Quarta puntata di STORIE – Podcast di Dialoghi Mediterranei

Dialoghi Mediterranei

Uscita oggi, ora, la nuova puntata settimanale di “STORIE“, podcast di “Dialoghi Mediterranei”.
Storie di gente come noi, non storie di “vincenti” ma di “viventi”.

Con Francesca, protagonista della nuova storia, scopriamo che i blocchi che ci impediscono di agire possono diventare responsabili “blocchi di partenza” dai quali far scattare il nostro desiderio di cambiamento. La sua è la storia di una donna che si è sentita rinascere quando ha partorito. E da lì non si è più fermata. La seguiremo nella sua rotta tra Genova, Milano e Varese. La sua è una “crêuza de mä”, una via che dall’entroterra la riporterà al mare.

Qui per ascoltare il podcast.

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Inizia “STORIE”, podcast di “DIALOGHI MEDITERRANEI”

“Storie senza la parola fine, ma che almeno… hanno avuto un inizio”.

È con questo bel claim, anche molto poetico, che comincia il podcast “STORIE“, il nuovo progetto di “Dialoghi Mediterranei” realizzato da Valter Carasso, viaggiatore, giornalista, “facilitatore” (come lui ama definirsi), curioso conoscitore senza frontiere di idee, convinzioni, pratiche, ipotesi di vita. È lui ad aver realizzato il mio ultimo podcast, ricordate? (qui per ascoltarlo).Tutto nasce da Catania, 12 febbraio 2024 (la seconda edizione…) dove anche quest’anno hanno avuto luogo i nostri dialoghi filosofici. Uno spazio, un’oasi, per riprendere in mano gli spazi essenziali delle idee, del ragionamento, delle ispirazioni, degli stimoli, delle spietate visioni necessarie per affrontare le nostre vite costruendo “ciò che davvero è”, e ancor più “ciò che davvero può (e forse deve) avvenire”. Perché la vita non comincia all’inizio, ma quando si decide…

A Catania, quest’anno, si sono creati gruppi di incontro e dialogo per aree regionali (proprio oggi si incontrano a Roma in venticinque, ad esempio) e hanno iniziato a raccontare le proprie vite, i sogni, i progetti, ciò che ha funzionato, ciò che è andato così così, la voglia di ripartire… Vicende e avventure di vita di persone normali, che non si sono rassegnate a una vita comune e hanno ancora voglia di scrivere nel grande libro del proprio destino.

E Valter, che è attento, ha lanciato un’idea di getto, d’impulso, senza prima discuterne con nessuno: “raccogliamo queste storie, lavoriamole per poi offrirle a tutti”.

Nasce così “STORIE” di “Dialoghi Mediterranei”, che ci accompagnerà per un anno, ogni venerdì (lancio oggi la prima puntata, che è uscita due giorni fa). E si comincia con Basilio Busà, poliedrico, instancabile, appassionato. Uno di quelli che per me è l’emblema della Nuova Élite (vi ricordate? “L’Altra Via“).

Ma Basilio non fa parte della Nuova Élite perché è preparato, capace, outstanding, pieno di energia. Non cadete in questo grossolano errore, se così fosse, staremmo parlando di persone dotate di qualcosa di straordinario… Basilio ne fa parte perché è ancora vivo. Perché crede, ha fede nella vita, e perché desidera, cioè ha gli occhi brillanti di stelle e piedi infilati nella sua terra come radici, e perché quando il degrado e la decadenza arrivano fino a lui sono costretti a fermarsi, devono ammettere la sconfitta.

Bisogna avere voglia di ciò che si desidera. Saperlo non basta. E lui questa voglia di restare vivo ce l’ha. Come ce l’ha Valter. Come ce l’ho io.

Buon ascolto dunque.

Si comincia con questa prima puntata. Ma non so davvero dove si andrà a finire, come nella più avvincente, intricata, appassionata delle “STORIE”…

Qui per ascoltare il podcast “STORIE”

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Podcast “Dialoghi Mediterranei” – Quarta (e ultima) puntata

 

“L’unica cosa che vale di un “NO” è l’essere l’inizio di un’immaginazione”.

Quarta e ultima puntata del mio podcast “Dialoghi Mediterranei”. Stavolta, dalla busta delle lettere dell’alfabeto (pescate a caso e senza conoscere a quali parole erano collegate) escono la M di Mediterraneo, la N di “No!”, la G di Guida, e poi W di Web, K di Kronos, J di Jung…

Ultime parole-chiave prima di vederci a Catania, tra pochi giorni, il 10-11 febbraio, per la seconda edizione dei nostri dialoghi filosofici. Ascoltate, fate crescere i significati dentro di voi. Lasciate che le parole prendano il sopravvento.

