Psicopolitica

IMG_20160314_142411_edit-1

Porta bicchieri e tazze. Castagno e chalk-paint autoprodotta

IMG_20160318_125147_edit

Porta pentole. Castagno di trent’anni e chalk-paint autoprodotta

IMG_20160317_125208_edit

Appendiabiti. Castagno antico e chalk-paint autoprodotta

IMG_20160317_195123

Lampada a muro. Piastra in ferro, probabilmente un carter da macchina di frantoio.

IMG_20160315_133939_edit

Parete attrezzata a ripiani. Castagno antico e chalk-paint autoprodotta


Esperienza creativa del riciclo, del riuso, del cambio di funzione, del recupero con materiali che vedo gettare via e che invece sono preziosi, oltre che belli. Dunque giorni utili, di solitaria e comune industriosità, piccola fatica, realizzazione. Risparmiare vuol dire fare da sé, il che implica il doppio risparmio di non dover comprare ciò che ci serve e di divertirsi creativamente senza spendere. Ma ce n’è un altro: la soddisfazione di poter dire “l’ho fatto io, come piaceva a me”, che è esperienza della personalità, dell’intelletto, coscienza. E poi un altro ancora: la produzione di valore, cioè realizzazioni che potresti anche vendere, o farne regali senza dover comprare oggetti insulsi.

E’ il reciproco dell’Ikea, se volete, cioè la controcultura: opporre al low cost omologato e industrializzato (che rende le case tutte uguali, come se chi vi abita fosse la stessa persona) il “costo zero inimitabile”, dunque solo vostro. Con le mani si fa politica, in quest’epoca, come con l’emarginazione progressiva tendenziale del denaro. Anzi, si fa l’arte più raffinata del presente, la più necessaria: la psicopolitica, cioè ci si cura l’anima mentre si sostiene un’idea valevole come modello, passando come sempre per l’azione.

Siamo il disastro sociale che siamo soprattutto per nostra inettitudine. Finiamo col dire o proporre a noi e ad ad altri soluzioni insensate per la nostra vita perché non sapremmo mettere insieme un legnetto trovato sulla spiaggia e una pietra levigata dal mare, legarli con uno spago, farne un regalo amoroso che testimonia creatività, pensiero dell’altro, esclusività.

Sentite me: ognuno che guardandosi intorno vedesse una casa brutta, banale, priva di personalità, non dovrebbe andare ai grandi magazzini, e neanche dallo psicologo, ma chiedersi cosa c’è che non va nella sua mente, nel suo cuore, domande semplici come: “Perché sono brutto?”, e subito dopo mettersi a lavorare.

Share Button

Ricomincio a scrivere

IMG_20151207_120348_edit

Da qui

Tornare a casa, lupo solitario che rivà nella tana, in viaggio sempre, qui come per le rotte mediterranee, a braccetto con i mostri e gli angeli, inevitabilmente, mai al riparo dalle emozioni, mai dietro il separè dell’irrealtà. Ritrovare il Fienile dell’Anima, il luogo dove si deve essere, stare, per poi riandare, unico luogo a cui tornare. Ogni uomo deve avere una bitta a cui dar volta con la cima del senso. Per non naufragare.

Metà del romanzo, ed oltre, da costruire. E ora c’è una data, che cambia tutto. La seconda metà, quella più difficile. Nella prima i personaggi ti rincorrono, faticano a starti dietro. Nella seconda tu corri dietro a loro, scompostamente, difficilmente, trappole narrative che si moltiplicano, rischio di perdersi. I personaggi che hai creato, che pure sono appesi al filo della tua penna, vivono di vita propria, scelgono inopinatamente, differentemente. Cattivi che si rivelano migliori, buoni che si rivelano orribili. Amore che genera disamore, vita che genera morte. Sogni. Che romanzo scrive un autore? Quello che i suoi personaggi decidono. i suoi infiniti sé a confronto. Difficile spiegare. Dare vita impone il rispetto della vita data. Anche perché non c’è alternativa.

