Potrebbe, dovrebbe…

Mediterranea naviga per la Georgia

Qualcosa ha visto, per certo.

Sul ponte. SoloIl floscio tonfo del capo di cima che piomba in acqua. Il gorgoglio della prima scia. Le montagne dell’interno illuminate dal sole dell’alba. Poco prima il calcolo del vento, come staccare il pachiderma dal molo, un uomo, l’intelletto antico del marinaio, nonni e bisnonni, una vita per mare. Poi è bastato un gesto, la fede in una traiettoria capace di battere le forze avverse, e via. L’avamporto, il capo di molo, la lunga onda ormai innocua. Sguardo all’orizzonte, prima, senza preoccupazione, poi alla mappa, già trascorsa da righe. Il sentimento d’appartenenza che dà riconoscere una costa, sapere che si è a sud, e di quale nord. La prua, orientata dove c’è il ritorno. Sul ponte, solo. Il marinaio è già stato lì.

Chi è stato in mare dovrebbe essere sempre accolto. Ha maneggiato a lungo l’inesplicabile, lo ha sentito, chissà se capito. Sul ponte, da solo, qualcosa ha visto, per certo. Qualunque cosa dica, faccia, bisogna comprenderlo, tener conto che è stato laggiù, dove quasi tutto il mondo ha paura di andare. Quando torna non sa dire, ma potrebbe, dovrebbe, e non capirlo è come rinunciare a sé. Il vero ritorno, quando il marinaio sbarca, è per chi lo aspetta, per chi finalmente si ritrova. Lui, laggiù, sospeso sull’abisso, su quel ponte, solo, non era mai partito.

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Ormai lo so

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La mia ultima installazione nel bosco. S’intitola: “La Finestra”

Ad aprile sono arrivati circa 2000 euro di diritti d’autore dello scorso anno. 2.350 sono arrivati con l’anticipo per la pubblicazione del romanzo, qualche giorno fa. Eventuali proventi della vendita arriveranno ad aprile 2016. Quasi 600 euro li ho guadagnati lavorando a bordo, con i trasferimenti (il terzo in un mese, ieri: Spezia – Genova, splendida veleggiata a scorrere le Cinque Terre. Qualcuno, che non ha tempo, aveva lasciato la barca qui senza riportarla indietro e ha pagato me, che tempo invece ne ho, per andare su una barca pagata da lui e riportarla alla base. Simbolico). 150 euro circa li ho guadagnati con qualche pezzo sui giornali (ieri l’ultimo, sul Fatto Quotidiano, anche se chissà quando me li daranno). Totale 5.100 euro. E siamo a maggio. Me ne mancano, diciamo, 4000 per il mio budget annuo. Sono in media, più o meno. Anche se stare in terraferma costa più che stare in mare (meno male che riparto tra poco) e da fine agosto a dicembre navigherò (dunque meno costi ma difficile guadagnare). Vedremo. Qualcosa arriverà. Da sette anni cerco di sistematizzare le entrate, senza riuscirci. Mi sono sempre mantenuto lavorando come marinaio, e mettendo da parte i soldi dei libri. Ora con Mediterranea faccio fatica. L’unica cosa che sono riuscito a fare sempre, e con molto ordine, è contenere le uscite. In ogni caso, stamattina mi sono svegliato così: carta alla mano. Ogni tanto mi capita.

I miei forecast non tornano mai. Da questo punto di vista non è cambiato niente con la vita in azienda. Qui però ho tutte le leve in mano, tanto quelle delle entrate quanto quelle della spesa. Il che offre almeno l’opportunità di non avere conflitti di gestione. Diciamo che Direttore commerciale e Direttore finanziario, almeno qui, non bisticciano mai. Ma il punto, naturalmente, non è questo.

