mariniamolo e facciamolo riposare coperto da uno strofinaccio per una decina di minuti. Poi stendiamolo su un foglio di alga nori appena ridotto di 3 centimetri, poi voltiamolo riso all’ingiù e sentendiamo al centro il gambero fritto in pastella (per tenerlo dritto infilzatelo prima di friggerlo in un lungo spiedino di legno), bastoncini di cetriolo, due fili lunghi di erba cipollina e maionese. Lasciamo le teste fuori dal rettangolo di riso, in modo che una volta tagliati i pezzetti di maki la testa esca, è coreografica. Wasabi per chi chiede di più. Arrotoliamo il tutto con un tappetino di legno, tagliamo trasversalmente per ottenere i caratteristici cilindretti. Disponiamo nel piatto.

Kani-Maki (maki di granchio): prepariamo una polpettina piccola di riso, come facessimo il sushi. Avvoltoliamola in modo cilindrico con la striscia di alga nori di 3 centimetri che avevamo tagliato dal foglio. Il risultato sarà un cilindro di alga per metà riempito dal riso e per metà vuoto. All’interno, con un cucchiaino, riempiamolo di polpa di granchio dopo aver inserito una punta di coltello di wasabi. Disponiamo nel piatto.

Per la salsa: salsa di soia, un cucchiaino della marinatura del riso e un cucchiaino di limone. Wasabi a piacere. (è la mia Salsa Ponzu modificata. Provatela).

Ideale per chi fa fatica a dimenticare ma vive guardando al futuro. Dunque per me.

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Eresia a cena

tonno e manzo con Nebbiolo

Carne e pesce. Per di più col vino rosso. Eresia. Ma in cucina non ci sono regole, solo ipotesi. E la verifica è facile. Allora mettiamo che abbiate fame, che abbiate una persona amata a cena con voi e che quel giorno, quella sera, abbia senso festeggiare (cioé ogni sera utile). Ebbene, quella è la serata giusta per l’Eresia in cucina. Manzo, tonno e Nebbiolo.

Prendete una fetta di controfiletto o della carne che preferite, scottatela da un lato soltanto su una piastra rovente, tagliatela controfibra e lasciatela nella disposizione ordinata della fetta. Conditela con una marinatura di  aceto balsamico buono e denso, un giro d’olio d’oliva (purché non toscano, è troppo forte), aggiungete peperoncino spezzettato, sale e lasciate riposare.

Prendete la fetta di tonno, scottatela dopo averla cosparsa di sesamo e pezzetti di zenzero fresco, tagliatela controfibra lasciandola in assetto e conditela con una marinatura fatta di zucchero, salsa di soia, olio di semi di sesamo, succo di limone. Lasciate riposare.

Mangerete pescando un po’ di qua e un po’ di là, gustando del buon nebbiolo giovane, due anni o poco più. Un’eresia perfettamente funzionante. Come ogni eresia, per altro…

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Tonno di coniglio

Tonno di coniglio

Rosolate in poco olio, aglio, una fetta di limone, menta e origano fresco il coniglio spelato, pulito e tagliato a pezzi. Sfumate a fuoco alto e coprite. Cuocete quanto basta perché il tegame si asciughi quasi del tutto. Fate freddare, disossate con cura e tagliate tutta la carne a pezzi di due o tre centimetri. Prendete un barattolo di vetro, metteteci tutta la carne e coprite bene d’olio, come si trattasse di una conserva di tonno. Chiudete e fate riposare in luogo fresco, o in frigorifero, per un paio di giorni. Servitelo a tavola direttamente nel barattolo. Ideale per le cene fredde, o per una navigazione breve. Perfetto per l’estate, calda e fresca al tempo stesso per l’influenza del grande capo: il Mediterraneo.

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Composta di pomodori verdi e zenzero

 

 

Nei pomeriggi autunnali occorre direzionare il pensiero (solitario) sui sapori. E’ una necessità, un metodo, un antidoto. Dopo aver scritto tutto il giorno, accompagnato dalle ombre cineree dei miei personaggi, mi sono goduto l’ultimo sole e poi mi sono messo a preparare questa composta agrodolce ideale per carni e formaggi.

