Perchè ci paia vero

IMG_20160804_144430

Paio vero così!?

E basta con questi selfie, e dai… Ma non lo vedete che siamo patetici, che immortaliamo istanti scelti ad arte per convincerci di qualcosa che non è vero, per dare a qualcuno messaggi di una vita che l’istante prima e l’istante dopo quella foto, invece, nascondiamo, perché ce ne vergogneremmo!? Quelle facce eternamente sorprese, quei volti cristallizzati in smorfie di giubilo sopra-le-righe, sono cartapesta di un carro allegorico, significano quasi sempre qualcosa di metaforicamente opposto, ma lo mascherano per noi, che siamo i primi a non crederci e ci fotografiamo perché ci paia vero. Nel farsi una fotografia ogni tanto non c’è nulla di male, ma come diceva il vecchio Compay Segundo: “si può fare tutto, per tutta la vita, ma senza esagerare”. Non così, non a comporre una cronistoria da ipertiroidei esaltati, finti cocainomani dell’ego che cercano di dimostrarsi vite movimentate, affascinanti, esilaranti, avventurose, piene di massime da filosofi de no’antri, nel tentativo di negarsi e negare che nella vita, come nella musica, contano più le pause delle note.

Non c’è niente di particolarmente interessante in questi nostri autoritratti, non so se ci è chiaro, e questo sì che combacia con le nostre vite. Sono tutte pose vacanziere, da reclusi nell’ora d’aria, in cui l’unica cosa interessante, di cui resta il perenne languore, sono le altre foto, quelle che non ci sono perché non le scattiamo o pubblichiamo mai, cioè il racconto delle sequenze escluse dal romanzo, le sole che potrebbero dire qualcosa di vero.

Pippe. Onanismo iconografico. Autoerotismo della finzione, il decadente affresco di un’epoca di perpetua esaltazione emotiva farlocca, accompagnato sempre (o quasi sempre) da frasi d’altri, prese su Google, non certo da un libro che si sta leggendo, per comporre un quadro che non è il proprio, ricchi di una saggezza non nostra, confusionaria, raffazzonata, che non sa davvero di noi, e che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non somiglia neppure all’aforisma di ciò che vorremmo diventare. Ritratti di persone che non siamo, ricche di un acume che non dimostriamo dal vivo. Invocando inutilmente, sempre più debolmente, un’autenticità che a furia di fotografarci non ritrarremo mai.

Share Button

Non vi innamorate mai…

IMG_20160707_153557_edit

Esiste, lo so, la spiaggia della compassione e del dialogo. Dove nessuno cerca un nemico, un cattivo che ci faccia sembrare buoni. La più volgare, semplice, dannosa, involuta delle soluzioni…

Il tempo rivela tutto. Animi, pensieri, comportamenti. Il che facilita terribilmente le cose. Quello che accade mostra quel che c’è da sapere. Solo un consiglio, ma non per me o per lui, per voi, e per il futuro: non vi innamorate mai di una versione dei fatti. Potete essere certi che non è andata così.

In quell’altra parte della storia, quella che avete eliminato, dimenticato, nascosto, che non volete ricordare, che non avete ancora rivelato, quella che non ammettete per salvarvi il culo dalla colpa, c’è un pezzo di come sono andate le cose, e di voi che così le avete condotte. Un brano essenziale della storia. C’eravate voi lì, non solo gli altri, non dimenticatevelo. Voi con i silenzi, con le parole non dette, il contributo non dato. Voi con la vostra quiescente distrazione, con le cose che avete fatto finta di non vedere, che vi faceva comodo non notare, quelle che sapevate ma avete fatto finta di non sapere, quelle che non avete voluto ascoltare, i gesti che avete compiuto accanto ai vostri atti mancati. E’ lì che risiede la vostra, nostra responsabilità su come sono andate le cose. Vale per l’altro, vale per voi. E’ lì dove ci siamo salvati o ci siamo condannati. Ogni volta che vi convincete di poter essere assolti al di là di ogni ragionevole dubbio, a ogni passo della storiella che coi vostri bislacchi avvocati avete architettato ad arte per essere solo la vittima innocente e per fare dell’altro il carnefice, vi state procurando un danno. Siete profondamente responsabili di ogni atto che avete avallato, accettato, reso possibile, generato protetti dal sipario insincero di averlo solo subito. Ogni cosa che ci accade, accade col nostro contributo. Ogni fatto della vostra vita lo avete prodotto, ne siete stati autori, coautori o complici consensuali.

