Ritorno (e un’avvertenza)

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Rais a casa

Rais è giunto dov’è stato concepito. Poi è diventato adulto altrove. Ma qui è nato, casa costruita da un pirata senese alla fine del ‘600, poi fienile, poi…. Era giusto che vedesse da dove proviene, anche se cento baie l’hanno generato, fecondate dalla mente e da una prua.

Stamattina ho recuperato la legna. Ricordo ogni singolo taglio, e la fatica che mi è costata. In attesa della botta di vento e pioggia, che oggi si chiama “l’allerta”, mi barrico dentro, accendo il fuoco, preparo legumi per la cena, imposto un piatto su cui sto sperimentando. E scrivo. Oggi un giornalista mi ha chiesto come passassi il tempo dopo aver finito Rais. “Scrivo”. “Ma cosa scrivi ancora?”. Scrivo sempre. Scrivere è come drogarsi, puoi iniziare, non puoi smettere. Solo che scrivere salva.

Stamattina ho letto due ore Rais, dopo il caffè. Se i libri avessero un peso specifico, lui sarebbe di bronzo. Volevo scrivere un’introduzione, un’avvertenza per i lettori: “leggetelo piano, due pagine al giorno per 250 giorni, ma sempre, senza fermarvi; leggetelo la mattina, mai la sera”. Le cose migliori sono chili su decimetro cubo, vanno fatte ogni giorno, e vanno fatte lentamente. Il cibo, il sesso, viaggiare, leggere, sognare. Ah, se avessi scritto un’introduzione così…! Chi li sentiva!

Giornate scure, nuvole incombenti, pioggia, vento. Essere là fuori, nel vortice, la gente, la gente…, il rumore, non credo potrei farcela più a sopravvivere. Due giorni a Milano mi hanno logorato. Ho amato tanto quella città. L’amava un uomo che in gran parte non sono più, quello della mia terza vita. Ora giocherello con un’isola, davanti al camino, tra le dita della mente, mentre penso e guardo il fuoco. Quando sogno penso e progetto mi diverto sempre a salvare una frase, mi servirà per ricordare. Quella che ho a mente è “Tra qui e lì”. C’è un piano, in queste quattro parole.

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Fatemi fare

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Fatemi fare il coglione anche a me. Lo fa la madre, col figlio appena venuto alla luce, il più bello del mondo anche se è orrendo. Lo fa l’artigiano, che vede la perfezione nella superficie del tavolo che ha levigato. Lo fa il manager, tronfio di aver appena fatto la sua presentazione perfetta. Lo fa l’innamorato, che vede meravigliosa la donnina media che ha di fronte, ma che ama, l’unica ad amarlo. Lo fa il pescatore, che vede enorme e imbattibile la sua preda appena catturata. Fatelo fare anche a me, per una volta, non me ne vogliate… “Rais” è meraviglioso.

Però fatemi articolare, che non sembri solo una polluzione. È bellissimo il libro, la sua copertina, la veste grafica, lo sono i risguardi con la carta di Piri Rais, le pagine leggere, il carattere, l’impaginato. Fatemi fare il coglione finto profondo, appena meno coglione del dovuto. “Rais” è splendido dentro. Il contenuto. Ho appena letto qualche pagina, qua e là. L’orgoglio del Rais: “Che un servo non dia mai ordini su una galera! Se vuoi dare ordini prima diventa libero, suda il sangue della tua schiavitù fino all’ultima goccia, e poi versa nel comando il tuo spirito purificato. E non sognarti di darne a mio nome, che per me parlo io solo, ed è già troppo!“. La sua saggezza: “Ciò che non viviamo non lo possiamo neppure rimpiangere. C’è qualcosa di più triste di questo?”. Potrei andare avanti. Mi sono commosso leggendo da questo libro non più mio…

L’ho preso tra le mani poco fa. C’era gente intorno, tutti contenti. Io avrei voluto essere solo. Parlarci. Dirgli quanti giorni, quanti minuti, quanti mesi, quanti anni… per darlo alla luce. Come una madre che rinfaccia al figlio i suoi sacrifici. Eppure avrei voluto stringerlo al petto, che sentisse il battito del cuore che lo aveva generato. Ma non potevo. E non posso ora, che sono finalmente solo, in questo bar al centro di Milano. Non è più mio. Lo è stato nell’ideazione, nel lavoro, nelle ricerche, in quel giro di lima intorno a una parola, che mi ha preso un mattino intero. Ora è bambino dotato che mostra già i suoi talenti, per la via. Lo avvicinassi, verrei preso per un maniaco. E’ giovane talentuoso che abbassa il record di corsa della scuola. E’ uomo che si erge dalla genuflessione della vita e dice il suo primo “no” pronto al suo primo “sì”. È amante che ama per al prima volta. È artista che crea la sua prima opera.

