È tutto lì. Per voi.

Il libro che segue “Adesso Basta“, dopo dieci anni, è “Rapsodia mediterranea“. Dieci anni dopo quel libro, oltre undici e mezzo dopo le scelte che l’avevano generato. Un traguardo importante, per me.

L’ho scritto per molti motivi, con molte entrate, ma anche, certamente, come tributo a tutti voi che avete letto “Adesso Basta” e vi siete incuriositi, appassionati ai temi del cambiamento. E soprattutto a tutti coloro che da quel libro, o a causa di quel libro o sotto lo stimolo potente di quel libro hanno effettivamente preso in mano le loro vite, hanno cominciato a lavorarci su, e poi un giorno mi hanno scritto (in quasi 400 mila…): “Dopo anni che… domani vado…”.

L’onore e la responsabilità sono stati quotidiani, in questi dieci anni, perché quel flusso di comunicazioni con lettori sconosciuti non è mai venuto meno. Tanto che a volte con qualcuno mi sono schermito, ho minimizzato. Eppure prevale sempre l’orgoglio di aver gettato un seme, di aver detto quella parola-chiave, di aver toccato un nervo scoperto autonomamente.
Per questo in “Rapsodia” racconto anche molto di quel che è stato della mia vita in questi anni di libertà. Sono morto di stenti? Sono riuscito a trovare soluzioni ai tanti problemi che pone il vivere diversamente? Come ho fatto coi soldi, con la famiglia… Ma soprattutto, una volta “libero di”… com’è andata? Tornerei indietro? Andrò avanti?

È tutto in quelle pagine. Che contengono molto di più, ma certamente anche tutto questo. Per voi. Buon viaggio.

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Su “Il Cambiamento”

«Io non faccio del male a nessuno. Non sono affatto un estremista. Cerco solo di darmi delle regole prima che me le dia qualcun altro. Io nel meccanismo del potere ci vivevo, e l’ho trovato scontato, ripetitivo, banale. Ho preferito perdere quel po’ di potere che avevo per vivere secondo regole mie. Questo non può essere definito estremismo, semmai consapevolezza»

Bella e lunga intervista a “Il Cambiamento” sulle mie scelte e sui miei progetti raccontati nel libro “Rapsodia mediterranea” (Mondadori). Il Cambiamento è una delle poche riviste online che insegnano, fanno riflettere, informano.

Grazie a Paolo Ermani.

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Alla ricerca del Nostro Mondo

Clicca sulla foto o sul link qui sotto per vedere il video

Storia di un grande amore (il mare) e di una ricerca lunga e importante: quella di un Nuovo Modello di Vita. Presentazione integrale di “Rapsodia mediterranea” (Mondadori) a “La Linea d’Ombra” splendido salotto letterario di Roma.

Buona visione.

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Ogni volta

La vita feroce, inconcepibile, nell’aria del pomeriggio di un coacervo di fili che vedi tutti, con chiarezza, sapresti dare un nome a ognuno se ce l’avesse, ma non sapresti tirarli, diluito come puro glutine nel languore di vedere di fronte a te tutte le vite possibili, senza il tempo per riuscire a viverle, così, proprio così: tu lì in quel bar, in questo quartiere, un barrio del Mediterraneo, che ti alzi, saluti, torni in un appartamento vuoto, ammobiliato, in parziale disordine, in affitto, sai siamo qui temporaneamente, ma pensiamo di andare fuori città molto presto, ma lo sai che starai lì per il tempo necessario a impegnare tutta la tua vita, quei mobili, quel divano, Valencia, ma se fosse stato Palermo o Marsiglia, sarebbe stato lo stesso, te ne ricordi a Ballarò, dico bene? come al Panier, o quel pomeriggio a Beirut, quella tarda mattina a Tunisi, e quel tempo lungo senza fine nel calore parossistico di Atene, erano prove riuscite, non cercate, prefigurazioni, anche se poi la tua vita è una, quella, per quanto variegata di molti cambiamenti, e non poterle vivere tutte, condannato però a sentirle, capirle, annusarle tutte, è struggente, fa sgranare la ruota del cuore nel dente rotto del destino, come il calore anomalo, troppo precoce, di questa primavera, che qui, oggi, in Spagna, fa schiudere, torce i petali croccanti dell’immedesimazione, schiocca sordo di ovattato sentimento del tempo, perché in quella piccola piazza c’è quel giorno sotto alla redazione di El Mundo, a Madrid, immagino che tu sappia di cosa sto parlando, o a Brera, affacciato alla finestra, o a San Lorenzo, permanenze di impressioni che sembrano macchie di caffè su una tovaglia di lino grezzo, ineliminabili, ipotesi a cui non è stato possibile dare un seguito, anche se non era necessario nei contenuti, ma nel tempo sì cazzo, non la mancanza del tempo, ma la sua univocità, perché le vite le puoi comprendere perfettamente, con la precisione millimetrica che ogni volta ti spaventa, perché è esaustiva nonostante le manchino pezzi, ma il tempo per evolverti in esse, per svilupparle, quello non ce l’hai, e aveva ragione Leopardi, capire è assai peggio di ignorare, cazzo se lo è, la maledizione è esattamente quella: vederti, senza poter vedere con quegli occhi, cioè un’immagine di te solo da fuori, solo di te che guardi te, non di te che sei guardato da te, che è come sentire il profumo quando hai fame, senza poter mangiare, maledetta fame, di vita, di storie, di amore, di destini, tutti dentro di te, da Pessoa e Conrad. Con una vita soltanto.