Come i monaci. Ogni mattina alle 6.00. Ogni giorno fino a sole alto, quando si perde tutto, quando la spossatezza intorpidisce la visione. Pieno di errori, perché l’alba è il tempo dell’immaginazione e dell’imperfezione. E poi ogni pomeriggio, quando non sapresti creare neppure un’immagine, ma sai correggere, smontare, rimontare. Lo scrittore immagina al mattino, aggiusta nel pomeriggio. Architetto e artigiano. Poi passeggia nei boschi, costruisce oggetti, ripara. E la sera, di fronte al fuoco, nella solitudine assoluta, nel silenzio inviolato, patisce, accarezza la stanchezza a volte affranta, a volte esaltata, del procreatore. Scrivere è fare l’amore, tantrica e saltuaria eiaculazione d’inchiostro.

In mare a lungo, mesi, per anni. Nella cristallizzata perfezione di questo luogo che ho costruito, a lungo anche qui. Molteplicità che non deve negarsi, non deve nascondersi: eccolo il privilegio di cui essere orgogliosi. Qui nascono le immagini, i pensieri. Qui nascono i personaggi. Qui si traccia il filo sottile delle storie. A seguirlo, non si va verso l’autore, tuttavia. Ci si immerge nell’abisso del proprio mondo negato.

Ho ricominciato a scrivere.

Share Button

Quanto basta

IMG_20151127_200637_edit

Aghios Nikolaos, notte.

Giorni di verità, di scoperte, di sensibilità. Giorni pieni, profondi, dolci e ruvidi, dove è giusto addentrarsi, anche se non è semplice. Giorni di sorprese, di emozioni mai provate, in cui è possibile affondare provando sconcerto, ma senza sentirci soli. Giorni lontanissimi da slogan e citazioni, dagli occhi chiusi che non vogliono vedere che sé, che non accettano la diversità, a partire dal proprio cuore. Giorni di cambiamento, ancora una volta, e di viaggio, come sempre. Giorni che finiranno tutti nelle mie pagine, anche se sarà difficile distinguerli, perché sembreranno i vostri.

Quando si entra così profondamente nella propria vita, quando si affondano le braccia fino ai gomiti nel miele amaro delle autentiche emozioni, si prova un ronzio, una spossatezza, come se si fosse corso, si fosse faticato. E’ la libertà a spossarci, e a riattivarci. Non va confusa con la stanchezza dei momenti difficili, dello stress. Il calore del circuito in cui passa energia racconta il suo funzionamento. Grazie, sempre, a quel giorno di sole in cui mi sono alzato, sono sceso per le scale, e sono uscito da quell’ufficio.

Il coraggio. La parola chiave del prossimo futuro è il coraggio. Quello delle scelte, di perdere ciò che sono alla volta di ciò che non sono ancora. Quello della prosecuzione del viaggio sotto la mia responsabilità, per poter dire “sono arrivato fin qui”, qualunque sia quel luogo. Appuntamenti pieni, quelli del viaggiatore che non si nasconde nulla sugli ostacoli della via. E grande orgoglio di proseguire dopo l’oltrepassamento. Risposte complesse a domande complesse. Nessuna tentazione di semplificare. E mai troppa paura. Quanto basta

Share Button

Tutto ma non liberi. E’ indecente

Tanto per fare un po' di pubblicità ai bravissimi ragazzi di Linosa

Questo è business”. Hanno avuto il coraggio di scrivermi questo su internet. Io raccontavo che sono in mare, quello che faccio, come sto, e che è possibile raggiungermi. Che tristezza

Che tristezza dire a me che faccio business, io che se va bene dalla vela porto a casa 5000 euro in un anno facendomi un mazzo tanto (e divertendomi altrettanto). Che tristezza questa Italia immobile e moralista, criticona e polemica. Che tristezza questa facilità di dire, accusare, attaccare, senza sapere, senza neppure farsi una domanda. Che tristezza chi non legge, non sa, non s’informa e spara ad alzo zero su chiunque tenti qualcosa, provi a salvare almeno la propria vita dall’immensa palude dell’epoca e del Paese. Che tristezza non verificare che in mare tutto costa quasi il doppio, e io per stare bene con me stesso, per far stare bene gli altri, decido di ospitare la gente a bordo guadagnando meno del dovuto. Che tristezza non sapere che la barca su cui lavoro si è pagata col lavoro stesso, mese per mese, euro su euro, facendo tutto da solo o insieme ai miei amici, finché possiamo, finché sappiamo, finché ci proviamo. Che tristezza vivere in modo così simbolico, che se di mezzo c’è una barca diventiamo tutti Briatore. Che tristezza internet, così gravida d’ipocriti protetti dal nickname, fancazzisti senza qualità, che hanno anche il coraggio di parlare di libertà e democrazia della Rete…

