Canzone

“La morte di Dragut” – Riproduzione a stampa del XVII Sec. All’alba nella mia cucina.

Il viaggio della vita. In quello mi sono perduto. Ed è più che abbastanza. Chi non lo capisce non è in viaggio, altrimenti saprebbe riconoscere. Non si riconosce una circostanza già vissuta? Si sanno i problemi, non si giudica, anche se ci piacerebbe. Chi è fermo apostrofa chi se ne va, chi va rimprovera chi resta. Ma il viaggio della vita, senza paura, patendo di ogni assenza, prendendo e andando quando è il tempo, quando la perlustrazione è finita, solo con uno zaino vuoto, poche cose dentro… beh, quello, per chi lo fa, per chi è partito… è una canzone nota.

Non si tratta di doti, o men che meno di coraggio. Queste sono solo storie da romanzo. Scopriranno che sono cromosomi, specie di segni interni, come un tatuaggio messo lì chissà come, legami biochimici oppure disegni, arabeschi intagliati sui legni di una nave squarciata dai monsoni. Tardi: è inutile vederli, ed è impossibile capirli

Per quanto duro, e per quanto in sere immobili ci sia da strangolarsi di lacrime, prime e ultime ogni volta per un uomo, il viaggio è il modo più sensato di prendere la vita. Potevamo capirla, ma non ci siamo riusciti. Potevamo saper stare al mondo! Ma non ci siamo riusciti. E allora andiamo, perdiamoci là dentro. La curiosità è la droga più a buon mercato. Il tempo passa più rapido osservando. Se non capiamo cosa, o perché, avremo fatto tutto quel che serve, almeno, per girare in tondo, e per capire come. Cammina, cammina… troveremo il filo della fonte di ciò che abbiamo preso dalla coda della foce.

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14 pensieri su “Canzone

  1. Beh…Sono contenta che una mia “critica” abbia provocato una reazione. Che sia stata utile per – finalmente – intraprendere un viaggio. Un meraviglioso viaggio… comunque vada….. Grazie Laura! Ciao! 🙂

  2. “La curiosità è la droga più a buon mercato. Il tempo passa più rapido osservando”
    Hai ragione, Simone, lo penso anch’io.
    Quando il mio tempo passa lento, troppo lento per sentirmi pienamente viva su questa terra, mi lascio volentieri sopraffare da dosi rigeneranti di curiosità, dosi che assumo quando la crisi di astinenza da viaggio comincia a farsi sentire con sintomi, che ormai riconosco molto bene e per i quali l’antidoto è ripartire.
    Per ora i miei viaggi prevedono un biglietto di andata ed anche uno di ritorno, forse perchè la mia curiosità non si è ancora esaurita fino al punto da fermarmi in un luogo definito, una linea dell’orizzonte senza un ritorno, che consenta di ripartire verso nuove mete.
    O forse perchè il coraggio di raggiungere l’obiettivo più “ardito” non è abbastanza forte per disintoccarmi dalla droga della curiosità.
    Pero’ ogni ritorno è l’occasione per rielaborare momenti di viaggio, luoghi, incontri, conoscenze, emozioni e sensazioni nella forma scritta, che lascia una traccia indelebile di quel che resta : l’esperienza vissuta.
    Ed allora, si scrive per se stessi?
    Direi che si scrive di primo impulso per se stessi, cercando anche il piacere della condivisione.
    Per il momento, ogni volta che torno, scrivo; riparto, ritorno e riscrivo, fino a quando quel titolo che ho in mente , “La mia Europa”, non sarà solo la bozza di un progetto, ma la testimonianza concreta di tappe percorse nel viaggio della mia vita.

    • E invece no, sai…!?ognuno di noi scrive se e come vuole, per sé. Ma un autore scrive per comunicare, dunque scrive ciò che ritiene interessante o bello o forte o espressivo o metaforico o provocatorio o disvelante o saggio o folle o Utile o da denunciare o emblematico, o tutte queste cose o alcune di esse contemporaneamente… per il mondo tramite sé. Cioè sente, e profondamente desidera comunicare quel sentimento al mondo, innescando in ciò una comunicazione che provochi o aggiunga o determini una conoscenza, una comprensione, una consapevolezza. Io credo che nessuno scriva per sé, che questa sia una forma di ritrosia della quale ci convinciamo, ma certamente non lo fa un autore. Ogni segno, ogni tratto, ogni gesto è una forma di uscita da sé per il mondo, fatta a proprio rischio e pagata personalmente.