“Se un giorno fosse arrivato un marziano e avesse chiesto ‘come avete reagito, cosa avete pensato, avrete immaginato certamente come venirne fuori..’. Ecco, il non aver avuto una risposta per quel marziano, sarebbe stato tragico”.

Buon ascolto.

 


(Podcast realizzato da Valter Carasso e Carla De Meo al “Fienile dell’Anima“)

(I frammenti musicali dell’intero podcast sono tratti dal mio (nostro…) primo album, in uscita il 2 marzo. Zone Franche con Marcello Ferrero e Stefano Mattozzi)
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Podcast “Dialoghi Mediterranei”. Terza Puntata.

A, P, V… le lettere continuano a uscire dal sacchetto di Valter Carasso e Carla De Meo. Terza Puntata, appena pubblicata su Spotify, di questo podcast “dalla A alla Z” (qui: http://spoti.fi/3u9QwdM ). Stavolta le parole sono particolarmente importanti: amore, perimetro, vela… e tante altre..

“Dialoghi Mediterranei” si avvicina così, “a colpi di parola”, a Catania (10-11 febbraio). In tanti vi registrate ancora alla seconda edizione del seminario filosofico, e le parole si accumulano.

Perle della collana che alla fine ci rappresenta.

Con una speranza, incrollabile, come sempre: che le parole siano per noi significative. Che sappiano curare, lenire, indirizzare, ma anche sezionare, pulire, separare. Parole-mano carezzevole e parole-coltello tagliente. Che siano cure date e ricevute restando in ascolto, guardandoci negli occhi. E tuttavia che qualcosa, con un “fendente di parola” cada per terra. Per sempre.

Ecco QUI IL PODCAST – TERZA PUNTATA

#Dialoghimediterranei

#podcast

(Foto: ieri, nel bosco. Passeggiata fino al ruscello che fa da confine di questa terra. Prima di tornare a sud…)

Per iscriverti al seminario di Catania  CLICCA QUI

 

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Podcast “Dialoghi Mediterranei – Simone Perotti dalla A alla Z”. Seconda puntata.

 

“In questa epoca le forze dell’oscurità stanno prendendo il sopravvento…”
“Un uomo non muore quando finisce il suo corpo. Muore quando il suo cuore e la sua mente non sono più in grado di immaginare quello che non c’è”
“L’umanesimo immaginava. Se noi non lo facciamo più siamo in un’epoca di grande decadenza. Questo preoccupa molto di più di una terza guerra mondiale”.

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Seconda puntata del Podcast “Dialoghi Mediterranei – Simone Perotti dalla A alla Z“. Proseguo a estrarre lettere dalla busta di Valter Carasso e Carla De Meo e a tentare di cercare significati alle parole collegate. Oggi escono la Z di zavorra, la T di thanatos, la F di finanze, la L di legami, la D di dubbio, la B di bordi…
Secondo passo per chi si sta preparando ai “Dialoghi Mediterranei – Seconda Edizione” il nostro incontro di Catania del 10 e 11 febbraio (https://www.simoneperotti.com/…/dialoghi-mediterranei…/).

Buon ascolto (anche dei brevi frammenti musicali tratti dal disco “Chiedi alla polvere” di “Zone Franche“, inseriti nel dialogo).

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Dialoghi Mediterranei – Catania 10-11 febbraio ’24


A Catania torneremo il 10 e 11 febbraio 2024. Seconda edizione dei “Dialoghi Mediterranei“, appuntamento di tre mezze giornate per fare (non per “parlare di”…) filosofia.

L’atteggiamento base dell’uomo, quello ovvio, automatico: uscire di casa, guardarsi intorno (e dentro) e cercare di capire la realtà. Ma non la realtà in generale, non la vita nei suoi sistemi necessariamente massimi. La nostra realtà. La nostra vita.

L’anno scorso è stato avviato un pensiero, un ragionamento, una pratica. Quest’anno andremo a fondo, là dove è difficile arrivare.

I “Dialoghi Mediterranei” sono il mio modo di contribuire alla società. Sono il mio spazio, il mio tempo, la mia energia dedicate a chi vuole percorrere la via della comprensione e dell’identità, della consapevolezza e della vita.
Per questo sono uno spazio gratuito e volontario. Dove chiunque, da me in poi, viene per donare, prendere, offrire, portare via, prestare, stando alle leggi base della cultura mediterranea.
Che non sono quelle del denaro…

Vi aspetto.

