L’ho vista fragile

Molte linee, pochi lineamenti

Vado via un po’ pensieroso da Milano. Due belle presentazioni, tanta gente, tanto calore intorno a me. Le pagine, gli anni, l’impegno, la voglia messa nell’esserci sempre verso i lettori, pare che stiano manifestandosi ora tutte insieme, a Milano e altrove. Ma la città l’ho vista fragile.

Milano la conosco bene. Prima la vedevo da Roma, andandoci due volte a settimana per lavoro. Poi vivendoci, per quasi dieci anni. Poi tornandoci spesso, anche senza più viverci e lavorarci. Conosco i suoi occhi sbarrati, la sua ansia latente. Conosco la sua logorrea sospetta, e le sue paure. Eppure, allontanandomi, con maggior distacco, avevo immaginato un equilibrio nuovo, quella venatura di saggezza che resta sempre dopo un ridimensionamento, sul fondo del barile di una crisi

Invece no. Nelle mie incursioni milanesi (toccata e fuga senza mai perdere l’occhio della strada) ho visto tanta paura, qualcosa di tangibile ormai. La vedi dovunque, nei discorsi sulla minaccia, sui diversi, sui mendicanti. La vedi sul peso sempre crescente che hanno i soldi in questa città: la storiella che servono, che bisogna farne ancora, che bisogna fare di tutto per garantirseli. La litania, invece che indebolirsi, si è rafforzata. Milano è tutta un simulacro del denaro, totem sparsi dovunque. Il consumo è la mano di Dio capace di gesti magnetici, abili a far voltare tutti dalla sua parte. La fine della crisi ha liberato i cani, che attraversano le vie bavosi e latranti, in cerca di qualcosa da divorare. Chiunque non sia rapido a togliersi dalla traiettoria rischia di essere travolto.

Ma non si tratta soltanto di questo. Tanto tremore, tanta inquietudine. La vedo serpeggiare, passare come un’ombra su tanti visi ilari, incapaci di mentire. Speravo di trovarla cresciuta, Milano, più serena, più quieta all’indomani di un decennio aspro. E invece mi pare che abbia dato ascolto agli imbonitori, alla cultura degli ottimisti col passo svelto, i violenti della comunicazione, senza opporre alla loro certezza alcuna alternativa vera, nessuna nuova scuola. Così si finisce preda di un unico pensiero, che ha una sola rotta, sempre la stessa, e una meta tragica, sempre fatale.

Città attiva, ora Milano è diventata ipercinetica. Tanto veloce che si riesce a vedere solo linee, senza lineamenti. Lupa con cento cuccioli e troppe mammelle, Milano sembra moltiplicare ciò che addizionava. Valanghe di microscopiche attività, quasi sempre istantanee, già morte al vernissage, velleitarie, tutte incalzate dal tempo, una dietro l’altra, tutte scritte bene e fatte male, non vere, vuote. Tutto di corsa, “poi vi raggiungo!”, ci vediamo dopo l’evento, dopo l’altro evento, prima dell’ultimo evento.

Caviglie sottili, Milano, come i purosangue costretti a correre un palio nato per i cavalli da lavoro. Non puoi metterci peso su quelle zampette, sono già in bilico tra sostanze che eccitano e rilassano, e il saldo zero è una chimera. Manca il silenzio, manca l’assenza, manca il vuoto di quando sbatti via tutto da una stanza, manca stare zitti, manca avere tempo, manca la libertà, quella di quando ti dimentichi.

Sono legato a Milano. Tanto. Le devo molto. Anche lei mi deve qualcosa. Mi dispiace tanto vederla così. E sentire anche ripetere da tutti, troppi, il mantra della città che sale, che è migliorata, sta crescendo. Tutti ne decantano le lodi, i nuovi quartieri, l’eredità delle Expo, ma a me questa visione non convince. Io la vedo come certe donne, che con l’età diventano più belle, affascinanti, ma sempre più tristi e sole. O come tanti uomini, che da giovani sono così atletici, prestanti, fanno un gran rumore per nascondere il terrore in fondo agli occhi. Poi un giorno non ci riescono più.

Così facendo, ancora avanti in questa direzione, Milano rischia molto. È la capitale tossicomane del regno, distribuisce pillole gratis per la strada. Le sue signorine creative (quelle che toccano gli oggetti col viso reclinato, come stessero pensando) e i loro cavalieri senza sella, stanno marciando dritti per la galera dell’emozione, il sanatorio della speranza. Là dove nulla basterà.

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