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Qualcosa di preciso su di te

Un giorno un amico che sta disarmando un’attività edile mi regala un verricello elettrico. Solo che io ho un bosco che nemmeno De Niro in Mission. Una proda scoscesa, selvaggia. Ee poi dove lo ancoro? E poi come lo uso, riuscirà a trascinare tronchi senza una slitta o qualcosa del genere? E poi dopo aver penato per trovare il modo di fissarlo, se non ce la facesse, se fosse tutto sforzo gettato via? Però quel verricello sta lì, mi guarda ogni volta che passo dall’officina. Un giorno, guarda…

E quel giorno arriva, anzi, quel giorno e mezzo che ci vuole per tentare. Ho tre fasce da albero di barca, me le ha regalate un amico di un cantiere. Forse con quelle… Poi mi serve una verticale… ho una schiena di ponteggio vecchia e arrugginita, ma solo fuori, dentro è sana… solo che: come lo alzo da solo!? Con i miei bozzelli da vela posso fare due paranchi, con una mano sollevo, con l’altra isso. Pesa come un assassino, ma le leve aiutano l’uomo. Un giorno sano per studiare tutto, preparare la struttura, poi issarlo, fissarlo, abbozzare un timido collaudo. Mi serve una leva per far lavorare verticale il cavo. Quello spezzone di catena, dov’è? E un moschettone da pastecca. Due viti, prima il buco. Ecco…

Faccio un nodo di bozza al tronco, lascio un’asola, aggancio. Provo. Ecco che qualcosa accade. Si muove! Però sforza, devo interrompermi varie volte per migliorare l’angolo, il tiro verticale, la stabilità, le cime con cui assicurarlo man mano. Ci metto molto tempo, è diseconomico forse… almeno il primo recupero senz’altro… ma gli altri vedrai che… Insomma.

Ci pensi. L’idea ti solletica. È buona, piano piano vedi che non se ne va, quindi ne diventi certo. Solo che… e poi? E se non…? E se alla fine dopo tutto ‘sto sforzo…? Ma la vita è così: se sei fatto per mettere su quel dannato verricello e recuperare tronchi di dieci metri da un salto di cinquanta in verticale, alla fine lo fai. E se non lo fai era meglio così, perché certamente vuol dire che non sei fatto per recuperare da solo dei tronchi in un bosco. Il problema è solo conviverci, perché ti eri fatto l’idea che anche tu… i tronchi… i trapper che vedevi leggendo Zagor

Le cose, quando accadono, hanno soprattutto un valore: illustrano. Ma è un valore enorme, attenzione. Perché dopo che hanno mostrato qualcosa non hai più alcun ragionevole margine di dubbio. E lì svolti, prosegui o cambi strada. Ma tutto avanza di un passo, libera spazio al nuovo, rende atto il futuro. Per questo occorre fare. Giusto pensare, studiare, progettare ma poi bisogna fare: perché illustra a te qualcosa di preciso su di te

Tanto che chi non fa mai (non fa una festa, non fa una cena, non legge, studia, non ama, non ha un progetto da realizzare, non rompe quell’indugio specifico, non cambia…) non è che non faccia per qualche ragione, per impedimenti, o perché gli manca un dito, o per inettitudine, o per pigrizia, o perché “a me m’ha rovinato la malattia”. Non fa per paura. Di che? Di guardare in faccia, bene, chiara, netta… quell’immagine. Di sé.

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L’élite della sensibilità

In margine all’articolo di Baricco sullo “scollamento tra élite e gente”. Con un brano di Pasolini per darci una mano.

Chi urla sa finalmente chi è, sa come si chiama: è un Arrabbiato. Chi non urla, chi non dà di matto e non dà per assunto che dare di matto sia lecito, legittimo, perfino trendy… cos’è?
Ecco. È membro della Nuova Élite. Candidato, che lo voglia o no, a capire, elaborare, agire.

