Generazione C (Cambio Vita)

Ricevo un post ricchissimo di spunti e di grande valore. Ve lo sottopongo con molto piacere.

“GENERAZIONE C (a 1000 EURO)

“Ciao Simone e ciao a tutti,

è la prima volta che ti scrivo, e lo faccio dopo aver pensato parecchio a quale contributo dare alla “causa”. Ho letto il tuo libro, visto tutti i video, letto qua e là qualche post e commento sui blog e fb… ah molto bella la tua recente risposta al giornalista di Affari Italiani che ti voleva subito dare una comoda “etichetta“…Ti scrivo per fare assieme a te e magari ad altri che condividono la mia situazione di lavoratore con uno stipendio attorno ai 1.000 / 1.200 € (cioè tantissime persone) su come affrontare comunque un percorso di downshifting se questo è ciò che veramente desideriamo.

Forse altri hanno già fatto notare questo aspetto sul blog o Fb, io non ne ho trovati e mi permetto di lanciare questa riflessione, che naturalmente non vuole essere una critica. Nel libro parli della tua esperienza personale di ex manager con un livello retributivo medio alto, se non ricordo male il tuo budget annuale di aspirante “downshifter” è di circa 26.000 € che è il doppio di quanto io guadagno attualmente lavorando tutti i giorni. Quando nel libro racconti del tuo conoscente che fa il ricercatore a 1.500 € e che potrebbe fare downshifting basandosi sulla auspicabile rendita dell’alloggio dei suoi genitori che comunque prima o poi erediterà, se non ricordo male è forse l’unico momento in cui affronti l’ipotesi del downshifiting per quelli che come me hanno retribuzioni basse e quindi minori possibilità di mettere da parte soldi.

Ma le persone che vivono con 800/1.000 € nella fascia tra i 25/35 anni, anche laureate o con buone qualifiche professionali, sono tantissime, vorrei dire la maggior parte. Non stiamo li a cercare le motivazioni e le cause generazionali, ma di fatto la gran parte dei giovani in Italia riceve uno stipendio davvero basso rispetto agli attuali costi di vita, e da qui tanta frustrazione, i trentenni che ancora devono vivere con i genitori, la difficoltà di programmare il futuro da soli, in coppia, con un figlio, etc… Ma è proprio questa l’età in cui se lo si sente dentro, si può cominciare il cammino verso il downshifting, proprio come hai fatto tu 12 anni fa, in modo tale da non avere un’età troppo avanzata quando finalmente ci si potrà liberare del lavoro fisso e godere a pieno del nostro tempo e dei nostri interessi. Purtroppo chi come me ha letto il libro e ha fatto paragoni tra i conti economici che tu hai proposto e la nostra attuale situazione economica, potrebbe sentirsi un po’ escluso da questo interessante processo di liberazione. E quindi noi che dobbiamo fare??

Cerco di lanciare a te e questa comunità un messaggio che porti alcune riflessioni che mi riguardano personalmente e spero possano incontrare conferme e ulteriori approfondimenti da quella fascia di giovani che vive la mia stessa situazione lavorativa ed economica. Innanzitutto spesso mi trovo a discutere seriamente con i miei amici, anche loro della generazione 1.000 €, sul fatto che per lavorare 5 giorni a settimana per 8 h al giorno e guadagnare comunque così poco, in più senza intravedere nel nostro ambiente possibilità di crescita professionale e di aumento di compenso, tanto vale fare qualche lavoretto saltuario (bar, ristoranti, artigianato, decorazione, giardinaggio, lavori vari su internet, traduzioni, etc..) e non credo sia difficile racimolare a colpi di 100/200 € quasi la stessa cifra mensile che percepiamo di stipendio e ridurre ancora un po’ i nostri consumi e le abitudini più costose. Immaginiamo quanto tempo libero si guadagna e soprattutto si spezza la routine della sveglia fissa/traffico/lavoro/casa dandoci spazio per avere il tempo di fare anche altre cose. Già parecchie persone che conosco vivono in questo modo e vedo con piacere che se la passano meglio di tanti altri che hanno il posto fisso. Tra l’altro, a livello psicologico, lasciare un posto senza prospettive di crescita economica, potrebbe essere più facile che lasciare una carriera avviata e ben remunerata.

Ho 33 anni, una laurea breve, parlo e scrivo bene in 3 lingue straniere ed ho avuto varie esperienze lavorative alle spalle in Italia e all’estero alla ricerca del lavoro “giusto”. Da 4 anni vivo a Torino, in pieno centro, lavoro in ufficio a 15 min a piedi da casa, con un contratto di collaborazione a progetto da 1.000 euro, non ho più l’auto da 4 anni, non mi serve e soprattutto non potrei comprarla con i miei soldi e non potrei mantenerla, ma tutto questo ora non mi pesa per niente. Anche se lavoro circa 8 h al giorno, i nostri orari sono flessibili e quindi non devo essere in ufficio per forza alle 9 e chiedere permessi per le cose che ho da fare. Forse sono già una persona fortunata per questa combinazione di casa/lavoro/orari, infatti quando ho letto il capitolo del tuo libro “Tutto quello che non possiamo fare” ho constatato con piacere che erano pochissime (forse solo 2) le voci dell’elenco che potevo spuntare, quindi tutta quella serie di limitazioni tipiche di certi profili professionali già non mi riguardano. Questa cosa mi ha confortato e mi ha fatto riflettere sul fatto che sarà pur vero che ho una situazione lavorativa precaria e a basso reddito, ma la mia attuale qualità di vita è già sicuramente buona. Quindi le persone che sono nella mia situazione potrebbero pensare come faccio io, di essere più o meno consciamente in una fase di “inizio downshifting involontario” ed esserne felici; mentre chi appartiene alla categoria di lavoratori che purtroppo si riconosce a pieno nelle limitazioni da te elencate, potrebbero anche valutare il fatto di rinunciare alla loro routine frenetica e stressante per dedicarsi intanto ad un’occupazione più a misura d’uomo in termini di qualità della vita, impegno ed orario. La testimonianza di Silvano Agosti sulla qualità di vita in Kirghisia dove la maggior parte della popolazione lavora 3 ore al giorno, ci fa capire che non stiamo parlando di utopie e sogni.