Emaciati, pallidi, tristi, insani, al limite con la sussistenza, così dobbiamo essere? Beh scordatevelo. Tollerate qualunque cosa, ma non che si tenti di vivere liberi, vero?! Questo suona come indecente in questa epoca, non è così?! Mai dire che stai bene, mai dire che provi a vivere, mai dire che stasera hai goduto del sole che tramonta, di un buon bicchiere, di un cibo preparato bene. Che tu ci provi e fallisca, al contrario, sta bene a tutti. Anzi, è prezioso! Che tu ci provi e riesca, invece, genera ondine di fetido risentimento. “Stai barando, certamente. Nessuno può!”. Schiavi tanto da non saper immaginare, da non saper neppure sorridere se qualcuno corre via nel campo di grano, si allontana dalla prigione, fugge inseguito dai cani. Neppure il tifo sapete fare, sperate che i cani gli addentino le caviglie! Quel fuggitivo non sei tu?! Non è la tua speranza?! Se non ti vedi, se non ti riconosci in quella schiena fustigata che suda correndo, sei già morto. Non ci avevi mai pensato?

Eccola la nostra cultura, invidiosa, malevola, maliziosa, che augura a tutti il naufragio mentre affoga, che spera nella caduta, che sogna che nessuno possa, se noi non possiamo. Che nessuno tenti se noi non ci proviamo. Ma che razza di morti viventi siete?!

Cara classe media del pensiero comune, cara gente senza alcuna immaginazione, che non credete mai a niente, ossessionati dalle truffe e dal marciume, che giudicate falso ciò che voi vivete falsamente, che spendete su un monitor tutte le vostre poche energie attaccando tutto e tutti… fatevi un bel giro, una bella passeggiata. Ossigenatevi, date fiato ai pensieri. Elaborate prima di morire qualcosa che sia vostro, un’idea anche minima, ma che possiate realizzare. Impegnatevi a fare, non guardate da questa parte, lasciatevi in pace. E lasciate in pace anche me. Siete il peggio del Paese, ve lo dico con franchezza. Siete voi che consentite all’enorme Leviatano di stare in piedi, di schiacciarci. Fino a che potrete sfogare rabbia e frustrazione nell’immensa cloaca a cielo aperto della Rete avrete il vostro pane e il vostro circo, messo su ad arte dal Sistema per far fischiare la valvola della vostra parossistica pressione. Voi da cui non c’è niente da temere, che non farete mai niente di eversivo, che non tenterete mai una via vostra, che non avete il coraggio dell’accusa vera, quella che si fa agendo. Dobbiamo a voi, alla vostra immobilità, ai vostri sospetti, ogni disagio, ogni degrado, ogni potere che ci opprime. Uomini-mai-stati-liberi, che non tollerate alcun vagito di libertà, smettete di cercare il baco, la nota stonata, sono anni che ci provate, anni che vi rispondo punto su punto. Che vi è successo in questi anni, come siete vissuti? Io così, come sapete…

E non chiamatela critica, almeno, non fate quest’ennesima figura da mistificatori. La critica è una sofisticata arte della comprensione. La fa chi ha studiato, chi ha tentato, chi riesce a misurare su di sé mentre fa, perché su-di-se-mentre-non-fa non serve a niente, e toglie diritto di parola. Fa solo rumore. Fa il gioco del nemico.

Su internet resta tutto, grazie al cielo. Tra qualche tempo rileggeremo ogni affermazione, ogni “pensiero”. Vedremo chi c’è ancora, cosa fa, com’è andata. Vedremo chi mentiva. Vedremo chi c’è ancora e che senso avevano le sue parole. Quel giorno io spero solo di non dovermi vergognare, spero di constatare che dicevo quello che facevo, quello che ero. Per alcuni sarà un brusco risveglio. Non vorrò essere nei loro panni, ma nei miei. Come oggi.

 

Share Button