Ho la certezza, rileggendo questa frase di Rais, che per tutto il tempo in cui ho navigato con il tragico pirata Dragut e i suoi scherani, per gli anni di convivenza con la misteriosa e unica Bora, desiderata da due uomini, salvati forse inconsapevolmente dal suo immenso amore, per i giorni e i giorni trascorsi a dipanare il filo ritorto della trama di spionaggio che ho tessuto sulla scia di una mappa maledetta, per i mesi di domande sulla vita di questi marinai, sul languore delle loro lontananze, sull’impossibile loro amplesso con la vita agra e la morte amica… ecco, per tutto questo tempo, e forse per tutto il tempo di questi decenni di scrittura, romanzi, saggi, articoli, racconti… non ho fatto che guardare intorno a me, cinquecento anni dopo i fatti descritti in Rais, pensando le mie domande, immaginando le vostre, osservando la mia rotta, di conserva a quella di tutte le barche, sporto dalla delfiniera della mia vita, come voi della vostra.
Ciò di cui parla un romanzo, qualunque sia lo scenario, qualunque sia l’epoca, chiunque sia il protagonista, se c’è almeno un filo di onestà a cucire le righe che l’autore traccia a una a una, è sempre la stessa storia… comprensibile o incomprensibile, esaustiva o parziale, definitiva o transitoria. A seconda di chi legge.
Come in questa citazione, ad esempio. “Vedere” ciò che si è, oppure no, ciechi a ogni equilibrio…