Dentro

Spaghetto della consegna. Sugo. Particolare.

Che i percorsi sono tutti veri, il sudore bagna, le lacrime anche, e la mente vola. Che avere una rotta è tantissimo, e se anche da quella parte il mare è scuro e agitato, è meglio che girarsi di qua e di là guardando ebeti l’orizzonte, senza sapere dove dirigere la prua. Che c’è un’etica nelle scelte, e bisogna sempre riprendere tutto da sopra, dalla cima, da chi sei te, dove vuoi andare, a che uomo vuoi somigliare. Che tutto questo non è obbligatorio, ma è necessario, almeno per alcuni sedicenti portatori di dignità. Che io sono uno di questi. Che poi, quando hai rimesso le cose in fila, sei orgoglioso, almeno per dieci minuti. Che quando scrivi la parola fine a una storia scritta per molti mesi, da ottobre, è sempre un momento emozionante, di quelli che segnano la tua vita e che non dimentichi più. Che subito dopo consegni all’editore, e le emozioni si impadroniscono di te. Che il tredicesimo libro ti è venuto molto bene, ha senso nel tuo percorso di ricerca, e ti piace, forse, speriamo… Che domani mattina ti sentirai un po’ disorientato. Che, ammettilo, stai pensando contemporaneamente a Rais, al tuo Atlante ma anche a un’altra storia, oggi hai perfino immaginato un dialogo, dillo! Che sì, lo ammetto. Che dopodomani sono a bordo, e ne ho veramente una gran voglia, bisogno di mare, di viaggio, di avventura. Che però non è facile lasciare casa e famiglia. Che è sempre così… almeno quando sei vivo. Che essere vivo è una buona cosa. Che lo spaghetto del festeggiamento tête-à-tête con te stesso, nel merito, è: pomodorini spaccati in quattro, aglio, rosmarino fresco tritato, olio d’oliva, peperoncino habanero, acciughe dello Ionio marinate da te, presa di sale, coriandolo fresco tritato, e bisogna che ti ricordi come ti è sembrato un dono mangiarlo con gusto, poco fa, pensando e ripensando che sono anni ormai che scrivi senza quasi fermarti mai, ogni mattina, sempre dentro, dentro, dentro. Che chissà perché scrivi. Che non è così importante, tanto non puoi evitarlo, e non è la sera adatta per le domande del cazzo. Che invece sono proprio questi i momenti per le domande del cazzo. Che scrivere ti ha salvato la vita, e questo lo sai. Che chissà cosa sarebbe successo se non avessi scritto. Che chissene frega, stasera festeggio un altro passo importante per me, mica per il mondo, per la mia piccola vita, che però è una cosa grossa, visto che è mia, e occuparsene, curarla, costruendo momenti di festeggiamento col piccolo immenso orgoglio di aver portato a termine una storia, beh…, un po’ mi commuove. Che sei un pirla a commuoverti. Che, senti… pazienza.

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Se fosse vero

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Bisogna accompagnare questa riflessione, necessariamente, con qualcosa di buono, altrimenti è troppo dura, troppo aspra, perché è inclementemente vera. Se cliccate sulla foto trovate anche la ricetta.

Tutte le volte che diciamo “non posso”, tutte le volte che diciamo “io sono fatto così”, tutte le volte che diciamo “lui”, cioè tutte le volte che non diciamo “IO”, tutte le volte che vediamo fuori distogliendo gli occhi da dentro, tutte le volte che vinciamo, che pensiamo di essere a posto, tutte le volte che alla via complessa di vivisezionare quello che abbiamo fatto, pensato, detto, preferiamo la via del giudizio di quello che è stato fatto, pensato, detto da altri, tutte le volte che non capiamo che ciò che ci infastidisce ci sta mostrando i cantieri da aprire, tutte le volte che per una cosa che “io” mandiamo a puttane una cosa che “noi”, tutte le volte che restiamo soli, seduti per terra, piangenti, in un deserto di ragioni sacrosante, di “rifarei tutto se tornassi indietro”, di “io ho la coscienza a posto”, di “se però lui avesse fatto, detto, ascoltato, capito”, ogni volta che ci avviciniamo al lago dei nostri diritti, ci immergiamo nella contezza di “come si fa” e anneghiamo nei “sono tutti stronzi”, e soprattutto quando ci accorgiamo che con le nostre ragioni, i nostri ottimi motivi, le nostre abitudini, abbiamo fatto il vuoto, detestabili proprio perché consequenziali, coerenti, immutabili, e ancor di più ogni volta che non capiamo che la ragione di oggi è la premessa della sconfitta di domani, solo che oggi era un ostacolo superabile, domani sarà ineluttabile, e ci arriveremo certamente dalla parte opposta del torto, perché la somma di tante piccole buone ragioni dell’IO partorisce il ciclopico muro tra NOI, e ogni volta che i nostri limiti mettono un mattone a quello sbarramento, le nostre doti migliori allungano una mano per toglierlo, se solo glielo lasciamo fare, e se quel muro sale mostra a tutti (tranne che a noi!) l’evidenza che a guidarci sono i nostri bisogni, e non, come dicevamo, tutte quelle buone intenzioni, perché ciò che ci distrugge è proprio la giustizia solitaria, che poi sono le buone intenzioni mai diventate buona azione, ostacolate sempre dall’altro, e ci mancherebbe!, l’altro che è sempre cattivo, limitato, è sempre parziale, scappa, fugge, e quindi deve essere proprio uno stronzo, a meno che non ci rendessimo conto che poteva restare, che potevamo farlo restare, che uno resta se sta bene, di solito, anche lui, se solo avessimo ascoltato, se solo avessimo capito, se solo avessimo smesso, per una volta, di seguire il copione da dentro a fuori che da sempre, infatti, ci danneggia, ci invecchia, ci ruga, e basterebbe rendersene conto per cambiarlo, capovolgerlo da fuori a dentro, almeno se fosse vero (se fosse vero…!), che siamo migliori, che sappiamo evolverci, ma soprattutto (soprattutto…!) che vogliamo essere felici.

NB: A tutti quelli che parlano di denaro: il downshifting, nel caso non lo aveste ancora capito, è questo. Il resto, per esprimermi in termini socioeconomici corretti, sono cagate.
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