C’è qualcosa di mistico in questa vita, qualcosa di sublime. Prendere il caffè quando è ancora buio, guardare fuori con le prime luci, sedermi al tavolino e immergermi nelle pagine di un così ricco e grande autore (uno dei padri della cultura americana, che si rifugiò per anni nei boschi del NewEngland a vivere di natura, pensiero, libri) fa quasi tremare della gioia, dal sentimento tumultuoso della libertà. Fermarmi ansimando lungo la salita, carico di legna sulla spalla, posarla un istante per riposarmi e guardare intorno il bosco ancora incerto tra verde e rosso, giallo, marrone, fa pulsare il cuore veloce, ma non solo per la fatica.
I giorni passano rapidi quando sono qui, solo, con la testa che va veloce, o che si pianta su un pensiero insignifcante, che poi mi porta lontano. Lavorare a questa casa, che ancora ha bisogno di così tante opere, mi fa ripensare ad Axel Munthe e al suo “La Storia di San Michele”. Il grande scrittore svedese diceva: “Questa casa non è grande. L’ho costruita secondo il principio che il corpo ha più bisogno di spazio dell’anima”. Munthe ha descritto l’epopea di quella casa attraverso la lente della mente e dello spirito, essendo un uomo visionario e profondo, capace di un’introspezione assoluta della natura. Era uno che diceva: “Sono molto meravigliato di sapere che c’è gente che non ha mai visto uno gnomo, non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. La loro vista non funziona bene “. Mi accorgo che mi guardo intorno tra gli alberi e le felci, per vedere se riesco a scorgerne qualcuno.
Sono giorni che non trovo una cosa che sto cercando. Una cosa importante. Potrebbe averla presa il duende, lo spirito del fienile. Stamani è domenica, e in più piove a dirotto. Dopo aver letto e scritto niente lavoro nel bosco, ma ricerca metodica dovunque. Ho smontato e rimontato la casa, senza per altro trovare alcunché. A parte lettere e messaggi, echi di vite precedenti. Ho riso e pianto, mi sono soffermato su alcune parole, sulla carta ingiallita. Emozioni forti, che mi hanno fatto trasalire.
Quante cose nella vita di una persona normale. Quante voci, quante occasioni, quanto da fare (quanto!), quanto da pensare. Mi viene in mente qualche messaggio anche recente, ricevuto da lettori che si preoccupavano della noia, del vuoto, dopo aver preso decisioni di cambiamento. Mi è parso un timore assurdo. Come si può temere la noia, come si può avere paura del vuoto? Con tutta la vita che abbiamo dentro, con tutti i progetti e i ricordi, con tutte le voci che ci rincorrono?