Non perdetevi la grande occasione di vedervi in quei momenti, di capire la vostra diversità da oggi, o la vostra immutabile identità. Le cose (ripetetevelo, fatevi del bene) non sono andate così come le avete imparate a memoria. Sono andate diversamente, dunque non c’è alcuna possibilità di condanna dell’altro e di vostra assoluzione. Come sarebbe utile, oltre che bello e salvifico, per voi!, per tutti, riuscire a comprendere, potersi raccontare e ascoltare con la comprensione che l’altro complice, palo e ideatore come voi della medesima rapina, così simile a voi nelle sue mediocrità e nella sua gloria, meriterebbe. La stessa comprensione che meritate voi.

Non interessatevi di ciò che avete fatto per bene, perché lì non c’è nulla di utile. Anche l’altro ha fatto cose per bene, voi ne avete goduto, e in ciò anche lui non può trovare alcuna consolazione. Una buona storia per assolvervi oggi è una sentenza di ripetizione dell’errore domani. Domani è il giorno in cui occorrerà essere diversi, per vivere le nostre vite possibili invece dell’unica che reiteriamo da sempre, ma è oggi che la costruiamo. Dove abbiamo accusato, guardiamoci. Dove avete perdonato, analizzate con obiettività i fatti, alla ricerca di ciò che effettivamente non vi riguarda. Dove tutti si sono manifestati solo comprensivi e partigiani, dove siete stati solo consolati, dove avete assistito alle accuse di chi ne sapeva ancor meno di voi e non poteva giudicare neanche volendo, dove per onestà e amicizia avrebbero dovuto dirvi le cose scomode che voi non volevate ascoltare, non c’è stata qualità, nessuna umanità. Se nessuno al mondo vi ostacola, se nessuno al mondo vi critica, chiedetevi dove avete sbagliato. Ma se qualcuno lo fa, almeno di nascosto, pensateci.

Share Button

Sul filo

kos-isola

Kos

Quando sono entrato qui, nel porto antico di Kos, l’altro ieri, ho avuto la mia vibrazione, un lieve formicolio tra orecchie, collo, nuca. Da quando faccio il comandante sulle barche è la mia stella polare. La mattina mi sveglio, e se ho quel formicolio sta per capitare qualcosa. E’ quasi sempre riferito alla meteorologia, ma non solo. Un mese e mezzo fa sono salpato da Kalymnos e ho detto all’equipaggio: “ragazzi stiamo all’occhio che ho il formicolio”. Detto fatto, fuori dal porto la barca non sale di giri. Una rete nell’elica. Bagno, coltello e via. Formicolio sparito. L’altro ieri entrando stessa scena. Pensavo fosse perché qui tutti si danno catena addosso ormeggiando. Invece oggi faccio per salpare e ho un’avaria all’impianto elettrico. Motore non parte, mentre sale vento e rischio un po’ nell’ancoraggio. Metto in sicurezza la barca e faccio check generale. Individuo il problema. Stasera alle 19.00 dovrei risolverlo. Intanto il formicolio si attenua, va a scomparire. Sono certo che l’ultima vibrazione si dileguerà a lavoro finito.

Ora attendiamo i pezzi di ricambio. Dunque giornata senza occupazioni. Farò piccoli lavoretti, scriverò, leggerò, altro. Il tempo ritrovato, come lo chiamava un francese amante del tè e dei salotti, cioè tempo che non avrei avuto qui e che invece appare per incanto. Come quando attendiamo qualcuno che non arriva. Non è tempo perso, ma liberato, ritrovato, apparso. Le cose per mare cambiano, senza preavviso. Come nella vita. Tutto si evolve, muta, e va sempre come deve andare. Ogni cosa che possiamo e dobbiamo e soprattutto vogliamo consolidare, far evolvere con sogni, passione, progetti, coinvolgendoci, compromettendoci, coinvolgendo, si sviluppa in quel senso. Il resto si spegne, si distanzia, si liquefà. Salvo i colpi di mano della sorte, che può sconvolgere tutto inopinatamente, costringendoci ad ampi fuori rotta o a constatare di aver perduto l’attimo.