Ingredienti
1kg pomodori verdi
500 g zucchero
1 limone grande non trattato
zenzero fresco

Preparazione
Lavare i pomodori e sbollentarli per 3 minuti così da poter togliere loro la buccia. Una volta asciugati, si tagliano a rondelle eliminando almeno un po’ di semi, si sistemano in una terrina di vetro o di ceramica insieme allo zenzero tagliato a fiammifero, allo zucchero e alle rondelle di peperoncino rosso piccante. A piacere. Aggiungere anche il succo di un limone. Mescolare ogni due ore finché non andate a domrire. Poi lasciate riposare per la notte.

Il giorno mettete il composto in pentola su fuoco moderato, aggiungete sale in misura di un terzo abbondante dello zucchero utilizzato, insieme a un cucchiaio di mostarda forte. Far bollire rimestando di tanto in tanto per circa un’ora e mezza sino a cottura ultimata.

A composto ancora caldo si potrà mettere la marmellata in vasi di vetro sterilizzati con tappo ermetico e riporli al buio.

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Gli agnolotti del plin (Agnolotti di Lidia)

Capita di avere per amico uno come Ugo Alciati, un maestro. Il suo ristorante a Pollenzo, in Piemonte, è un luogo di sapere. Capita anche che Ugo sia così generoso da darti la ricetta di un piatto mitologico, gli “Agnolotti del plin”. Una grande fortuna. Che condivido.

INGREDIENTI PER 6 PERSONE

Per il ripieno

1 carota

1 cipolla

150 g di lonza di maiale

100 g salsiccia

200 g di arrosto di sottopaletta di vitello

200 g di scarola verde

100 g di spinaci

4 uova

50 g di Parmigiano-Reggiano

20 g di burro

50 cl di olio extravergine di oliva

sale e pepe

Per la pasta

500 g di farina

11 tuorli

1 uovo

80 -100 g di acqua fredda

un po’ di semolino

 

PREPARAZIONE

 

Per il ripieno: soffriggete nell’olio la carota e la cipolla tagliate a tocchetti. Aggiungete

la lonza di maiale facendola dapprima dorare a fiamma vivace e poi arrostendoli a fuoco basso. Verso metà cottura aggiungete l’arrosto di sottopaletta, la scarola e gli spinaci. Coprite e cuocete per almeno 2 ore. Lasciate raffreddare. Nel frattempo fate restringere il sugo di cottura, filtratelo e tenetelo da parte in un padellino.

Tritate le carni finemente. Unite al composto le uova e il Parmigiano grattugiato, aggiustando di sale e pepe.

Per la pasta: setacciate la farina sulla spianatoia, create un incavo e mettevi all’interno

i tuorli e l’acqua. Lavorate energicamente finché non avrete ottenuto un impasto liscio

e omogeneo. Copritelo con un panno umido e lasciatelo riposare per circa mezz’ora.

Trascorso questo tempo staccatene un pezzo e passatelo nella macchina per fare la pasta

iniziando dallo spessore più alto per arrivare a quello più basso e sottile.

Una volta pronta la striscia di pasta, stendetela sull’asse e cominciate a deporre dei mucchietti di ripieno su un lato della striscia, mettendoli a distanza di 2-3 cm l’uno dall’altro. Coprite con il lembo di pasta rimasto libero e fatelo aderire bene.

Usando la rotella dentata, tagliate prima per il senso della lunghezza tutta la fila degli agnolotti ottenuti e poi separateli singolarmente. Ora saldate gli agnolotti uno per uno con un pizzicotto: il famoso “plin”. In attesa di cuocerli sistemateli su un canovaccio leggermente spolverizzato di semolino.

Lessate gli agnolotti in acqua bollente salata per circa tre minuti e mezzo, scolateli e saltateli nel sugo di arrosto, tenuto da parte, con il burro.

