Basta. Adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 elettori su 3 hanno votato per i partiti dei Lusi, dei Fiorito, dei Formigoni, dei rimborsi gonfiati, delle MPS, del finanziamento illegale ai partiti, di chi ha governato male, mancato ogni appuntamento con la modernità, disatteso ogni bisogno, ogni emergenza del territorio, della gente. Cose se nulla fosse accaduto. 1 terzo, invece, ha votato per chi vorrebbe far decidere direttamente a quei 2 terzi le grandi questioni del paese, saltando Parlamento e politica, in modo plebiscitario. Ve lo immaginate? E poi il resto: 1 italiano su 4 ha scelto il non-voto.

Tuttavia, qualcuno avrà ancora dubbi, domani, su quel che dico da tempo: occorre cambiare l’elettorato, non altro. Gli uomini e le donne. Ognuno che si concentri sulla propria vita, che smetta di partecipare come e quanto può al sistema decadente e fallito del capitalismo consumista, e’ l’elettore nuovo, l’uomo nuovo. Basta, sostenere questo teatro degli orrori è insensato. Basta, partecipare a questa società morente rende correi. Nessuna elezione ci salverà.

Uomini nuovi, che hanno deciso di vivere diversamente, autonomamente, senza attendere, senza lamentarsi, ridiventando sobri, smettendo di essere schiacciati da lavoro, denaro, tempo buttato via, senza soggiacere al peggiore ricatto della comunicazione commerciale diventeranno prima un Paese migliore e poi, inevitabilmente­, eleggeranno migliori rappresentanti.­ Nelle scuole, nelle università, tra i giovani, nella vita di ognuno, questo messaggio deve essere trasmesso, condiviso, ma soprattutto compreso e attuato, sotto la propria responsabilità.

E’ già possibile oggi cambiare, vivere nel Paese che vorremmo. Non aspettiamo elezioni che lo realizzino. E’ esattamente a rovescio: quel Paese non c’è ancora, in larga parte, possiamo farlo noi, oggi, individualmente. Non ci sara’ mai senza che ognuno inizi a costruirlo, cambiando la propria vita. Basta iniziare. Adesso.

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Il baule, il voto e un taxi

Il baule

Io e M. lo vediamo con la coda dell’occhio, accanto a un cassonetto dell’immondizia, mentre chiacchieriamo. Pensiamo entrambi la stessa cosa. Io inchiodo, retromarcia, scendiamo, lo guardiamo. E’ proprio quello che sembrava: il baule dei pirati, il forziere ricolmo d’oro interrato sull’isola perduta. Meglio, è la cassa di Dragut, che tutti cercano da cinquecento anni tra Rapallo e Monterosso. Ed è quasi intatto. In un istante è nel bagagliaio, in un’ora è pulito, raschiato, le cerniere appena scardinate subito rimesse a posto. Legno curvato e ferro zincato. E’ bellissimo. Ha anche un biglietto ingiallito sul lato, un foglio di spedizione con la calligrafia di un bisnonno: “bagaglio 99 – colli 4 – La Spezia”. All’interno trovo un capello nero, lungo, di donna. Dunque cento anni fa una donna arrivò qui via mare. Per qualche giorno mi chiedo: “perché lo hanno buttato via?”.

Tra poco si vota. Un po’ come andare in palestra: sapete quando uno fa una vita così sedentaria che poi deve pagare per fare un po’ di moto? Uguale. Perché non fa moto sempre ed evita di pagare la palestra? Non sarebbe meglio, e a minor costo? Oppure lavorare per fare i soldi per curarsi delle malattie che conseguono a quel lavoro. Non è meglio evitare direttamente la malattia? Le elezioni sono così: potremmo votare ogni giorno, sei, dodici volte al giorno, vivendo già diversamente, come se avessero eletto quei politici (che non ci sono) capaci di rendere il mondo diverso. Se lo immaginassimo già diverso, se ci dessimo regole, leggi, obbligazioni già in sintonia col mondo che vorremmo, vivremmo già in quel Paese che non c’è. Un paese dove non si buttano via le cose che sono ancora buone, in cui semmai si regalano, si riciclano, dove le mani sono allenate, capaci di fare, dove il tempo non viene sprecato ma utilizzato. Il tempo che quando scappa non torna più….

Visto film, ieri sera. Lui che bisticcia con la fidanzata per un motivo futile, lei che prende un taxi, incidente, lei muore. Lui disperato. Si sente morire, va a casa. La mattina dopo si sveglia e per un pelo non gli prende un colpo: lei è ancora viva, è accanto a lui in letto. Si sveglia, gli sorride. Però quel giorno capitano le stesse cose del giorno prima. Lui capisce: quella sera la sua compagna morirà. Ha avuto una premonizione. E allora tenta tutto per vivere ogni istante, le dice tutte le cose che non le aveva mai detto, vivono una giornata meravigliosa. Vivono! La sera, quando si tratta di entrare in quel taxi, entra anche lui…

Baule, taxi e scheda elettorale. Una bella collana, tre belle perle. Ci ragiono mentre brucia la legna nel camino, mentre minaccia neve che mi bloccherà qui per un paio di giorni. Mentre, soprattutto, penso al mio grande progetto, un grande viaggio per mare, lungo anni. Ricordo quando un viaggio così non potevo neppure sognarlo, quando era la vita che non avevo. Se uno ha un sogno che non può neppure permettersi di sognare, cos’è sbagliato, il sogno o la sua vita?
Un baule buttato. Un voto mancato. Un taxi. Preso.

