Esiste. Sta lì…

Quasi tutto ciò che frena la nostra vita risiede essenzialmente nel limite che noi diamo a essa. E non in sede teorica, ma partendo proprio da noi, da chi siamo, da quali sono i confini definiti dal nostro perimetro esistenziale.

Dunque noi non “diventiamo” per due ragioni, entrambe dirimenti:
la prima è che non conosciamo quei confini, cioè non abbiamo cognizione (consapevolezza) dell’estensione e del termine delle nostre facoltà;

la seconda è che, comunque, non consentiamo a ciò che ci riguarderebbe di avvenire, cioè lo amputiamo.

Sono convinto che entrambi i fattori siano sotto la nostra responsabilità, perché dipendono uno dalla mancanza di un percorso di conoscenza di sé, che impedisce l’investigazione del perimetro…. E l’altro dalla disabitudine/incapacità di immaginazione, e dunque di ambizione.

Ma il mondo possibile a cui avremmo accesso in assenza di questi due limiti c’è. Sta lì. Solo che noi non lo concepiamo, dunque non lo cerchiamo.

(NB. Per gli amanti della Meccanica Quantistica, quanto sostengo qui sopra (e racconto ne “Il Quoziente Umano“) è analogo alla “Teoria delle Variabili Nascoste” elaborata dal fisico americano David Bohm (letta e conosciuta dopo aver scritto il mio romanzo. Cosa abbastanza inquietante…).
La sua teoria è semplice (almeno per come la spiega Carlo Rovelli): la funzione d’onda ψ esiste, ma esiste anche l’elettrone fisico, il quale ha sempre una posizione ben definita. Se l’onda ψ segue l’equazione di Shrödinger, l’elettrone si muove invece nello spazio reale, dunque l’interferenza quantistica è dovuta all’onda ψ ma l’oggetto fisico è sempre in una sola posizione: il gatto del noto paradosso di Shrödinger è vivo oppure è morto, non entrambe le cose contemporaneamente. E tuttavia, se il gatto è in un solo stato, nell’altro stato c’è una parte dell’onda ψ che produce interferenza.
Esisterebbe dunque, anche sotto il profilo della fisica quantistica, un universo parallelo inosservabile, e che forse non è solo il prodotto della nostra angoscia di fronte all’indeterminatezza).

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Il Quoziente… Radicale

Le cose che mi piace fare

Un’intervista sul mio nuovo romanzo “Il Quoziente Umano” (Mondadori) con Emilio Targia, un giornalista esperto, colto, mio coetaneo (cosa non irrilevante…) che da 7 anni parla con autori letterari in profondità, cercando di andare oltre la semplice routine dialogica.
Il tentativo vero di comunicare su idee, intuizioni, tecniche narrative, racconti. E così anche io, da questo lato del microfono, sembro dare qualcosa di più.

Giudicate voi.
Buon weekend a tutti.

Per sentire l’intervista cliccate sull’immagine qui sopra, oppure QUI.
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“Il Quoziente Umano” su LA7

Intervistato a Omnibus, di LA7, stamattina, per presentare “Il Quoziente Umano” e poi parlare di Mediterranea, di ambiente, di identità, di scelte.

Buona visione.

Cliccate sulla foto oppure QUI per vedere l’intervista.

 

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Quanti siete voi…

Esiste, ciò che non stiamo osservando? Se lo chiedevano già i primi filosofi. Poi, un secolo fa, uno scienziato affermò che proprio osservando modifichiamo tutto. Dunque non vediamo ciò che non osserviamo (proprio perché non lo stiamo osservando) e neppure ciò che osserviamo. Ma allora la realtà qual è? E noi, cosa siamo?

Stamattina presto, leggendo i giornali, tra guerre, suicidi, disabilità calpestate, diversità negate, rischi sempre più incombenti per noi, l’ambiente, la società… riflettevo sul mio romanzo, che esce domani. “Il Quoziente Umano“, il risultato esistenziale di una divisione. Il primo romanzo della storia in cui il protagonista si divide in due, si separa, giacché non era uno ma due. Forse anche più di due. Nessuno di noi è uno soltanto, del resto, che lo sappiamo o no, che lo accettiamo o no. E la teoria dei Molti Mondi della Meccanica Quantistica arriva ben dopo la sensazione della molteplicità già indagata dalla filosofia, e che ogni animo sensibile conosce di sé.

