Gnomi

'Libero' - scultura in legno, alluminio, rame, spago in cellulosa, il fermo di una finestra di tram milanese (trovato per terra)

'Libero' - scultura in legno, alluminio, rame, spago in cellulosa, il fermo di una finestra di tram milanese (trovato per terra)

Giorni di sole, tracorsi a leggere Thoreau dalle 6.00 alle 7.00, poi a scrivere fino alle 12.00 e poi a lavorare nel bosco. Tanta fatica per tagliare, spaccare la legna, portarla fino alla casa salendo lungo l’erta ripida, metterla in ordine nella legnaia. Resta a volte il tempo per mettere insieme materiali, per farne sculture, composizioni, roba nata dal silenzio.

C’è qualcosa di mistico in questa vita, qualcosa di sublime. Prendere il caffè quando è ancora buio, guardare fuori con le prime luci, sedermi al tavolino e immergermi nelle pagine di un così ricco e grande autore (uno dei padri della cultura americana, che si rifugiò per anni nei boschi del NewEngland a vivere di natura, pensiero, libri) fa quasi tremare della gioia, dal sentimento tumultuoso della libertà. Fermarmi ansimando lungo la salita, carico di legna sulla spalla, posarla un istante per riposarmi e guardare intorno il bosco ancora incerto tra verde e rosso, giallo, marrone, fa pulsare il cuore veloce, ma non solo per la fatica.

I giorni passano rapidi quando sono qui, solo, con la testa che va veloce, o che si pianta su un pensiero insignifcante, che poi mi porta lontano. Lavorare a questa casa, che ancora ha bisogno di così tante opere, mi fa ripensare ad Axel Munthe e al suo “La Storia di San Michele”. Il grande scrittore svedese diceva: “Questa casa non è grande. L’ho costruita secondo il principio che il corpo ha più bisogno di spazio dell’anima”. Munthe ha descritto l’epopea di quella casa attraverso la lente della mente e dello spirito, essendo un uomo visionario e profondo, capace di un’introspezione assoluta della natura. Era uno che diceva: “Sono molto meravigliato di sapere che c’è gente che non ha mai visto uno gnomo, non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. La loro vista non funziona bene “.  Mi accorgo che mi guardo intorno tra gli alberi e le felci, per vedere se riesco a scorgerne qualcuno.

Sono giorni che non trovo una cosa che sto cercando. Una cosa importante. Potrebbe averla presa il duende, lo spirito del fienile. Stamani è domenica, e in più piove a dirotto. Dopo aver letto e scritto niente lavoro nel bosco, ma ricerca metodica dovunque. Ho smontato e rimontato la casa, senza per altro trovare alcunché. A parte lettere e messaggi, echi di vite precedenti. Ho riso e pianto, mi sono soffermato su alcune parole, sulla carta ingiallita. Emozioni forti, che mi hanno fatto trasalire.

Quante cose nella vita di una persona normale. Quante voci, quante occasioni, quanto da fare (quanto!), quanto da pensare. Mi viene in mente qualche messaggio anche recente, ricevuto da lettori che si preoccupavano della noia, del vuoto, dopo aver preso decisioni di cambiamento. Mi è parso un timore assurdo. Come si può temere la noia, come si può avere paura del vuoto? Con tutta la vita che abbiamo dentro, con tutti i progetti e i ricordi, con tutte le voci che ci rincorrono?

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USV – Interviste

Intervista su Uomini Senza Vento apparsa oggi sul giornale on-line diretto da Diego Novelli, la Nuova Società

Intervista su Uomini Senza vento apparsa oggi sul giornale on-line Voglio Vivere Così.

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Secondo chi?