Il tempo. Ci rifletto ora, in questo bar sulla marina. Ne parlavo anche ieri con F., passeggiando. Sperperarlo e iperutilizzarlo sono i due estremi, mentre sul filo sottile tra utilizzo e spreco il tempo rivela la sua natura possibile. Prima che tutto cambi, che sia tardi per ogni cosa, occorre usarlo, masticarlo, gustarlo, inghiottirlo. Eppure, non dobbiamo farci prendere dall’ansia di fare, progettare, lavorare, foss’anche ai nostri sogni. Cosa deve prevalere, relax o azione, attesa o marcia, progetto o libertà dai vincoli dell’immaginazione? Noi che siamo qui, dobbiamo restarci o andare? E quando saremo lì, dovremo sostare o muoverci? Cos’è “presto”, il fratello o il nemico di “tardi”? Domande. Sul filo.

Share Button

Adesso Basta

IMG-20160627-WA025

Sarà ma io, qui, non vedo alcuna traccia di Dio. O almeno, vedo un mucchio di cose che, mi pare, sono più importanti e urgenti.

Sono migliaia di anni che i credenti ci rompono l’armonia (o la disarmonia a cui avremmo avuto diritto per scelta) con i loro Dei. Adesso basta. Basta Copti, Cristiani, Aleviti, Animisti, basta Drusi, Sciiti, Sunniti, basta Shintoisti, basta Protestanti, Calvinisti, Chiese del Settimo giorno, Testimoni di Geova, basta Cristiani Ortodossi, basta Ebraismo, basta Idolatri e Pagani, basta Confuciani, Taoisti, Zoroastriani, Rastafariani. Basta. Basta anche voi, Buddisti, divisi in confessioni, chiese, cleri, preda delle arroganze varie del potere. Vi salva solo la mancanza di Dio, il collocarlo nella vita stessa del fedele, ma state attenti, comunque, perché in passato avete ceduto anche voi, non fatelo di nuovo.

La gran parte di voi, o una minoranza con il vostro avallo, ha insanguinato il mondo con le dispute, con l’integralismo delle vostre sante inquisizioni, dei vostri libri sacri, delle vostre preghiere, delle vostre jihad, delle vostre cacce alle streghe. Io sono agnostico, cioè ho una mia spiritualità che riguarda me e nessun altro. Sono un figlio dell’illuminismo e dell’umaneismo, progenie prediletta del prediletto genitore Mediterraneo. Quelli come me mai farebbero una guerra di religione, mai sosterrebbero che vi sia alcuna risposta esatta ad alcuna esatta domanda, alcun decalogo dato direttamente da Dio, dunque alcuna risposta sbagliata a un’errata domanda. Ma patiamo da sempre il razzismo, l’ignoranza, la follia della vostra arrogante creduloneria, del principio oscurantista secondo il quale il vostro vicino dovrebbe credere alla certezza a cui credete voi, che sia giusta o che sia sbagliata. A voi tutti, basta.

Detto questo, che ce l’ho nel gozzo da un po’, basta anche con voi, agnostici e razionalisti, umanisti e anarchici, laici e libertari di ogni risma, che da troppo tempo tenete (teniamo) bassa la voce, rinunciamo a spingere verso l’angolo dell’assurdo ciò che assurdo è, che accettiamo la follia delle finte guerre per Dio, dei battesimi che dividono in due i bambini e i quartieri e le città e gli stati, soddisfatti solo della certezza che se mai esistesse il Paradiso saremmo gli unici ad entrarci. Basta anche con la vostra voce troppo bassa, con la cultura prona, soggiogata, quiescente, che ha spinto il pensiero agnostico verso l’altrettanto folle posizione della scienza come unica risposta, dunque della tecnocrazia, madre puttana del conformismo, del capitalismo, del consumismo, che una volta sì e l’altra pure diventano dittatura. Basta.