      • “Conoscenza,comprensione, consapevolezza”IoIpreferisco che un autore non mi provochi tutto ciò, ma nuove domande,interrogativi,riflessioni, dolore, gioia:
        Emozioni.
        Non nozioni.

        • la percezione di sè e del mondo è sempre un insieme di queste cose Laura. Domande, riflessioni, sentimenti vengono dall’insieme della conoscenza, che è sensoriale, emotiva, razionale, in un vortice di relazione. Un autore fa qualcosa, o almeno ci prova, che sta dentro, conficcato in fondo, a tutto questo.

          • … Non so. Per me domande, riflessioni ,sentimenti sono quasi sempre frutto di non conoscenza. Alla continua ricerca di risposte. E poche volte razionali. Troppa razionalità oscura la spontaneità .

          • Non c’e’ dubbio. Ma la relazione col mondo non può essere una dieta monoalimento. Tutto concorre, in modo bilanciato. Ma credo sia una questione di definizioni. Penso che intendiamo qualcosa di analogo. Rais, che so che hai apprezzato, credo ne sia l’evidenza.

          • Si probabilmente è così.
            E Rais è meraviglioso ma , come ti ho scritto, avresti dovuto inserire le”avvertenze”.
            Dai tuoi post, avevo percepito che sarebbe stato un viaggio molto” impegnativo.” Attrazione e rifiuto contemporaneamente.
            Poi quella ” critica” di Barbara riguardante Bora mi ha fatto reagire. Mi sono sentita chiamata in causa…quindi non potevo più fare la codarda:dovevo iniziare il viaggio.
            E mi sono immersa totalmente nella storia. Rapita…come Bora, tanto da rallentare la lettura per poterlo vivere per più tempo.
            Profondamente coinvolta tanto d a diventarne parte in un sogno molto avvincente.
            Per poi… accelerare la lettura per uscirne il prima possibile. Troppe emozioni,gioie ,dolori,ricordi, domande,passioni :Specchi.
            Tante sottolineature. E rileggendole, troppo di me.
            Non potevo riporlo nella libreria.
            Doveva tornare nell’unico luogo possibile…..

      • Scrivete cose comprensibilissime e condivisibili, per la maggior parte. Però, secondo me, è solo una faccia della medaglia, c’è anche l’altra.

        Va bene considerare una “visione”, ma mi chiedo: data l’iper-produzione di libri, è possibile che un autore abbia una visione ogni 18 mesi? A me francamente pare un po’ troppo: scrittori illustri del passato sono sui libri di scuola ed hanno pubblicato 3 libri in tutta la loro vita. Oggi c’è il racconto, il racconto lungo, il romanzo breve, la raccolta di saggi, il docu-romanzo: mi paiono troppe le possibili visioni.

        Poi, a volte, a parlare di libri, si ha come la sensazione di essere in assenza di contesto: si legge pochissimo, e c’è solo uno zoccolo duro che legge. (Briatore mi pare di aver letto che non investe nella cultura, perché è una nicchia, non perché non crede nei libri e nel resto: nel senso che muove poco). Scrivere e pubblicare è come andare a pescare in un mare dove ci sono 100 pescatori e 20 pesci da pescare. E poi non esiste ancora una patente di autore. Potrei dilungarmi, fare più esempi, ma insomma, il succo che volevo dire è questo.

        Non ho ancora letto Rais, e lo farò solo nei prossimi anni, ma ad esempio sono 3 anni che non termino un libro: il sapore che provo è quello di un già visto, o di pagine che hanno riposato poco. E, ad esempio, in un Uomo Temporaneo ho provato questo: soprattutto nella seconda parte, quando ad si accennano alle pagine di calcio e sport, ho avuto l’impressione che quelle pagine avessero dovuto riposare ancora un altro po’.

