A Zacinto nel vento teso

Lunga rotta. Da Messina a Zacinto. 273 miglia, due notti e due giorni di navigazione. Partenza dalla Sicilia nel vento di ponente, che oltre lo Stretto tornava maestrale. Iniziare un viaggio con sei ore di navigazione a vela vuol dire essere nel buono.

Il mare si e’ placato nella notte. Tavola fresca e asciutta, irrorata di metallo lunare. Delfini dovunque. Lo Ionio ci ha fatto passare, ci ha offerto altri splendidi bestioni dall’ala lunga. Li abbiamo fatti sott’olio per conservarli, ma erano troppi e ieri sera nel porto li proponevamo a ristoranti e altre barche, in vendita. Anche venditori di pesce dunque…

Ancora vento nella seconda notte, proprio al centro del mare, 150 miglia da qualunque terra. Eravamo soli, forse e’ per questo che le due barche hanno navigato vicine. Solo in pozzetto leggevo un racconto di Stevenson, fantasmi e naufragi. Avevavo addosso una strana irrequietezza, forse paura.

Dalla mattina del terzo giorno vento fresco, poi teso. Onde grandi, su cui Faamu-Sami ha surfato con meta’ barca fuori dall’acqua. Randa ridotta e tutto genoa in 20-25 nodi di ponente al gran lasco. 10.1 nodi di velocita’, il cuore ballava insieme al timone.

Ora Zacinto, che ritrovo dopo la rotta da Genova a Tel-Aviv, due anni fa. Allora era febbraio, faceva freddo.

Domani nuovo avvicendamento di equipaggi. Aspettiamo qualcuno, lasceremo qualcuno. Sui visi vedo malinconia, eccitazione. Non credo dimenticheranno presto quello che hanno visto, il Mediterraneo azzurro che ci fa da casa. La nostra rotta continua.

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A Messina per una piccola avaria…

“La navigazione offre all’uomo la stessa incognita della vita. Il vento stabilisce la direzione, ma a noi è consentito orientare i colpi del fato usando l’ingegno, bordando le vele e mettendo la prua nell’angolo migliore, tenendo ben chiara la coscienza della meta. Ma una barca non può navigare contro il vento. Non le è consentito dalla natura. Quella forza, opposta a quella che in altri momenti l’ha orientato dritto verso casa, guida ora il timoniere in luoghi sconosciuti, dove fare scalo suo malgrado, senza intenzione, speranzoso di riprendere la via alla prima volta di brezza. Il marinaio sa che quel porto non incrocia la rotta per caso, non è estraneo alla sua navigazione e non deve essere rifiutato. Il mare non ha pietà per chi disdegna il riparo che gli viene offerto. L’uomo di terraferma giudica un errore l’atterraggio su un molo imprevisto, ed è per questo che la sua vita si incaponisce contro le onde e tarda a compiersi verso la giusta via. Egli misura il tempo perduto, lo spazio non ancora percorso, e non gode del tempo ritrovato. Si lamenta, senza comprendere che le onde e il vento potrebbero porre fine al suo viaggio in ogni momento. Ogni porto è una tappa del lento ritorno a casa, e sulla via della salvezza non ci sono che buoni ripari, dei quali essere grati al destino.”

(da “L’Estate del Disincanto“, Bompiani, 2008)

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Dal diario di bordo…

Arrivati a Stromboli. 450 miglia. Il Tirreno stavolta ci ha fatti passare senza chiedere pegno. Due giorni un po’ più difficili, per prendere il passo, ma poi le due barche hanno trovato armonia e equilibrio, tra mare e scafi, tra uomini e sogni.

Una balena, tanti delfini, una tartaruga molto bella, un grande tonno, e molti altri scorci di Mediterraneo. Ci nutriamo con i pesci che peschiamo, e i nostri piedi si sono abituati al ponte delle barche. Nei moli sperduti di porti invasi dal sole abbiamo ritrovato la meraviglia. La mente, sempre lei, ha compreso qualcosa del ritmo del mare.

Di fronte, ancora molte miglia, ma ne sentiamo già alcune alle nostre spalle. E’ la nostra provenienza a essere cambiata. Non veniamo più dalla terraferma ormai. Nomadi, ci spostiamo lentamente. Nel nostro mondo.

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E poi si parte…

Chi cambia vita viaggia molto. E’ una delle cifre della libertà, uno dei motivi per cui ha grande valore cambiare. Salpare a vela per percorrere tante miglia nel Mediterraneo, poi, è ancora più affascinante. Mare, isole, avventura. Grande vita. I pensieri che stimola il nostro Grande Mare Interno sono pensieri diversi, hanno un grande respiro. E’ a caccia di quelli che vado.

Intanto, il conto alla rovescia per Uomini Senza Vento è partito. Su InternetBookshop addirittura il romanzo è in prenotazione prima dell’uscita. Fa impressione. Mi fa tornare alla mente gli inizi, tanti anni fa, i miei libri piccoli piccoli nelle librerie, le mie speranze enormi tra le certezze degli scrittori affermati. E’ passato del tempo, sono accadute molte cose… 

Mentre navigherò al traverso di Ponza, per rientrare a Spezia, uscirà dunque il mio romanzo, che ha proprio Ponza e il Tirreno come palcoscenico naturale dell’azione. I personaggi (Renato, Sara, Antonio, Oreste, Silvia…) vivranno accanto a me, li vedrò, dopo averli immaginati così a lungo. Qualcuno, già in quei giorni, leggerà le loro speranze, le paure, proprio mentre io mi starò muovendo dove vivono, dove parlano, dove resistono, lottano, soccombono, prevalgono. Che bello…

Per le isole sarà dura collegarsi a internet. Se non vedete post o risposte è perché il mare ci sta impegnando in altro. Proverò, se possibile, a raccontare quello che accade navigando. Un diario di bordo che, su questo Piccolo Cabotaggio II, avrebbe anche una sua cittadinanza. Vedremo.