Verso le 6.00 avevo già preso il caffè e scrivevo, come tutte le mattine. Una buona pagina, carica di pathos: una donna reclusa in un’isola solitaria del Mediterraneo che risponde a un misterioso inquisitore e rivela particolari drammatici (ma anche divertenti) sulla sua vita da schiava, apparentemente fuori dalle cose del mondo, e invece crocevia di destini. Verso le 7.00 ho finito il lavoro di restauro del mio tavolo “LIFE”, che ho costruito sei anni fa con un pallet e che aveva urgente bisogno di essere rimesso a nuovo. Verso le 7.30 ho aggiustato il fermo della chiusura del cancelletto, sostituendo una vitona, ormai arrugginita, con un perno mobile. Tra poco esco, commissioni e perfino un caffè al bar. Oggi festa.

Appena sveglio ho ascoltato il silenzio. I colori del sole si avvicinavano lungo la valle, potevo vedere la linea di luce avanzare da ponente. Passeggiando ho goduto dell’aria fresca e immobile, osservato con meraviglia il primo fiore di zucchino arancione e giallo spiccare sull’orto verde e i piccoli fiori gialli dei cetrioli sbocciati all’improvviso. Soprattutto, ho sentito che le energie, anche oggi, hanno ripreso a scorrere, come da qualche giorno. Sarà un buon mattino, lo sento. Anche questo, devo ricordarmi, va messo nel budget. Anzi no, non serve. Ormai lo so.

#unuomotemporaneo

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Un anno per mare


Sognare. Progettare. E poi, vivaddio, salpare. Uno da solo non saprebbe farlo, non avrebbe sufficienti forza, idee, tempo. Ma tanti, insieme, sì.

Un anno fa, da San Benedetto del Tronto, partiva Progetto Mediterranea per la sua lunga peregrinazione via mare. Già l’anno prima, nel “riscaldamento”, avevamo navigato sei mesi tra Balcani e Golfo di Venezia, ma un anno fa partivamo ufficialmente. Ora siamo nel Mar Nero, tante miglia dopo, e proseguiamo imperterriti il nostro viaggio. A bordo un gruppo di noi, che ogni settimana cambia, come era previsto. In questo anno abbiamo incontrato mare, cetacei, tartarughe, uomini, coste, baie, storie. Ci siamo riparati sempre con umiltà negli angoli sicuri che ci ha offerto la sorte. Ci siamo risollevati dalle tante, inevitabili cadute. Mediterranea ha dimostrato a ognuno di noi, uomini temporanei, che non c’è spazio per uno solo rivolto a se stesso, ma solo per tutti noi rivolti verso il mondo. Nessun interesse, nessuna deroga dai nostri valori. 45 persone che viaggiano per piccoli grandi obiettivi comuni. Da condividere.

Un anno fa salpava Progetto Mediterranea, noi a bordo. Gente qualunque, ma non gente comune. Cercatori di senso. Scopritori del nostro mondo. Per non doverci dire un giorno, con disincanto: “ah, se fossi salpato!”. Noi siamo salpati, perché il tempo va, non torna, e quello che hai tentato, vada come vada, è il tuo ritratto: lo guardi e finalmente ti vedi. E tra cento traversie, inevitabili quando si vive davvero, siamo qui, stiamo navigando.

Siamo sempre stati all’altezza? Forse no, ma tante volte sì. Una spedizione, come la stessa vita, non la giudichi dai tanti errori, ma da tutte le volte che non ti dici bugie, capisci, hai un’idea nuova o sei grato a chi te la offre, salpi l’ancora e continui a navigare. Una mappa chiara, che non prevede scuse, solo responsabilità personali, e voglia di essere migliori di ieri. Con un waypoint chiaro: ogni cosa che viviamo la dobbiamo (anche) all’altro. Ogni giorno dobbiamo ricordarci di dirgli grazie.

Qui, per ricordarcela sempre, la “carta dei valori” di Progetto Mediterranea.

Occupy Elafonissos

 

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Una sola…

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Davanti Al Galatasaray Lisesi, ieri.

Questo post l’ho scritto il 16 marzo, qualche giorno fa.

