Si vede chi sei

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Mediterranea, unica barca alla fonda alle Tremiti. C’è anche un gabbiano… cercatelo.

Vieste – 8° giorno di navigazione.

Bene quando tutto avviene. Quando si prendono decisioni. Da quelle si vede chi sei. Come sei. I patrocini di Mediterranea hanno stupito alcuni. Cosa c’entra Perotti coi patrocini istituzionali? Una contraddizione. Io però, quando lavoro a qualcosa di essenziale come i sogni, non guardo in faccia niente e nessuno. Quella dei sogni non è una passeggiata per signorine. Mediterranea ha bisogno di coperture. Sarà sola in mare, andrà in zone instabili, alcune in guerra. Meglio una barca debole o una barca che ha su tutto quello che serve, sperando sempre che basti? A me sta a cuore che la spedizione vada. Quando morirò, tra poco, voglio ricordare che ho sbagliato tanto, ma nei sogni sono stato bravo. Se per qualcuno mi sporco la faccia, fa niente. Chi segue la sua via ha sempre il viso segnato. Quello che deve restare pulito sono le mani.

Sono imbarcato da una settimana. Davanti, anni. La schiena non va, soffro e faccio fatica. Il cuore invece pompa forte. Lontananze, nostalgie, e poi meraviglia e parole. Problemi tecnici da risolvere, rotte, vento, mare. La barca sta bene, ma il marinaio lavora in continuo. Ieri l’altro, quattro chili di pesce pescato: branzini, saraghi, sgombri pieni di bottarga. Una cena speciale. Il sapore del mare. Che sapore ha la terra? Quello del mare lo so.

Vieste ieri sera brillava di luci e di quiete. L’istante prima dell’invasione turistica, atmosfera sospesa. Com’è bello il mondo quando l’uomo non c’è ancora. Camminavamo cauti. Non volevamo rovinare qualcosa. Più mi appassiono agli istanti, più perdo il senso del tempo. Com’è cauto l’uomo quando viaggia al di fuori.

A notte fonda, improvvisamente, un pensiero: oggi guadagnerei tanto, sarei potente. Ma non sarei qui. L’istante dopo, credo, dormivo.

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Cioè

solera

Happening a bordo di Mediterranea, due sere fa, con Gianluca Solera, autore di “Riscatto Mediterraneo” (Nuovadimensione) – Barca strapiena per ascoltare un testimone delle piazze Tahrir, Sintagma, tunisine, turche, algerine.

Il masso rotola, l’idea è il masso, è sul bordo di qualunque burrone, la nostra vita è il burrone, vuoto tutto intorno, la morte è il vuoto, dunque si può precipitare, col masso che è restato su, la consapevolezza è questa possibilità, o starsene sul ciglio a guardare se precipitassimo, la paura è quello sguardo, oppure si può spingere il masso, tu sopra, lui che va, la vita è questa spinta, il suo senso è quel rotolamento, tu sul precipizio che non cadi, l’idea che rotola, le tue mani alzate verso il cielo che ride, ride del masso, il destino è quella risata, la sua media schiacciante di moli rimaste dov’erano, di uomini sul ciglio, di uomini che precipitano, e per la prima volta l’uomo non guarda più né in cielo, inane, né nel precipizio, terrore, né inutilmente il masso, che non va capito, non va capito, solo spinto, e scorge sul picco accanto, un altro uomo, così simile a lui, che ha visto tutto, lo osserva immobile, poi le sue mani, per la prima volta, che si appoggiano alla grande pietra idea, da sempre invincibile, la salvezza è quell’idea, e iniziano a spingere, e quel gesto si chiama aver assistito, testimonianza cioè.

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l’Arca

 

mia che indico per blog

Una rotta. Di là, forse…

 

I tifosi allo stadio inneggiano ai killer perché non salgono su Mediterranea. Non ci salgono o non ne stanno organizzando una tutta loro. Anche i politici europei non salvano i migranti ma salvano le banche per lo stesso motivo. Come gli amministratori che prendono mazzette per l’Expo, o usano i servizi dello Stato per proteggere i latitanti. Anche loro vivono così perché non salgono su Mediterranea. E i ragazzi che inneggiano o partecipano alla Camorra, alla ‘Ndrangheta? Loro soprattutto. Non salgono su Mediterranea, non ne fanno una loro, ecco perché sono così.