Fatemi fare il coglione fino in fondo. Fatemelo guardare da lontano, da oggi, per tutto il suo percorso. Fatemelo guardare incoerentemente, parzialmente, unilateralmente, inattendibilmente, inutilmente

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Non vi innamorate mai…

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Esiste, lo so, la spiaggia della compassione e del dialogo. Dove nessuno cerca un nemico, un cattivo che ci faccia sembrare buoni. La più volgare, semplice, dannosa, involuta delle soluzioni…

Il tempo rivela tutto. Animi, pensieri, comportamenti. Il che facilita terribilmente le cose. Quello che accade mostra quel che c’è da sapere. Solo un consiglio, ma non per me o per lui, per voi, e per il futuro: non vi innamorate mai di una versione dei fatti. Potete essere certi che non è andata così.

In quell’altra parte della storia, quella che avete eliminato, dimenticato, nascosto, che non volete ricordare, che non avete ancora rivelato, quella che non ammettete per salvarvi il culo dalla colpa, c’è un pezzo di come sono andate le cose, e di voi che così le avete condotte. Un brano essenziale della storia. C’eravate voi lì, non solo gli altri, non dimenticatevelo. Voi con i silenzi, con le parole non dette, il contributo non dato. Voi con la vostra quiescente distrazione, con le cose che avete fatto finta di non vedere, che vi faceva comodo non notare, quelle che sapevate ma avete fatto finta di non sapere, quelle che non avete voluto ascoltare, i gesti che avete compiuto accanto ai vostri atti mancati. E’ lì che risiede la vostra, nostra responsabilità su come sono andate le cose. Vale per l’altro, vale per voi. E’ lì dove ci siamo salvati o ci siamo condannati. Ogni volta che vi convincete di poter essere assolti al di là di ogni ragionevole dubbio, a ogni passo della storiella che coi vostri bislacchi avvocati avete architettato ad arte per essere solo la vittima innocente e per fare dell’altro il carnefice, vi state procurando un danno. Siete profondamente responsabili di ogni atto che avete avallato, accettato, reso possibile, generato protetti dal sipario insincero di averlo solo subito. Ogni cosa che ci accade, accade col nostro contributo. Ogni fatto della vostra vita lo avete prodotto, ne siete stati autori, coautori o complici consensuali.

Non perdetevi la grande occasione di vedervi in quei momenti, di capire la vostra diversità da oggi, o la vostra immutabile identità. Le cose (ripetetevelo, fatevi del bene) non sono andate così come le avete imparate a memoria. Sono andate diversamente, dunque non c’è alcuna possibilità di condanna dell’altro e di vostra assoluzione. Come sarebbe utile, oltre che bello e salvifico, per voi!, per tutti, riuscire a comprendere, potersi raccontare e ascoltare con la comprensione che l’altro complice, palo e ideatore come voi della medesima rapina, così simile a voi nelle sue mediocrità e nella sua gloria, meriterebbe. La stessa comprensione che meritate voi.

Non interessatevi di ciò che avete fatto per bene, perché lì non c’è nulla di utile. Anche l’altro ha fatto cose per bene, voi ne avete goduto, e in ciò anche lui non può trovare alcuna consolazione. Una buona storia per assolvervi oggi è una sentenza di ripetizione dell’errore domani. Domani è il giorno in cui occorrerà essere diversi, per vivere le nostre vite possibili invece dell’unica che reiteriamo da sempre, ma è oggi che la costruiamo. Dove abbiamo accusato, guardiamoci. Dove avete perdonato, analizzate con obiettività i fatti, alla ricerca di ciò che effettivamente non vi riguarda. Dove tutti si sono manifestati solo comprensivi e partigiani, dove siete stati solo consolati, dove avete assistito alle accuse di chi ne sapeva ancor meno di voi e non poteva giudicare neanche volendo, dove per onestà e amicizia avrebbero dovuto dirvi le cose scomode che voi non volevate ascoltare, non c’è stata qualità, nessuna umanità. Se nessuno al mondo vi ostacola, se nessuno al mondo vi critica, chiedetevi dove avete sbagliato. Ma se qualcuno lo fa, almeno di nascosto, pensateci.

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