“Istanbul. Sento una vibrazione, una tensione. (…) vedo una forza che si agita, qualcosa che freme. (…) sento che in ogni momento potrebbe esplodere. In cosa, non si sa.”

Lo ripubblico. La prima parte, alla luce delle notizie di questi giorni, sembra più attuale che mai:


Istanbul. Sento una vibrazione, una tensione. In sei mesi di Grecia non ho assistito a un litigio. Qui in un mese ho visto due discussioni animate, uno scontro automobilista-pedone finito a calci sulla macchina, una megarissa tra una squadraccia di poliziotti in borghese contro ubriachi o comunque ragazzi che stavano facendo casino (scena impressionante: sono sbucati dal nulla, una quindicina, spray al peperoncino, manganelli, calci e pugni da stadio). E poi, davanti al Galatasaray Lisesi, ogni giorno, anche due volte al giorno, manifestazioni e dimostrazioni controllate da centinaia di poliziotti armati fino ai denti, grossi Ariete blindati con cannoni idranti sfollagente. Soprattutto, guardo gli occhi, parlo con la gente. Vedo una forza che si agita, qualcosa che freme. la Città, la Città delle Città, è un enorme serpente che sfila, scorre, si arrovella, incessantemente. Sedici milioni di persone. Istanbul. Qui c’è un’energia fuori dall’ordinario, che si fa gioia, incanto, aggregazione, socialità, ma senti che in ogni momento potrebbe esplodere. In cosa, non si sa.

Oggi ho incontrato G. Mancini, giornalista, storico, blogger. La sua è una lettura della Turchia molto inconvenzionale, molto diversa dalla vulgata che tutti raccontano. Interessante, proprio per la sua differenza. A tratti non credo, a tratti mi appunto, a tratti lo seguo e penso abbia ragione. Mi faccio domande, in tutto ciò. Il motivo del mio lungo viaggio per il Mediterraneo. Domande su domande, ipotesi, informazioni, cose che vedo, di fronte a me, non capisco, realizzo, restano appese. Quante domande… quante di esse avranno risposta? Chissà. Però sento che mi fanno bene tutti questi dubbi. Da qualche tempo ci vivo immerso, nuoto, a volte sprofondo, a volte riemergo. Dal gennaio del 2008 so sempre di meno, questo è evidente. Di anno in anno, in questa mia nuova vita, recedo, regredisco, mi svincolo da certezze, da schemi, da sovrastrutture. Chissà cosa resterà alla fine del lungo percorso. Forse un’unica, enorme, inevitabile domanda. Una soltanto. Nudo.

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Non esiste…

Letture difformi

Letture difformi

Non esiste matrimonio, non esiste fidanzamento, esiste il rapporto che abbiamo con una donna, con un uomo.

Non esiste il ritorno, esiste un altro, nuovo, movimento.

Non esiste amicizia, esiste la fratellanza, la solidarietà, il sostegno e la condivisione tra simili.

Non esiste il tradimento, esisteva l’illusione.

Non esiste il lavoro, esiste l’interesse che nutriamo verso un’attività, quanto ci riguarda, quanto ci riguarda quello che facciamo.

Non esiste l’obiettivo, esiste l’appartenenza che proviamo ad un sogno possibile.

Non esiste la casa, esiste l’armonia con noi stessi in un luogo.

Non esiste la vittoria, solo il fraintendimento del tentativo.

Non esiste il cibo, esiste la nostra risonanza sensoriale con  i sapori.

Non esiste la meta, esiste il movimento e la suggestione di andare.

Non esiste una storia, esiste il temporaneo collegamento tra episodi che sono già, essi stessi, una storia.

Non esiste la promessa, esiste l’evoluzione condivisa.

Non esiste la paura, esiste il nostro momentaneo perderci dentro il gioco.

Non esiste amore, esiste appartenenza, poesia in mutamento.

Non esiste la sconfitta, solo il tentativo.