Lerner ai tempi della contestazione

L’altra sera ero a Milano, apro la tv a casa di M. e vedo per qualche minuto il programma di Lerner. Non so quale fosse il tema, ma in quel momento Lerner chiedeva a Travaglio se non fosse un po’ narcisistico andare nei teatri a parlare alla gente, un po’ come Saviano. Lui ammantava la domanda di un panno dorato, cioè l’analisi su cosa cambi tra essere un giornalista e fare “teatro civile” (alla Biacchessi, alla Celestini), ma la sostanza era chiara, ed era una domanda subdola, penosa, diffusa.

In questo Paese se dici “Questa cosa è così!” e lo dici con convinzione, trovi subito qualche bempensante che obietta: “Secondo te!”, come a dire che non puoi essere così arrogante da essere convinto di qualcosa con forza, magari perché ci hai riflettuto molto, ci hai studiato, hai confrontato con molta gente valida quel pensiero. Per la norma devi sempre ricordarti che non puoi parlare all’indicativo e in modo assertivo se non sei almeno morto, o hai vinto il Nobel o sei stato dichiarato intellettuale dal TG3. A me viene sempre da rispondere: “Ma è evidente, sono io che parlo… dunque secondo chi, se non secondo me?” C’è bisogno di ripeterlo ogni volta solo per fare quelli politically correct? Bleh…!

Mi pare che questa sottocultura della falsa umiltà (che consiste nel dire “non sono sicuro eh, sia chiaro, e non sono neanche nessuno per dirlo, però credo, forse, che le cose siano così…”) nasconda paura, perfino maggiore arroganza (quella di farmi passare per fesso, mentre ascolto). Trovo anche che a furia di veder circolare pensieri deboli, cose delle quali nessuno è sicuro (per quanto possibile), argomenti e opinioni su cui si è riflettuto poco (e quindi le si riferisce con cautela eccessiva e falsa), ogni cosa galleggi in una orribile marmellata. Il pensiero comune.

Mi piace molto la gente che dice “E’ così!”. Mi piace quando argomenta, dettaglia, combatte perfino, e soprattutto quando cambia idea se gli dimostri che ha torto. Mi piace vedere qualcuno che ha una passione, la studia, la esercita, e ha diritto a dire la sua, mi insegna qualcosa quando parla, mi dimostra che su quel tema lui può parlare e io devo ascoltare. Mi piace perché scoprire qualcuno che ne sa più di me è un’opportunità enorme, rara, e mi piace perché constato che quella persona non ha paura di entrare a gamba tesa su un argomento, in quanto ci ha lungamente riflettuto. Mi fa stare bene pensare che ci sono persone che studiano, ascoltano, si aggiornano, praticano e poi si sentono in diritto di dire qualcosa di forte, magari anche contro. Mi piacciono le donne e gli uomini “sempre poco allineati”. Soprattutto, mi piacciono poco o niente i falsi umili, quelli pronti a dirti che quel che dici non va, ma non a dirmi come dovrebbe andare. E’ irrilevante che abbiano ragione, ma è grave che oltre quello non dimostrino di avere un pensiero compiuto. Secondo me, naturalmente…

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Somewere, lontano da qui

Locandina SomewhereHo visto Somewhere, il film della Coppola, vincitore dell’ultima edizione del Festival di Venezia. Mi è parso proprio vecchio, scontato, brutto. La regista ha talento, ma capita di sbagliare un film. Naturalmente la pellicola è ben fatta, con qualche punto sospeso e cinematograficamente riuscito. Un paio di scene le ricorderò (la lap-dance delle gemelle, ad esempio, trash ed esilarante al tempo stesso). Ma il film proprio non va.

Il fallimento del film è dovunque, ma soprattutto nella scena finale. Il protagonista lascia la sua brillante Ferrari a bordo strada, in un campo, e si allontana a piedi. Purtroppo la camera lo riprende in primo piano, con il bolide sfocato in controcampo, e lui… sorride. Avevo avuto paura che finisse così circa trenta secondi prima, e ho detto a bassa voce: “no… no… no!”. E invece sì. Primo piano, controcampo e sorriso…

Il concetto è: la solitudine e il vuoto del successo non rendono felici, al contrario, annullano. Come dire: i soldi (e la fama) non danno la felicità. Una scoperta direi piuttosto tardiva, che non giustifica il film.