Mentre riflettevo su questo, ho alzato gli occhi e ho visto l’Egeo, steso, serafico, di fronte a me, ai piedi di quest’isola. Il mare ‘non amico’, “complice delle nostre irrequietezze” (J.Konrad). Proprio lì, in mare, qui davanti a quel capo, il “Politropon” (come Omero chiama Ulisse nel primo verso dell’Odissea), cioè l’uomo multiverso e molteplice, fu strappato alla sua rotta da una burrasca. E per i dieci anni a seguire le sue anime combatterono tra tornare e vagare, tradire e mantenere fede, essere curioso o focalizzato, resistere o morire. Il genere del romanzo nasce dunque per indagare la molteplicità umana, il suo multi-verso, i suoi molti mondi. Un’Odissea diversa per ognuna delle sue scelte. Proprio come per noi…

E allora ho capito che nel caos del mondo, anche dove tutto sembra perduto, c’è ancora spazio, e senso, per un romanzo. La disciplina scientifica non può che studiare ciò che è misurabile; la religione ciò che non lo è (e si può credere solo per fede); e allora spetta alla letteratura, all’arte, l’indagine più importante: quella sull’uomo. Su di noi. Le nostre vite.

Alberto, Luca, Luise, i protagonisti di questa storia, avranno domani la loro burrasca, come Odisseo a Capo Malia. Verranno separati per sempre da me, che sono stato il loro unico destino fin qui. Per mille vie, distrarrete la loro realtà. Perché un romanzo non esiste (come la realtà) se non lo stai leggendo. E tuttavia, leggendolo, il lettore lo modifica, lo scrive, perché coglie, sceglie, chiude il cerchio con i suoi occhi (U.Eco). Dunque non un solo romanzo esce domani, ma dieci, mille, centomila romanzi. Quanti siete voi. #ilquozienteumano

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Autenticità come meta. Partendo (“L’Altra Via”, Solferino Libri)

 

Bella intervista realizzata dalla testata “Crescere Informandosi” (che ogni tanto diffonde cose che non condivido affatto, ma ogni tanto sì, e ci sta).
Brava soprattutto Alice Fassari a stimolare i punti più interessanti e a farmi parlare, resistendo stoicamente alla mia (consueta) straripante retorica dialogica.

Buona visione.

#laltravia

 

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Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e barba

Ieri diretta Facebbok dei “Dialoghi Mediterranei“. La prima dopo l’incontro a Catania.
In due ore, sono uscite alcune cose interessanti.
Ne sottolineo due:

siamo troppo clementi (colpevolmente) con ciò che ci limita (“eh, io sono fatto così…”) e che dovremmo invece inclementemente lavorare e modificare, e poi diventiamo invece inclementi riguardo ciò che facciamo (“Sono fallito, non ce l’ho fatta!), cioè il risultato della nostra azione. Ecco, la vita funziona esattamente al contrario: dobbiamo essere duri con noi stessi, non perdonarci se non dopo mille tentativi veri, e poi considerare tutto ciò che accade come un successo. Fosse anche solo un metro il percorso fatto, è sempre una cosa che non c’era e che noi abbiamo fatto impegnandoci. “Eh ma io volevo arrivare laggiù!”. E chissene frega, sei arrivato lì invece che laggiù, bravo! Goditi tutto il tuo metro percorso!

Ci poniamo il problema su ciò di cui non abbiamo il controllo (i fulmini, le malattie, i fenomeni…) e non facciamo il 100% di ciò su cui il controllo lo abbiamo, perché è nel nostro perimetro di pensiero e azione. Perché?

Unite i punti e trovate il nostro identikit, tutto costruito per darci l’alibi di non impegnarci, non faticare, non andare.
Capite che, dopo questo approccio, prendersela col governo, con la politica, con le major, coi complotti, è solo l’ennesimo alibi?
Duri nel giudizio verso il mondo si diventa DOPO aver fatto tutta la nostra parte. NON prima.
Prima, la nostra critica è senza peso, patetica. Può convincere la gente distratta, ma non i filosofi.
(Per rivedere la diretta di ieri, cliccate qui. È registrata: https://www.facebook.com/events/1434390520630607?ref=newsfeed) 
Tutte le reazioni:

Emil Cè, Michele Zaggia e altri 13

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Il “Racconto di Catania” (Dialoghi Mediterranei)

Per chi l’ha visto e per chi non c’era. E per chi quel giorno lì, inseguiva una sua chimera…

Il “Racconto di Catania“, cioè una sintesi, lacunosa, parziale, incompleta, come tutte le sintesi, come tutti i racconti… Però forse anche perfetta così: per essere vista, per dare quanto meno un profumo, per far passare almeno l’azione.

Due giorni di filosofia applicata: domande, bivi delle vite di tutti noi, paure, energie, identità. Scelte.
Per potersi dire che l’autenticità è laggiù, almeno visibile, perseguibile. E per vivere.

Grazie a Carla De Meo, che ha girato, rivisto, montato. Un regalo fatto a tutti noi.

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Il Quoziente Umano (dal 18 aprile)

Ed eccolo qui. Il mio nuovo romanzo, il primo scritto sull’isola.
Si intitola: “Il quoziente umano“. È il mio diciannovesimo libro.

Uscirà nella SIS, la collana letteraria di Mondadori, un onore. Da ieri è già prenotabile sulle principali piattaforme.

Inizia il viaggio (anche se fisicamente sarà in libreria il 18 aprile).