Non possiamo fallire. Se avessimo potuto essere altro, fare altro, sarebbe stato comunque lo stesso.

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Il Nuovo Mondo

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“Non voglio cambiare le regole del gioco, io voglio cambiare il gioco!” Andrè Breton

 

Ragionando di progetti con R., in questi giorni, mi sono accorto che ormai sono lontanissimo da questa realtà, e sto seguendo logiche ormai irrimediabilmente diverse da quelle del pensiero comune.

Sono fermamente convinto che la rivoluzione morale in atto, che nessuno nota ancora, sia enorme. E’ notevolmente superiore a quella della tecnologia, che pure pare epocale. Mentre tutti parlano di robotica, droni, app, domotica che ci cambieranno la realtà, mi accorgo di divergere sempre più dai fondamentali che regolano la nostra vita. Siamo già entrati nel Nuovo Mondo, del resto….

Nel Nuovo Mondo saranno cooperazione, fiducia, generosità, gratuità a generare valore. E’ collegata a queste condizioni morali la “ripresa”, non al PIL, e la crescita sarebbe forte, chiara, immediata, violenta, se solo qualcuno l’avesse capito e lo stesse facendo. 

E’ finita l’epoca delle cose fatte senza ispirazione collettiva; è finito il tempo dei millesimi in cui suddividere proprietà e partecipazioni; è finito il mondo in cui se io faccio di più in un progetto comune devo anche avere di più; è finita la scala di valori economica, a vantaggio di quella delle idee, del sogno e del progetto in grado di coinvolgere; è finito chi fa la corsa per se stesso, facendosi il suo piano ottuso, agendo come singolo pro domo sua, prigioniero dei suoi ragionamenti da piccolo uomo; è finito ciò che non genera benessere autentico, olistico, emozione, ispirazione; è finito il mondo della produzione e del consumo così com’è oggi, a vantaggio del lavoro per autoprodurre ciò che davvero serve al minimo del costo possibile; nel prossimo futuro genererà più economia chi ha visione di chi ha denaro. Produrrà più benessere chi è in grado di lanciarsi su territori aggregativi senza garanzie di chi cercherà la quadra legale ed economica prima di fare un passo. La fiducia nella potenza dell’ispirazione eliminerà contratti, clausole, penali, dunque avvocati, fiscalisti, consulenti finanziari, collegi dei “probi” viri, rappresentanza sindacale delle minoranze, trust, esclusive, proprietà intellettuali. Ci aiuterà più un filosofo, di questi professionisti.

Naturalmente il passaggio sarà “corsaro”, non certo regolare. La linea di abbordo tra la barca della post-modernità e quella del Nuovo Ordine Sociale sarà spezzata, non lineare. Dovremo accettare compromessi con le nostre convinzioni, e ci sarà guerriglia dei comportamenti e delle scelte. Qualcuno salirà sull’arca, qualcuno scommetterà che non piova troppo. Ma il mutamento della relazione tra uomo e società può essere compreso prima o subito dopo. pensiamo al patto sociale, alla famiglia, al mutuo soccorso, alla disposizione verso relazione e solitudine, come anche al tema dei costi della vita, della bellezza dei luoghi. E’ normale, è sempre così. Non bisognerà avere paura, o meglio, fronteggiarla con coraggio e saldezza d’animo. L’antico adagio: per amore o per forza.

Il Nuovo Mondo non avrà solo nuove regole, avrà nuovi giochi, e chi è in grado di vedere già oggi tra le nebbie del futuro prossimo venturo ha delle responsabilità enormi: parlarne, coinvolgere, progettare, realizzare, tentare. Siamo qui per pochi istanti ancora, cosa possiamo perderci?

