Ricalcolo

Foto fatta da me a un poster, in uno studio medico ospedaliero.

In questi giorni, contrariamente al solito, ho guidato in città. Un disastro, un inferno sulla terra. Non sono più fatto per questo, mi sono modificato geneticamente. Ho smanie, mi innervosisco, tendo a bisticciare con tutti, mi intristisco, dopo pochi minuti vorrei scendere dall’auto e imboccare a piedi il primo sentiero che conduce a un campo. Pago un prezzo emotivo, psicologico, enorme. Grazie al cielo non devo farlo mai.

Ad ogni modo, in questi giorni ho usato il navigatore che, contrariamente a quello che utilizzo in mare, parla. Non essendo abituato a utilizzarlo (percorro circa 800 km all’anno, contro circa 1.500 miglia per mare), sbaglio strada, anche perché tendo a orientarmi con i punti cardinali più di quanto non mi fidi del gps. Per questo, la parola che ho ascoltato di più in questi giorni è: “ricalcolo“. Lo dice il navigatore quando, con aria di finta disponibilità e autentico disprezzo, ti sottolinea che lo stai costringendo a porre riparo a una tua negligenza. Il che, mi ha fatto pensare: “ricalcolo” implica aver già studiato il percorso ideale per brevità, vincoli, traffico tra il punto di partenza e l’obiettivo finale. Ebbene…

Chi ricorda quando (e come) ha impostato per la prima volta il suo percorso ideale? Conosceva l’obiettivo? Quando ha fatto le prime scelte-chiave (liceo, università, lavoro, sport, relazioni, amicizie, amore, viaggi, libri, luoghi dove vivere) sapeva chi, fatto come, avrebbe fatto cosa, per andare dove? Sapeva che ostacoli, che percorso, con quale traffico avrebbe dovuto viaggiare? Quante volte, dunque, da allora, ha dovuto constatare di aver sbagliato strada? E quindi, in che fasi, progressivamente, e quante volte, rendendosi conto della situazione, si è detto: “ricalcolo“? Immagino molte. No?!

Posso immaginare le obiezioni: “le variabili sono troppe” “non si può sapere tutto da principio” “la metafora non regge, la vita non è come guidare”, e via così. E tuttavia, quella vocina, quella che dice “ricalcolo” non è affascinante, non è liberatoria? Non sa (un po’ almeno) di “nuova possibilità”? Non ci conforta che vi sia un’alternativa rispetto all’errore fatto? E a voi, soprattutto in certi momenti, soprattutto quando vi siete trovati in difficoltà, quando vi siete scoperti stanchi, esauriti, stufi, non è venuto voglia di pronunciarla, magari ad alta voce? E poi… sorridere?

Share Button