Ogni volta

La vita feroce, inconcepibile, nell’aria del pomeriggio di un coacervo di fili che vedi tutti, con chiarezza, sapresti dare un nome a ognuno se ce l’avesse, ma non sapresti tirarli, diluito come puro glutine nel languore di vedere di fronte a te tutte le vite possibili, senza il tempo per riuscire a viverle, così, proprio così: tu lì in quel bar, in questo quartiere, un barrio del Mediterraneo, che ti alzi, saluti, torni in un appartamento vuoto, ammobiliato, in parziale disordine, in affitto, sai siamo qui temporaneamente, ma pensiamo di andare fuori città molto presto, ma lo sai che starai lì per il tempo necessario a impegnare tutta la tua vita, quei mobili, quel divano, Valencia, ma se fosse stato Palermo o Marsiglia, sarebbe stato lo stesso, te ne ricordi a Ballarò, dico bene? come al Panier, o quel pomeriggio a Beirut, quella tarda mattina a Tunisi, e quel tempo lungo senza fine nel calore parossistico di Atene, erano prove riuscite, non cercate, prefigurazioni, anche se poi la tua vita è una, quella, per quanto variegata di molti cambiamenti, e non poterle vivere tutte, condannato però a sentirle, capirle, annusarle tutte, è struggente, fa sgranare la ruota del cuore nel dente rotto del destino, come il calore anomalo, troppo precoce, di questa primavera, che qui, oggi, in Spagna, fa schiudere, torce i petali croccanti dell’immedesimazione, schiocca sordo di ovattato sentimento del tempo, perché in quella piccola piazza c’è quel giorno sotto alla redazione di El Mundo, a Madrid, immagino che tu sappia di cosa sto parlando, o a Brera, affacciato alla finestra, o a San Lorenzo, permanenze di impressioni che sembrano macchie di caffè su una tovaglia di lino grezzo, ineliminabili, ipotesi a cui non è stato possibile dare un seguito, anche se non era necessario nei contenuti, ma nel tempo sì cazzo, non la mancanza del tempo, ma la sua univocità, perché le vite le puoi comprendere perfettamente, con la precisione millimetrica che ogni volta ti spaventa, perché è esaustiva nonostante le manchino pezzi, ma il tempo per evolverti in esse, per svilupparle, quello non ce l’hai, e aveva ragione Leopardi, capire è assai peggio di ignorare, cazzo se lo è, la maledizione è esattamente quella: vederti, senza poter vedere con quegli occhi, cioè un’immagine di te solo da fuori, solo di te che guardi te, non di te che sei guardato da te, che è come sentire il profumo quando hai fame, senza poter mangiare, maledetta fame, di vita, di storie, di amore, di destini, tutti dentro di te, da Pessoa e Conrad. Con una vita soltanto.

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