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Per un’ora d’amore

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Charalampos Tsouroukidis, architetto, filosofo, movimentista civile. Amico per tre giorni. E poi chissà…

“Qui ci sto perché la cosa più bella al mondo è essere amici per un’ora”, ci ha detto la signora del piccolo ristorantino sulla spiaggia di fronte al porticciolo di Nea Marmaras, in un giorno difficile da dimenticare. Aveva il volto di mille amicizie, sereno, gonfio d’ebbra e autentica gioia. C’era da crederle. Ed eccoci qui, con Charalampos Tsouroukidis, a Kavala, amici per tre giorni, che dovevano essere due, o uno, oppure mai. Amici di quelli che non si separano, altro che per dormire. Che parlano, parlano, e non si stancherebbero per nessuna ragione al mondo. Di quelli che pensano a una mente, con un battito comune del cuore, e prolungano di un giorno, di due, la loro compagnia, come se fosse la cosa più importante da fare. Amici che non si dimenticano, perché nella smorfia dell’eccitazione hanno brindato insieme: “Mediterraneo Unito!” credendoci davvero un po’. Amici che si sono riconosciuti nelle idee, nelle convinzioni, nelle debolezze, nei dolori, nei racconti diversi e così simili di vite mai conosciute. Amici, insomma. Per tre giorni. Per un’ora. Eppure così migliori di tanti altri, assenti, trascinati, supposti, anche se lunghi una vita intera.

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Aneto e gamberi rosa

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Genoa, trinchetta e randa di maestra

Stamani, sul presto, ho guardato la marina di Pasalimani, Pireo, e per la prima volta l’ho vista donna che sogna sotto un lenzuolo di nuvole alte, le prime dopo mesi di sole. Ieri c’erano 36 gradi, sudavamo con gioia. Oggi saranno 22 e il primo lembo del plaid autunnale ci sfiora la schiena. Le previsioni danno vento molto forte da venerdì, e la nostra partenza domenica comincia a non essere così certa. La rotta prevede un bordo a est-sud est, per Capo Sounion. Poi a nord, lungo il canale dell’Eubea, fino alle Sporadi. Poi Salonicco e le tre lunghe dita scheletriche della penisola Calcidica, dunque la Macedonia, Thassos, poi giù verso i Dardanelli, dentro il Mar di Marmara per le Isole dei Principi, e infine Costantinopoli, Istanbul, la perla del Bosforo. 1000 miglia, all’incirca, e un arrivo orientativo per la metà di dicembre. Viaggio lento, come si conviene. Soste per visitare, tempo per sentire. Viaggio dentro (esiste altro tipo di viaggio?), seguendo i venti, come mi consiglia generosamente e argutamente qualcuno.

Il nostro frigorifero di bordo profuma di aneto e gamberi rosa, cetrioli e yogurt bianco. Porteremo con noi questi aromi per due mesi ancora, all’incirca. Poi sarà Asia Minore e Turchia, Georgia, Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria. Odori nuovi, o identici, chissà. Nella capitale dell’ex impero romano d’oriente, nell’affascinante Bisanzio, resteremo un paio di mesi, forse tre. Non era un sogno anche viverci, anche scriverci, anche sentirla casa? Come questo mese ad Atene, in cui è successo di tutto, travolti, colpevoli, eppure accolti e innocenti, sempre ad ascoltare, sempre a casa. I porti del Mediterraneo sono patria e dimora, per noi. Torniamo, non andiamo. Ogni angolo di questi incavi marini albergava un tempo nella memoria di un nostro antenato. Sempre detto: non si può conoscere, solo ri-conoscersi.

Guardo la marina, le barche che ciondolano come peluria morbida sulla pelle del mare. Saluto due comandanti, che rassettano già al mattino. Tanto lavoro da fare, ancora e sempre. Lavoro che oscilla tra le braccia e la mente, tra i muscoli e il cuore. Ieri in cima all’albero a controllare le sartie, guardavo il mondo da una ventina di metri d’altezza. L’ho trovato identico a come sempre lo osservo. Le mie mani ruvide e il mio cuore zuppo di parole sono due facce della mia natura di marinaio e narratore. “Tutto questo, certamente, mi appartiene” mi sono detto. Nell’epoca della grande diaspora esistenziale, generalmente, ci si sente fuori, senza essere posseduti, senza avere niente. Un raro privilegio, per me. 