(clicca sull’immagine, oppure QUI, per registrarti.)

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Per rotta. Il mio augurio per il 2024

Per rotta. Solo questo posso augurarmi, per me, per voi… Di seguire ad avanzare per rotta. Perché una rotta c’è, e lo sappiamo abbastanza bene tutti. Anche i più riottosi, quelli che negano, che vogliono farsi andare bene quello che c’è, com’è, com’è sempre stato. La rotta si sente nel cuore. Ognuno sa esattamente quali sono i suoi “Momenti Buoni”, sa come poterli avvicinare, se non vivere, quanto costerebbe perseguirli, qual è la moneta di scambio col destino.

E allora, nell’ennesimo ultimo giorno dell’anno, non c’è che da augurarsi di accostare con la prua quanto basta, e ritrovarsi giusti di rotta, cioè nella direzione che in fondo al cuore conosciamo bene, che terrorizza quasi tutti quelli che non ci vanno, e fa da balsamo agli altri.

Quel posto c’è. Quella condizione esiste. Quella vita si può fare, e molte altre perfino sconosciute. E oggi è ancora “in tempo”, prima delle grandi tristezze, prima delle malinconie definitive e senza rimedio. Prima che arrivi il giorno “fuori tempo massimo”, quello in cui ciò che non può più essere sarà così salato da pagare da rendere inestimabile ciò che oggi sembra troppo difficile da tentare. Un uomo, una donna, si definiscono forse proprio qui, in questo intervallo di senso e tempo.

Cercheremo di non far mancare l’ascolto, e neppure le parole. Per quel che servono, per quel che possono. Anche se non è fuori, non è “da qualcuno”, che quelle parole e quell’ascolto potranno arrivare a ognuno. Anche, ma non solo. Le parole sono le orecchie che le colgono, non le bocche che le dicono. E quelle orecchie, fatalmente, non possono che essere le nostre.

Saliamo su un albero, quest’anno; seminiamo una pianta; attendiamo la luce buona in silenzio; viviamo nascosti; restiamo soli, ma aperti a un incontro inaspettato (proprio perché soli…). Duri fino all’impermeabilità, ma teneri quanto serve per sperare.

Il gioco di questi anni non è semplice. Non viene incontro, non rassicura nessuno. Almeno, se è il gioco vero. E allora restiamo accanto. Non ci allontaniamo troppo. Così che un richiamo, una voce inattesa, dal centro del bosco, quando ci parrà che tutto sia finito, possano invece farci accennare un sorriso. E una risposta compiaciuta.

“Ci sono un mucchio di cose da fare. Basterebbe vivere, a segare il tempo”

#Dialoghimediterranei

#zonafranca

(La citazione finale è tratta da una canzone dell’album “Chiedi Alla Polvere“, primo disco del gruppo musicale “Zona Franca“. In uscita quest’anno)

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Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone e barba

Ieri diretta Facebbok dei “Dialoghi Mediterranei“. La prima dopo l’incontro a Catania.
In due ore, sono uscite alcune cose interessanti.
Ne sottolineo due:

siamo troppo clementi (colpevolmente) con ciò che ci limita (“eh, io sono fatto così…”) e che dovremmo invece inclementemente lavorare e modificare, e poi diventiamo invece inclementi riguardo ciò che facciamo (“Sono fallito, non ce l’ho fatta!), cioè il risultato della nostra azione. Ecco, la vita funziona esattamente al contrario: dobbiamo essere duri con noi stessi, non perdonarci se non dopo mille tentativi veri, e poi considerare tutto ciò che accade come un successo. Fosse anche solo un metro il percorso fatto, è sempre una cosa che non c’era e che noi abbiamo fatto impegnandoci. “Eh ma io volevo arrivare laggiù!”. E chissene frega, sei arrivato lì invece che laggiù, bravo! Goditi tutto il tuo metro percorso!

Ci poniamo il problema su ciò di cui non abbiamo il controllo (i fulmini, le malattie, i fenomeni…) e non facciamo il 100% di ciò su cui il controllo lo abbiamo, perché è nel nostro perimetro di pensiero e azione. Perché?