Come ultima considerazione, riprendo l’idea da te proposta di una condivisione dello spazio abitativo tra più persone o nuclei familiari nella fase di avvicinamento alla vecchiaia che ritengo validissimo e che vorrei cercare di sviluppare e porto un esempio semplice da realizzare che stiamo sperimentando attualmente con gli amici. Nessuno di noi potrebbe permettersi un alloggio in montagna per sciare che sia in affitto né tanto meno in proprietà. Quest’anno però in autunno siamo andati a cercare un alloggio grande per tutto il gruppo in una piccola stazione ai confini con la Francia, ideale per chi ama lo snowboard come noi. Risultato: abbiamo affittato una mansarda con una zona comune grande con cucina e 2 camere con 12 posti letto, riscaldamento con stufa a pellet (un sacco costa 4/5 € e scalda tutto l’ambiente per un giorno intero) alla cifra di 1.500 € per tutta la stagione da Dicembre ad Aprile. A seconda dell’uso che ognuno ne fa, con 100 /150 € a testa abbiamo a disposizione una casa in montagna per quasi 5 mesi. Good deal!!

Bene mi sono reso conto che la mail è stata forse un po’ troppo lunga, ma da tempo queste riflessioni mi girano per la testa e te le volevo comunicare. Ti saluto ringraziandoti per lo stimolo che hai saputo dare con il tuo libro a me e a tante altre persone. Peccato che non sei venuto a presentare il libro a Torino.

Un abbraccio

Cesare”

 

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31 pensieri su “Generazione C (Cambio Vita)

  1. Ciao, come leggo dai commenti molti di voi hanno scelto di passare da un part time ad un full time, pentendosi quasi sempre della scelta. Proprio a questo riguardo vi voglio raccontare la mia situazione. Ho 26 anni, sono laureato con una laurea specialistica e vivo ancora con la mia famiglia a Torino. Attualmente lavoro nella comunicazione in una grande azienda della mia città e ho un contratto a progetto full-time a 1100€. Vivo vicino al mio posto di lavoro, mi muovo principalmente a piedi o con i mezzi e da qualche mese sto controllando e contenendo le mie spese in prospettiva di un downshifting. Mi piacerebbe iniziare a passare ad un part-time, riappropriarmi del mio tempo e del mio spazio perchè la situazione è sempre più dura. Purtroppo non è sempre vero che rifiutando avanzamenti di carriera si evitano lo stress, le responsabilità eccessive e l’erosione graduale del proprio spazio e del proprio tempo. Anzi, spesso, con la scusa della crisi e della difficoltà di trovare un lavoro le aziende si arrogano il diritto di chiedere qualsiasi cosa ai propri dipendenti o collaboratori. Il messaggio implicito è: “sei un collaboratore a progetto a 1100€, ma il momento è difficile, quindi anche se hai stress, responsabilità e problemi pari a quelle di un tuo superiore mica vorrai lamentarti? Sei già fortunato a lavorare…”.
    A me non va più, sono disposto perciò a fare qualsiasi tipo di lavoro, purchè mi lasci il mio spazio. Anche se significa tornare ai 700 euro di quando ho iniziato.

  2. Pingback: partale

  3. Dunque…premetto che non avevo letto i post precedenti di nicola e angelo, pertanto la mia idea (creare un portale ufficiale per i downshifters italiani) non era proprio campata in aria! Raccolgo la sfida, stimolato anche dall’ulteriore post di Cece.
    Chi ha competenze informatiche mi scriva pure su michele.amori chiocciola libero.it, così mettiamo in piedi il sito e iniziamo a strutturarlo seriamente.

    Ciao ragazzi e buon vento a tutti,
    Michele (aka aMOZ)

  4. Ciao a tutti,
    appoggio in pieno l’idea lanciata da alcuni di noi su questo post (Angelo, Nicola e poi Michele) di creare una community/portale/blog dedicato al downshifting in Italiano per raccogliere le nostre idee, proposte, esperienze… anche per non “occupare” quello di Simone.
    Vedo che alcuni di voi hanno esperienze specifiche (webmaster, informatica,..) quindi direi che ci siamo. Iniziamo a scambiarci le mail e a discutere di come dividerci i compiti? Attendiamo vostri commenti e suggerimenti.
    Cece
    cesare.raina@gmail.com

  5. Ciao Simone (e ciao a tutti i ragazzi che leggono), sono Michele, uno dei tuoi tanti amici su FaceBook.
    Sono un webmaster e stavo pensando che forse sarebbe il caso di creare un sito web ad hoc per il downshifter italiano.
    I siti attuali sono pochi, e si limitano ad alcuni sparuti esempi in lingua inglese.
    Sarebbe bello fondare una community italiana sull’argomento, ovviamente ad iscrizione e uso gratuiti, senza affollare troppo il tuo blog.
    In questo modo le eventuali divagazioni sul tema, nonchè le sezioni più specifiche dell’argomento, potranno essere approfondite maggiormente rispetto a qui. Che ne dici? Che ne dite, ragazzi?

