Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e barba

Ieri diretta Facebbok dei “Dialoghi Mediterranei“. La prima dopo l’incontro a Catania.
In due ore, sono uscite alcune cose interessanti.
Ne sottolineo due:

siamo troppo clementi (colpevolmente) con ciò che ci limita (“eh, io sono fatto così…”) e che dovremmo invece inclementemente lavorare e modificare, e poi diventiamo invece inclementi riguardo ciò che facciamo (“Sono fallito, non ce l’ho fatta!), cioè il risultato della nostra azione. Ecco, la vita funziona esattamente al contrario: dobbiamo essere duri con noi stessi, non perdonarci se non dopo mille tentativi veri, e poi considerare tutto ciò che accade come un successo. Fosse anche solo un metro il percorso fatto, è sempre una cosa che non c’era e che noi abbiamo fatto impegnandoci. “Eh ma io volevo arrivare laggiù!”. E chissene frega, sei arrivato lì invece che laggiù, bravo! Goditi tutto il tuo metro percorso!

Ci poniamo il problema su ciò di cui non abbiamo il controllo (i fulmini, le malattie, i fenomeni…) e non facciamo il 100% di ciò su cui il controllo lo abbiamo, perché è nel nostro perimetro di pensiero e azione. Perché?

Unite i punti e trovate il nostro identikit, tutto costruito per darci l’alibi di non impegnarci, non faticare, non andare.
Capite che, dopo questo approccio, prendersela col governo, con la politica, con le major, coi complotti, è solo l’ennesimo alibi?
Duri nel giudizio verso il mondo si diventa DOPO aver fatto tutta la nostra parte. NON prima.
Prima, la nostra critica è senza peso, patetica. Può convincere la gente distratta, ma non i filosofi.
(Per rivedere la diretta di ieri, cliccate qui. È registrata: https://www.facebook.com/events/1434390520630607?ref=newsfeed) 
Tutte le reazioni:

Emil Cè, Michele Zaggia e altri 13

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Il “Racconto di Catania” (Dialoghi Mediterranei)

Per chi l’ha visto e per chi non c’era. E per chi quel giorno lì, inseguiva una sua chimera…

Il “Racconto di Catania“, cioè una sintesi, lacunosa, parziale, incompleta, come tutte le sintesi, come tutti i racconti… Però forse anche perfetta così: per essere vista, per dare quanto meno un profumo, per far passare almeno l’azione.

Due giorni di filosofia applicata: domande, bivi delle vite di tutti noi, paure, energie, identità. Scelte.
Per potersi dire che l’autenticità è laggiù, almeno visibile, perseguibile. E per vivere.

Grazie a Carla De Meo, che ha girato, rivisto, montato. Un regalo fatto a tutti noi.

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Occasioni per le emozioni

La questione è questa: se una barca in navigazione, in altura, lontana dalla costa, imbarca acqua, che si fa? Verrebbe da dire che bisogna subito mettersi lì col secchio e sgottare acqua in modo che non affondi. E invece no.
Il comandante dovrà anche predisporre l’estrazione e lo sbarco dell’acqua, che pesa sullo scafo, riduce il galleggiamento… ma prima di ogni altra cosa deve capire da dove entri acqua.

E questo abbiamo fatto a Catania l’11 e 12 febbraio scorso. E per farlo, fuor di metafora, abbiamo usato lo strumento principe, il più preciso, eppure tralasciato e dimenticato: la filosofia. Quella vera però, non la storia della filosofia, non la citazione continua dei filosofi per mostrare la propria cultura (l’ego…), non le letture dei filosofi (che pure sono così preziose…)… ma il nostro pensiero, la nostra capacità di ragionamento, l’ausilio straordinario che ci offre l’ordine dei pensieri, la concatenazione delle idee, l’organizzazione di una logica che prenda la realtà, ne sparga i pezzi su un grande tavolo, tenti di capire ognuno a che serve (col pensiero e con l’emozione) e provi a rimontare tutto.

Com’è andata? Be’, è andata in modo sorprendente. Perché di solito non si tiene l’attenzione (secondo i manuali) per più di venticinque minuti. Di solito stanchezza, disinteresse, distrazione, leggerezza, mancato ascolto prendono il sopravvento. Di solito acciuffiamo se va bene un concetto, forse due, ma il resto scorre. Di solito non c’è interazione, non c’è dialogo… E invece noi abbiamo fatto il contrario. Ho parlato un totale di undici ore più i dialoghi nei tempi morti. Pannella quando faceva ostruzionismo in Parlamento, mi spiccia casa. Il fatto è che mentre parlavo, mentre parlavamo, non volava una mosca. E non perché io sappia fare l’impossibile (5 ore e mezza di fila, una sola pausa di quindici minuti + altrettanto il giorno dopo NON consentono di pensare a doti taumaturgiche del relatore, è del tutto impossibile. Io ho fatto il mio, ma…) ma perché tutti voi siete venuti lì in modo autentico, autentica brama, con fame vostra.

Tempo speso per costruire emozione, comprensione, riflessione. Pit-stop per riprodurre energia, entusiasmo, ottimismo. E propedeuticità, soprattutto: la società va sempre peggio, dunque che faccio? Sgotto acqua per non affondare? Oppure cerco la falla? Non si va come volontari alla mensa della Caritas se la nostra barca fa acqua. Non si va lì (ma sì certo si va, e le cose si possono fare contemporaneamente, solo che qui il problema è che nella migliore delle ipotesi si va SOLO lì). Ci si occupa per tutto il tempo dello scafo, lo si passa con le dita centimetro per centimetro. Si cerca la causa.

Senza quella, tu puoi fare quello che vuoi per aiutare gli altri, e certamente puoi dare un prezioso contributo. Ma la società continuerà a essere quello che è perché tu continui a essere quello che sei. “Noi”, senza “te”, è sempre nei guai.

(Foto di Ernesto Stucchi)

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