Potete servirli in un tovagliolo o in un piatto con un tovagliolo, semplicemente fatti cuocere nel brodo di carne e scolati.

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Nuvola bianca

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Una foto per questa ricetta non ce l’ho. Ho solo questa per mostrarvi la seppia tagliata sottile (senza lardo…)

Il maiale e la seppia. Detta così non suona particolarmente. Se però prendete del lardo e lo tagliate a fettine sottili, cominciate a capire. Se prendete una seppia cruda, la mondate di tutto, delle ali, dei tentacoli, della pellicola che la ricopre, fino a trovarvi davanti il suo scudo pulito e candido, e fate anche lei a fettine sottili, capite ancora di più. Le fette di lardo e quelle di seppia sembrano identiche per consistenza, lucore, candore. Quando le accorperete in una terrina colorata (blu, o anche ocra) con olio, origano fresco, pepe e poco sale, ogni cosa si chiarirà. Un piatto maestoso per profumo e sapore, per consistenza e colore. Un piatto da mangiare da solo, bevendo un buon vino fresco, in una serata estiva, sognando il prossimo viaggio. (Fate solo attenzione quando pulite la seppia. Tolta la sua “pelle” trasparente, dovrete ancora lavorare con pazienza. Ha un’altra pellicola sottilissima. Dovete togliere anche quella. Provate con uno scottex, vi aiuterà molto nel difficile lavoro di… afferrarla).

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Polpettone ai gamberi rossi

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Carni miste, ben tritate. Io ci metto anche un po’ di mortadella, come anche la salsiccia, l’agnello. Poco di tutto, su una base di manzo. Tritato finemente insieme ad aglio (poco), prezzemolo e timo. Aggiungo il bianco dell’uovo sbattuto, quanto basta per legare. Ma il polpettone non è finito qui. Steso a rettangolo su un tagliere, lo riempio di gamberi, solo una fila centrale. Gamberi rossi di Santa Margherita, o di Sciacca. Poi chiudo, ora sì.  Lo rosolo a fuoco medio, tiro appena con un poco di vino, sfumo e poi in forno. Va tagliato a fette solo quando è freddo, ben guarnito del fondo di cottura, oppure con un giro d’olio leggero, ligure, e poco limone. Lo servo tiepido. Ideale per chi non dimentica che veniamo dal mare, che ogni buon cibo ha dentro qualcosa che viene da lì. Dal profondo.

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La “Pizza dell’Anima”
 

Fette di speck sopra la pizza appena sfornata

 Potrebbe capitarvi di fare due passi in un campo e di raccogliere erbe selvatiche. Io mi ci nutro regolarmente. Sono ottime, sane e a costo zero. Basta un libercolo e imparate subito quali prendere. Insomma, doveste fare due passi, raccoglietene. Vi torneranno molto utili più tardi.Rapiti dall’esaltazione gastronomica, forse, impasterete un chilo di farino tipo “O”, olio d’oliva, sale, 50 gr di lievito e lascerete lievitare per due ore almeno. Dopo aver acceso il forno a legna stenderete a mano la pasta, vi disporrete sopra la mozzarella tritata, “gli erbi” (nel Levante ligure si chiamano così) preventivamente lessati e saltati con olio, aglio, peperoncino, sale, e completerete con un giro d’olio ancora. Ormai preda di un formidabile appetito infornerete con fuoco a fiamma viva e, una volta cotta, estrarrete la pizza guarnendola con fette di speck tagliato abbastanza fino. Ecco la “Pizza dell’Anima”, invenzione perfetta per sapori ed estetica. La mangerete con calma, di sera, bevendo birra messicana, conversando con la vostra compagna di viaggio.