    buon Vento,
    Michele (aka aMOZ)

  6. PER FABIO RUINI,complimenti per il coraggio avuto ti capisco perche anch io vivo nella pianura padana ormai paludee sto cercando pure di andarmene un domani son tutti tristi e polemici in ogni cosa .il clima fondmentale nn si vive piu.bravo la serenita e la pace e fatta di piccole cose e la natura alla fine e quella che appaga di piu!!!SPERO TANTO DI RISCIRE A REALIZZARE IL MIO SOGNO IN FUTURO.NN MI FA PAURA RINIZIARE DACCAPO ANZI MI STIMOLA MI MANCA SOLO DI FARE IL PASSO E ANDARE.E SONO CON MIA FIGLIA DI 6 ANNI MEGLIO ORA CHE DOPO,MI VERRA BENE QUESTA DECISIONE SENZA PENSARCI8 PIU,GRAZIE CIAO LARA B ELLISSINMO QUESTO SITO COMPLIMENTI ANCHE A TE SIMONE

  7. ciao simone, ho appena finito di leggere il libro.innanzitutto complimenti per avercela fatta;son anni che ci penso anche io, ma ho tre cose che mi frenano di cui 2 importanti: una figlia e sono un “marinaio” senza una meta precisa, per cui non c’è vento favorevole!!La terza riguarda l’aspetto economico, sul quale scusa ma ho qualcosa da dire anche io.la premessa a chi è rivolto il libro è chiara, però bisognerebbe che ne scrivessi un’edizione “low cost”!!parlare di centinaia di migliaia di euro disorienta..e da buon “spezzino” mi vien da dire:belin , potevo risparmiare le palanche di questo libro, tanto quei soldi mnon ce li ho!!scherzi a parte ho trovato tanti spunti e citazioni che inducono veramente a riflettere sulla nostrà società, in particolare la disamina finale sul comportamneto delle aziende.io lavoro a pietrasanta, sei gia’venuto in zona a presentare il libro?? se capiti in piazza duomo, contattami:un caffè con chi ce l’ha fatta potrebbe trasmettere la giusta carica!!marco

  8. Francesca sono perfettamente d’accordo con te.
    Io offro ai lettori del blog quella che è la mia esperienza(ringraziando Simone per il libro e l’opportunità) così, chissà mai, da invogliare altri che sono in procinto di fare altrettanto:
    Dopo Laurea, specializzazione, dottorato di ricerca, pubblicazioni e 8 anni da “schiavetto” al prof., mi sono ritrovato a 35 anni con in mano solo un lavoro da 900€ al mese, part-time in un call center. Dopo aver attraversato alcuni mesi in uno stato di depressione nera e totale, dovuta al modello consumista che mi è stato imposto, dai miei genitori (in modo involontario), e dal mondo in cui viviamo, ho accettato il full-time passando a 1500€, ma con l’obbligo (di fatto imposto dal lavoro) di star fuori casa dalle 7 alle 18. A quel punto altro stato depressivo: mi mancava il part-time, il mio tempo libero, le mie passeggiate, il sole che potevo vedere almeno dall’ora di pranzo in poi (e che al contrario, uscendo alle 17 da lavoro, in inverno era sparito dalla mia esistenza).
    In quel momento lo stato emotivo ha comportato una evoluzione di pensiero, chiamiamola “maturazione”, chiamiamola come volete, solo che si tratta di qualcosa di assolutamente necessario per poter effettuare una scelta di downshifting in modo indolore, come giustamente Simone sottolinea varie volte nel libro. In poche parole, quando recentemente (ma prima di aver letto il libro…) mi è capitata l’occasione di passare ad un ulteriore livello (lavorativo e di stipendio), che mi avrebbe consentito di salire quasi a quello del Simone pre-downshifting (bei soldi ma… vita zero, tempo libero zero, poca luce del sole ma tanto stress e tanto lavoro), ho detto “No grazie”. E quando sono uscito dall’ufficio del personale avevo un sorriso ed un’allegria addosso che quasi mi si piegavano le ginocchia dall’emozione e dal ridere. Adesso… beh, dopo questa prima inversione di marcia me ne aspetta un’altra: il ritorno al part-time. Si può definire “downshifting parziale”?

  9. Ciao a tutti… mi chiamo Fabio, e la mia vita sotto alcuni aspetti è simile a quella di Simone. Unica differnza, non ero un manager milionario, ero operaio figlio di operai, vivevo con 1200 euro al mese facendo una vita classica e noiosa nella opulenta e sonnolenta pianura emiliana. Ora vivo a Gran Canaria, ho fatto di tutto (legale) per vivere, lavori temporanei, alberghi, immobliare, ora sopravvivo dei miei risparmi (qualche migliaio di euro) in attesa che alcuni amici italiani aprano una ditta che si occuperà di IT e software. Magari sarà la ennesima collaborazione a tempo e dovrò ricominciare da capo. Come da molto tempo ormai. Sono contemporaneo di Simone, (nato nel 65) come lui ho detto basta, e pur tra tante difficoltàa, solitudine al principio, se tornassi indietro farei lo stesso percorso. Sono sposato con una meravigliosa psicologa cubana. Insieme pubblicheremo un suo primo libro in spagnolo in questi giorni, viviamo di poco, 35 mq per due, a pranzo mezza torilla ed a cena riso bianco con cipolla, a volte tagliatelle alla bolognese e due crocchette di pollo. Totale 200 euro mese per i pasti + 450 euro mese affitto più bollette. Si, si può vivere con meno. Non è facile…ma si può…soprattutto non ha prezzo reimparare a dare valore alle cose importanti. Affetti, amicizia, camminare sul mare in una città come questa, Las Palmas, prendendosi il tempo di sedersi a guardare l’orizzonte, sentire che amare è importante, che le persone sono importanti e meritano che vi dedichiamo il nostro tempo …