Quando tutti sbroccano, quando la società dà la stura ai suoi liquami intellettuali più maleodoranti, quando per le vie invase di cassonetti in fiamme c’è chi si bea, si sente a casa, e con l’alterco sul web o l’eccesso sui social prova una sorta di appartenenza… Quando la pressione è tale che deve sfogare necessariamente nel non ascolto, nelle liturgie delle frasi fatte e delle definizioni eterodirette, insensate, brutte, ripetute… Allora chi ne ha ancora, chi non è ancora esaurito, chi ha mantenuto o raggiunto finalmente un briciolo di equilibrio deve salire al potere col pensiero, deve elaborare strategie, soluzioni, visioni. Per sé, almeno. Anche se ogni volta che si usa la mente, che si usa il cuore, non è mai soltanto per sé.

Buona visione.

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(Re)Visione

Su questi ragionamenti, comunque, dobbiamo soffermarci. Questi ed altri, sia chiaro. Ma certamente anche questi. A meno di non voler vivere un altro anno in attesa.
Ma in attesa di che? In fondo al percorso c’è il “fine tempo“. Ma oggi non è ancora quel giorno.

Cerchiamo di vivere sapidamente, rompiamo gli indugi e scegliamo. Non succede niente, non si muore prima del tempo, non dobbiamo preoccuparci per questo. Ma se non si muore prima, cosa ci trattiene? Anche perché nel frattempo, almeno, ci si prova.
Morire tentando di vivere.
Vivi non è detto che si nasca. Ma ci si può diventare.

Buona (re)visione. Buon nuovo anno da usare.

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Soprattutto a te

auguri…

Auguri dunque, a tutti.

Ma auguri soprattutto a te, caparbia e dura combattente del senso, e a te, appassionato amante delle parole. Sono quelli come voi a salvarci, quelli che non dicevano per dire, quelli seri, quelli che non si sono fatti spaventare dalle pagine perché hanno desiderato di arrivare all’ultima. Auguri a quelli che non temono il tempo che ci vuole, terrorizzati da quello che manca. A quelli che non si fanno scoraggiare dalla fatica, anche se sanno quanta ne serve. Saranno quelli come te e come te a fare dell’anno che arriva un anno migliore, quelli che hanno la Brama, e si alzano ogni mattina con l’intenzione di andare fino in fondo. Quelli disposti al sacrificio pur di non dover soffrire a vita per la mancanza di coraggio. Auguro a te, e a chiunque come te, di mantenere le facoltà che il sacrifico ha reso necessarie. Lo auguro soprattutto a chi si è sentito diverso da qualcuno, soprattutto agli alter ego che hanno odiato e invidiato. Auguri di cuore, perché ne avrete bisogno, a quelli che hanno pensato che per eliminare il problema bastasse allontanarsi, dimenticando che così facendo hanno portato via la causa.

Auguri a te che non hai smesso di covare, accarezzare, custodire un sogno tuo, adatto a te, originale. Auguri a te che hai fatto i conti con la tua ambizione, che hai saputo riconoscerti, che hai alzato gli occhi, hai guardato la realtà, e hai smesso di mentirti. Auguro a tutti di essere sinceri su quello che davvero sono, di non maledire quelli che hanno ciò che a loro manca: non sono un avversario, servono a ispirare. Auguri a chi quest’anno ha capito che perseverare nella presunzione non è caparbietà, e non riconoscersi mediocri non è orgoglio, perché dirsi la verità (sgranando perla a perla quel rosario) non limita i progetti, semmai li verifica, e perché un progetto vero e piccolo è sempre meglio di un progetto velleitario e vano.

A te che pensi che sia tutto troppo grande, tutto impossibile, tutto troppo duro da affrontare, auguro invece di trovare il coraggio di tirare via la tenda, toglierti il velo da davanti agli occhi, e guardare in faccia le cose, scoprendole maggiori delle tue paure, meno inaccessibili dei tuoi languori. E auguri anche a te che stai facendo ora il primo passo, e sei sul punto di scegliere di vivere: non pensarti grande, ma non pensarti niente. Soprattutto tu avrai un gran bisogno di auguri. Quella partenza è un atto di fede, quel primo passo una dichiarazione di guerra.

Non faccio a nessuno auguri di ricchezze o di salute: il denaro passa, la vita prima o dopo anche. Fossero stati trent’anni o sessant’anni, non sarà contato quanto, ma come, quanto intensamente, con quanta convinzione. Vi auguro di spendere semmai, il giusto per le cose e tutto il resto per la vita. Che l’ultimo giorno non rimanga sangue nei vostri corpi morenti, né denaro nelle vostre tasche orfane di mani. Che la tomba non si porti mai via niente di vivo, solo involucri consunti, vuoti di gesti mancati, di sentimenti inespressi, di dichiarazioni senza atto. Auguro ai nostri cadaveri di non contenere lo sperma infecondo delle ingratitudini, né l’ovulo sterile delle parole non dette, dei sogni mai tentati.

