Un uomo libero. Un vero cattivo. Finalmente.

D – Perotti, lei si è lasciato rapire da un pirata del Mediterraneo, Dragut…

R – Il personaggio del Rais incarna tutto: crescita, gloria, caduta, riscossa, vendetta, morte, rinascita… È un Dantès molto più affascinante di Edmond Dantès. Un uomo libero e per giunta un vero cattivo, ma esplicito. Finalmente! Oggi sono tutti buoni, da Putin a Obama, e non si capisce chi siano i cattivi…

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Fabio Pozzo su La Stampa, oggi.

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E finalmente, la vede…

Immaginatevi una ragazza, rapita dai pirati, deportata per mezzo Mediterraneo, venduta due o tre volte, comprata da un mercante veneziano, condotta su un’isola solitario e sperduta, lasciata in un castello con qualche uomo di servitù e dama di compagnia. Per sempre. Per tutta la vita, fin dall’età di quindici anni. Visitata due o tre volte l’anno dal suo padrone. unica consolazione: i libri. Le storie che le consentono di conoscere il mondo, di visitarlo almeno con la fantasia, di imparare la vita che a lei era stata negata.

Immaginate che in una tappa del lungo viaggio per giungere su quell’isola un ragazzino l’abbia incontrata, in una lontana città, e abbia scambiato con lei qualche parola prima che ripartisse e scomparisse per sempre, qualche istante di fronte a lei, ma sufficiente a far giurare a quel ragazzino che per tutta la vita navigherà, non fosse altro per recarsi dove vivono donne luminose come lei, che tagliano il fiato nel petto, che danno senso e speranza alla vita insensata e disperata, e dove riuscirà a trovarla, ne è certo, ci volesse la vita intera per farlo. Immaginate che quel ragazzino di lì a poco prenda il mare, diventi un pirata, il peggiore e più invincibile dei pirati, e dopo decenni di ricerche per ogni angolo del mare, finalmente, riesca a ritrovarla.

Ecco quel momento:

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Pro mozione

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Muovere verso, cioè dire a qualcuno qualcosa che lo faccia trasalire dal torpore, dalle distrazioni, dall’inerzia, per condurlo, cum ducere, portare insieme, verso un luogo dove prenderà in mano un libro, avendo costui una buona ragione per farlo, evidentemente, perché oggi, altrimenti, chi mai si alzerebbe, prenderebbe il motorino, o l’automobile, per recarsi in un posto, parcheggiare, entrare in una libreria (una libreria!!), cercando un volume (un oggetto fisico!!), con pagine stampate, per aprirlo, verificare che dica qualcosa di interessante, cercando tra le righe fitte un’idea, un pensiero che lo riguardi?

Pro muovere, spingere verso, orientare a favore di qualcosa, dandogli un motivo, una ragione, la maledetta ragione che cerchiamo sempre, che non troviamo mai, per fare qualcosa, come se quella ragione potesse venire da fuori, le ragioni sono dentro, la motivazione è insita, incastonata, ma forse con una parola, una frase, la possiamo attivare, innescare, tanto che avvenga un movimento fisico, dunque pro muovere significa generare un movimento fisico, quello di alzarsi e andare verso qualcosa, ma qualcosa cosa? se stessi, suppongo, ma per andare laggiù, dove risiediamo già, non dovrebbe servire alcun movimento fisico, almeno credo, io per esempio per scrivere un romanzo non mi muovo, almeno dopo aver cercato, studiato, poi sto fermo, pro mosso da solo, cum dotto da me, immobile.

Dunque pro muovere deve essere un’azione che genera una ri sonanza, un suonare nuovamente, come l’ultima volta, quando fu che risuonò qualcosa? chi lo sa, ma ri suonare, oggi, è pro muovere, cioè far vibrare una volta ancora, che vuol dire che senza questa pro mozione quella corda non sta vibrando, è ferma, perché è ferma? cosa le impedisce di suonare, ad alta frequenza, non è tesa? non è in accordo? perché? ad ogni modo batterla, darle un colpo, perché generi onde, ecco, le onde, ce ne sono tante tra le pagine, onde che travolgono e risparmiano, picchiano sulla murata del cuore o della mente, onde che coprono tutto, scafi, amicizie, amori, vite, e passano, tanto che dopo non c’è più nulla, coperto, reso nuovamente invisibile, fermo, dove c’era vita, morte, dove c’era morte vita, e dopo tutto quel frastuono, una chiazza di schiuma bianca, una pagina di mare che si è staccata, sfogliata, piegata, rivoltata, abbattuta, ed è finita.