A tutti quelli che cambiano, a tutti quelli che stanno aspettando di farlo, a chi sta lavorando ancora nella certezza di una buona vacanza di riposo e passioni, a tutti voi che venite su questo blog, mando il mio personale in bocca al lupo. Godere della vita, lottare con i denti per farlo. Ogni minuto ha senso. Spero che ci sia buon vento, dovunque andiate. Un vento favorevole, come capita sempre ai marinai che sanno dove andare.

A presto.

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9 settembre…

Consegnato le bozze. Finalmente… Uscirà il 9 settembre, tra due mesi. Un altro viaggio, un’altra storia con i lettori. In anteprima, per chi segue questo blog, la copertina (che ne pensate? E del titolo?) e le prime informazioni del libro. Un saluto a tutti.

Dall’aletta del libro:
A volte ci sentiamo pronti. A cambiare qualcosa nella nostra vita, a cominciare una nuova impresa, a provare ancora un’emozione. Siamo solo in attesa che il destino ci dia la spinta decisiva.
Per Renato tutto comincia con una strana telefonata notturna. Antonio, il suo caro amico di Ponza, è inquieto. Sull’isola accadono fatti misteriosi, che generano sospetti, fanno paura… (…)

(…) Uomini senza vento è un noir mediterraneo e ambientalista, che ha per protagonista un uomo di fronte a un bivio. Una storia psicologica, incalzante, profumata di passione e di mare, che tra paesaggi indimenticabili, raffiche improvvise e spericolate manovre a vela, travolge il cuore e la vita dei personaggi fino a inebriarli del sapore della libertà.

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L’altro

Uno studio americano parla della rabbia verso i Downshifters. Un sentimento violento e irrefrenabile, che secondo la ricerca riguarda i conoscenti (soprattutto) e perfino gli estranei. Qualche giorno fa un lettore mi scrive: “Ho parlato delle mie idee di cambiamento a qualche amico, a qualche famigliare. La reazione più normale sono stati sorrisini, come a dire che ero spiritoso, che avevo fatto una bella battuta. Da altri ho avuto reazioni violente, al limite con l’insulto. Nessuno che mi abbia detto: ‘Ma dai, che idea interessante. Parliamone!’. Mi è parsa invidia, a tratti anche qualcosa di peggio”.

A pensarci bene, questo sentimento è il reciproco della soddisfazione che prova tanta gente a parlare delle disgrazie altrui. Un piacere quasi fisico, che porta alla sovraeccitazione (tipica dei funerali), ridona vita e energie. Una tragedia altrui è una nostra mancata tragedia, dunque festeggiamo.

Per restare al Downshifting, tuttavia, accade qualcosa in più: “se lui pensa di cambiare dovrei farlo anche io. Solo che io non ci riesco, ho paura. Allora vuol dire che sono peggio di lui!”. Anche questo è pubblicità, vendita di nulla. Lo schema della nostra civiltà contemporanea si impossessa di noi. Dash lava più bianco, è lui il punto di riferimento. La cultura del benchmark, ovvero l’altro, considerato “giusto”.  Ci pensavo ieri sera. Qualcuno, intervistato di fronte alla tomba di Taricone (mi spiace che sia morto, era un ragazzo simpatico), ha detto: “era uno che ce l’aveva fatta”. Ce l’aveva fatta a fare che?

Il cambiamento passa anche da qui, dall’assunzione di consapevolezza che rabbia e soddisfazione per i successi e i fallimenti altrui sono il modo più efficace per non occuparci della nostra vita. Siamo troppo impegnati a guardare fuori, a vedere le pubblicità di altri prodotti, a misurarci attraverso di loro, a dire “sbaglia!” oppure “bravo!” per essere responsabili della nostra storia. Se prendiamo un brutto voto ma gli altri sono andati peggio, ci rincuoriamo. Però resta un brutto voto…

Troppo presi a parlare dei soldi, dimentichiamo spesso un punto molto importante: la nostra vita. Quello è il nostro terreno, la tela da dipingere è lì. Se abbiamo bisogno di un confronto, facciamolo con noi stessi (almeno giochiamo alla pari). Il mio romanzo di tre anni fa è migliore o peggiore di quello che sto scrivendo ora? La mia reazione a quando un amico non viene alla mia festa, è più serena o meno serena di un tempo? Il lavoro che mi ero prefisso per non farmi travolgere da certe emozioni prosegue o si è interrotto? Quando parto, quando torno, quando cambio, le mie sensazioni sono positive o ancora negative? Se incontro qualcuno in gamba, lo invidio o lo ammiro, lo prendo a modello o lo evito? E se provo rabbia, continuo a proiettarla verso l’esterno o comprendo che, evidentemente, qualcosa ha fatto breccia nelle mie debolezze, dunque in qualcosa di vero?

La nostra quotidianità è eccessivamente promiscua. La solitudine serve anche a questo, ad evitare troppo inutile contatto con gli altri. E’ con la nostra storia che serve avere contatto, non con quella altrui. Non saremo mai soddisfatti se non voltandoci e scoprendo che l’uomo che eravamo era più debole e disequilibrato di quello che siamo oggi. La rabbia e l’invidia che nutriamo verso gli altri sono un enorme spreco di energia. Se riuscissimo a piegarla nella direzione favorevole faremmo molta più strada. E sorrideremmo delle nostre piccole o grandi mediocrità.

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