Mediterranea è un buon motivo per vivere. Mediterranea o qualunque altra cosa vi venga in mente, purché sensata, originale, in grado di coinvolgere persone, purché sia generata da un sogno proprio, richieda speranze, lavoro, impegno, e un giorno, soprattutto, parta davvero. Nella vita possiamo pensare a Mediterranea, oppure non pensare a niente. Ma quel vuoto poi qualcosa lo riempie: il rancore, la fame di soldi, l’atarassia. La paura. Le cose accadono, prima o dopo, anche se sembra che tutto resti uguale. Le nostre vite generano o degenerano. E aver sperato, o non aver sperato niente, è il solo e unico motivo.

Mediterranea è l’Arca, il luogo dove devi salire per sfuggire al diluvio. Conosco una persona che ha costruito la sua arca camminando in montagna, nel silenzio e nella condivisione di pochi altri appassionati; un’altra ha costruito, a Cagliari, una Mediterranea che non naviga, fatta di pietra, ma accoglie persone che hanno bisogno di un istante di tranquillità; poi c’è perfino gente (pochissima) che l’arca l’ha fatta invisibile, dentro, e se ne sta immobile, apparentemente normale, ma dentro ha la schiuma dell’onda e i delfini che saltano. Tutti, però, hanno le piaghe alle mani. Piaghe dolenti e bellissime, stigmate consunte della loro umanità. Tutti gli altri hanno le mani lisce, pulite, ma dentro hanno la guerra.

Continuiamo pure a pensare alle leggi… Continuiamo a studiare le regole dell’economia. Organizziamo pure un’altra manifestazione di protesta, più grande di tutte, pensiamo a come potenziare la polizia per reprimere… Non servirà a nulla. Occorre un’arca, una per ognuno di noi. Deve costruirla, vararla e condurla ogni individuo, oppure mettersi insieme e farne una spaziosa, buona per tanti, una bitta semovente a cui dar volta la cima della nostra vita, dove possa ormeggiare il senso (il senso…), oppure un progetto, briciole di una possibile nostra realtà. Quell’arca si chiama Mediterranea. Non c’è alcuna alternativa. Chi non sta lavorando al cantiere della sua, vedrà quei tifosi da stadio dilagare per la città, saccheggiare i negozi, entrare nelle case. Io salpo. E non tanto per non vedere queste scene. Ma per non essere tra di loro.

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E se il tesoro (che non cerco) ci fosse davvero?

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Khartoum (Sudan) – Campo profughi del Darfur, con Emergency, qualche anno fa

 

Stavo rispondendo a uno di noi, qui sul blog, ma mi sono accorto che la risposta poteva acquisire un qualche valore, perché tocca temi centrali. E allora ne ho fatto un post. Eccolo:

Granlasco, ho riletto quel che hai scritto. Non è la prima volta che colgo nei post o nei messaggi che mi arrivano, la difficoltà di percepire la molteplicità. Ho scritto molto, sul tema, anche un romanzo che considero importante proprio perché parla di molteplicità. Guarda caso il mio miglior romanzo, credo.

Ieri l’altro abbiamo detto che “un uomo deve essere in cammino”. Ecco, quel cammino, cos’è? E’ un sentiero di conoscenza di sé, di esplorazione del mondo a partire da sé. E cosa c’è da esplorare dentro di noi? Proprio questo: la nostra molteplicità.

Tutti, società, vita, sistema, ci vogliono univoci. Marito-lavoratore-padre, ad esempio, e non altro. Oppure single-consumatore-lavoratore-amante, ma i modelli sono alcuni, fai tu. Tutto purché univoci. Ci parlano della coerenza come fosse un valore primordiale, sancito, ineludibile. Ci parlano della non-contraddizione, di “essere te stesso”, come se questo avesse un qualche significato non pleonastico. Invece noi siamo molteplici, potremmo essere dei Nobel per la pace e al tempo stesso dei kapò in un campo di concentramento. Le attitudini di compassione e di violenza albergano dentro di noi insieme a infinite altre. Poi dipende dalle prevalenze temporanee, dalla volontà, e qui intervengono le scelte. Ma possiamo scegliere ciò che non conosciamo?