Unite i punti e trovate il nostro identikit, tutto costruito per darci l’alibi di non impegnarci, non faticare, non andare.
Capite che, dopo questo approccio, prendersela col governo, con la politica, con le major, coi complotti, è solo l’ennesimo alibi?
Duri nel giudizio verso il mondo si diventa DOPO aver fatto tutta la nostra parte. NON prima.
Prima, la nostra critica è senza peso, patetica. Può convincere la gente distratta, ma non i filosofi.
(Per rivedere la diretta di ieri, cliccate qui. È registrata: https://www.facebook.com/events/1434390520630607?ref=newsfeed) 
Tutte le reazioni:

Emil Cè, Michele Zaggia e altri 13

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Il “Racconto di Catania” (Dialoghi Mediterranei)

Per chi l’ha visto e per chi non c’era. E per chi quel giorno lì, inseguiva una sua chimera…

Il “Racconto di Catania“, cioè una sintesi, lacunosa, parziale, incompleta, come tutte le sintesi, come tutti i racconti… Però forse anche perfetta così: per essere vista, per dare quanto meno un profumo, per far passare almeno l’azione.

Due giorni di filosofia applicata: domande, bivi delle vite di tutti noi, paure, energie, identità. Scelte.
Per potersi dire che l’autenticità è laggiù, almeno visibile, perseguibile. E per vivere.

Grazie a Carla De Meo, che ha girato, rivisto, montato. Un regalo fatto a tutti noi.

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Occasioni per le emozioni

La questione è questa: se una barca in navigazione, in altura, lontana dalla costa, imbarca acqua, che si fa? Verrebbe da dire che bisogna subito mettersi lì col secchio e sgottare acqua in modo che non affondi. E invece no.
Il comandante dovrà anche predisporre l’estrazione e lo sbarco dell’acqua, che pesa sullo scafo, riduce il galleggiamento… ma prima di ogni altra cosa deve capire da dove entri acqua.

E questo abbiamo fatto a Catania l’11 e 12 febbraio scorso. E per farlo, fuor di metafora, abbiamo usato lo strumento principe, il più preciso, eppure tralasciato e dimenticato: la filosofia. Quella vera però, non la storia della filosofia, non la citazione continua dei filosofi per mostrare la propria cultura (l’ego…), non le letture dei filosofi (che pure sono così preziose…)… ma il nostro pensiero, la nostra capacità di ragionamento, l’ausilio straordinario che ci offre l’ordine dei pensieri, la concatenazione delle idee, l’organizzazione di una logica che prenda la realtà, ne sparga i pezzi su un grande tavolo, tenti di capire ognuno a che serve (col pensiero e con l’emozione) e provi a rimontare tutto.

Com’è andata? Be’, è andata in modo sorprendente. Perché di solito non si tiene l’attenzione (secondo i manuali) per più di venticinque minuti. Di solito stanchezza, disinteresse, distrazione, leggerezza, mancato ascolto prendono il sopravvento. Di solito acciuffiamo se va bene un concetto, forse due, ma il resto scorre. Di solito non c’è interazione, non c’è dialogo… E invece noi abbiamo fatto il contrario. Ho parlato un totale di undici ore più i dialoghi nei tempi morti. Pannella quando faceva ostruzionismo in Parlamento, mi spiccia casa. Il fatto è che mentre parlavo, mentre parlavamo, non volava una mosca. E non perché io sappia fare l’impossibile (5 ore e mezza di fila, una sola pausa di quindici minuti + altrettanto il giorno dopo NON consentono di pensare a doti taumaturgiche del relatore, è del tutto impossibile. Io ho fatto il mio, ma…) ma perché tutti voi siete venuti lì in modo autentico, autentica brama, con fame vostra.

Tempo speso per costruire emozione, comprensione, riflessione. Pit-stop per riprodurre energia, entusiasmo, ottimismo. E propedeuticità, soprattutto: la società va sempre peggio, dunque che faccio? Sgotto acqua per non affondare? Oppure cerco la falla? Non si va come volontari alla mensa della Caritas se la nostra barca fa acqua. Non si va lì (ma sì certo si va, e le cose si possono fare contemporaneamente, solo che qui il problema è che nella migliore delle ipotesi si va SOLO lì). Ci si occupa per tutto il tempo dello scafo, lo si passa con le dita centimetro per centimetro. Si cerca la causa.

Senza quella, tu puoi fare quello che vuoi per aiutare gli altri, e certamente puoi dare un prezioso contributo. Ma la società continuerà a essere quello che è perché tu continui a essere quello che sei. “Noi”, senza “te”, è sempre nei guai.

(Foto di Ernesto Stucchi)

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