Tanto, ma lì.

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Ieri l’altro. Alimia. Egeo sudorientale. Io in posti così divento una ventina di uomini che sentono ognuno come cento…

Devo dire qualcosa sul rumore, sul volume a cui parliamo tutti. Devo dire un mucchio di cose sulla questione del razzismo e della violenza di questi giorni. Devo dire molte cose sull’affollamento estivo del mare. Devo dire molte cose sul concetto di “vacanza”, cioè tecnicamente un’“assenza” (semmai dovrebbe essere una forma di “presenza“!). Devo dire molte cose sul vento apparente, risultato vettoriale tra vento reale e vento di velocità, e sul fatto che il marinaio naviga con l’apparente, dunque non è uomo che si occupi della realtà, ma della sua proiezione diversa per intensità e direzione (avete idea, per metafora, quante ne ho da dire su questo applicato alla vita!?). Devo dire molte cose ancora sui roditori che per fare le proprie cose sfruttano le relazioni degli altri senza vergogna o rispetto di sé. Devo dire un mucchio di cose sui pirati. Devo parlare del caldo, della sua taumaturgica facoltà mitopoietica. Devo dire una cosa che non posso dire, un progetto artistico che andrò a realizzare a breve, che trovo eccitante. Devo dire una gran quantità di cose su Mediterranea, su alcune cose dette a bordo che mi hanno fatto capire che non basta una barca e un po’ di marinai per vivere la magia in mare, serve anche un concetto, un’idea, un sistema di valori che diano senso al tempo: una spedizione con idee originali, non rubacchiate, proprie, non altrui, e una rotta, non dei giretti. Devo dire alcune cose sulla selettività delle relazioni, e sulle illusioni. Devo dire qualcosa sul cambiamento, sui momenti in cui diventa inevitabile, quando ci si accorge che è troppo tempo che ci giriamo intorno, forza! Devo dire due o tre cosette sul cibo. Devo raccontare di pirati, carte segrete, storie andate e ancora vive. Ho cose da dire sulle isole. E molto da riferire sul tempo. Inevitabile che io abbia anche cose da dire sull’amore.

Ma sto scrivendo. Questo groviglio di pensieri, emozioni, sentimenti, lo infilo lì.

Poi, riprendo.

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Chissà

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Olymbos, Karpathos. Poco fa.

Febbraio e marzo a Istanbul. Poi Mar Nero, Bosforo, Marmara, Dardanelli, tutto l’Egeo da agosto ad oggi, da Lymnos al Dodecaneso, solo un breve stop in mezzo. Nel frattempo, tutto. Cose mie, cose personali, ma anche altre, luci che illuminano la scia. Anche un gatto, ad esempio, quel pomeriggio a Kadikoy. Pomeriggio trafelato di polizia e doganieri, corse, attese, mazzette e traghetti. Un gatto grigio e bianco, duro maschio della costa. Mi ha guardato con aria interrogativa, occhi acuti, smorfia di disappunto esistenziale. Mi sono sentito giudicato, e aveva probabilmente ragione. Chissà…. 

Chissà se il nostro amico marinaio è ancora nella sua tana a Messolongi, accenna a cose grosse che possono accadere, o ha deciso di rompere gli indugi e salpare. Chissà se la barista di Kithyra ha terminato il suo fitto dialogo d’amore al telefono. Chissà se a Chanakkale ci sono ancora quei bambini che giocano a pallone sotto al monumento di Piri Reis. Chissà se il pescatore di Rize accoglie ancora i forestieri con una cassetta di acciughe e triglie. Chissà se i poliziotti di Batumi sono ancora in combutta con l’agente navale, come in quel pomeriggio umido e teso. Chissà se il vento tra Lymnos e Chios è calato, insieme alle onde che ci facevano impazzire. Chissà se quella ragazza sfuggita al bombardamento del villaggio vicino a Aleppo è riuscita a raggiungere la Svezia. Chissà come stanno quei poveri ragazzi esausti, giunti a Kos a remi, neppure la forza di rispondere a un saluto. Chissà se il figlio della sorella, ventotto giorni, sopravvissuto già a un naufragio, sta bene. Chissà se a Leros i giramondo italiani a vela cenano ancora insieme e si ricordano di noi, come noi di loro. Chissà come stanno le miriadi di delfini del Mar Nero, che saltavano giocosi ad ogni miglio. Chissà come stanno i due skipper stanchi di Rodi, innamorati della Sardegna, delusi del presente. Chissà se a Nisiros hanno preso un altro pesce spada, ieri il tempo era ideale. Chissà come sta il mendicante che salutavo ogni mattino sotto casa a Tiblisi, e chissà se lungo i viali di Salonicco c’è ancora il bel passeggio di splendide ragazze in fiore. Chissà se all’alba a Goekcheada i militari escono ancora a fare la traina, e se si ricordano di una bella barca con quattro vele a riva che navigava verso lo stretto accolta dal loro saluto. Chissà che fa il direttore del porto di Tsarevo, e come sta la sua giovane e bella fidanzata italiana. Chissà cosa pensano ora del Mediterraneo Vassilikos, o Murat Belge, Omer Livaneli e Petros Markaris, che si complimentarono così tanto con noi. Chissà come sta Babis, nella sua romantica casa di Kavala. Chissà come stanno gli amici di Samsun, e le loro figlie che non volevano sposarsi, ma viaggiare.

Chissà, chissà… se quel gatto ha finito di mangiare il suo piccione. Lo aveva difeso soffiando, mostrando i denti, e se lo meritava. Guardando me preoccupato, che divoravo una pita col kebab, in attesa del traghetto, deve essersi fatto delle domande. Tutto sommato, nessuno stava tentando di portarmela via. Dunque, qual era il problema?

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