Io nel mondo dove stavo ci stavo male per la sua rozza banalità. Quel che mi veniva chiesto di fare, a scuola, all’università, sul lavoro, era un decimo di quello che io sospettavo di essere (e poi ho capito di essere effettivamente). Questi poveri ragazzi dei call-center, come tanti altri, mi fanno compassione anche per questo: per la loro visuale chiusa, circoscritta, stretta. Non percepiscono la vastità della propria umanità, dunque non possono concepire l’enormità delle scelte che hanno di fronte. Sono loro a chiudersi in quegli stanzoni, nessuno ce li ha chiusi a forza. E noi non siamo da meno, cambia solo il lay-out.

Ecco, quindi, che tu mi trovi antitetico: misantropo, solitario, autarchico a momenti, e poi invece promotore, attivo, relazionato, progettuale e collettivo in altri. Esatto. Ma dimentichi anche tutte le sfumature che ci sono in mezzo… Io sono anche molto altro. Come te, come tutti. Quel che cambia è solo il livello della propria consapevolezza. Ma del resto, quanto tempo dedichiamo ad essa? Dunque che risultati pensiamo di poter raggiungere? Se non cerchiamo il tesoro, possiamo dire con certezza che non esista?

Dentro abbiamo identità diverse, vite diverse, all’interno delle quali scegliamo una o più prevalenze in base all’energia che abbiamo, che ci poniamo il problema di generare e utilizzare. In alcuni momenti della nostra vita, stanchi e sfiniti, possiamo consentircene una a malapena. In altri possiamo ambire a viverne due, sei, venti. Ma siamo molteplici. Ogni nostra malinconia, ogni nostro disincanto, viene da quelle identità non vissute, da quelle vite assassinate. Lo sappiamo questo no?!

Un ultimo punto sulla richiesta di patrocini istituzionali che sarebbero, tu dici, la testimonianza delle mie relazioni, entrature, compromessi etc. Anche questo è un pregiudizio, consentimi. Quando vedo qualcuno che fa qualcosa penso sempre: “vedi? Ci ha provato. Potevo provarci anche io!”. Non penso mai che aveva dei vantaggi che io non ho. Lo trovo offensivo verso di lui, ma soprattutto verso di me. Con Mediterranea io ho fatto il percorso più formale e codificato possibile: “Buongiorno, noi saremmo… e vorremmo… è possibile? Come dobbiamo fare?”. E tutto è avvenuto. Attenzione alla tentazione di non credere mai, di non fidarsi mai. E’ solo balsamo per le nostre paure, ma porta spesso fuori strada. La gran parte delle cose di cui diciamo “ma figurati se io potrei mai…” sono possibili.

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Prima o poi

linguaccia

Critiche al video. Gente indispettita. “Toni troppo accesi”. Poveri. Soprattutto qualche frase ha fatto vibrare. La storia della fidanzata brutta come la peste, ad esempio. Chissà perché. Qualcuno mi ha scritto “ti tolgo l’amicizia!”, anche se il bilancio dice 8 amicizie tolte, circa 200 nuove. Non che contino molto i numeri. Dell’amicizia, poi! Conta la reazione. Bella. Dura. Con la pelle rossa, abrasa. Molto bene. Ogni tanto ci vuole.

Bianchi di pelle e di sensibilità. Questo siamo. Diciamocelo. Un po’ bolsi, proni, con le mani che non reggono più niente. Cade tutto. Fiato corto se c’è da scappare. Così ci prendono, però. Occhi che si chiudono sul divano, e non è neanche tardi. Film visto pensando ad altro. Cena a parlare di nulla. Rumore. Basta. Così va bene? E poi il problema sarebbero le frasi ruvide…

Routine uno fantasia zero. Ma se la forza per reagire allo schiaffo c’è, perché lo abbiamo preso? Mettiamo la forza prima, non dopo. Quel dopo, forse, non c’è. Quand’è il prossimo ponte? Che fai? Vado al mare. Ma è sul divano che vorresti stare. E allora perché?

Accorcio le frasi. Per farti leggere. Pare che la lettura media dei brani sui blog sia del 35%. La visione media dei video è del 55%. La readership media dei libri è 0,6. Neanche quello che vedi, lo vedi. Neanche quello che leggi, lo leggi. Ma allora che fai? E dopo che fai, chiediti, dunque, chi sei? Ma se è troppo, almeno, ipotesi B: dove vai? Prima o poi a una domanda devi rispondere. Lo sai. Sceglila tu. Poi però ditti qualcosa. Una cosa sola. Possibilmente. Vera

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