Idee e sudore

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Il Fienile dell’Anima

Arrivai a Cuba, molti anni fa, e in tutte le tv accese nei locali Fidel parlava con tono appassionato. Chiesi di che si trattasse. Mi risposero: “è l’appello per la Zafra!”. Ogni anno Fidel invocava la mobilitazione generale per la raccolta della canna da zucchero. In pieno embargo, era la grande fonte di reddito cubana, e anche solo portare la raccolta al 25% dell’intera produzione disponibile, rispetto al solito 20%, avrebbe significato grandi risorse in più. Mi colpì che un Capo di Stato fosse così accorato parlando della raccolta di un “frutto”. Per lui era la chiave della libertà dell’isola.

Quel concetto l’ho mutuato per il Fienile dell’Anima. Per una scommessa ideologica e di stile di vita questa casa si riscalda solo a legna, no gas, no gasolio, e la legna non la compro: viene dal piccolo boschetto che l’attornia. Devo tagliare gli alberi o potarli prima della vegetazione primaverile. Li lascio a terra fino all’estate e poi li faccio a pezzi. Poi devo trasportare in salita i ciocchi fino alla casa, che sta su un crinale, disporli in legnaie dove in teoria dovrebbe stare un anno a seccare per bene. Ogni anno dovrei bruciare quella dell’anno precedente. E’ la mia “Zafra” annuale, che non manco di indire facendo un grande e accorato discorso ai cittadini quivi residenti: me. Lo corredo di grandi concetti come le fonti rinnovabili, l’autosufficienza energetica, la libertà. Scoiattoli, gatti, cinghiali, daini, scorpioni e potamon fluviatilis (le popolazioni più rappresentate del luogo), mi ascoltano con apparente interesse.

La fatica, l’impegno, la caparbietà con cui per nove inverni ho mantenuto fede a un concetto, sono fattori essenziali per la mia libertà. L’orgoglio di accendere il fuoco nei primi giorni freddi dell’anno, ricordando ogni singolo pezzo di legno, la fatica costata, il valore che ha in quel momento, sono un gesto rituale e sapido, l’atto finale di un ciclo fatto di idee e sudore. Ecco i due ingredienti della libertà, almeno di alcune sue declinazioni fondamentali: le idee, perché occorre prima sempre pensare qualcosa di nuovo, proprio, adeguato, e poi farlo; il sudore, cioè compromettersi personalmente, fare a mano direttamente, bagnare la maglietta con ciò che promana dal nostro corpo che fatica.

Il decimo inverno è “alle porte”. Ancora una volta il gesto di essere autonomo dal punto di vista energetico mi riempie di considerazione e rispetto per me e per questo luogo carico di magia. Me lo ripeto, come Fidel, prima di rimettermi all’opera, come ogni giorno, appena smetto di scrivere, portando su le cinque tonnellate della mia legna che mi serviranno.

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Un bosco in salita è durissimo da lavorare…

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Il buon Devis

Davis Bonanni, Il buon selvaggio, Marsilio

Bravo Devis

Vi consiglio un libro: “Il buon selvaggio”, di Devis Bonanni. Ve lo consiglio prima di tutto perché l’autore è un montanaro, della Carnia, ragazzo carino e simpatico, con cui dopo una presentazione insieme a Trieste e una bella serata con alcuni amici e lettori mi sono preso una sbronza degna di memoria. Ricordo che verso l’una di notte, già parecchio alticci, iniziammo a bere grappa e io pensai “ora il montanaro ci mette tutti a dormire”. Dopo un’oretta, quando stavo tutto sommato ancora in piedi, lo vidi socchiudere gli occhi e crollare a corpo morto all’indietro, dove grazie al cielo c’era un letto. Il marinaio non è facile sdraiarlo con l’alcol, ma soprattutto Davis ha molte lune meno di me sulle spalle, e per bere, in certe notti, serve avere esperienza. 

Ma a parte i ricordi personali, vi consiglio il nuovo libro di Devis perché trovo assai cresciuto il suo autore. Dalla timida eppure interessante testimonianza di Pecoranera (sempre per Marsilio) in cui riferiva come avesse abbandonato l’attività di tecnico informatico per mettersi a fare l’agricoltore, registro una sua crescita marcata, il permanere di una fondamentale autenticità e sincerità, la metamorfosi della sua esperienza in coscienza pedagogica. La sera della sbronza mi parve incerto circa l’intento politico della mia testimonianza, e vedo che si è ricreduto. Ottimo segno.

Il libro inizia a pag. 79, cioè dopo un lungo e fin anche piacevole excursus di ordine antropologico botanico. Da lì in avanti le cose crescono, la testimonianza si fa puntuale, i racconti sui suoi compromessi vengono almeno accennati (forse qui sarebbe dovuto essere più dettagliato), e sopratutto usa l’acronimo PIL solo a pag 270, che è già un ottimo segno.

Dopo molti anni ormai, Devis, come me, non ha mollato. Semmai ha accentuato e vivacizzato la sua esperienza di alternativo, il più possibile controcorrente, fabbro del proprio sistema di vita, essere senziente che cerca di capire e agire in concordanza perfetta. Hanno mollato invece i suoi detrattori, come anche i miei. Non hanno avuto costanza sufficiente nel pretendere coerenze, ortodossie e non contraddizioni che loro non avrebbero saputo assicurare per se stessi. Li ha sconfitti l’evidenza: sono passati anni, noi siamo ancora qui, e loro che hanno fatto?

Non condivido molte delle cose che scrive Devis, naturalmente. Il mito rousseauviano del buon selvaggio non mi ha mai convinto, certo come sono che l’uomo sia un essere assai più complesso di quel che lui stesso crede, così come del fatto che la naturalità sia solo una componente della nostra anima universale. Inoltre, sono un marinaio, dunque un nomade, e se amo la terra, amo l’orto, amo la natura, gli alberi, il bosco, non posso abbracciare la filosofia agricola se non come ingrediente periodico della mia natura metamorfica. Tuttavia rispetto chi lo fa. Particolarmente rispetto chi, come Davis, lo fa con indipendenza intellettuale, idee proprie, autenticità, ed è consapevole della portata rivoluzionaria della propria azione. Bravo Bonanni, alla via così.

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