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Gamberi alla giovanni (modificati)  

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Avverrà, un giorno. Farete scalo a Ponza durante un trasferimento. Una serata ponzese delle migliori, con la luna a mostrare appena l’increspatura delle Formiche e la mole di Zannone. Darete àncora e chiamarete (forse) il vostro caro amico Oreste, il Kandinski della cucina di mare. Accorrerà Antonio, certamente, a prendere la cima del tender e ad abbracciarvi. Sarà autunno, e sull’isola saranno doppiamente felici di vedervi.Oreste avrà già chiuso i battenti del suo mitico ristorante , ma non vi lascerà certo a piedi per questo. Vi porterà da un giovane cuoco, uno che lui stima. Mentre starete prendendo posto a tavola lui sussurrerà qualcosa al suo orecchio. “Fagli due gamberi dei tuoi…” Vi capiterà così, per caso, di conoscere una ricetta semplice e geniale, una delle poche ricette non mie che talvolta ripeto (pure modificandola, come al solito…).Pulite dei gamberi rossi medi lasciando le teste (vedi foto sopra). Incideteli sulla schiena per farli aprire in modo grazioso durante la cottura. Spolverateli di prezzemolo tagliato finissimo, poi di limone, sale, pepe e olio ligure (nell’ordine). Lasciate marinare venti minuti, poi coprite bene di pan grattato, giro d’olio ancora e in forno. Forno caldo ma solo nella parte superiore, tipo grill. Posizionate la teglia a metà, quasi in alto. Il segreto di questa ricetta è sfornare appena il pane si brunisce. I gamberi resteranno mezzi cotti e mezzi crudi. Sublime.24122006447

Ecco che i “Gamberi alla Giovanni”, che vanno rifatti anche seguendo la ricetta originale, che già così sono un piatto praticamente perfetto, saranno diventati una sorta di paranza ideale (vedi foto a lato), una  gratinata mista a modo vostro, un piatto ecumenico, sunto dei vostri gusti mediterranei. Uno splendore. Da condividere con qualcuno, non con tutti. Gente che sappia perché va usato l’olio ligure e non quello toscano. Gente che abbia le basi del gusto. Se avete amici che non ne hanno, per favore, non fateglielo questo piatto. Anzi, non frequentateli del tutto.

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Involtini del marinaio

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 Capita di atterrare dopo una lunga rotta, magari i primi di marzo. Si prende l’ormeggio e ci si butta in branda. Il sonno dopo una lunga navigazione in solitaria è il più dolce e profondo che esista. Barca al sicuro, rotta compiuta, tanta stanchezza. Al risveglio, magari a pomeriggio inoltrato, sarà piacevole andare a fare la spesa per concedersi una cena di tutto rispetto. Buon cibo per un buon marinaio. Ecco un esempio, tratto qualche anno fa da una analoga situazione:Sovraccosce di pollo, gamberoni black tiger, peperone, prezzemolo (meglio ancora coriandolo), carote, olio, sale, pepe. Disossate le sovraccosce, togliete il guscio ai gamberoni (lasciate la testa e pulite le verdure, tagliandole alla julienne, sottili.23112006391

In un tegame con un filo d’olio d’oliva, fate andare due fettine di limone sottili. A olio ben caldo, aggiungete gli involtini, rosolate, poi coprite dopo aver spruzzato di vino.Questo buon piatto, seguito da vino rosso leggero, può essere assaporato meglio caldo-tiepido. Fa dimenticare il graffio del mare e l’ululato del vento. Riempie bene i piccoli interstizi che la felicità per una buona rotta ha lasciato inavvertitamente vuoti.

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Buillon di spada

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  Ci sono cose che vanno provate. Una di queste è il buillon, che qui propongo per il pesce spada, ma che è ottimo (forse ancor meglio) per il tonno rosso. Pesce spada, spezie fresche secondo il proprio gusto (qui io uso cipolla rossa o bianca, zenzero, aglio, prezzemolo, timo, rosmarino, salvia, peperoncino rosso), vino, limone, olio d’oliva. Sfilettate e pulite bene il pesce, poi tagliatelo a fettine sottili controfibra. Stendete le fettine su una fiamminga larga. Preparate in un tegame il buillon tritando grossolanamente tutte le spezie (tranne il limone, che va fatto a rondelle sottili) e facendole appassire senza che si colorino. Poi aggiungete una generosa dose di vino e fate sobbollire fino a che se ne ritiri la metà (del vino). Versate il buillon bollente sul pesce. Chi amerà il pesce crudo lo mangerà subito. Gli altri dopo qualche istante. A tutti però parrà di aver sempre mangiato questo piatto, leggero, profumato, gustoso.