        Quindi, direi forse all’inizio scriviamo per noi, ma con l’obiettivo, poi, di condividere la visione: è giusto così, ma considerando il contesto, che è quello che è, o l’assenza di contesto.

        • beh, quel testo ha “riposato” 25 anni, è stato scritto quando ne avevo 25, e si intitolava, infatti, “Un Eroe del terzo Millennio”, essendo all’epoca in procinto di doppiare il precedente. Curioso che questo effetto non te l’abbia fatto “Adesso Basta”, nel caso lo avessi letto, che è stato scritto in quattro mesi e pubblicato subito dopo.

          Quanto alle patenti di scrittura e il pescare con pochi pesci, non so che dirti. Non sento il bisogno di patenti e non ho come obiettivo quello di vendere facilmente o chissà quanto. Io scrivo da quando avevo nove anni, scrivo perché per me il mondo è scrivere, non saprei spiegartela diversamente. Quando scrivo sto bene, sono felice, invento luoghi, mondi, parole, sentimenti, emozioni, stati, che mi aiutano a sopportare questa vita e che mi consentono di sognare e comunicare i miei universi. Oltre che, talvolta, di capirli.
          Simenon scriveva a raffica un romanzo ogni pochi giorni, circa 480 in totale nella sua carriera, e Marquez, come molti altri, racconta che scrivere è come suonare il violino, va fatto tutti i giorni se vuoi cerare la giusta intonazione. I più grandi autori che mi vengono in mente, i più amati, hanno scritto tanto, sempre, da giovani, le loro bibliografie sono foltissime. Proust ne ha scritto uno solo in tutta la vita, ma che ne vale trenta per qualità e quantità. Tolstoj ha scritto milioni di pagine, tutte di altissimo livello, alcune capolavori assoluti. Da Ramusio a Einstein, passando per chi vuoi tu, il numero di autori che hanno scritto tanto, sempre, e di cui probabilmente conosciamo appena qualche parte del loro lavoro, la maggior parte rimasta inedita, è enorme. Poi c’è anche qualche autore poco prolifico, da Salinger ad altri. Ma non so se questo fatto sia interessante, ognuno dice quel che dice. Un mio amico non parla mai, dice qualche parola ogni tanti. Un altro non sta mai zitto. Non ho mai fatto classifiche tra loro. Woody Allen dal 1967 ad oggi ha prodotto un film all’anno, l’enorme quantità belli, una quota di essi bellissimi, e un paio almeno di capolavori. Chissà…
          Va anche considerato che oggi un lavoro di stesura, con i computer è infinitamente più rapido, così come la revisione, la correzione di bizze, il sistema di stampa. Ci ballano mesi, e in una carriera, anni.
          Attenzione a quando non finiamo mai i libri. Ci sta che tu sia stato sfortunato. Ma l’opera (“aperta” come diceva Eco, cioè che poteva essere chiusa solo dal lettore, dunque viveva solo in sua presenza) risente del lettore. Giusto non finire un libro che rompe le scatole. Ma dato che finirlo non equivale a una tortura per chi ami leggere, talvolta meglio impegnarsi a seguire l’autore. Chissà dove può condurci…

          • Editoria, libri, commenti: è materia opinabile, dato appunto che non essendoci patenti è difficile utilizzare un metro di paragone, e tutto risiede nell’opinione personale. L’iperproduzione di libri, invece, non è un’opinione, ma un dato reale, e un’anomalia tutta italiana: così come la stagnazione delle vendite dei libri.

            Ma, forse, meglio di come l’ho detta io, la dice – paradossalmente – un commento, di circa tre anni fa, di un lettore, in risposta ad un mio racconto.

            Questo il link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/27/manoscritti-nel-cassetto39-racconti-di-giuseppe-granieri/825979/

            Quanto ad Adesso Basta, che ho letto, dico che è un saggio, ed è differente da un romanzo: ma, come dicevo, di esempi se ne possono fare mille.

  3. Oh si…
    Perdersi nella vita è meglio che cercare di capirla.
    Osservare come guardare a fondo, e non un semplice vedere, aiuta a perdersi meglio.

    Sandro

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