Giorni d’estate, trascorsi in solitudine, a scrivere. Fossimo eterni, capirei, ma non lo siamo. Quanto tempo ho trascorso in mezzo a una vita che non era questo, che non era il viaggio di Ulisse, il mio personale viaggio per ricongiungermi con Itaca? Cosa avrei pensato di me, senza compierlo, una volta giunto alla fine?
I personaggi della storia che uscirà a settembre mi ronzano intorno. In verità non sono solo, ci sono loro. A volte mi scopro a parlarci, a voce alta. Ma non credo di essere impazzito. Ho parlato altre volte con i personaggi dei miei romanzi, ma sempre in silenzio, sottovoce. Nella città, sul lavoro, non si poteva fare. Mi pare che la faccenda sia anche questa: parlare a voce alta con i personaggi delle proprie storie.
La mattina, quando sto per mettermi a scrivere, l’atmosfera è fatata. Prendo il caffé, intorpidito dal sonno, con la mente e il cuore che viaggiano veloci, che seguono piste indicibili mentre aspetto che il sole sorga. Mangio un biscotto solo, con la marmellata di limoni delle Cinque Terre, fumo una sigaretta. Sono avvolto nella meraviglia di questo bosco, col mare non troppo lontano, dunque senza languore.
Attendo che qualche amico mi venga a trovare. E’ bello desiderare l’incontro con gli altri, con quelli lì, proprio loro, dopo giorni di solitudine. Se qualcuno sta per arrivare pulisco meglio la casa, mi preparo, li accolgo. Anche questa cura è nuova, richiede tempo, disposizione d’animo. E’ bello attendere.
Per la prima volta in vita mia, dopo le 11.00 sto ancora scrivendo. Poi faccio altro, ma spesso torno a scrivere, cosa mai accaduta. L’altro giorno sono andato a dormire verso l’una di notte, mi sono accorto che avevo scritto per più di dieci ore. Difficile spiegare quale fosse il mio stato d’animo.
Tra qualche settimana partirò per la Rotta di Ulisse. Un bel viaggio a vela, 2.500 miglia per il Mediterraneo, il mare tanto amato. Anche partire è diverso. Quando partivo, prima, pensavo di ricongiungermi con qualcosa che aveva atteso invano per tanto tempo. Ora parto lasciando Itaca, sapendo che ci tornerò. Ma due mesi in mare non sono un viaggio. Sono un prolungamento, una continuazione.
I pezzi di cui ero composo, sparsi per una vita in gran parte altrui, sono tutti qui. Questo non elimina l’angoscia della vita, la sua assurdità. Ciò che non ha senso, che non possiamo comprendere, è lì, come per tutti. Però sono saldo, quello che posso, poco o tanto che sia, lo faccio tutto. Quello che mi è dato lo vivo appieno, ci sono immerso. Per resistere, per essere forte, io devo studiare, meditare, scrivere, vivere. La condizione interiore di un uomo ha molto a che fare con le sue scelte. Non farle, farle attendere, significa allontanare il momento dell’unione, dell’approdo ai pontili di Itaca. Siamo tutti così fragili, fuori dal nostro mondo…