(tre letture, fin qui. Eccole: una, due, tre)

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Nulla come questo

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Lo studio della copertina è iniziato così: da un mio schizzo fatto mentre navigavo, fotografato col telefono e inviato a Segrate

Ho scritto questo romanzo disattendendo quasi tutte le regole dell’editoria di questa epoca, e del buon senso.

E’ lungo; ha quattro voci diverse che raccontano i fatti da altrettante diverse angolazioni; è una storia “in costume”, ambientata nel ‘500; è pieno di personaggi; uso registri stilistici diversi; una delle voci è un flusso senza punti, in cui il lettore deve trovare la sua “musica”; il titolo è enigmatico, non spiega nulla di noto; è un romanzo letterario, di quelli che invece di andare verso ciò che il lettore sa già lo chiamano verso lo spazio ignoto che lui ignora; scrivo tutto, senza veli, sbatto in faccia al lettore i suoi vizi, le sue paure, le sue meschinità, le sue ipocrisie.

Nella narrativa contemporanea si sta molto attenti a non farli, questi errori. Un libro lungo costa di carta e stampa, dunque ha un prezzo più alto, e poi i lettori si spaventano per la mole. I tanti personaggi disorientano, le storie in costume vengono avvertite come troppo lontane. Per farne un film servirebbero troppi soldi, nessuna produzione sosterrebbe uno sforzo simile.

Non so se lo avete notato, ma la narrativa di oggi, per larga parte, fa di tutto per ingraziarsi il lettore. Gli va incontro sorridendo, lo segue nei suoi ambienti conosciuti, gli parla con la sua lingua, lo fa riconoscere nelle sue più ovvie aspirazioni, lo blandisce con i luoghi più comuni, usa marche e oggetti a lui familiari, come per farlo sentire a casa, lo aiuta con frasi corte, come fosse un minorato mentale, capitoli brevi, poche pagine in totale, storie esilissime, molti dialoghi. Trovo questa pratica, quando fatta ad arte, la fine di ogni opera intellettuale e di scrittura letteraria.

Per questo, terminando questo mio nuovo romanzo, sono molto orgoglioso della libertà e del coraggio che è costato. A me e al mio editore.

Ma c’è dell’altro.

Alcuni miei libri, negli ultimi dieci anni, hanno avuto successo. Quel che dovevo e potevo fare per cavalcare il favore del pubblico lo so bene io, come possono intuirlo tutti, anche i non addetti ai lavori. E’ quello che si fa comunemente, preferendo scrivere ciò che “si deve” rispetto a ciò che “si vuole”.

Tuttavia, ho capovolto la mia vita per cosa? Per essere libero, il più autentico e libero possibile. E allora? Non potevo seguire il faro dell’opportunità. Sarebbe stato un calcio sugli stinchi della mia storia.

Mi sono messo a studiare senza contratto con alcun editore, senza tempo stabilito, senza alcuna garanzia o scadenza. Poi mi sono accinto a scrivere senza neppure sapere se qualcuno avrebbe mai pubblicato il frutto di questa enorme impresa. Mi sono goduto il tempo dello studio e della scrittura senza vincoli, libero di assecondare la mia emozione verso la storia e i suoi personaggi. E fatalmente, a riprova che il nostro destino non ci indica mai la strada ma lo incontriamo lungo la via giusta dopo averla già intrapresa, un editore ispirato, illuminato e coraggioso si è innamorato dell’idea e mi ha sostenuto.

Ecco perché sono molto felice di aver concluso questo lavoro, proprio poco fa. E’ costato anni di studi e di impegno, compiuti alla luce della grande gioia della libertà e della creatività. Nulla come questo romanzo mi identifica e mi rappresenta. Nulla di ciò che ho scritto fin qui. Qualcuno che lo ha letto mi ha detto: “un romanzo così non lo scriverai mai più”.

Cercare ciò che ha senso, perseguirlo con cura, con la determinazione delle scelte impopolari e non opportune, ma vere e sentite, credo sia la maggiore garanzia che si può offrire a un lettore. Potrà amare o odiare quello che scriviamo, ma sarà certo che nessuno lo avrà preso in giro.

(- 17 all’uscita di #Rais)

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