L’avevo capito dai suoi ultimi due libri che Calabresi aveva il pallino dell’ottimismo. Un pallino un po’ eretico, in questa epoca prona. Stasera, guardando la prima puntata del suo programma Hotel Patria, su RAI 3, ne ho avuto, se serviva, la conferma. Avevo giusto bisogno di questo, dopo una giornata a tentare di spiegare, qui sul blog, come la pensavo sul tema. Si scriveva di sogni e denaro, dunque di prevalenza o meno dell’energia sulle sostanze, della volontà e dell’idea sui limiti e sugli ostacoli…
Calabresi è un uomo che ha deciso di non piangere per tutta la vita, al contrario. E’ diventato direttore di un giornale tra i più importanti d’Italia: la Stampa. Ma prima gli avevano ammazzato il padre, commissario di polizia. Incarna dunque, che lo si ami o no, l’idea stessa di chi non resta la vita intera aggrappato al suo alibi, al suo freno a mano, al pensiero che vola in direzione opposta al dovuto. Dunque, più di altri, è credibile. Soprattutto quando parla di ottimismo e di sogni.
A cominciare dalla storia di Loris, il ragazzo che va negli Usa e trova la sua via, in compagnia di un ispirato Jovanotti e delle citazioni da osanna di Steve Jobs, per proseguire col montanaro che inneggia ai sogni e condanna il denaro, fino ai giovani cuochi italiani nel mondo… questa puntata avrei potuto scriverla io. Ne condividevo impianto, ascolto, tesi, ispirazione (perfino la performance di Nina Zilli, che amo moltissimo). Con l’unica eccezione del secondo servizio, che parlava di amianto e del dramma di Casale Monferrato (un servizio importante, doveroso, di cronaca), Calabresi ha tentato il primo programma fatto di sole storie di coraggio, volontà, sogno, superamento, ispirazione, fortuna che sorride agli audaci, patriottismo non nazionalista, semmai cosmopolita.
Chissà perché quel servizio sull’amianto. Non che non sia meritorio, certo, ma perché? Forse qualche autore lo avrà consigliato così: “troppo ottimismo diventa buonismo, fai un po’ e un po’”. Chissà. O forse non se l’è sentita. I suoi libri strappano anche amarezza, qualche commozione, ma in fondo sono gravidi di possibilità, occhi che brillano guardando un futuro in cui c’è spazio, nel tempo del possibile, nello spazio del coraggio. Ma sulla carta forse sa osare di più Calabresi. Meno male che c’è RAI 3 a crederci (che Dio la protegga…), perché ricordo un altro programma sul tema: “E se domani”.
Un buon programma Hotel Patria, che sono sicuro crescerà. E una prospettiva sul mondo che ci manca. Dico da anni che ci siamo fatti scippare il copyright dell’ottimismo da chi intende tutt’altro, e che se l’è accaparrato per farne un uso improprio. E’ nostro, lo rivolgiamo indietro.
Mi accorgo che bisogna parlare molto di un modo diverso di vivere, sognare, credere, lottare. Sempre di più, per abbattere sfighe, cabale, scongiuri, raccomandazioni, alibi e terrore. Perché l’energia con cui combattere l’amarezza, e il sogno che corrobora i nostri corpi stanchi, la voglia di tentare, di cercare emozione e vita anche se questa nostra storia non ha alcun lietofine, sono essenziali per tirare avanti. Anzi, per provare a farla franca. E per farlo con stile, godendo soprattutto, fieri del godimento, sentendo che dentro il nostro cuore qualcosa riparte, in tempo, prima che sia tardi per la riconciliazione che serve ad alzarsi e partire. Dopo una giornata di discorsi sui soldi (scusatemi, ma che Dio li stramaledica), ne avevo proprio bisogno. Grazie Calabresi.