Anche da questa cultura in ritardo, distratta, ripetitiva occorre allontanarsi. Certo, il cinema è sempre bello, anche quando è brutto, ma è necessario aspettarsi di più, amare chi ha idee e le sa trattare con stile (come nel caso del delizioso film di Bisio, che per quanto sia un remake è decisamente riuscito). Occorre anche comprendere che la critica (che ha stravalutato questo film sbagliato) a volte è preziosa, ma a volte non ci rappresenta. Il pubblico, infatti, il film lo ha stroncato (pur garantendogli significativi incassi).

Tanta gente è mille miglia oltre questo concetto della “solitudine del successo”! Qui si parla di rallentare, uscire dal Sistema, costruire piani concreti per la rivolta, scollocarsi, rendersi indistinguibili, smettere di essere target commerciali. Altro che solitudine del successo, altro che vanità della fama e del denaro. Buona parte del mondo è molto, molto oltre Somewhere. E’ di quel mondo che vorrei vedere il film. Peccato.

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Anniversario

Fino a un anno fa i miei libri vendevano 5-6mila copie. Un risultato discreto, si poteva andare avanti. La mia scelta di lasciare lavoro e tutto e venire a vivere qui era stata fatta per andare avanti, per scrivere tante storie, per fare solo quello. Ognuno è nato per qualcosa: io per scrivere, mettere insieme storie in cui qualcuno possa emozionarsi, riconoscersi, seguire un filo proprio.
Erano due anni che avevo detto basta, ma lo sapeva qualche decina di persone appena. Io ero già felice. Mi alzavo la mattina, sole che filtra tra gli alberi, caffè, un libro sul tavolo della cucina, qualche pagina con la mente ancora lucida, poi al tavolo a scrivere, Renato, Silvia, una balena in pericolo. La casa fredda, accendo il camino. Non mancava niente. Andava bene così.

Poi accadde. Era giovedì, dodici mesi fa. Mi chiamarono in tanti, arrivarono un mucchio di sms, tutti insieme. Che succede? “Simo, compra il Corriere”. Era uscito un articolo, una pagina intera. Quel giorno il saggio veniva messo sui ripiani. Accade quotidianamente, per tanti libri. Nessuno poteva sospettare quel che sarebbe seguito…

Un anno, esattamente oggi. Un anno in più di questa folle scelta di vita, un anno di scrittura, di navigazione. Un anno di comunicazione, interviste, e poi di presentazioni, in viaggio per l’Italia. Un nuovo libro, finalmente un romanzo, Uomini Senza Vento, che viaggia di mano in mano. Un altro libro quasi finito, qui sul tavolo. Almeno tre progetti in testa. Un film in corso di scrittura. Un reading da preparare per marzo. Mamma mia…

Settantamila e-mail, qualcosa di più, con gente viva, come me, quarant’anni, poco più, poco meno, speranze, energia, i disagi di questo Paese maltrattato, che maltratta. Quanta gente (quanta gente!), quanto contatto. Un corpo a corpo, un grande abbraccio. Liti furibonde, incazzature. Ho risposto a tutti. Tante paure, ma nessuno che abbia potuto dire “non va, è sbagliato, non funziona”. Perché funziona eccome…

Con i soldi del libro ho comprato una stufa a pellets per integrare il calore del camino. E’ arrivata ieri sera, per coincidenza. Tre tonnellate di legna da spaccare, invece di cinque. Un inverno più caldo, e meno fatica. Un comfort in più. Il resto è restato com’era. Io soprattutto. Non mi sono mosso di un millimetro, anzi no, ho proseguito il cammino lento che facevo. Senza ansia o pesi sul cuore si potrebbe volare, e invece si va a passo d’uomo. Così lenti che nessuno riesce a prenderci…

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