E cari e veri auguri soprattutto a te, povero Cristo che le hai solo prese, che ti sei fatto togliere tutto, che ti sei fatto abbandonare. Auguri a te per un anno di riscossa. Che ti porti l’energia per darti un segno. Se sei qui vuol dire che qualcosa ti è rimasto, qualcosa lo hai salvato, hai resistito, e allora domani è il giorno giusto per reagire, sguardo alto, consapevole delle gambe che hai ancora, fiero del sorriso che può tramortire, saldo del pensiero che non hai avuto ma che puoi ancora provare a generare. Ci incontreremo per la via, in questo anno nuovo. Riconoscerò il tuo pentimento, lo vedrò sepolto dalla tua speranza. Berremo un sorso di vino. Ci racconteremo.

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So dov’è l’acqua nella foresta della libertà

Ipocrito violento potere, che non aspetta altro che l’occasione per muovere i birilli della polizia, piccolo coi grandi, forte con i deboli. Ed eccolo qui il popolo, che ogni giorno poteva scegliere e non l’ha fatto, e poi un giorno manifesta, facendo il gioco preferito dal potere, accontentandosi sempre di perdere e prendere le manganellate.

Ecco perché vi combatto, tutti e due, popolo e potere, ma sul mio terreno, non sul vostro. La mia guerriglia è esistenziale, psicologica, dei comportamenti, delle scelte, economica, filosofica. Nella foresta delle decisioni responsabili, dove si paga ogni giorno il prezzo della libertà, voi ci arrivate impreparati, siete disorientati, impotenti, ma io mi muovo come uno spettro, gatto invisibile, scoiattolo imprendibile, dissemino di trappole il vostro percorso, sono dietro di voi quando sgranate gli occhi spauriti, sono la corteccia dell’albero dietro il quale pensate di nascondervi quando calano le tenebre. Io conosco i sentieri duri di quella foresta incantata che voi chiamate caos, anarchia, e io libertà, dignità… casa.

Vivo su queste montagne impervie, le pago ogni giorno. Dunque quando mi cercate, quando provate a braccarmi coi vostri lacrimogeni, i vostri slogan, le vostre camionette, le vostre manifestazioni di piazza, le vostre mimetiche e i vostri gilet gialli (tutto arredamento dello stesso grande palazzo del potere dove coabitate), io sono allenato, corro in salita con uno zaino leggero, ho il respiro pesante di sempre quando voi ansimate, l’arsura di sempre quando avete sete, il freddo di sempre quando congelate. Io so dov’è l’acqua, nella foresta della libertà, so dove ho nascosto il cibo, ho nascondigli dove ripararmi quando piove, so come si accende il fuoco della solitudine per scaldarsi.

Voi siete forti solo su una piazza dove manifestano schiavi che domani si domeranno da soli sulla tangenziale, nei supermercati. Ma siete deboli qui, dove vi ho costretti a misurarvi, non siete allenati ad avere un antagonista libero. Potete tutto contro tutti, ma niente contro uno.

Quando dovrete ritirarvi, esausti, senza avermi trovato, senza avermi potuto combattere con le vostre armi o ammanettare con i vostri bisogni, quando non sarete riusciti per l’ennesima volta a vendermi le perline o gli specchietti come fece Cook con gli indigeni delle isole remote, io vi starò guardando da un’altura, nel mimetismo invisibile del pensiero diverso, e tornerò padrone dei sentieri impervi, continuerò volontariamente ad ansimare un giorno di più mentre voi vi riposerete, allenandomi già oggi, nel giorno in cui dovrei festeggiare la resistenza, per il prossimo scontro.

La prossima volta risparmiate soldi, tempo, fatica. Non provateci neanche a venirmi a prendere. E soprattutto, ricordatevelo: a me, in ginocchio… non mi ci metterete mai. Perché mi ci sono messo già da solo. Io in ginocchio ci vivo, spontaneamente, volontariamente, genuflesso all’unico potere che riconosco. La mia unica, libera, responsabile Umanità.

 

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50 minuti. Per affrontare tutto (quasi…)

Durante l’intervista…

50 minuti di intervista su Byoblu, che contrariamente a quasi tutti i media ha almeno il coraggio del tempo. Il tempo che serve per approfondire, sviscerare, affrontare le diverse sfaccettature, alcune almeno, di un grande, immenso discorso.

Vi consiglio di prendervi il tempo che serve per guardarla e ascoltarla. E poi, se volete, di non tenervi tutto dentro, ma di consentire anche a noi, a tutti, di ascoltare voi. Scrivetemi, qui o in privato, come volete. È utile. Oltre questo, oltre comunicare insieme su questi temi, del resto, cosa c’è?

Buona visione. #adessobasta.

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