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Non solo per me

Anche un incidente brutto è utile. Disvela, apre, favorisce la comprensione. Non parlerò di quello che ho vissuto dentro in questi dieci giorni così difficili. Lo farà Renato Reis, forse, e lo sta già facendo il pirata Dragut Rais, su pagine che leggerete chissà quando. Però quello che è avvenuto fuori è interessante.

Tanti: “Mi dispiace! Ti aiuto”. Pochi: “Perché chiedi aiuto?” Ricordo di aver fatto un pensiero mentre la barca s’impennava e precipitava giù nella lavatrice della buia burrasca: “Cosa sei disposto a fare per non fermarti qui?”. Risposta obbligata, sempre la stessa da quando sono vivo e penso: “Quello che serve. Qualunque cosa lecita, purché Mediterranea vada avanti”. Quando si sogna concretamente, si finisce per dirsi sempre le stesse cose. La differenza tra fare e non fare. E poi nella vita mi piace smettere, semmai, non dovermi fermare.

Sembra che io, per alcuni, non avrei dovuto scrivere l’appello di cui sapete. “E’ una questione di stile. Ai miei sogni provvedo io!” dice qualcuno. “Perché dovrei aiutarti ad andare in giro in barca?”. “Ma come, sono qui a morire di lavoro, tu non lavori, e io devo aiutare te?”. Li capisco. Come non mi stupisce il brivido di soddisfazione: “Oh, finalmente, non può andargli bene tutto. Ecco che i nodi vengono al pettine. Hai voluto fare quello che molla e se ne va? Eccoti servito”. Soprattutto alcuni velisti, hanno goduto. Peccato mortale, secondo me. Velisti da cortile, tirascotte d’accatto, che hanno dimenticato che in mare la sventura non si augura, della sventura altrui non si gode, e soprattutto, quando capita, genera compassione (etimologicamente: condivisione del dolore). Uno dei pescatori che mi ha aiutato a SBT mi ha detto: “Magari tra di noi ci odiamo, ma se uno ha un problema, fosse pure il tuo peggior nemico, si mette da parte tutto e si va ad aiutarlo per primi”. Toglietevi il giubbottino North-Sail ultimo modello, vergognatevi e imparate.

Io potevo girare per il Mediterraneo per conto mio, piano piano, non ho bisogno di niente. Però avevo un progetto in testa, che ho condiviso. Poi il progetto si è allargato ancora, e ora coinvolge decine di persone, tutte comproprietarie del viaggio e co-sognatrici del sogno. Molte altre si aggregheranno. Il Progetto Mediterranea è un progetto culturale e scientifico, rappresenta ormai un pezzo dei sogni di tanti. Ecco perché ho chiesto aiuto. Ecco perché in tanti ci hanno aiutato. Ecco perché tanti SI sono aiutati.

Io credo che sia finita l’epoca del “solo mio”. Da tempo scrivo e ragiono sul coabitare, coprodurre, coadiuvare. Anche per mare è così: nessuno di noi può avere una barca. Ma insieme, se rinunciamo alla titolarità, alla proprietà assoluta, possiamo. A bordo non conta chi ha soldi, ma chi sa sognare a vela. Certo, l’idea di incontrare gli altri deve suonare come bella, utile, possibile. Per i solitari a bordo non c’è alcun appeal nella condivisione di una barca e di una rotta. Per me sì. E a giudicare dai tanti che ci hanno aiutato, che Si sono aiutati, non solo per me…

Un’ultima cosa. Ringrazio in particolare chi mi ha scritto dicendomi: “Tu hai aiutato me con i tuoi libri, a farmi delle domande o a cambiare. Ora io aiuto te volentieri. Grazie!” Il risultato della partita perfetta, come scriveva Gianni Brera, è il pareggio.

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