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Uramaki California 

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L’altra sera ero un po’ giù per questioni mie, e ho pensato di prepararmi una bella cena. Per tirarmi un po’ su. Il cibo è il miglior compagno della gioia e del dolore.Tra i cibi che preferisco c’è la cucina giapponese. Per raffinatezza e varietà è l’unica che possa essere messa al confronto con la nostra. Il problema è che mangiarla al ristorante costa un occhio della testa. Ecco perché, fin dal mio primo viaggio in Giappone nel 1986, l’ho a lungo studiata. Per prepararmela ogni volta che volessi, a basso costo.Gli Uramaki sono degli involtini di riso e alghe ripieni di pesce e verdure. Li vedete in primo piano nella foto, quelli bianchi. La preparazione non è semplice ma sono una delle cose più buone al mondo. A seconda della farcitura hanno nomi diversi. Qui raccontiamo i California:

  • Cuocete 400 gr di riso con l’apposito bollitore orientale (costa 35 euro, è necessario comprarlo. Altrimenti bollite il riso in acqua pari a una volta e mezza il suo peso. Ma attenzione, non è la stessa cosa). Fatelo marinare per mezzora, ben coperto da uno straccio, in una soluzione di aceto di riso (una coppa da té), zucchero (due cucchiai), sale (un cucchiaio raso), che avrete precedentemente stemperato mescolando.
  • Tagliate a metà un foglio di alga Nori (sono alghe tostate, che vengono vendute in fogli sottilissimi e croccanti), stendetelo su un tappetino di bastoncini (quelle specie di tovagliette all’americana, fatte di stecchini stretti e flessibili) e cospargetelo di riso su tutta la superficie. Spolverate di semi di sesamo non tostati.
  • Voltate il foglio di alga Nori, col riso verso il basso, sul tappetino, e posizionate per il lungo (cioé nel senso dei bastoncini del tappetino) due mezzi gamberi cotti e sgusciati tagliati per il lungo, pezzetti di granchio cotto e sgusciato, due fili di erba cipollina, due striscioline di cetriolo senza buccia, due striscioline di avocado senza buccia, un giro di maionese.
  • A questo punto arrotolate il foglio, a chiudere la farcitura, servendovi del tappetino di bastoncini, che avvolgerete su se stesso per produrre un cilindro di riso. Schiacciatelo bene perché si compatti.
  • Prendete il cilindro e tagliatelo trasversalemente, cilindrini grandi come un boccone.
  • Posizionate i cilindrini appaiati a due a due su un bel piatto (il colore e la forma del piatto indicano il gusto del cuoco e fanno parte integrante della ricetta). Mangiate intingendoli appena in una soluzione di salsa di soia, qualche goccia di limone, wasabi ben stemperato.

Non aspettatevi di riuscire in questa ricetta prima di averla provata e riprovata molte volte. Non è un piatto semplice. Però è buonissimo, ne mangerete a chili e spenderete ben poco rispetto al ristorante. Si può fare!

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Catalana di granchio soft-shell

dicembre 012

Comprate del buon granchio fresco, oppure del granchio surgelato (nei negozi multietnici ce n’è di ottimo a basso costo). Se non è già a pezzi, rompetelo con una mannaia. Cuocetelo al vapore il meno possibile (deve essere cotto ma non più del necessario. Quando cambia colore e la carne diventa bianca è pronto).

A parte pulite sedani, finocchi, qualche pomodoro, cipolla di tropea. Sedani e finocchi fateli a striscioline molto piccole e sottili, lunghe sei o sette cm. Mettetele nell’acqua fredda e lasciatecele per qualche ora. Serve a renderle turgide e arricciate. Scolate bene e condide con abbondante sale, pepe, olio d’oliva sul genere toscano e umbro. Mescolate bene e lasciate dieci minuti a insaporire.