Che in questa vita non si parli da millenni che di Dio, che in nome suo si bastonino tra loro i guardiani delle diverse confessioni del Tempio di Gerusalemme, è uno scempio intellettuale che deve finire. I piccoli bidelli senza dignità che infangano il nome di qualunque Dio nei finti templi in cui negano ogni tolleranza, sono la prova della loro follia. Ma che in secoli di pensiero non siamo riusciti a scalzare la superstizione, la pretesca arroganza dei parroci del nulla, sostituendola con la bellezza e l’organizzazione, con il culto dell’uomo e della sua anima unica, dell’amore e della sua libera pratica, deve farci riflettere. Molto. Adesso.

Share Button

Poli

IMG_20160617_174139_edit_edit

La rete mi affascina da sempre. Trattiene, ma ha molti buchi. Come me.

L’epoca polarizza. Da un lato i nuovi violenti, così antichi…, che dalla complessità e dalle sfide si sentono autorizzati all’urlo, all’invettiva, strappano e spingono; dall’altro i nuovi guru, quelli che sorridono a tutto, quelli che tutto è uno e uno è tutto, che hanno trovato la via. Capita spesso quando le cose cambiano e la scelta estrema è la via più semplice. La prima è uno sfogo, l’altra una fuga.

In mezzo c’era e resta questa vita, la solita di sempre, dove cercare l’armonia è tutto fuorché evadere nell’indignazione odiosa o rifugiarsi nell’atarassia. Le passioni vanno vissute, non bisogna cedergli né bisogna illudersi di annullarle. Il coraggio serve a scegliere, non a far finta di niente. Passione, dolore, speranza, ira, frustrazione, sogno, ci possono abbattere o sollevare. Sono i cromosomi dell’esistenza, non cambiano, sono sempre lì dall’alba dei tempi. Nessun violento e nessun santo ha mai cambiato una virgola di questo. L’uomo accanto a noi sembra sereno, quello poco indietro agitato. E noi…

Diffido di chiunque urli, e di chiunque non lo faccia mai. Diffido di chiunque non accetti e di chiunque accetti tutto. Diffido di chi sorride sempre, e di chi ha sempre il grugno. Diffido di chiunque parli di felicità, segreto della vita, soluzione, e di chiunque non veda che nero. Diffido di chi dà consigli, perché sa per certo come si fa, e di chi non parli mai di sé, non testimoni con azioni e parole ciò che sa. Diffido di chi giudica, perché mente occultando, come di chi non ha opinioni, perché mente tacendo. Sono tutti cattivi maestri, che abbandono mentre li trovo, quelli che è facile seguire pur di evitare di alzarsi e andare. La speranza non cresce mai, è una fanciulla che muore eternamente bambina, stuprata dalla realtà. Però c’è la vita, che non è né come sembra né come ce la immaginiamo, in cui è possibile far coincidere ragione e sentimento all’infinito, ed essere coerenti tanto con ciò che purtroppo siamo quanto con ciò che purtroppo non saremo mai o potremmo diventare.

Ogni volta che diciamo: avrei dovuto fare un’altra cosa, dovremmo dire: avrei dovuto essere consapevole di quello che facevoaccettarlo, goderne e patirlo, perché c’era un senso, una ragione, e non è aver fatto, il problema, ma non aver capito, e ora negare. Raccontarsi bugie è la più antica delle assoluzioni, ed è quel che avviene sempre quando cediamo all’odio o fuggiamo nel Nirvana. Non accogliamo nessuna dottrina, non affidiamoci ad alcuna pratica altrui. Le cose più adatte a noi non si e-seguono. Si creano.

Cancellate questo post.

Share Button

Surplace

IMG_20160612_201434_panorama_edit1

Amare i tramonti e non vederli, ad esempio. (Ieri, il fiume Vara, al tramonto).