    • Fabio, aridaje con questa storia che ero un manager milionario!!!!!???? Ma la vogliamo finire?! No, perché fra un attimo mi incazzo sul serio. RIPETO PER LA QUATTROCENTOMILLESIMA VOLTA: IO NON ERO UN MANAGER MILIONARIO E NON HO UN TESORO NASCOSTO, BENSì I MIEI NORMALI RISPARMI, CON CUI PERO’ MI DOVRO’ PAGARE LA PENSIONE (CHE NON HO). Oh, è chiaro o devo ripeterlo ancora dopo averlo scritto nel libro, dovunque, a rischio che, se non fosse stato vero, chi mi ha dato lo stipendio nel corso della mia carriera mi smentisse? Spero di non dover tornare sull’argomento. Non fosse altro perché mi annoio… 🙂 ciao!

  10. ciao Simone,
    ho quasi finito di leggere il tuo libro, capitato al momento giusto nella mia vita, guess so, in un percorso di cui ancora non conosco le evoluzioni. Molte cose da dire, mi piacerebbe incontrarti e parlarti de visu, avere un confronto, anche rispetto all’idea finale, la comune. Abbiamo alcuni punti in comune: età (ne ho 1 meno di te…), settore di attività: comunicazione. Sono una giornalista professionista anche se poi faccio altro ovvero lavoro in RAI senza contratto giornalistico…a progetto e mi occupo di media digitali. Master in management audiovisivo, svariati anni fuori dall’italia, mai però entrata al 100X100 dentro il sistema, ne tantomeno come dirigente! con i pro e i contro di questa scelta. Ho perso la tua presentazione a roma (dove vivo) e vedo hai 1 calendario fitto fino al 10 febbraio, ma se ricapitassi per roma o trovassimo 1 altro modo (compresa la spezia nel qual caso dobbiamo solo accordarci per le date) a me farebbe molto piacere e credo mi sarebbe utile nella fase in cui mi trovo. Scrivo qui non avendo né cercato né dunque trovato una tua mail. Spero a presto. Monica

  11. L’interessante libro di Perotti è un sintomo, non una soluzione.

    Non è una soluzione perchè la rivoluzione personale di un ex manager milionario non fa testo. Un cambiamento sociale si potrà avere solo con l’unione delle persone, l’aggregazione eversiva, la critica di massa. L’individualismo, seppur illuminato, non serve a nulla.

    E’ un sintomo molto significativo della insoddisfazione dell’uomo moderno, e della donna naturalmente. Se Perotti guadagnava 10mila euro al mese ed era insoddisfatto, figuriamoci chi ne guadagna 850 al mese.

    Ma non è solo questione di soldi. L’insoddisfazione è totale, per il mondo e per la gente che ci circonda. E’ uno Spleen baudelairiano, un disgusto.

    I nostri padri, e noi stessi, hanno costruito un mondo che ci fa schifo e dal quale vogliamo fuggire, magari aggrappandosi, chi può, al sostegno che da un bel conto bancario gonfio di sghei. Per un Perotti che ce la ga, ce ne sono 100 mila che affondano.

    Che fare? io sto dalla parte dei 100mila che per cultura e livello economico non possono neanche immaginare di fare downshifting. Non da soli, almeno.

    E’ per questo che dobbiamo tornare a essere organismo sociale, comunità, gruppo, dobbiamo re-incontrarci insieme nelle piazze, nelle campagne, nelle città e fare cose INSIEME, niente soluzioni individuali, fughe dorate, rivoluzioni personali. No.

    Così potrete cambiare vita, ma il mondo rimane lo stesso. Lo stesso schifo dal quale ora cerchiamo di scappare.

    • andrea tanti uomini deboli che si uniscono non fanno alcun organismo forte. prima si passa per la crescita personale, per la vittoria individuale su condizionamenti, mode, pressioni, consumi. Poi, DOPO, si fa qualche aggregazione. Questa via non è ancora mai stata seguita dalla storia, e infatti tutti i tentativi rivoluzionari sono sostanzialmente falliti o hanno lasciato il posto a violenza e restaurazione. Proseguire su questa strada è suicida. La via (a parer mio) è un’altra. Ciao!

  12. Ylenia, grazie per l’incoraggiamento, se sono io quella Francesca (e sennò grazie lo stesso). Sarebbe bellissimo che il sistema cambiasse, ma intanto preferisco lavorare su di me 🙂

    Nicola, se puoi, fallo quel portale!