Prendete un piatto largo (foto) , disponete il granchio per bene e coprite con le verdure. E’ un piatto ricco, seplice, mediterraneo, delizioso. Serve a celebrare e a dimenticare. E’ ideale per sognare.

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Cerchi nel mare

Gamberi rossi, seppia di medie dimensioni, una patata, pan grattato, prezzemolo, limone, pepe.

Tritate al coltello i gamberi rossi sgusciati. Pulite bene la seppia, toglietele tutta la pellicola da sopra. Fate a strisce sottili e poi tritate al coltello. Lessate una patata e schiacciatela. Accorpate mezza patata ai gamberi e alle seppie, separatamente (la patata deve essere la metà circa della quantità del pesce) insieme a un filo d’olio e a qualche goccia di limone. Pepe in abbondanza. Le teste dei gamberi spremetele nel pan grattato, aggiungete un filo d’olio e amlgamate bene.

Con gli stampi (o a mano) create dei cerchi sul genere degli hamburger, di massimo due centimetri di spessore. Sovrapponete uno di seppia a uno di gamberi. Sopra stendete un generoso strato di pan grattato condito. A grill bollente infornate fino a che diventa croccante il gratinato. Si associa bene con un’insalatina leggera di carciofi tagliati fini, solo con una spruzzata di olio e limone. Fa bene a chi sogna il mare, in una fredda e piovosa giornata d’inverno.

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14 pensieri su “Cibo

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  3. Pingback: Tonno marinato Fusion (Giappo-Mediterraneo) – La Cucina dell'Anima

  4. Ricette bellissime e promessa di vere delizie…
    E io che pensavo di parlare con una persona che solo sfiorasse la cucina e si occupasse di ricette basiche per chi naviga con piccole barche e si sazia di mare ed amore…
    bravo, Simone! e perdona l’ingenuità!

  5. Grazie per condividere le ricette, vado subito in pescheria x iniziare a sperimentare….forse qualcuna la userò per il nuovo menu’!

    • Fammi sapere! In qualche circostanza qualche ristorante le ha proprio usate nel suo menù, o come “fuori menù”. Anche un ristorante molto importante, di cui non faccio il nome. Cosa che mi ha molto lusingato. In bocca al lupo!

  6. Anche io come Pierre sono rimast colpita dal concetto di taglio. Quella sorta di melancholia mista alla festa che la novità presuppone. Le ricette sono interessanti, mediterranee senza restringersi al locale (La sorte ci scampi dai diktat del ‘si fa così’ ),
    Bloccata in casa da una bronchite, guardando dall’alto il mare di Liguria (dove vivo e lavoro), vado in sperimentazione.. Grazie

  7. Pingback: Dolenti in movimento – lapalacinca

  8. Quanta risonanza con queste parole: “Càpita di doversi dire addio. Càpita che per settimane, mesi, ci si prepari, lo si sappia già, ci si senta pronti. Càpita però che il giorno in cui effettivamente ci si saluta, ci si scopra sguarniti, improvvisamente consapevoli che non c’è ritorno, e che quella cosa che chiamavate disagio ora diventa dolore. Quel giorno, inevitabilmente, bisogna cucinare, festeggiare. Si può festeggiare il dolore? Si deve. Quella fitta al cuore, quel peso dentro, sono la testimonianza che quel che doveva accadere è accaduto, che si è mosso il piede per fare un passo, il primo, su una nuova via. La lacerazione dell’abbandono c’è, e quella nessuno la può evitare. Ma dopo tanto tempo a dolersi immobili, bisogna riconoscere che oggi, stasera, siamo dolenti in movimento.

    Per celebrare il nuovo cammino non c’è niente di meglio di una cena profumata, raffinata, appena lunga da costruire, magari mentre il sole tramonta e bevendo una buona Barbera.”

    grazie!
    adesso a me scegliere la ricetta 😉

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