“Quanti chilometri hai fatto?”.
“Zero”.
Il breve scambio avvenne anni fa, in una palestra di Milano. Avevo corso tre quarti d’ora, ma su un tapis roulant. Dunque non mi ero mosso di una spanna. Non ero andato da nessuna parte. La fatica ma non il premio, lo strumento ma senza il fine. Compresi che quel tappeto mobile, come altre cose che avevo sotto gli occhi, era un’icona della mia decadenza.

Non ho mai sopportato le cose vane: correre ma restare sempre nello stesso metro quadrato; pedalare senza che la bicicletta avanzi di un millimetro; fare avanti e indietro nella stessa baia con una tavola a vela senza mai doppiare il capo per vedere la baia accanto; salire su una montagna per scendere giù, per poi risalire e scendere giù, su, giù, su giù; faticare per guadagnare soldi senza avere una buona idea per spenderli, cioè lavorare generando valore che non produce benessere autentico; avere un hobby, ma che è un hobby!? Una cosa che ami ma non la fai quasi mai. Perché!?; andare in vacanza per fare una sola settimana ciò che sai che non farai per le cinquantuno rimanenti; amare leggere e poi saltare le pagine dei libri; parlare del più e del meno, lasciandosi esattamente come ci si è trovati, anche un poco peggio a dire il vero; comprare quel che posso farmi da solo; avere una barca e non usarla mai; pagare tanto di mutuo per la casa e non starci mai perché lavori, ma nel weekend che avresti tempo per godertela andare fuori porta; fare un figlio, amarlo tanto e non vederlo mai; innamorarsi di una donna e non stare mai con lei; avere una station wagon “per quando fai una scampagnata con amici” e poi non fare la scampagnata, se non una volta l’anno se va bene, e il 99% del tempo andare in auto da solo; avere una casa grande e non riempirla; avere una casa piccola e non abbellirla; avere amici che ti invitano nella loro bella casa al mare e non andarci; avere una seconda casa propria e non andarci; amare qualcosa e non farlo; ricevere, alzare, schiacciare, sempre lo stesso giro, come nella pallavolo, magari per anni; non credere in Dio e pregarlo quando butta male; amare una persona e poi trattarla male; sentirsi dire ti amo, essere trattati male e non andarsene; avere poco tempo e poi sprecarlo; avere tanto tempo e non sprecarne almeno un po’; amare una cosa e non studiarla…

Tutti falsi movimenti. Come correre, senza muoversi. Tapis roulant.

Share Button

Prima di dire…

 

IMG_20160530_145132_editTanta, troppa gente, vive in un luogo brutto, che uno si chiede: ma perché vive lì? e non si sa, eh ma mica si può vivere dove si vuole! mica tanto, aggiungo io, ma comunque, va bene, questa ve la passo, poi penso: beh, il posto è brutto, questo qui dice che non ha scelta, mah, sarà…, però almeno la sua casa sarà bellissima! cioè, il posto fisico, che sia un metro quadrato o sia cento metri, dove si ritrova, dove gode, dove si riposa, rispecchierà la sua natura, i suoi sogni, le sue aspirazioni, il suo mondo interiore! e invece no, manco quello, e io mi chiedo: perché? specifico: stante la zona, la posizione, quello che è è, non la si può cambiare, ma dentro, nelle quattro mura, si può inventare, ornare, scrivere, dipingere, non servono soldi, no!? questo è il punto dei discorsi che mi piace di più, c’è sempre una linea oltre la quale non servono i soldi ma altro, altro che? ma la voglia, santo cielo! l’amor proprio, il desiderio di vivere nella bellezza, non nell’alienazione, in un angolo di mondo che se ci entra qualcuno dice: mmmh! ma guarda che splendore! qui ci vive un sognatore, sicuramente! qualcuno che sa di neve, sa di sale, sa di terra, sa di plastica, sa di qualcosa ecco! perché di qualcosa bisogna pure sapere, no!? e quello di cui sappiamo trapelerà dove viviamo, no!? nessuno è senza odore, nessuno è senza sapore, nessuno è senza… colore, eh ma mica faccio l’arredatore io! beh ma i vestiti te li scegli, no!? sì ma quello è diverso, c’è la moda! vabbè lasciamo perdere… però ragazzi, c’è tanto da fare (studiare, sognare, pensare, essere, disegnare…) prima di dire sempre non si può.

