Ecco qui, su Spotify, un lungo podcast (1h e 37′) parte della serie “L’Ultima Domanda“.
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Aprirò un cantiere-filosofico

Poi, ognuno per le sue vie. Mezza giornata almeno, ogni giorno, bisogna stare da soli (cantiere filosofico già iniziato, con questa affermazione…).
Un anno straordinario

Sarà uno splendido anno. Io certe cose le sento. Sarà che ci sto su con tutti i sensi, in continuo, percepire è un’ambizione, una specie di vocazione.
Tutto si compie
Farsi le canne da soli
L’incannicciata costa tanto. Troppo. Allora penso; me la faccio da me. Chiedo sull’isola: “dove si comprano le canne?” . Risposta: “ma mica si comprano. Stanno in molti punti, lungo i rivi, andiamo tutti lì quando ci servono, e le prendiamo. Sono di tutti.”
E allora vado con la fida F. Un culo immane. Le canne sono enormi, sembrano bamboo. Dure, alte tra i 4 e i 6 metri. Quelle al Fienile sembrano stuzzicadenti in confronto. Ma non basta. Le canne dritte sostanzialmente non esistono. Sono una proiezione iperurania, o una promessa commerciale. Dunque allestire un’incannicciata diventa un’opera di meccanica quantistica: “la canna dritta non esiste ma in determinate condizioni può diventarlo”. Cinema…
Morale: dita le cui falangi superiori non sento praticamente più. Epicondilite a nastro. Schiena. Tempo. E pensieri… Ma enorme orgoglio. Sotto questa Pergola, che copre la cucina esterna con ipnotica vista sul mare, avverranno cose. Mente a quelle cose, non al progetto, mentre si lavora, mi raccomando. Chi fa le cose precisine e non pensa “a quelle cose” è un maniaco. Prima o poi entra in un Eurospin con un kalashnikov. Le cose “servono a”, oppure sono fatica sprecata, e gesto nevrotico. (Per chi ha letto Stojan Decu: “occasioni per le emozioni“).
Ora bevo un sorso di vino. Stanco. Seduto. E guardo F che si incaponisce su un restauro. Quel portellone dice cose sul tempo. E lei le sta cercando. Le troverà? Io la guardo. Non so se riesco a capire. Però qualcosa sento. Dunque forse sì.
TUTTO TRANQUILLO SUL FRONTE ORIENTALE
Bilancio della giornata campale di ieri…
NON ANDATE IN VACANZA. MI RACCOMANDO…
“L’Altra Via”. Una casa di pietra su un’isola del Mediterraneo.
La Via – ecco la II parte

“Io ho una tesi, vediamo se sta in piedi. Potremmo dire che nei decenni fino a ieri, quando abbiamo impostato e consolidato il nostro attuale sistema di vita, abbiamo creduto assai poco in qualcosa, e decisamente troppo in altro….”
Com’è iniziata la burrasca. Come siamo finiti fuori rotta. Ma quanto fuori rotta? Io penso che non sia un errore di 180°, come tanti pensano. Chi lo dice, secondo me, vuole fare ammuina, perché tutto resti com’è, perché non ci sia da faticare, e perché nulla cambi.
Penso invece che siamo fuori rotta di 40 gradi, al massimo 50. Un bel po’! Sufficiente a finire nei guai. Ma è un errore che si può ancora correggere.
Ecco la Seconda Parte del podcast: “LA VIA”. Dentro gli argomenti, uno per uno. Dentro a ciò che abbiamo osannato, o dimenticato. Qui “politici” responsabili non ce ne sono. Qui, niente “colpa dell’UE”, oppure “eh ma lui…!”. Solo noi, le cose da rimediare, la rotta da riprendere.
Qui per scaricare o sentire online: https://www.simoneperotti.com/wp/i-miei-libri/la-via
“Qui” (quarto capitolo)