 

 

 

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Dati e fenomeni

La domanda finale...

 

Uno dei maggiori esperti di comunicazione che abbia conosciuto, e che fu mio maestro, era solito scendere in strada per chiedere ai passanti cosa ne pensassero di questo o quel problema che dovevamo analizzare. Gli vidi fare quel teatrino anche sotto l’ufficio della multinazionale dove lavoravamo, all’uscita da una riunione in cui avevamo appena commissionato una ricerca costosissima e assai articolata. Un mese dopo, alla presentazione dei dati, li confrontai con quelli che aveva scritto a penna su un foglietto, risultato delle domande fatte ai passanti. Alzai lo sguardo. Dall’altra parte del lungo tavolo riunioni, il grande esperto di comunicazione mi sorrideva. Erano quasi identici.

In molte altre occasioni, quando lavoravo, ho ripetuto il test fai-da-te per poi confrontarlo con i dati raccolti in modo scientifico: malgrado gli errori, la tendenza emergeva sempre con chiarezza. Per questo ho voluto fare un piccolo sondaggio sul tema che mi interessava, la “scomparsa” degli uomini, e l’ho diffuso attraverso la mia pagina Facebook e qui sul blog. Hanno risposto circa 500 donne, per il 95% tra i 30 e i 50 anni, per il 45% per cento nel Nord Italia, per il 30% nel Centro e per il 25% nel Sud e isole. Nessuna pretesa scientifica, naturalmente, ma molte cose interessanti.

I dati per esteso di questo sondaggio li ho inseriti e commentati nel mio libro-inchiesta “Dove sono gli uomini?” (Chiarelettere). Qui mi soffermo soltanto sulla domanda finale, che suona come un tragico plebiscito. Quel che emerge, lo ripeto ancora, non è una fotografia con dati scientificamente attendibili, e neppure l’immagine di come siamo veramente. Un messaggio tuttavia ce lo manda, forte e chiaro. Qualcosa che a me, uomo tra 30 e 50, fa un po’ incazzare, e comunque riflettere.

La domanda era: «Definisci gli uomini tra i 30 e i 50 anni che conosci o di cui senti o sai attraverso amici/amiche e/o i media, con un aggettivo (massimo tre)». La lista era lunga, suddivisa in egual misura fra positivi e negativi, l’uno l’opposto dell’altro per evitare preferenze automatiche o involontarie.

I più votati, e di gran lunga sugli altri, sono stati «non in evoluzione», «impauriti» e «dipendenti da famiglia e altro». Queste tre definizioni hanno letteralmente sbancato il sondaggio con percentuali bulgare. Subito dopo non compaiono aggettivi positivi, ma «insoddisfatti» e «immobili». Per trovare il primo timido aggettivo in controtendenza si deve andare molto in giù nella classifica («dotati di una grande passione», che solo una donna su sei ha indicato).

Che conclusioni dobbiamo trarre da questo sondaggio per nulla scientifico e del tutto parziale? Forse nessuna, o forse molte. Ognuno potrà farsi una propria opinione. Certo, questo lungo elenco di aggettivi negativi fa effetto. Se non suona come una campana a morto, poco ci manca.

Eppure, ciò che mi ha colpito di più in tutta questa storia, non è il singolo dato, ma un fenomeno: la mobilitazione delle donne sul web il giorno in cui ho messo in rete il questionario. La loro reazione è stata sorprendente, impetuosa, tanto nei toni quanto nell’argomentazione. A pochi istanti dalla pubblicazione fioccavano già le prime risposte. Non solo. Arrivavano messaggi da tutte le parti: chi non capiva come rispondere, chi voleva sapere se a 51 o 29 anni potesse comunque partecipare (c’era scritto «riservato alle donne tra i 30 e i 50»), chi scriveva in pubblico per dirmi «era ora, parliamone!» oppure «mi raccomando, vogliamo vedere i dati, alla fine!».

In tanti anni di onorata partecipazione alla rete non avevo mai visto una notizia, un link o un tag accolto con un calore e una simultaneità simili. Per settimane e mesi, fino a oggi, ho continuato a ricevere, a ricerca ormai chiusa e a dati già analizzati, questionari fuori tempo massimo, che per forza di cose non sono rientrati nelle elaborazioni citate. Molte delle donne a cui era giunto il link attraverso le loro amiche mi hanno scritto per sapere chi fossi, perché facessi un’indagine così e che cosa stessi preparando. Volevano seguire. Molte hanno capito che stavo scrivendo un libro su questo argomento. Mi chiedevano quando sarebbe uscito! Alcune di loro mi hanno sollecitato a pubblicarne un estratto in anteprima.