———————-

Su Mondadori: https://www.mondadori.it/libri/il-quoziente-umano-simone-perotti/

 
Su Amazon: https://www.amazon.it/quoziente-umano-Simone-Perotti/dp/8804765364/ref=sr_1_1?keywords=il+quoziente+umano&qid=1679903137&s=books&sprefix=il+quoziente+um%2Cstripbooks%2C287&sr=1-1
 
Su IBS: https://www.ibs.it/quoziente-umano-libro-simone-perotti/e/9788804765363?queryId=3fe71ac25a2e76f82b4439d7249d9957
 
(ma se andate dal vostro libraio, potete prenotarlo anche da lui)
 
#quozienteumano
 
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Ho scritto questo romanzo in modo del tutto diverso dal solito. Io vado alla ricerca, vado a caccia delle mie storie, abitualmente. Questa storia invece mi è venuta a cercare. Anzi, mi ha investito. Tanto che sulle prime non l’avevo riconosciuta. Ho dovuto scervellarmi nei suoi meandri per capire che, forse, era più mia di qualunque altra“. (Simone Perotti)
 
Solo recentemente, studiando alcune delle scoperte dei fisici teorici Heisenberg, Born e Jordan (dalle sovrapposizioni quantistiche, alle interferenze, dai gatti di Schrödinger, alle teorie dei Molti Mondi), mi sono reso conto che avevo scritto un romanzo molto meno fantasioso di quello che potevo pensare. Mentre approfondivo mi venivano i brividi. Avevo iniziato “Il quoziente umano” due anni prima”. (Simone Perotti)
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Occasioni per le emozioni

La questione è questa: se una barca in navigazione, in altura, lontana dalla costa, imbarca acqua, che si fa? Verrebbe da dire che bisogna subito mettersi lì col secchio e sgottare acqua in modo che non affondi. E invece no.
Il comandante dovrà anche predisporre l’estrazione e lo sbarco dell’acqua, che pesa sullo scafo, riduce il galleggiamento… ma prima di ogni altra cosa deve capire da dove entri acqua.

E questo abbiamo fatto a Catania l’11 e 12 febbraio scorso. E per farlo, fuor di metafora, abbiamo usato lo strumento principe, il più preciso, eppure tralasciato e dimenticato: la filosofia. Quella vera però, non la storia della filosofia, non la citazione continua dei filosofi per mostrare la propria cultura (l’ego…), non le letture dei filosofi (che pure sono così preziose…)… ma il nostro pensiero, la nostra capacità di ragionamento, l’ausilio straordinario che ci offre l’ordine dei pensieri, la concatenazione delle idee, l’organizzazione di una logica che prenda la realtà, ne sparga i pezzi su un grande tavolo, tenti di capire ognuno a che serve (col pensiero e con l’emozione) e provi a rimontare tutto.

Com’è andata? Be’, è andata in modo sorprendente. Perché di solito non si tiene l’attenzione (secondo i manuali) per più di venticinque minuti. Di solito stanchezza, disinteresse, distrazione, leggerezza, mancato ascolto prendono il sopravvento. Di solito acciuffiamo se va bene un concetto, forse due, ma il resto scorre. Di solito non c’è interazione, non c’è dialogo… E invece noi abbiamo fatto il contrario. Ho parlato un totale di undici ore più i dialoghi nei tempi morti. Pannella quando faceva ostruzionismo in Parlamento, mi spiccia casa. Il fatto è che mentre parlavo, mentre parlavamo, non volava una mosca. E non perché io sappia fare l’impossibile (5 ore e mezza di fila, una sola pausa di quindici minuti + altrettanto il giorno dopo NON consentono di pensare a doti taumaturgiche del relatore, è del tutto impossibile. Io ho fatto il mio, ma…) ma perché tutti voi siete venuti lì in modo autentico, autentica brama, con fame vostra.

Tempo speso per costruire emozione, comprensione, riflessione. Pit-stop per riprodurre energia, entusiasmo, ottimismo. E propedeuticità, soprattutto: la società va sempre peggio, dunque che faccio? Sgotto acqua per non affondare? Oppure cerco la falla? Non si va come volontari alla mensa della Caritas se la nostra barca fa acqua. Non si va lì (ma sì certo si va, e le cose si possono fare contemporaneamente, solo che qui il problema è che nella migliore delle ipotesi si va SOLO lì). Ci si occupa per tutto il tempo dello scafo, lo si passa con le dita centimetro per centimetro. Si cerca la causa.

Senza quella, tu puoi fare quello che vuoi per aiutare gli altri, e certamente puoi dare un prezioso contributo. Ma la società continuerà a essere quello che è perché tu continui a essere quello che sei. “Noi”, senza “te”, è sempre nei guai.

(Foto di Ernesto Stucchi)

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“Dialoghi mediterranei” su La Stampa

 

Ecco il pezzo che ho scritto sui “Dialoghi mediterranei” e che è stato ospitato oggi tra le pagine di Fabio Pozzo su La Stampa.

Clicca qui per leggere l’articolo.

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