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Parecchi psicologi mi hanno detto che i pazienti di sesso maschile, soprattutto trentenni e quarantenni, sono in crescita. «Fino agli anni Ottanta le donne erano la netta maggioranza. Poi c’è stato un rapido cambiamento.» In quest’epoca di crisi il fenomeno non stupisce, ma pare che la tendenza fosse già iniziata durante il primo decennio del nuovo secolo. La sensazione è che, per un genere e per una generazione, i nodi siano venuti al pettine.
Anche la tipologia dei pazienti è cambiata. Le donne che vanno dall’analista dialogano, fanno «mantenimento», hanno bisogno di un supporto nelle scelte quotidiane, cercano di tenere a bada lo stress o qualche inclinazione caratteriale. Per gli uomini le cose sembrano diverse: «Sono in difficoltà, tanto da non farcela più. Problemi d’identità, di collocazione sociale, d’erezione. Non sanno scegliere. Sono nei guai».
Il fenomeno però è del tutto controintuitivo. Al cinema e alla televisione le donne a colloquio con uno psicologo sono state, negli ultimi dieci o quindici anni, talmente ricorrenti da sdoganare un tabù. Andare da un terapeuta, per una donna, non è più motivo di vergogna. Aprirsi e raccontare la propria interiorità neppure. Per loro, stritolate dai modelli sociali e familiari (donna, moglie, madre, amante, lavoratrice, governante) e da quelli estetici (bellezza, giovinezza, prestanza), è sempre stato facile riconoscere di avere bisogno di aiuto, che spesso veniva offerto dalle amiche, le prime vere psicologhe quotidiane. Ma per l’uomo? La perdita di alcuni ruoli fissi del passato (maschio, capofamiglia, unico produttore di reddito, identificato attraverso il lavoro, qualificato dai simboli economici, portavoce della comunità) avrebbe dovuto tradursi in una semplificazione della vita: meno responsabilità, meno aspettative, meno giudizio sociale, maggiore libertà.
Dunque che è successo? Qualcosa non quadra. «Non è mai stata la fatica a mettere in difficoltà le persone» mi dice Andrea, esperto di analisi transazionale. «Anzi, è proprio quando non hai impegni, quando non sei costretto nei ruoli, che iniziano i guai. Il vuoto fa paura, come il silenzio e l’assenza di richieste sociali. Non è il fare fatica che ci spiazza, ma la mancanza di un ruolo specifico, che ci aiuti a trovare un posto nel mondo.» Mi sembrava di aver capito: l’uomo ha perduto alcune sue prerogative, parte dei suoi compiti e delle sue funzioni storiche, ed è andato in crisi. Anche perché non ne ha ancora elaborati di nuovi.
Poi un giorno, guardandomi intorno, mi sono accorto che conosco e frequento decine di donne single e senza figli. Molte di loro vivono da sole, in affitto, in città. Quasi nessuna è votata alla carriera, almeno così mi pare di poter dire, pur senza basarmi su statistiche particolarmente accurate. Dunque ci sono molte donne per le quali i ruoli simultanei di mamma, moglie e amante sono venuti meno.
Allora ho provato a capovolgere i termini della questione: come mai le donne, sempre meno costrette socialmente e psicologicamente a coprire tutto il campo delle antiche responsabilità, non hanno patito per la perdita d’identità che consegue alla perdita di ruolo? Come è stato possibile il rapido passaggio fra la casalinga tutta casa e chiesa degli anni Sessanta e la donna di oggi, capace di intrecciare relazioni non convenzionali, di inventare modi e tempi del sesso, di ridefinire i sentimenti senza nessun precedente a cui attingere e di stare, tutto sommato, bene?
Se in passato le donne erano quasi tutte mogli, quasi tutte mamme, praticamente tutte impegnate a curare la casa, e ora invece sono spesso single e senza figli, come mai non si sentono orfane del ruolo che le loro madri hanno incarnato e tramandato loro fin da piccole? Perché, per contro, gli uomini non riescono a godere della maggiore libertà sociale e perdono i loro riferimenti? La libertà può avere cause ed effetti diversi. Dipende da chi la vive e da come la vive. O forse la virtù principale delle specie che riescono a evolversi è l’adattamento. Fare il meglio possibile con quello che c’è. Senza rimpianti.
Da pag. 54 di: “Dove sono gli uomini?”, Milano, Chiarelettere, 2013