(Considerazioni in margine alla permanenza di qualche giorno in una delle “mie” case. Vi ricordate in Adesso basta quando dico che ci sono un mucchio di belle case dove se hai tempo e amici ospitali puoi passare giorni felici? ecco…)

(Ora, nella fattispecie, questa casa è in una posizione spettacolare, lo ammetto. Però quando A. l’ha presa era una catapecchia o qualcosa di simile, e tutto il bello, l’armonia, la meraviglia che l’ammantano adesso non è opera dei soldi, né di un arredatore, ma della sua splendida anima poetica)IMG_20160531_203757_editIMG_20160531_080837IMG_20160531_080938_editIMG_20160531_104710_editIMG_20160531_080755IMG_20160531_080132_editIMG_20160530_145825

IMG_20160530_145340IMG_20160530_145656IMG_20160530_145707IMG_20160530_145758IMG_20160530_145813

Share Button

(S)nodi

IMG_20160527_161017_edit

I peperoni hanno certamente qualcosa che mi riguarda. Ogni volta che li preparo (e li mangio) cerco di capire cosa.

Spellare i peperoni rossi arrostiti seduti sul divano guardando il Giro (la salita, l’impresa di Nibali, le lacrime all’arrivo) con porte e finestre aperte sull’estate, il verde della natura che sfila dovunque, senza impegni, senza pendenze, soli ma sereni, con una bella gioia nel cuore, nell’imminenza di una partenza, di venerdì, ore 15.00… è bellissimo. E pensi: se non fossi qui (terminale di molti passaggi, scelte, porte, bivi) dove sarei?

Ci pensate mai? Dove saremmo se non fossimo qui? Nel bene e nel male, evidentemente, senza alcuna tesi. E andando indietro, com’è affascinante (e a volte terribile) individuare gli snodi! I momenti in cui abbiamo scelto (se abbiamo scelto noi!), o in cui siamo stati costretti (mmm, siamo mai davvero costretti? Del tutto?) a prendere una delle decisioni, o LA decisione che ci ha portati qui, adesso, così. Eravamo coscienti delle conseguenze di quelle decisioni? Già è tanto scoprire che le abbiamo prese, vista l’inerzia generale dilagante, e che siamo stati davvero noi ad assumerle. Quel bivio, l’hai fatto davvero tu per decisione tua consapevole? Sapevi dove andare, almeno a spanne? Sei sicura/o? Ti stai ricordando davvero bene, onestamente? Pensaci…

Quando capitano momenti come poco fa occorre anche che chi, osservandoci, ci ha criticati, non ci ha capiti, o biasimati, o a volte perfino maledetti, termini il suo lungo unico assoluto pensiero di sé su di noi e provi, una volta tanto, a formulare un pensiero di noi su di noi. Cioè prenda atto che non saremmo così, adesso, se non avessimo fatto quel percorso, prendendo quelle decisioni. Conta (anche) il risultato. Forse avevamo delle ragioni, avevamo dei bisogni? Forse stavamo cercando qualcosa che ci faceva questo effetto? Forse… Ma qualcosa certo accadeva. Speriamo di essercelo chiesto, almeno noi, prima di agire. Speriamo che chi ci biasima se lo chieda, pensando a noi e non a sé, una volta tanto. Le/gli farebbe bene.

Ma al di là di questo, oggi, siamo o no dove dovevamo trovarci, dov’era sensato essere? E se no, perché? Tutta sfortuna, sempre? Mmmm… E dove potevamo fare qualcos’altro? E soprattutto, immaginando un momento così spostato in avanti, in un futuro in cui guarderemo indietro, cioè guarderemo ad oggi, cosa dovremmo fare?