  13. @nicola e la sua idea
    Mi sembra ottima l’idea di Nicola di fare un partale con le esperienze di downshifting. Io aggiungo: deve essere di più: deve essere il portale delle dritte per fare downshift: pubblicare offerte di lavoro, proposte di mettersi assieme a lavorare, offerte di case in comunità anche per un periodo temporaneo, mettere su una specie di borsino delle case per capire dove andare. Il portale dovrebbe far circolare idee e creare una rete dei downshiters effettivi e potenziali. Ci deve servire per tenerci in contatto e passare parola. Potremmo anche contribuire tutti a manutenerlo e implementarlo.A me sembra una idea ottima per diffondere il virus 🙂

  14. Fino a quando stavo in coppia l’idea di lasciare questo lavoro era proprio lontanissima. Quando ci siamo lasciati ho cominciato a lavorare molto su di me, a cercare di capire cosa desideravo io. A sentire forte il desiderio di essere più a contatto con la natura, di essere autentico e avere relazioni sempre serene con le persone. Di avere più tempo per me. Così ho cominciato a desiderare di fare un altro lavoro. Figuratevi quando poi ho trovato il libro di Simone!
    Ho deciso che lascerò il lavoro quest’estate. Non so ancora cosa farò, tante idee. Domani con degli amici ci troviamo per vedere l’idea di aprire una cooperativa agricola, ma mi piacerebbe tornare all’università. A volte mi sembra di saper fare solo quello che faccio, lavoro in un’azienda di informatica, ma sono sicuro che si possono trovare 1000 espedienti per campare per cui, se non mi faccio fregare dalla paura, farò il salto.
    Mi domando però se fossi in coppia che farei, se avrei lo stesso coraggio. Mi domando quante coppie a basso reddito fanno o possono fare downshifting.
    Sono convinto che questa sia una fase storica in cui sta nascendo forte il desiderio e la necessità di mettersi insieme, per ridurre i costi, distribuire meglio le risorse e anche – perché no – per essere più in relazione gli uni gli altri. Quindi cooperative, comunità, cose di questo tipo.
    Mi piacerebbe, prima di mollare l’informatica, fare un portale dove chi fa downshifting si possa incontrare, magari per area geografica, per tematiche, dove si possono offrire e trovare lavori, o qualcuno possa accogliere qualcun altro o insegnargli un lavoro… utopia ?

  15. Ciao Francesca
    il tuo post potrei averlo scritto io. Guadagno poco di più rispetto a te e sono nella tua stessa situazione. Si fanno delle scelte per cercare la “sicurezza” e la “stabilità”, tutti ti spingono in quella direzione, e si perde di vista la propria strada, le cose che ci piacciono veramente. Tieni duro! L’ideale sarebbe riuscire a cambiare il sistema non mollando tutto, ma riuscendo a far cambiare mentalità nei posti dove lavoriamo. Utopia? Una volta si lottava per avere le 36 ore…

    • il metodo per cambiare la società è questo ylenia. cambiare noi come singoli, dire no a ciò che tutti considerano inalienabile, e testimoniare una cosa vera, un cambiamento reale, autentico, emulabile. questo, in questa epoca, è il massimo della rivoluzione possibile, e non è poco. caio!

  16. Ciao a tutti,
    sono Cesare (anzi Cece come mi chiamano da sempre, anche per distingurmi dal mio omonimo qui sotto) quello che ha sritto il post “GENERAZIONE C (a 1000 €)”. Simone mi ha fatto il grande piacere di pubblicarlo in home page e l’ho ringraziato per questo. Ho aspettato un po’ a rispondere per vedere che topi di commenti arrivavano. Come immaginavo siamo numerosi noi 30enni con più o meno la stessa condizione economica. Ma la cosa che ci unisce nell’ambito di questo blog credo sia lo spirito con cui affrontiamo la situazione. Non so per voi ma io ci ho messo davvero tanto tempo (… e quanto è stata dura!!!) prima di farmene una ragione, accettare la mia realtà lavorativa, dare un gran calcio in culo a tutte quelle “finte” aspirazioni professionali che spesso non erano le mie o non facevano comunque per me, e vivermi la vita in serenità e semplicità. Ancora oggi a volte non ci riesco e mi devo sforzare per riprendere la strada giusta anche perchè gli stimoli che riceviamo dall’esterno vanno quasi sempre nella direzione opposta.
    Rimaniamo in contatto, non so se su questo blog o su altri (Simone che ne dici??)e scambiamoci idee e consigli.
    Un grande abbraccio a tutti
    Cece

  17. Condivido la situazione descritta da Cesare.
    35 anni, laureata in lingue, tempo pieno a 900 euro al mese da un commercialista, zero possibilità di miglioramento.
    Fino a un paio d’anni fa vivevo di contratti a progetto, arrivavo sì e no alla metà di quella somma e questa situazione mi pesava: vivevo con l’ansia della scadenza del contratto (e se non mi rinnovano?), sentivo di non poter fare nessun progetto (quando avevo chiesto un finanziamento per la macchina l’impiegato della banca si è messo a ridere), ma soprattutto odiavo la sensazione di sentirmi un peso, dover far conto sempre sugli altri, che fossero i miei genitori o il mio compagno di allora.
    Così quando mi è stato proposto il fatidico tempo indeterminato mi è parso che mi stessero facendo un regalo…
    Non ci è voluto molto per rendermi conto che avevo fatto uno sbaglio!
    Prima non guadagnavo, ma facevo un lavoro che adoravo (insegnavo inglese in un centro di formazione professionale), avevo il tempo per leggere, fare una passeggiata, chiacchierare con un’amica. Potevo dedicarmi alle mie passioni (taglio e cucito prima di tutto) e se volevo potevo pure arrotondare con delle ripetizioni.
    E invece non facevo che lamentarmi della mia situazione, della società, del mondo del lavoro, di questo e di quello, sognando il tempo indeterminato. Allora sì che starò bene, pensavo.
    Adesso che ho dato via la mia libertà per uno stipendio fisso (ma ridicolo), fiato sul collo, ferie a comando, week-end in cui cerco di infilare quello che non riesco a fare negli altri giorni, macchina a rate e via discorrendo…
    Beh, ora mi rendo conto che stavo meglio prima. E il bello è che sono andata a cercarmela!
    Invece di fare la lagna avrei potuto ingegnarmi per arrotondare e godermi di più il tempo, ora che non ne ho mi sembra tanto prezioso!
    Ma non importa. Va bene così. Questa esperienza si è rivelata fruttuosa sotto altri aspetti: ora sono sola e questo lavoro mi permette di camminare con le mie gambe senza chiedere niente a nessuno, anche se con fatica.
    Poi mi ha fatto riflettere: ora so quello che avrei potuto fare e so che lo farò.
    Voglio vivere di quello che amo e che so fare, voglio indietro la mia vita e voglio prendermene la responsabilità.
    Mi hanno detto “dovrai fare delle rinunce” io ho risposto “dovrò fare delle scelte”.
    Scusate per il romanzo. Un abbraccio grande.