Essere visto così, come molte ci vedono, non mi piace per niente. Non mi piace neppure che a noi serva una domanda, un sondaggio, un articolo, un libro… per renderci conto della “fame” di dialogo delle donne su questi punti, e delle loro profonde perplessità. Essere in difficoltà è già penoso. Distratti e lontani, non va per niente bene…

 

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Cause con… diversi effetti

Vi aspetto oggi 4 febbraio alle 18.00

Parecchi psicologi mi hanno detto che i pazienti di sesso maschile, soprattutto trentenni e quarantenni, sono in crescita. «Fino agli anni Ottanta le donne erano la netta maggioranza. Poi c’è stato un rapido cambiamento.» In quest’epoca di crisi il fenomeno non stupisce, ma pare che la tendenza fosse già iniziata durante il primo decennio del nuovo secolo. La sensazione è che, per un genere e per una generazione, i nodi siano venuti al pettine.

Anche la tipologia dei pazienti è cambiata. Le donne che vanno dall’analista dialogano, fanno «mantenimento», hanno bisogno di un supporto nelle scelte quotidiane, cercano di tenere a bada lo stress o qualche inclinazione caratteriale. Per gli uomini le cose sembrano diverse: «Sono in difficoltà, tanto da non farcela più. Problemi d’identità, di collocazione sociale, d’erezione. Non sanno scegliere. Sono nei guai».

Il fenomeno però è del tutto controintuitivo. Al cinema e alla televisione le donne a colloquio con uno psicologo sono state, negli ultimi dieci o quindici anni, talmente ricorrenti da sdoganare un tabù. Andare da un terapeuta, per una donna, non è più motivo di vergogna. Aprirsi e raccontare la propria interiorità neppure. Per loro, stritolate dai modelli sociali e familiari (donna, moglie, madre, amante, lavoratrice, governante) e da quelli estetici (bellezza, giovinezza, prestanza), è sempre stato facile riconoscere di avere bisogno di aiuto, che spesso veniva offerto dalle amiche, le prime vere psicologhe quotidiane. Ma per l’uomo? La perdita di alcuni ruoli fissi del passato (maschio, capofamiglia, unico produttore di reddito, identificato attraverso il lavoro, qualificato dai simboli economici, portavoce della comunità) avrebbe dovuto tradursi in una semplificazione della vita: meno responsabilità, meno aspettative, meno giudizio sociale, maggiore libertà.

Dunque che è successo? Qualcosa non quadra. «Non è mai stata la fatica a mettere in difficoltà le persone» mi dice Andrea, esperto di analisi transazionale. «Anzi, è proprio quando non hai impegni, quando non sei costretto nei ruoli, che iniziano i guai. Il vuoto fa paura, come il silenzio e l’assenza di richieste sociali. Non è il fare fatica che ci spiazza, ma la mancanza di un ruolo specifico, che ci aiuti a trovare un posto nel mondo.» Mi sembrava di aver capito: l’uomo ha perduto alcune sue prerogative, parte dei suoi compiti e delle sue funzioni storiche, ed è andato in crisi. Anche perché non ne ha ancora elaborati di nuovi.

Poi un giorno, guardandomi intorno, mi sono accorto che conosco e frequento decine di donne single e senza figli. Molte di loro vivono da sole, in affitto, in città. Quasi nessuna è votata alla carriera, almeno così mi pare di poter dire, pur senza basarmi su statistiche particolarmente accurate. Dunque ci sono molte donne per le quali i ruoli simultanei di mamma, moglie e amante sono venuti meno.

Allora ho provato a capovolgere i termini della questione: come mai le donne, sempre meno costrette socialmente e psicologicamente a coprire tutto il campo delle antiche responsabilità, non hanno patito per la perdita d’identità che consegue alla perdita di ruolo? Come è stato possibile il rapido passaggio fra la casalinga tutta casa e chiesa degli anni Sessanta e la donna di oggi, capace di intrecciare relazioni non convenzionali, di inventare modi e tempi del sesso, di ridefinire i sentimenti senza nessun precedente a cui attingere e di stare, tutto sommato, bene?

Se in passato le donne erano quasi tutte mogli, quasi tutte mamme, praticamente tutte impegnate a curare la casa, e ora invece sono spesso single e senza figli, come mai non si sentono orfane del ruolo che le loro madri hanno incarnato e tramandato loro fin da piccole? Perché, per contro, gli uomini non riescono a godere della maggiore libertà sociale e perdono i loro riferimenti? La libertà può avere cause ed effetti diversi. Dipende da chi la vive e da come la vive. O forse la virtù principale delle specie che riescono a evolversi è l’adattamento. Fare il meglio possibile con quello che c’è. Senza rimpianti.

Da pag. 54 di: “Dove sono gli uomini?”, Milano, Chiarelettere, 2013

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