

La fortuna sta nel trovare l’argilla. Ma d’altro canto, qui, non ci sono capitato per caso. Dunque come la mettiamo, la fortuna esiste o te la devi andare a cercare? Io credo che fortuna è tutto quello che ti capita quando sei sul sentiero. Il tuo.
Certo, non era scontato trovarne una grande quantità. E neppure una bella catasta di mattoni refrattari fatti a mano. Chi è che voleva costruire un forno, decenni fa, proprio qui? E cosa glielo aveva impedito?
Quell’uomo, comunque, guardandosi intorno in questa terra sul mare, aveva detto un giorno: “qui ci starebbe bene un forno”. Pensare a una focaccia quando si guarda l’orizzonte azzurro è, credo, uno dei gesti più mediterranei di sempre.
Argilla e refrattari, dicevo. Potevo esimermi dopo quel ritrovamento? E così ho iniziato. Avevo mai costruito un forno? Sì, ma con i moduli di refrattario, e poi l’intorno (struttura, sarcofago, isolamento, bocca…). Insomma, fare una volta di mattoni… è un’altra cosa. E senza usare neanche un cucchiaio di cemento poi… E con una regola: non avrei guardato tutorial. Una regola antica, per me. Io voglio costruire il mio forno, non quello di un altro. Per dolermi io, essere orgoglioso io. Per mangiare (e vivere) io.
Fatto sta che sono partito. Impastare terra e acqua, sversarla e pareggiarla. Solo argilla. E sopra i mattoni, fatti a mano, seccati al sole, uno diverso dagli altri. E poi col regolo di legno al centro, un compasso rudimentale per misurare l’identica distanza orizzontale e obliqua di ogni mattone: primo cerchio, e mi pareva di aver già fatto tanto. Poi sopra un altro. Poi il terzo.
E una domanda tragica: quando la verticale di un mattone, a furia di salire con la volta, sarà più interna della base, crollerà?
Dubbi archetipici dell’homo faber.
Ma salendo, non è crollata. Col cuore in gola ho messo l’ultimo mattone, la chiave di volta della cupola. Mi sentivo Brunelleschi a Santa Maria del Fiore. Quel momento balza tra i quattro di maggior soddisfazione della mia vita. Tutto, solo, con argilla e mattoni. Fantastico.
Ma un forno non è solo archi e vettori. È soprattutto calore, da trattenere. E allora ho iniziato un sarcofago esterno, e ho inventato di una coibentazione a strati di tegole fatte a mano in terracotta (la vecchia copertura della casa) ripiene di argilla. Si rivelerà straordinaria. Del resto, non mettevo i fogli di giornale sotto al maglione, andando in motorino d’inverno? Il principio è lo stesso: strati sottili invece che un solo materiale spesso. L’uomo-sarago mantiene il calore con le squame.
Poi, con le tegole, ho fatto anche la canna fumaria. Non tanto per il fumo, qui è aperto, potrebbe uscire dalla bocca in fase di accensione, ma per riconvogliare il calore sulla volta. Ottimo espediente.
In inverno qui era già caldo, da fare il bagno. Avevo ben altro da fare, le opere essenziali della casa. E il forno l’ho iniziato a costruire a tempo perso, nelle pause in cui attendevo i materiali principali. Per questo ci ho messo tre mesi e mezzo. Ma è stato tempo prezioso: per studiare bene, ogni volta, una soluzione a ciascun problema. Senza consultare nessuno, senza studiare niente. Ma quante pizze ho mangiato in vita mia? Quante focacce, quanti arrosti ho preparato nel forno a legna? A nove anni mio padre mi piazzò davanti al forno a legna e mi spiegò. Con la pasta che lievita e le teglie di rame e stagno ci sono cresciuto. Per me una casa deve avere un forno a legna, fine della faccenda architettonica. Avevo dunque diritto a una mia opinione su un forno. Come quando costruii quella scala al Fienile: quante ne aveva scese e salite? Il resto, vada sempre come deve.
Lo stupore è stato accenderlo. Cucinarci. Scoprire che 24 ore dopo era ancora caldo a sufficienza per una lasagna con la pasta fillo, per dei peperoni. Mai visto un forno tenere il calore così. Molto bene, risparmierò legna grazie alle squame.
Jack London si esaltò tenendo bene una nave a vela, al timone, con mare grosso. “Ce l’ho fatta! L’ho fatto con le mie proprie mani!”. Si esaltava anche vincendo a nuoto o tirando di boxe. Collegava l’azione fisica, il gesto manuale, alla sua propria realizzazione. Diceva che avrebbe preferito prevalere in una gara a stile libero piuttosto che “scrivere il Grande Romanzo Americano”. Poi seppe fare anche quello. I superdotati o ti abbattono, o ti stimolano.
Però lo capisco. Provare, fare errori, ricominciare. Mani nella malta, fino al gomito. Bisogna essere zozzi di giorno, poi purificarsi con l’acqua al tramonto. Schiena a pezzi, perché la pala piena di terra pesa. Ma sperimentare, sempre, da soli porco demonio, da soli! Non applichiamo soltanto. Creiamo. Nell’epoca delle cover, bisogna stare molto attenti. L’App è utile, a volte. Ma può uccidere.
La fine della storia è che un giorno tiri fuori la farina, la mescoli con l’acqua come avevi fatto con l’argilla. La fai lievitare. Poi accendi, condisci, inforni. E dopo un certo tempo, tiri fuori una focaccia fatta bene.
Quel giorno non ci sarà tutto, ma c’è quanto di meglio si possa immaginare.
Quanto di meglio posso immaginare io.



