4.
Per mesi neppure un malato, ma tutto viene chiuso su un’isola chiusa. E ora, tutto nuovamente aperto sull’isola aperta. Le quarantene al tempo della televisione sono così, prive di ogni logica, come la paura. Ora si piangono i turisti perduti, che erano già pochi. Le isole che merita vedere, del resto, non sono affollate. Sono dure da raggiungere, rimangono fuori dalle grandi rotte. Per caso, vai solo dove costa poco. Ma il costo per venire qui non è in denaro, le scelte non lo sono mai. L’isola devi prima sentirla, quando non sai nemmeno che esiste. Allora, considerato pazzo, la vai a cercare. Quando non la trovi, per anni, devi continuare, dandoti tu stesso del folle che cerca qualcosa senza motivo, come fosse una tara, qualcosa di fatale. Dunque, l’isola la devi volere. È la catena del desiderio, credo che valga per tutto. Se guardo alla terraferma, invece… mi pare che si viva tutti sentendo niente, volendo poco, cercando quello che non serve, trovando solo briciole.
O forse mi sbaglio. Da qui o si vede tutto o si scambiano navi con mostri.
Quello che so è che qui mi ci ha portato la voglia. L’irresistibile brama. Chi ce lo avrebbe fatto fare, altrimenti? Dal “Fienile dell’Anima” siamo partiti con gli occhi umidi. Ecco perché, ecco il profondo segreto di una scelta: andare nonostante ciò che basta, non a causa di quello che manca. Il bisogno è un’illusione, fa solo sbagliare la rotta. Se Penelope bastasse, non seguiresti mai il canto di una sirena.
Qui è confluenza. Ionio, Egeo, Mare di Creta. Lo chiamano Mare di Myrtos, così vuole il mito. Una storia di tradimento e inganno, come lo è sempre un confine. Uva meticcia che ognuno chiama a suo modo.
Mi interrogo: di “Qui” cosa avrebbe detto mia madre? Avrebbe strabuzzato gli occhi, stretto le labbra come per fischiare, ma senza suono, come faceva lei? Avrebbe toccato le mura di pietra con una mano, come per appoggiarsi, o a dire “che cosa grossa, solida!”? E cosa dirà mio padre, tutto entusiasmo e avventura? Cosa dirà chi non ha detto ancora niente, come non pensasse niente? Vorrei vederli tutti nella luce e nell’aria della sera. I colori di quel momento mi fanno venire da piangere. Sono narrativi, e io amo così tanto i bei finali di romanzo. Qui è un libro di racconti brevi, quotidiani. Perfetti.
Spiegare l’inspiegabile, raccontare l’inesprimibile. Provo a procedere, ma non lo so fare…
La casa non è grande, ad esempio, ma commuove. Il primo atto di vendita è del 1891. Ho trovato qui aratri di legno, intagliati a mano, vomeri col segno della sgorbia. Un giogo. Forconi fatti di rami. E un’altalena, perché i contadini dovevano tenere buoni i bambini. In questa parte dell’isola le case di pietra non hanno intonaco. Mi hanno raccontato di un manipolo di artigiani del vicino Mani, giunti qui due secoli fa. Loro sapevano costruire. “L’intonaco è quando non ti fidi”. Coprire, nascondere buchi. Non dichiarare, l’intonaco di non ammettere.
All’interno c’è spazio per tutto. Il tremore eccitato, la sensazione di navigare oltre il limite, l’assoluta meraviglia, l’hanno riempita già molte volte. Una casa non si può comprare. Va costruita. Deve somigliare a te: spazi – per tempi – per pratiche. Nel divenire. Se non sai dove mettere l’emozione, ad esempio, devi costruire un ripiano. Per sognare, devi allestire un angolo. La vera tristezza di una casa sono le stanze vuote: dovevano contenere chissà quali tesori, e invece non c’è spazio per ciò che non hai. In una teca di pietra ho già impilato immagini, libreria di istanti alla fonda: quel tardo pomeriggio, fermi, uno qui uno lì, in silenzio; quando ti sei alzata e sei andata via, ma ti sei voltata; la sera della cena fuori, candela, gli involtini che avevo mangiato una volta su un peschereccio, a La Galite. Sono venuti identici. O ancora, quel giorno, coi falchi enormi che volteggiavano, il sole sullo Ionio, la musica, ogni sfumatura del rosso, e tu che hai detto: “… è bellissimo”, ma col tono che usi solo quando ci sei. O le grandi capre selvatiche, l’apparizione di quella sera, corna larghe, ritorte, orizzontali, la pelliccia nera lunga fino a terra. Spettri dagli occhi fiammeggianti nell’altipiano, divinità incarnate che anticipavano il passaggio della falce, che poi, per mistero, ci ha risparmiati. O il ciclo dei fiori, da riconoscere ogni giorno. Quante volte ci siamo fermati, arrivando qui, perché “aspetta, aspetta, guarda che bello quello! Ieri non c’era!”?
Una nave alla fonda, da una settimana. Ci guarda. Un ancoraggio pare una domanda, in attesa. “Saremo all’altezza, sapremo preservare?” Cominciamo, come in un vaso, a mettere fiori. Basterà lo spazio? Dipende da noi. Le cose importanti non ingombrano mai molto. Eppure chissà… Può darsi che un giorno dovremo ripartire. Non fare no con la testa, lo sai…