  18. Ragazzi mi permetto di suggerire la lettura di “Felicità sostenibile” di Maurizio Pallante. Se non consumassimo tanti oggetti inutili non avremmo bisogno di lavorare tanto; se ci autoproducessimo beni reali e non oggetti dall’utilità fittizia potremmo impiegare le nostre energie in qualcosa di utile per noi e gli altri. Questo per me è un libro che spiega in parte come realizzare il downshifting perchè dà dei consigli pratici e fa venire voglia di metterli in pratica, perchè sono ragionevolissimi!

  19. Hai espresso perfettamente le riflessioni che ho fatto leggendo Adesso basta. Vivevo già con molto meno rispetto ai conti riportati da Simone
    32 anni, laureata in economia, in azienda da 5 anni, 1200 euro al mese + lauti rimborsi spese, continue trasferte rischiose, ora in cassa integrazione straordinaria.
    Ho imparato a vivere con 900 euro al mese. Si può e non si sopravvive, finalmente si vive. Mi dispiace per chi pensa ancora di avere di fronte la stessa persona: d’ora in poi, il mio tempo e la mia vita, li gestisco io.
    Simone, prima o poi ti capito a cena!

    Emanuela

  20. Indubbiamente una situazione comune alla maggior parte dei 30enni me incluso.

    Io nel mio piccolo mi rendo disponibile a condividere con chi farà richiesta il mio personale file excel con cui mi tengo la contabilità “personale” o familiare con budget, previsioni e dati Reali(actual).
    Chiunque fosse interessato può apportare migliorie e magari rigirarlo agli altri.
    E’ indubbiamente uno strumento utilissimo (per me) per prevedere una quota di risparmio annuale e crearsi un budget mensile per diverse voci di spesa.
    Mandatemi pure una email se interessati a l o r l o p @ g m a i l .c o m (naturalmetne senza gli spazi).
    ciao

  21. Ho 36 anni, lavoro da dieci e devo dire che quando ho letto che a 28 anni il Perotti è diventato dirigente mi si è un pò stretto il cuore, anzi ho anche pensato ad una bufala. Anche io ho avuto l’impressione che il libro fosse un pò tarato su redditi alti. Anzi è così, ma è comunque ricco di spunti. Un dubbio mi resta e mi circola in testa da mesi: forse per chi come me arriva da famiglie molto povere, l’avere oggi un pò di soldi a disposizione, circa 2.200 euro al mese, ha un valore e frena un reale downshifting. Un pò per me, perché sono cresciuto senza potermi permettere i libri, i dischi, il cinema solo ogni tanto e ora voglio godere di ciò. Un pò per la mia famiglia, perché hanno fatto sacrifici enormi per me e perché so che loro sono ancora poveri e saranno sulle mie spalle da vecchi. Mi sento un pò dowhshifter dal lato consumi, perché ho uno stile di vita molto sobrio e risparmio circa 1000 euro al mese, ma di lasciare un lavoro sicuro per la precarietà oggi mi pare troppo rischioso.