Share Button

Entra…

 

Frammento

Una mappa. Per arrivare lì…

Dragut è lì, di fronte al portale del castello, entra Dragut, entra, prima volta che trema, chi può far tremare il rais? una donna, no non è quella donna che lo fa tremare, e allora cosa? il portale, il niente di legno di un ingresso che una mazza farebbe esplodere di schegge, una soglia, un altro passaggio, la linea che demarca i mondi, anche se Dragut i mondi non li conosce, sa solo il suo, ma oltre c’è qualcosa, è come scomparire, contumace, assente, mai stato, fuori dalla bolgia orrenda dell’odio della memoria e della morte, finalmente un altrove senza l’urlo della follia del mondo e la cassa di risonanza del cuore, l’anta del portale che scricchiola, l’uscio che cede, un passo verso l’ignoto, e l’esperienza del giorno è che ci vuole più coraggio a varcare una soglia che ad uccidere, a incontrare il proprio destino che ad avere un nemico, a fronteggiare una donna che un esercito, donna che non puoi rapire, donna che non puoi offendere, donna che non puoi stuprare, incatenare, dare in pasto ai cani, perché morderebbero te, metteresti te stesso ai ferri, donna che devi, non donna che deve, l’ultimo scorcio sacro dell’adolescenza perduta, l’altro raggio di luce, che offusca il faro ormai perduto della madre, a questo pensa Dragut, solo che non sa pensarci, non sa capire, almeno fino a che sale la scala condotto da un’ancella impaurita, percorre in solitudine l’ultimo budello tra le mura, fa ingresso nella grande stanza, e finalmente la vede.

(mentre monto il mio nuovo romanzo…)

Share Button

Tutto uguale

Una_donna_in_carriera

Qualche sera fa ho rivisto “Una donna in carriera”, (1988) cult movie di Mike Nichols. Ricordo benissimo tutto, film e anni. Ambizione, simboli, quei picchi di incontenibile soddisfazione per un aumento, una promozione, l’ufficio due metri più grande, la kenzia, la segretaria. Giovani, eravamo stati allevati con la droga del capitalismo consumista già nel biberon. Continue crisi d’astinenza da sedare in quel modo. Pensando a quei trent’anni trascorsi, e sentendomi ad anni luce da quella cultura, ho sorriso. 

Almeno fino a che non è capitata una coincidenza: in una scena, Sigourney Weaver spiega a Melanie Griffith che “se vuoi essere trattata in un certo modo, devi vestirti in un certo modo”, icastica headline estetica di quegli anni. Subito dopo, pausa del film e stacco pubblicitario: in primo piano appare una Mazda rossa dal design aggressivo e un giovane vestito in modo qualunque che allunga la mano e la tocca sul cofano. Come per una corrente elettrica o un’onda magnetica, immediatamente il ragazzo si trasforma negli abiti, diventando elegante e trendy, perfino il suo portamento se ne compiace. Incredibile. Passati trent’anni, il riferimento culturale dell’essere a posto, riusciti, di successo, è rimasto lo stesso: esteriore e formale.

Appena dieci anni prima di quel film l’estetica e la filosofia di vita erano molto diverse. Come mai, salvo che per una minoranza (forse…) la cultura sociale e individuale si è fermata a quegli stilemi? Come mai una cultura nuova non si è imposta, come sempre accade, rendendo obsoleta la precedente? Un po’ come per i pantaloni da donna a vita bassa (cui invano la moda tenta di sostituire la vita alta, da quasi dieci anni, senza che le donne abbocchino), consumismo, competizione, arrivismo e capitalismo sembrano aver cristallizzato ogni possibilità di cambiamento. Non dovremmo, di generazione in generazione, sorridere delle precedenti? Nietzsche, dove sei!?

Il giorno dopo, ore 10.30, sento al telefono il mio amico F. (54 anni), a cui sottopongo il quesito. Mi risponde così: “Ma se io poco fa mi sono svegliato con la voglia di sentire “After the gold rush” di Neil Young, e mi sono pure seduto sul divano leggendomi i testi dell’LP, come facevamo da ragazzi… ma cosa vuoi che cambi!?”. Strana generazione, la nostra. Ci penso su…

Share Button