  22. (Mi scuso se scrivo qui, volevo fare un commento al video su you tube, ma mi sono accorto che come sempre avevo scritto in eccedenza al consentito, quindi, visto che tenevo molto a comunicare questo mio pensiero, son venuto qui, grazie)
    Ciao,
    premetto di non aver ancora letto i libro – cosa che farò al più presto – essendone venuto a conoscenza solo ora.
    Ho guardato alcuni di questi video e giunto a questo ho sentito il bisogno di fare alcune osservazioni.
    In primo luogo è bello vedere qualcuno che parla in questi termine di questa scelta – che io spero di poter effettuare presto. Proprio perchè scelta essa non vuole essere una dogmatica posizione avebte valore universale, come se tale posizione fosse un vademecum che calzi a tutti in modo paritario: è come pretendere che il gusto che io trovo in un cibo sia lo stesso di quello che tutti provano (il buon vecchio Kant ne discusse abbondantemente -.) ) No la “nostra” – scusa se mi permetto ma la penso come te – posizione è soggettiva: per me e per te, la felicità sta nel non lavorare, perchè altrove sissituano i nostri progetti, le esigenze esistenziali, i piaceri, ecc
    In secondo luogo c’è il fattore consuetudine: è consuetudine pensare che una vita debba essere strutturata in un certo modo ben definiti da un sistema e chi ne diverge è considerato “pazzo”, ma spesso dietro la presunta pazzia di chi fa scelte particolari, si nascondono la paura di chi vorrebbe farle egli stesso ma non ne ha il coraggio. Certo, anche io la penso come te , scusa il gioco di parole, rispetto al rispeto. Ovvero, condivido il fatto che molte pesone non possano fare la nostra sclta pechèmagari hanno dei figli, una famigloia da mantenere, un mutuo ecc. ma queste sono state esse stesse scelte loro (come dice Sartre: siamo condannati ad essere liberi), come lo è stata la mia di non avere relazioni durature e figli, scelta che ora mi consente di assumere ogni responsabilità delle mie scelte e i rischi solo su di me. Ogni scelta ha conseguenze: quella di avere famiglia con tuti i suoi pregi e difetti e quella di non averla, con altrettanti pregi e difetti. In questo senso si possono sempre trovare giustificazioni per ogni cosa, sopratttto con e verso noi stessi, per nascondecisi dietro. O cmq, e qui ritporniamo al fattore della soggettività della scelta, io sono nelle condizioni – moi ci sono messo io stesso con le mie scelte precedenti -di poter fare tale scelta, scelta che potrebbe rendere felice m ma non un altro.
    C’è chi lavora con soddisfazione perchè, fortunatamente o per suo impegno, il suo lavoro coincide con il progetto esistenziale della sua vita. E qui mi collego a un terzo elemento: il tipo do lavoro.
    Io faccio l’operaio – e vivo da solo da ormai dieci anni (ne ho 35). Ho avuto la fortuna di riprendere gli studi pe universitari (lavorando) per alcuni anni e anke se non lki ho terminati essi mi hanno consentito di vedere la vita sotto una prospettiva totalmente diversa, di cambiare gli strumenti della sua valutazione. Ho letto che tu prima fascevi un lavoro cmq soddisfacente, o che perlomeno poteva esserlo: quale soddisfazione può trovare un operaio? Fin quando ero immerso nella consuetudine di quella sola vita che voleva che si dovesse avere uno stipendio per poter soddisfare bispogni creati appositamente per poter dare giustificazione al lavoro stesso, anke io non vedevo alrro. Poi l’apertura scolastica mi ha fatto vedere quell’altro che prima non vedevo perchè non conoscevo: la lettura, la scrittura, il poter passare il tempo nel cooscere e nel godere di tale possibilità che l’uomo ha. Quello che per molti è ozio per me è piacere e guadagno. “L’essere per la morte” è un modo d’essere dell’esistenza di tutti, ma molti ne fuggono. Abbiamo solo una morte serta, ma molte vite possibili all’interno di questo ica certezza finale. Quando questo ti si palesa, quando l’autenticità è portata alla luce e si smette di fugirne ecco che le priorità mutano e il lavoro diviene un qualcosa di superabile. Eppure molte persone – e questo è preoccupante detto da un lavoro operaio – dicono che si annoiano quando stanno a csa a non lavorare e – magari in mallattia – non vedoo l’ora di tornare sul posto. Alllora, dico io quale è la vera solitudine: la nostra, che è un percorso di scopeerta la loro, che è una continua fuga?
    Ma il rispetto, ripeto è laprima cosa, quando è reciproco, ovvero quando avviene sia da parte di chi ammette la soggettività e particolarità delle proprie scelte, sia, però, quando proviene anche da parte di chi sostiene la scelta contraria in modo reale ed autentico. Io credo che una scelta come la tua sia possibile se fatta con giudizio. Si può vivere con poco, basta che quel poco coincida con quel molto che noi pretendiamo di ottenere dalla nostra vita. Se il poco denaro derivante dalla mancanza di uno stipendio fisso, mi da, assieme ai sacrifici materiali, un surplus di tempo ilibero e di libertà eisistenziale, e se questa libertà è cio che io voglio di più di ogni altra cosa, allora ecco che questa è la scelta che fa per me.Ma se il mio bisogno di appagamento materiale, o una certa necessità consumistica è primaria nella mia vita, allora la scelta del non lavorare non farà per me. Tutto dipende da ciò che “IO” e solo io, in quanto essere umano libero ed indipendente voglio dalla mia esistenza, da cosa ritengo prioritario o no ( anche se qui entra in gioco il fattore di ciò che l’industria culturale e il sistema ci impongono subliminalmente di essere e di conseguenza il fattore della cultura personale, dello studio, della conoscenza) nella mia vita per potermi realizzare.
    Scusa la prolissità, ma questo è un tema che, come potrai ben capire, mi preme molto, e di cui raramente la gente è disposta a discutere seriamente, senza il pregiudizio recondito o sottostante alla frase. “ma tu vivi in un altro mondo, sei pai pazzo; come fai senza stipendoi” ecc ecc
    La smetto se no non mi fermo più …
    Un saluto, Marco
    (http://blog.libero.it/sapereaudeK/)

  23. Mi sto attivando in questi giorni per valutare la possibilità di trasformare i miei lavoretti di bricolage in fonti di reddito. Se volessi partire direttamente con un negozio, mi servirebbe la partita IVA e una serie di altri adempimenti che richiedono uno sforzo economico che, attualmente, non vedo come riuscire a coprire con i possibili proventi delle vendite. Sono oggetti piccoli, perciò mi sto informando quali siano le regole per partecipare ai mercatini come “hobbista”, dove non è necessario aprire la partita IVA e i ricavi delle vendite vanno soltanto aggiunti alla dichiarazione dei redditi a fine anno.
    La cosa più pazza che ho in mente in questo periodo è di “vendere idee”, anche se vendere non è proprio il verbo adatto. Tutti quelli che conosco mi chiedono spesso “idee” (non necessariamente consigli) per varie cose: organizzare una festa, cosa cucinare e così via. Bene, vorrei fare un esperimento e “vendere queste idee”: la persona chiede, io fornisco la mia idea insieme a un numero di Postamat. Lascio al “cliente” decidere quanto e se pagare la mia idea, in base al gradimento o se l’idea abbia effettivamente funzionato. Voglio vedere cosa ne viene fuori :-))
    Buona giornata a tutti
    e se vi capita, mettete nello stereo “Sailing” di Christopher Cross e sognate un po’ 😉

  24. Ciao ragazzi,

    io ne ho 29 anni e un contratto a tempo indeterminato con uno stipendio intorno ai 1600€…non dovrei forse stare qui a lamentarmi, ma esco di casa alle 8 e torno alle 20-20.30 dato che ho scelto di vivere fuori città con il mio compagno…a dirvi la verità vorrei tanto il mio tempo indietro (sono cmq 8 anni che lavoro), guadagnando anche 600€ meno al mese ( con quello che spendo di benzina e autostrada ci vado pari) ma libera di coltivare i miei interessi…la carriera era il mio interesse principale prima, mi sono presto accorta che la vita è breve e per vivere bene basta meno di quello che normalmente si pensa. Buona idea quella di Simona!

  25. Questa riflessione mi ricorda molto una vecchia amichevole critica mossa a Simone in seguito alla lettura del suo ottimo libro dalle pagine del mio blog.
    Quel che simpaticamente gli rimproveravo era in effetti una visione un pò troppo “madunina-centrica”, solo concentrata sulla figura del top-manager di successo, che benché appartenesse evidentemente alla sua storia personale ed era lecito attendersi che lui ci portasse a dimostrazione le proprie dirette esperienze, d’altro canto costituisce ineludibilmente una condizione comunque di eccezionalità, per lo meno nella nostra società attuale (ed attualmente critica) e con particolare riguardo alla fetta più giovane della generazione a cui tutti apparteniamo.

    Pare strano, sotto il profilo socio-demografico, ma io stesso costituisco una testimonianza di questo spaccato “campione”, per il fatto banale che per me che di anni ne ho 37, nemmeno a dirlo, il livello stipendiale è ben più alto dei fatidici “1000 euro a progetto” eppure, da perfetto non ancora quarantenne, anche assai inferiore alle cifre iperboliche che un manager come il Simone degli anni ante-ds poteva riuscir a guadagnare!

    Sta di fatto però, e questo quel che facevo notare all’amico Simone, che la massa statistica sta in basso nelle fasce salariali in un indagine sulla generazione a cui tutti apparteniamo (X, y o z.. non saprei più tanto come definirla), ma il fatto di aver poco da spendere non può e certo non deve far sentir esclusi, anzi! Esser già abituati alla privazione, allenati nell’ingegno per arrivare a fine mese, inventarsi bricoleur per garantirsi comunque un minimo di passioni da coltivare più possibilmente a basso costo, e specialmente -parlo anche per me- riuscire a gestire il proprio tempo lavorativo tenendosi a debita distanza da quei ruoli di elevata responsabilità che porterebbero inevitabilmente al tracollo, nella gestione del quotidiano e sotto il profilo dello stravolgimento persino della sfera privata, AIUTA.

    Aiuta, prima di tutto, nel momento della decisione, del distacco e del definitivo discernimento e scelta: meno vincoli, meno laccioli; meno aspirazioni anche ma di certo meno rimpianti, per assurdo anche molti meno scrupoli; senza dubbio, una pelle più dura per affrontare il futuro.

    ciao a tutti, buon futuro e buone scelte
    davide

  26. Ciao omonimo!!!!

    sono d’accordo con te!!!
    si può lavorare e stare bene anche con poco
    la cosa importante è gestire ,nei limiti del possibile,il proprio tempo!
    penso che la “novità” di questo blog sia proprio questa:
    riuscire a vivere,pur lavorando,senza schiavitù ed eccessivo stress!
    ogniuno dovrebbe aspirare a questo e ti garantisco che si può fare!!!!!!
    notte
    Cesare

  27. Noi 33enni siamo una generazione downshifter per caso, ci siamo ritrovati ad avere delle prospettive peggiori dei nostri padri e abbiamo già ridimensionato tutte le nostre aspettative e gli stili di vita. Io lavoravo part-time fino ad uno anno fa ad 800 euro al mese, avevo il pomeriggio a disposizione per fare qualche altro lavoro oppure per dedicarmi ai miei interessi. Lavoro a 15 minuti a piedi da casa, quindi non devo mantenere un auto e non ho stress particolari. Successivamente mi hanno chiesto di passare a full-time e nonostante guadagno di più ci ho perso in qualità della vita. 8 ore di lavoro + 1 ora di pausa pranzo in ufficio sono molto diverse da 6 ore di fila e poi alle 2 torni a casa…In più senza prospettive di crescita professionale – perché la nostra generazione di laureati è la più maltrattata della storia – sto rimpiangendo il mio part-time. Siamo una generazione che vivrà in maniera differente rispetto a quelle che ci hanno preceduto, compresi i 40enni, io vedo la mia capufficio strapagata e superstressata, è lontana anni luce dalla mia realtà, ha avuto possibilità che adesso non esistono più, in compenso fa una vita infernale.

  28. Grazie per il tuo entusiasmo Cesare, da 33 enne a 850 euro al mese, fa bene sentire la voce di un coetaneo che esorta a non scoraggiarsi e lanciarsi piuttosto in alternative più libere e alla fine con compenso pari a quello delle 40 ore settimanali. A tal proposito suggerirei di tenerci informati, tra futuri downshifter. Se c’è qualcuno che ha bisogno di fare un lavoro, o conosce qualcuno che nella città x ha bisogno di una mano, anche temporaneamente, perchè non tenerci informati. Potremmo creare una rete,dando per scontato che essendo su questo blog un pò di valori in comune ce li abbiamo. Boh la lancio li… in attesa di feedback. S.

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